Cass. Sez. III n. 38791 del 24 settembre 2015 (Ud 2 lug 2015)
Presidente: Franco Estensore: Orilia Imputato: Ragini.
Acque.Subentro nella titolarità di impresa
In tema di scarichi di acque reflue da insediamento produttivo, il titolare di una nuova impresa, subentrata ad altra, non può giovarsi dell'autorizzazione rilasciata al precedente titolare dell'impresa sostituita ma deve munirsi di nuova specifica autorizzazione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 19.6.2014 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha dichiarato Ragini Umberto responsabile del reato di cui all'art. 137 comma 1 D. Lvo n. 152/2006 (così derubricando la contestazione della violazione dell'art. 137 comma 3) per avere scaricato, in assenza di autorizzazione, le acque reflue dell'impianto di autolavaggio da lui gestito in Milazzo, via Luigi Fulci 22. La contestazione originaria aveva ad oggetto la contravvenzione di cui all'art. 137 comma 3 D. Lvo cit. (illecito sversamento di reflui industriali in violazione dei limiti tabellari).
Secondo il giudice di merito la fattispecie rientrava nell'ipotesi di cui all'art. 137, comma 1, perchè nel caso di specie non risultava il possesso dell'autorizzazione agli scarichi, che costituisce invece, il presupposto del reato originariamente contestato e che riguarda appunto il superamento dei limiti tabellari previsti per legge da parte di chi già sia in possesso di autorizzazione; ha accertato inoltre - e per quanto ancora interessa - che al momento del controllo la struttura era operante e che l'impianto di depurazione non era funzionante.
Infine, ha ritenuto che la derubricazione del reato originariamente contestato non aveva violato il principio di corrispondenza tra l'imputazione e la sentenza perchè i fatti posti a base dell'affermazione di responsabilità risultavano comunque indicati nel capo di imputazione, nessuna nessun pregiudizio per il diritto di difesa.
Il difensore propone ricorso per cassazione con tre motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo denunzia l'inosservanza di norme processuali (artt. 521 e 522 c.p.p.) dolendosi della violazione del principio di correlazione tra fatto e sentenza: osserva il ricorrente che il capo di imputazione per il quale era stato rinviato a giudizio, così come precisato dal pubblico ministero all'udienza del 4.10.2012 era quello di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 3 (sversamento di reflui industriali in violazione dei limiti tabellari), mentre è stato condannato per un fatto totalmente diverso (scarico di reflui industriali senza autorizzazione) "senza che questo fosse mai stato contestato all'imputato stesso". La totale eterogeneità e incompatibilità sostanziale del fatto ritenuto in sentenza rispetto a quello contestato avrebbe dovuto - secondo il ricorrente - indurre il giudice a disporre la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 521 c.p.p..
Il motivo è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione, (cfr. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. dep. 13/10/2010 Rv. 248051; cass. Sez. 4, Sentenza n. 16900 del 04/02/2004 Ud. dep. 09/04/2004 Rv. 22804).
Nel caso di specie, si è palesemente fuori dalla violazione del suddetto principio perchè il capo di imputazione comunque faceva riferimento allo sversamento illegittimo dei reflui industriali della attività di autolavaggio e quindi l'imputato era stato messo in grado di svolgere compiutamente la sua attività difensiva sulla autorizzazione prescritta per tale tipo di attività, come correttamente rilevato dal Tribunale. Manca dunque quella trasformazione radicale della fattispecie nei suoi elementi essenziali e perciò non si ravvisa quell'incertezza sull'oggetto dell'imputazione tale da pregiudicare l'esercizio del diritto di difesa.
2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 162 bis c.p. perchè non gli è stato consentito di avanzare istanza di oblazione per il reato così come derubricato (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1 punito con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda).
Anche questo motivo è manifestamente infondato: come già rilevato, il verbale contenente la diversa contestazione è stato notificato e quindi l'imputato è stato posto in grado di valutare, in relazione alla avvenuta modifica dell'imputazione, le attività difensive più opportune, tra cui certamente rientra la presentazione dell'istanza di oblazione ex art. 162 bis c.p..
3. Col terzo motivo denunzia il vizio di motivazione per travisamento della prova e illogicità della motivazione, osservando che agli atti del procedimento di riesame, regolarmente acquisiti al fascicolo, risultava la nota del Comune di Milazzo (n. 2161/2008), l'autorizzazione n. 25/07 del 13.6.2007 alla ditta Cambria (per scarico fognario acque reflue all'autolavaggio nell'impianto di (OMISSIS)), l'atto pubblico del 3.2.2009 rep. 33283 (con cui le predette Cambria hanno trasferito al R. l'intero appezzamento di terreno) e ancora altri documenti (ordinanza di dissequestro e relazione tecnica impianto di depurazione): sostiene che detti documenti, regolarmente agli atti, sono stati trascurati dal giudice di merito che, parimenti non ha neppure esaminato il provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva revocato il provvedimento di sequestro preventivo.
Il motivo è infondato.
In tema di scarichi di acque reflue da insediamento produttivo il titolare di una nuova impresa, subentrata ad altra, non può giovarsi dell'autorizzazione rilasciata al precedente titolare dell'impresa sostituita, ma deve munirsi di nuova specifica autorizzazione (Sez. 3, Sentenza n. 949 del 30/11/1990 Ud. dep. 28/01/1991 Rv. 186368; Sez. 3, Sentenza n. 5011 del 23/03/1983 Ud. dep. 28/05/1983 Rv. 159295).
Nel caso di specie l'autorizzazione 25/07 invocata dal ricorrente era stata rilasciata alla ditta "Cambria Teresa e Cambria Luisa Loredana" (cioè le sue danti causa) e pertanto l'esame del documento non avrebbe avuto nessuna incidenza sulla decisione perchè esso non era comunque idoneo a dimostrare la regolarità dello scarico effettuato dal R., essendo l'autorizzazione relativa ad altri soggetti.
Lo stesso dicasi per la nota del Comune di Milazzo n. 2161 del 10.6.2008 relativa all'avvio del procedimento riguardante l'inizio attività di lavaggio ai sensi della L.R. n. 10 del 1991 perchè in essa si informava espressamente il R. che l'attività era assoggettata alla presentazione della DIA e poteva essere iniziata "decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della stessa all'Amministrazione competente": della presentazione della DIA non è traccia agli atti.
4. Quanto, infine, alla richiesta subordinata (avanzata in sede di discussione) di applicare l'art. 131 bis c.p., va osservato che, come già affermato da questa Corte, la questione relativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cod. pen., è rilevabile nel giudizio di legittimità, a norma dell'art. 609 c.p.p., comma 2, se non è stato possibile proporla in appello, ma la sua prospettazione non implica necessariamente l'annullamento della sentenza impugnata dovendo invece la relativa richiesta essere rigettata ove non ricorrano le condizioni per l'applicabilità dell'istituto (v. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 21474 del 22/04/2015 Ud. dep. 22/05/2015 Rv. 263693; Sez. 3, Sentenza n. 15449 del 08/04/2015 Ud. dep. 15/04/2015 Rv. 263308).
Nel caso che ci occupa, la richiesta non risulta supportata da alcuna argomentazione, nè si traggono elementi di giudizio dalla sentenza impugnata che si è limitata a concedere le attenuanti generiche partendo però da una pena base di Euro 3.000,00 di ammenda, pari quindi al doppio del minimo edittale (fissato in Euro 1.500,00), segno, questo, di una valutazione, già compiuta dal giudice di merito, di non particolare tenuità del fatto.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2015.