TAR Friuli VG (Trieste), sent. n. 386 del 30.06.2008.
Autorizzazione allo scarico e prescrizioni. Area sensibile ex art. 91, D.lgs 152/2006: qualificazione. Riduzione limiti di emissione sostanze pericolose e limitazione portata depurabile dall\'impianto - giustificata precauzione in presenza di uno stato di grave inquinamento delle acque. Illeggitimità imposizione controlli a carico del titolare dello scarico sullo stato ecologico del corpo ricettore in quanto spettanti alla P.A. (nella specie valutazione di qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica). Necessità di preliminare di verifica della Provincia sulla possibilità di trattamento degli ulteriori reflui conferiti in fognatura: sussistenza.
(Per una maggiore comprensione è consigliata la lettura delle sentenze del TAR Friuli V.G. n. 102 e 105 del 08.02.2008 che trattano casistiche simili. Segnalazione Alan Valentino, Udine).
Autorizzazione allo scarico e prescrizioni. Area sensibile ex art. 91, D.lgs 152/2006: qualificazione. Riduzione limiti di emissione sostanze pericolose e limitazione portata depurabile dall\'impianto - giustificata precauzione in presenza di uno stato di grave inquinamento delle acque. Illeggitimità imposizione controlli a carico del titolare dello scarico sullo stato ecologico del corpo ricettore in quanto spettanti alla P.A. (nella specie valutazione di qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica). Necessità di preliminare di verifica della Provincia sulla possibilità di trattamento degli ulteriori reflui conferiti in fognatura: sussistenza.
(Per una maggiore comprensione è consigliata la lettura delle sentenze del TAR Friuli V.G. n. 102 e 105 del 08.02.2008 che trattano casistiche simili. Segnalazione Alan Valentino, Udine).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 459 del 2006, proposto da: Consorzio Depurazione Laguna S.p.a., rappresentato e difeso dagli avv. Luca De Pauli e Luca Ponti, con domicilio eletto presso il primo, in Udine, via Vittorio Veneto 39;
contro
Provincia di Udine, rappresentata e difesa dall\'avv. Marcello Perna, con domicilio eletto presso lo stesso, in Trieste, via Valdirivo 34;
sul ricorso numero di registro generale 417 del 2007, proposto da: Consorzio Depurazione Laguna S.p.a., ut supra rappresentato e difeso;
contro
Provincia di Udine; ut supra rappresentata e difesa;
per l\'annullamento, quanto al ricorso n. 459 del 2006: della determina n. 5040 dd. 13 luglio 2006 della Dirigente dell\'Area Ambiente, Servizio Risorse Idriche, della Provincia di Udine;
quanto ai motivi aggiunti depositati in data 28.4.2007 : della determina n. 1311 dd. 27 febbraio 2007 del Dirigente dell\'Area Ambiente, Servizio Risorse Idriche, della Provincia di Udine;.
quanto al ricorso n. 417 del 2007: -della determina n. 3713 dd. 14 giugno 2007, in relazione alle sole clausole, recanti limitazioni, lesive dei diritti e degli interessi della ricorrente..
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Udine;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all\'udienza pubblica del giorno 16/04/2008 il cons. Rita De Piero e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. - Col ric. n. 459/06 l’istante Consorzio Depurazione Laguna s.p.a. (di seguito: Consorzio) espone di essere una Società a partecipazione pubblica, operante nel settore delle acque, titolare di un impianto di depurazione in censuario di San Giorgio di Nogaro, realizzato nei primi anni ’90, con una capacità di trattamento di 83.000 mc/d, realizzato allo scopo di risolvere i fenomeni di degradazione dell’ambiente lagunare causati dagli insediamenti industriali presenti in zona.
L’impianto di depurazione è costituito da più sezioni collegate che effettuano - sui reflui addotti dalla rete fognaria (e, in precedenza, anche sui rifiuti conferiti) - alcuni pretrattamenti prima della fase finale di affinazione biologica. Il processo depurativo conta di due linee principali: quella relativa al trattamento delle acque e quella relativa al trattamento dei fanghi che si generano nelle varie sezioni dell’impianto medesimo. Completato il trattamento chimico-fisico e biologico dei reflui addotti dalla condotta fognaria principale, gli stessi vengono scaricati in mare attraverso il c.d. “tubone”.
