TAR Campania (NA) Sez. VII n.166 del 14 gennaio 2020
Urbanistica.Standard massimo di edificabilità

La volumetria preesistente ovvero assentita costituisce lo standard massimo di edificabilità, nel senso che sussiste la possibilità di utilizzare tale volumetria soltanto in parte, essendo intento del legislatore impedire aumenti della complessiva cubatura degli edifici (esistenti o assentiti), ma non diminuzioni della stessa.

Pubblicato il 14/01/2020

N. 00166/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02885/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2885 del 2018, proposto da
-OMISSIS-in proprio e quale esercente la patria potestà sul minore -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Saverio Esposito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Sant’Agnello, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ferdinando Pinto e Giulio Renditiso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Napoli, alla via Cesario Console n. 3, presso l’avvocato Erik Furno;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- del provvedimento prot. 5743 del 4 aprile 2018, con cui il Comune di Sant’Agnello ha rigettato l’istanza di condono edilizio presentata in data 23 febbraio 1995 dalla ricorrente -OMISSIS-per una veranda annessa alla propria unità immobiliare;

- dell’ordinanza di demolizione n. 38 del 13 giugno 2018, riguardante l’intero fabbricato condominiale;

- di tutti i provvedimenti preordinati, precedenti, connessi e conseguenti;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sant’Agnello;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2019 la dott.ssa Valeria Ianniello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;


FATTO e DIRITTO

1. Con l’impugnato provvedimento prot. n. 5743 del 4 aprile 2018, notificato il 30 aprile successivo, il Comune di Sant’Agnello - Servizio Abusivismo e Controllo edilizio ha respinto l’istanza di condono prot. n. 2311 del 23 febbraio 1995, presentata da -OMISSIS-ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994, per sanare la realizzazione di una veranda in alluminio.

L’Amministrazione – richiamati genericamente nelle premesse gli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 – ritiene che «le opere realizzate non possono essere suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 39 della Legge 23/12/1994, n. 724, trattandosi di opere eseguite su immobile realizzato in totale difformità rispetto alla licenza edilizia n. 304 del 14/01/1966».

2. Con successivo provvedimento n. 38 del 13 giugno 2018, asseritamente non notificato, il Comune di Sant’Agnello - Servizio Abusivismo e Controllo edilizio – vista la relazione dell’Ufficio Tecnico comunale, redatta a seguito di sopralluogo in data 20 dicembre 2017 – ha ordinato ai proprietari dell’edificio la demolizione di questo e la rimessa in pristino dello stato dei luoghi.

3. Il Collegio ritiene di dover prendere le mosse dall’esame della censure relative a tale secondo provvedimento.

Nel ricostruire la vicenda, la parte ricorrente rappresenta che:

- l’edificio è stato costruito in forza della licenza edilizia n. 304 del 1966;

- nel corso dei lavori, in data 29 novembre 1968, è stato stipulato tra il Comune di S. Agnello – giusta deliberazione consiliare n. 104 del 21 ottobre 1967 – e i costruttori dell’immobile, un “contratto di transazione” (una «scrittura privata da valere a tutti gli effetti di legge quale pubblico atto»), avente ad oggetto la «vertenza esistente ed intrapresa con l’azione giudiziaria dinanzi al Tribunale di Napoli per le difformità costruttive rilevate nel fabbricato ..., e l’illecita occupazione di suolo comunale», con il quale il Comune ha consentito «il completamento della costruzione di che trattasi, così come è in corso di esecuzione, con il mantenimento delle vedute sullo spazio di proprietà comunale prospiciente la pubblica strada e con la cessione in proprietà ai predetti [costruttori] della zonetta di mq 13,60 sulla quale insisteva antecedentemente il muro demolito ed al suo posto insistono oggi i pilastri del fabbricato ...»;

- con provvedimento n. 304, in data 16 dicembre 1968, ai sensi dell’art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (r.d. n. 1565/1934), il Sindaco del Comune di S. Agnello ha autorizzato «l’abitazione dell’edificio», atteso che «mediante ispezione dell’Ufficiale Sanitario è stato accertato che la costruzione stessa è stata eseguita in conformità al progetto come sopra approvato»;

- con relazione del 3 maggio 1989, prot. n. 6531, l’Ufficio Tecnico comunale ha rappresentato che «il fabbricato in questione venne costruito sulla base della licenza edilizia n. 304 rilasciata in data 14/1/1966 ed ottenne in data 16/12/1968 regolare permesso di abitabilità. Tale progetto prevedeva la realizzazione di un piano seminterrato, piano rialzato e quattro piani in elevazione, come in pratica realizzato ed a oggi esistente. Si precisa che detto fabbricato fu anche oggetto di atto transattivo stipulato tra il Comune e l’allora proprietario a causa di un piccolo sconfinamento sull’area di proprietà comunale».

4. L’impugnato ordine di demolizione si fonda sulla constatazione che «l’immobile presenta sagoma, prospetti, conformazione dei terrazzini, distribuzione interna degli appartamenti e delle aperture totalmente diverse dal progetto originario». A parere dell’Amministrazione comunale, ciò invera la fattispecie di “totale difformità” di cui all’art. 31, co. 1, del d.P.R. n. 380/2001, per aver comportato «la realizzazione di un edificio integralmente diverso rispetto a quello autorizzato, seppur in termini di parametri plano-volumetrici inferiori a quanto concesso».