Premessa una lunga e dettagliata ricostruzione delle vicende (e disavventure) che hanno caratterizzato l’impianto (e che possono essere così riassunte: dal 1996 al 2000 l’impianto ha trattato acque reflue industriali e domestiche urbane, e rifiuti liquidi - assimilabili a domestici - conferiti su gomma; dal 2000 al 2002 è stata posta in esercizio una sezione di trattamento di ossidazione chimica - processo FENTON - per il pretrattamento dei reflui industriali a bassa biodegradabilità; dopo il 2002, a seguito della cessazione della sezione di ossidazione chimica e del sequestro giudiziario disposto nel febbraio 2003, sono stati trattati gli stessi reflui del primo periodo, ad eccezione dei rifluiti liquidi), il ricorrente espone le vicende relative alle autorizzazioni di cui l’impianto è dotato.
1.1. - Osserva, in proposito, il Consorzio che l’impianto era stato realizzato in un momento in cui esso, a tenore dell’art. 2 della L.r. 22/96, non necessitava dell’autorizzazione prevista dalla legge sui rifiuti, dato che gli impianti di depurazione di cui alla L. 319/76 - che non trattavano reflui tossici e nocivi - ne erano espressamente esonerati.
Nel novembre 1997, il Consorzio, avendo in animo di trattare anche rifiuti in senso stretto, presentava istanza di autorizzazione alla competente Provincia di Udine, per realizzare gli impianti necessari alla depurazione di reflui idrici costituiti da percolati di discarica e liquami fognari (reflui speciali non tossico-nocivi ex D.P.R. n. 915/92, e rifiuti non pericolosi ex D.Lg. n. 22/97), ed al trattamento, mediante essiccazione, dei fanghi di depurazione di acque provenienti da terzi.
La Provincia ritenne che solo per l’essiccazione dei fanghi fosse necessario ottenere un’autorizzazione a tenore della normativa sui rifiuti.
Nelle more della procedura, entrava in vigore il D.P.G.R. n. 01/98.
L’autorizzazione richiesta veniva rilasciata, con atto n. 181 del 21.5.98.
Peraltro, il 20.5.98, con sentenza n. 173, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della L.r. 22/96, nella parte in cui escludeva gli impianti di smaltimento e depurazione per conto terzi di rifiuti liquidi, dall’obbligo di autorizzazione.
La Regione, con ordinanza contingibile ed urgente ex art. 13 del D.Lg. 22/97, consentiva ai gestori di continuare l’attività nelle more della regolarizzazione dell’autorizzazione (che doveva venire chiesta entro 60 giorni dal 3.6.98, data di pubblicazione dell’ordinanza sul BUR, termine poi prorogato).
Il Consorzio presentava domanda di autorizzazione il 31.7.98.
In data 18.9.98, il Comune di San Giorgio di Nogaro rilasciava concessione edilizia per l’impianto FENTON.
Il 4.1.99, la Regione precisava che dovevano ritenersi soggetti al D.Lg. 22/97 solo gli impianti di depurazione che ricevevano rifiuti liquidi (che pervenivano per via diversa da quella fognaria) per conto terzi; per “gli impianti di depurazione già realizzati ma non ancora in esercizio il 3.6.98”, era sufficiente la procedura di cui all’art. 22 del D.Lg. medesimo; mentre - per gli impianti non ancora completati o in corso di autorizzazione alla suddetta data - si sarebbe dovuta espletare l’intera procedura degli artt. 26 e 28.
Ritenendo di rientrare nel primo caso, il Consorzio agiva di conseguenza.
In data 12.4.99, la Provincia rilasciava l’autorizzazione richiesta.
In prosieguo, entrava in vigore il D.Lg. 152/99 di tutela delle acque, le modalità di applicabilità del quale, al caso di specie - ad avviso del ricorrente - non era affatto chiara.
Così, in data 20.7.01, la Provincia - sia per quest’ultima ragione, che per la pendenza nei confronti del Consorzio di un procedimento penale, nel corso del quale era intervenuto anche il sequestro delle linee FENTON ed essiccamento, le quali, da quel momento, non sono più state in uso - comunicava l’apertura di un procedimento per la rideterminazione delle scadenze delle autorizzazioni in essere, in attesa di rilasciare un nuovo titolo, in regola con tutti i necessari adempimenti normativi.
Seguiva, il 12.2.02, l’atto della Provincia n. 118 che fissava il termine di scadenza dell’autorizzazione al 31.12.02, termine poi prorogato al 30.6.03.
Il 16.1.02, il ricorrente otteneva l’autorizzazione definitiva per lo scarico in mare della durata di 4 anni.
Il 27.6.02, faceva istanza per ottenere l’autorizzazione per la gestione ed esercizio di un impianto di trattamento per rifiuti liquidi.
Vari problemi sorgevano, successivamente, in ordine alla necessità di sottoporre il progetto anche alla procedura di VIA, finchè perveniva al provvedimento provinciale del definitiva reiezione della domanda.
Contro quest’atto è stato proposto il ricorso 623/04 (dichiarato improcedibile con sentenza n. 297/07).
In data 25.9.06, il progetto veniva sottoposto alla verifica tecnica del Ministero dell’Ambiente.
1.2. - Quanto all’autorizzazione allo scarico in mare, in data 10.1.05 il Consorzio provvedeva a chiederne il rinnovo alla Provincia (nel frattempo divenuta competente), la quale decideva solo in data 13.7.06, con l’atto n. 5040, oggetto del ricorso n. 459/06, con il quale si contestano alcune clausole, in particolare quelle che pongono limiti più restrittivi rispetto a quelli fissati in via generale dalla legge.
Detta autorizzazione, valevole fino al 28.2.07, veniva dalla Provincia dapprima prorogata al 15.6.07, e, con atto n. 3713 del 14.6.07, sostituita da un nuovo atto autorizzatorio, avente durata di 4 anni, emesso sulla scorta dell’acquisizione di una rinnovata indagine ad opera del prof. Collivignarelli (del 18.5.07) ed al parere (favorevole) dell’ARPA del 13.6.07.
Il Consorzio precisa che alcuni problemi legati alla precedente autorizzazione sono stati superati, ma che anche il nuovo titolo contiene limiti e determinazioni - a suo dire - illegittime, che vengono, per l’appunto, contestate col secondo ricorso (n. 417/07).
1.3. - In ordine ai limiti di quantità di acque reflue depurate (premesse, lett. a), lamenta:
1.1. - illogicità, difetto di motivazione, violazione degli artt. 101, 124 e sg. e all. 5, parte III, del D.Lg. 152/06; errore di fatto.
L’autorizzazione stabilisce che “l’impianto potrà trattare una portata influente massima di 23.400 mc/g”.
La prescrizione è illogica e non in linea coi dettami del D.Lg. 152/06. L’autorizzazione, infatti, avrebbe dovuto indicare solo la portata massima dell’impianto, e cioè 83.000 mc/g.
Il gestore, inoltre, non può effettuare un controllo preventivo pieno e incondizionato di quanto conferito all’impianto, dovendo comunque accogliere i reflui che i soggetti hanno diritto di inviarvi.
1.2. - Illogicità, contraddittorietà tra premesse e motivazione.
Nel medesimo atto, si pongono limiti alla quantità dei reflui da trattare, ma, contemporaneamente, si impone al Consorzio l’obbligo di ricevere le acque reflue di un certo numero di Comuni nonché le acque reflue industriali “convogliabili attraverso la rete fognaria dell’impianto di depurazione che provengono da stabilimenti insediati nell’Aussa Corno”, senza limiti di sorta.
Sulla quantità di tali reflui il Consorzio non può esercitare alcun controllo.