5. Giova, al riguardo, precisare che la “totale difformità” dal titolo si configura nelle seguenti ipotesi:

a) in caso di interventi «che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile» (art. 31, co. 1, d.P.R. n. 380/2001);

b) in caso di interventi qualificabili come “variazioni essenziali”, ove effettuati su immobili sottoposti a vincolo o ricadenti in aree vincolate; segnatamente: «a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 ...; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali», fermo restando che «non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative» (art. 32, d.P.R. n. 380/2001).

6. Con censura particolarmente efficace, e perciò assorbente, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, atteso che:

- secondo quanto rilevato dallo stesso Comune, il fabbricato presenta uno sviluppo planovolumetrico inferiore a quello di progetto, approvato con licenza n. 304/1966; l’area di sedime, l’altezza, il numero di piani e la destinazione d’uso corrispondono a quelli autorizzati, sicché non c’è aumento del carico urbanistico; le difformità riguardano soltanto le superfici dei terrazzini e, come genericamente affermato nella relazione tecnica, il posizionamento delle vedute, oltre che una diversa distribuzione interna degli appartamenti;

- l’art. 22, co. 2, del d.P.R. n. 380/2001 prevede che siano realizzabili mediante S.C.I.A., e dunque generalmente non sanzionabili con la demolizione (art. 37 dello stesso d.P.R.), «le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire».

7. Il Collegio ritiene fondate le argomentazioni dei ricorrenti, sotto il profilo del difetto d’istruttoria e di motivazione, per non avere il Comune adeguatamente rappresentato le ragioni dell’irrogazione della sanzione più grave (demolizione totale).

Di fatto, gli interventi risultano consistere essenzialmente in una diversa distribuzione degli spazi interni – in questa sede irrilevante, in quanto al più qualificabile come “manutenzione straordinaria” ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. b) del d.P.R. n. 380/2001 – e in un diverso rapporto tra spazi interni e spazi esterni (i terrazzini), a vantaggio di questi ultimi (in termini di superficie); dunque con un risultato, in termini volumetrici complessivi, inferiore rispetto a quello assentito.

Al riguardo, questo Tribunale ha già avuto occasione di affermare, sia pure con riferimento alla diversa fattispecie della demolizione e ricostruzione di un immobile, che la volumetria preesistente ovvero assentita (come nel caso in esame) costituisce lo standard massimo di edificabilità, nel senso che sussiste la possibilità di utilizzare tale volumetria soltanto in parte, essendo intento del legislatore impedire aumenti della complessiva cubatura degli edifici (esistenti o assentiti), ma non diminuzioni della stessa (cfr. sez. VIII, sent. n. 4265/2014). Ne deriva che l’intervenuta diminuzione di volumetria non appare ostativa al riconoscimento della conformità dell’immobile al titolo edilizio.

Quanto, poi, alla sagoma, non vi sono elementi per ritenere (né il Comune fornisce chiarimenti in tal senso) che si tratti di una difformità diversa e ulteriore rispetto a quella determinata a suo tempo dallo “sconfinamento”, da cui trasse origine la deliberazione consiliare n. 104 del 21 ottobre 1967, sopra richiamata (i cui effetti non sono stati, ad oggi, posti in discussione), che ha consentito di portare a termine l’edificazione così come era stata avviata.

In ultima analisi, l’impugnato provvedimento di demolizione risulta privo di un adeguato corredo motivazionale in ordine alla ritenuta corrispondenza della fattispecie concreta a quella astrattamente definita dal legislatore come idonea a pregiudicare l’interesse pubblico sotteso al potere amministrativo di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, e pertanto tale da giustificare l’irrogazione della più grave sanzione demolitoria (in tal senso, cfr. Cons. di Stato, VI, sent. n. 2837/2018, che parla di necessaria “offensività” dell’abuso).

8. L’accoglimento delle censure relative al provvedimento che accerta e sanziona l’abusività del fabbricato, nel suo complesso, determina altresì l’illegittimità del provvedimento prot. n. 5743 del 4 aprile 2018, che proprio su tale abusività ha fondato il diniego della sanatoria edilizia richiesta con prot. n. 2311 del 23 febbraio 1995.

9. Assorbita ogni ulteriore censura, il ricorso deve pertanto essere accolto.

La notevole complessità della vicenda sorregge, tuttavia, la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto (n. 2885/2018 r.g.), lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate, salvo il rimborso del contributo unificato versato, dovuto in ogni caso dall’Amministrazione soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, co. 1, 2 e 5, del d.lgs. n. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, all’oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la potestà genitoriale o la tutela e di ogni altro dato idoneo a identificare il medesimo interessato riportato sulla sentenza o provvedimento.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Michelangelo Maria Liguori, Presidente

Valeria Ianniello, Primo Referendario, Estensore

Cesira Casalanguida, Primo Referendario