2. - Quanto all’indicazione dei soggetti ammessi alla rete fognaria (n. 3 del dispositivo):
2.1. - illogicità, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento amministrativo. Violazione del principio del minimo mezzo. Incompetenza.
L’autorizzazione specifica - con indicazione tassativa - chi sono i soggetti legittimati a conferire reflui all’impianto.
Ciò è contrario alle prerogative del Consorzio, che, in quanto gestore di una rete fognaria, gode di una potestà autorizzativa propria, che non può venire vulnerata dalla Provincia, cui devono interessare solo i limiti in uscita dall’impianto.
2.2. - Illogicità e contraddittorietà
Detta clausola è anche contrastante con quanto disposto al n. 10, ove viene precisato che di ogni nuovo allacciamento si dovrà dar comunicazione alla Provincia medesima.
O il numero degli “utenti” dei servizi resi dal Consorzio è tassativamente indicato dalla Provincia, o non lo è.
3. - Quanto ai limiti di emissione:
3.1. - violazione degli artt. 74 e 91 e all. I, della parte III, del D.Lg. n. 152/06. Travisamento, errore si fatto e carenza di istruttoria..
Nel precedente atto autorizzatorio, la Provincia aveva ritenuto che gli scarichi del Consorzio si collocassero in area sensibile, ai sensi dell’art. 91 del D.Lg. 152/06. In questo nuovo provvedimento, pur in termini più prudenti, l’Ente continua ad essere dell’opinione che lo scarico avvenga in area sensibile, applicando il criterio della batimetria. Secondo la Provincia, infatti, poiché la profondità dello stesso è inferiore a 50 m., l’area è senza meno sensibile.
Così non è. Infatti, anche se l’art. 91 definisce “aree sensibili” tutte le acque costiere dell’Adriatico settentrionale, e l’all. I della parte III, definisce “acque marine costiere” quelle comprese entro 3000 m dalla costa e comunque entro la batimetria di 50 m.; tuttavia la definizione di area sensibile è data ai soli fini della determinazione degli obiettivi di qualità ambientale, ma non già per l’individuazione delle aree sensibili considerate “significative”.
“Acque costiere” poi - a tenore dell’art. 74 - sono “ le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”.
Infine, secondo la normativa comunitaria (dir. 91/91, all. II) i criteri per la classificazione delle aree sensibili si riferiscono, in particolare, alle acque dolci e non salate, con la conseguenza che la più ampia definizione data dalla normativa italiana, non può trovare un’applicazione restrittiva e tassativa.
Ne consegue che le acque costiere dell’Adriatico settentrionale, da ritenersi aree sensibili, sono quelle situate sino ad un miglio marino dalla costa e non quelle situate entro la batimetria di 50 m., che possono essere, al più, qualificate “acque significative”.
3.2. - Travisamento, difetto di presupposto.
Secondo la Provincia, il ricettore, nei pressi dei punti di scarico, presenta concentrazioni anomale di metalli pesanti (in specie, stagno e cadmio), di inquinanti organici e di idrocarburi.
Da tale circostanza di fatto, e dal disposto dell’art. 108, detto Ente ritiene derivi il potere di imporre limiti di emissione più restrittivi di quelli fissati dall’art. 101, commi 1 e 2, del D.Lg. 152/06, in relazione alle sostanze elencate nella tab. 5 dell’all. 5 alla parte III.
Il Consorzio osserva che la presenza di “concentrazioni anomale” di metalli pesanti - registrati peraltro nei sedimenti e non nell’acqua - sono desunti dalla relazione del prof. Collivignarelli, il quale, peraltro, non ha affatto ritenuto esistente una situazione di pericolo (come è stato evidenziato anche nel corso del giudizio penale).
Per gli idrocarburi, vale lo stesso.
La Provincia ha enfatizzato una situazione ritenuta non pericolosa dagli esperti interpellati.
3.3. - Violazione dell’art. 108 e dell’all. 5 alla parte III del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine. Difetto di presupposti e incompetenza.
La Provincia, ripetendo le prescrizioni già contenute nella precedente autorizzazione, ha creato un suo proprio sistema tabellare di riferimento, diverso da quello della legge, motivandolo con la considerazione che la mancanza del Piano di Tutela delle Acque consentirebbe di imporre limiti di emissione più restrittivi di quelli fissati dall’art. 101, commi 1 e 2, del D.Lg. 152/06, in relazione alle sostanze elencate nella Tab. 5 dell’all. 5 alla parte III.
Così non è, in quanto l’applicazione dell’art. 108 non prescinde, ma presuppone l’esistenza del Piano, che, nella specie, non c’è ancora.
3.4.- Perplessità, illogicità, violazione del principio del minimo mezzo. Incompetenza. Violazione degli artt. 101 e 108 e dell’all. 5 alla parte III del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine. Carenza di potere.
La scelta di imporre limiti più restrittivi doveva comunque trovare una giustificazione di carattere tecnico ed una congrua motivazione.
La Provincia richiama infatti gli esiti dell’indagine penale e le indicazione dell’ARPA e della Regione, ma, pur riconoscendo - in sostanza - che non vi sono concreti pericoli, applica il principio di precauzione, riducendo del 60% i limiti di emissione delle sostanze pericolose, senza tener conto delle esigenze del Consorzio e dei soggetti che recapitano nella sua rete, e ignorando del tutto quanto precisato dall’ARPA che aveva escluso l’esistenza di qualsivoglia pericolo e riteneva possibile autorizzare lo scarico senza limitazioni..
La riduzione delle emissioni ad oltre la metà di quanto consentito dalla legge senza che sia stato evidenziato un concreto pericolo o pregiudizio per l’ambiente doveva essere “ampiamente giustificata e ben altrimenti spiegata”.
La Provincia, inoltre, neppure possiede tale potere limitativo, dovendo attendere le determinazioni della Regione - ex art. 106, comma 3 - la quale non ha stabilito ancora neppure gli obiettivi di qualità.
Il limite imposto non si giustifica nemmeno con riferimento alla tab. 4, che si riferisce agli scarichi di acque reflue urbane e industriali che recapitano sul suolo (nella specie si tratta, invece, di scarico a mare, in profondità e a 6 km dalla linea di costa).
4. - Quanto agli oneri imposti al Consorzio:
4.1. violazione degli artt. 73, 124 e 128 del D.Lg. 152/06 e degli artt. 41 e 97 della Costituzione. Illogicità.
Sub n. 8, lett. R, l’autorizzazione impone al Consorzio di effettuare una valutazione dello stato ecologico del ricettore per quanto concerne la qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica, e di trasmettere i relativi dati alla Provincia e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale.
La prescrizione è priva di fondamento, e mira solo a riversare sul Consorzio - con costi a carico dello stesso - oneri che fanno capo ai soggetti pubblici.
A tenore dell’art. 324, infatti, gravano sul richiedente l’autorizzazione solo gli oneri per “rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi” necessari per l’istruttoria della domanda, ma non certo quelli relativi al monitoraggio e controllo ambientale, che incombono sul soggetto pubblico, ed esattamente sulla Regione, a tenore dell’art. 120 del D.Lg. 152706, che vi provvede anche tramite accordi di programma con altri soggetti, quali l’ARPA.
4.2. - Violazione dell’art. 124 del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine. Contraddittorietà, illogicità, violazione del principio del minimo mezzo. Difetto di motivazione.
Anche la prescrizione di cui al punto 8, lett. M - che impone di eseguire, ogni 15 giorni, analisi di controllo delle acque reflue in uscita, relativamente a tutti i parametri di cui alla tab. 3 dell’all. 5 alla parte III del D.lg. 151/06 - è illegittima, se non altro perché l’ARPA aveva previsto che dette analisi si svolgessero con cadenza mensile.
L’obbligo di effettuare il doppio delle analisi indicate come ottimali dall’organo tecnico competente non ha adeguata giustificazione di ordine tecnico, né motivazione; viola inoltre il principio di proporzionalità e di necessario contemperamento delle diverse esigenze.
4.3. - Violazione dell’art. 127 del D.Lg. 152/06. Travisamento, errore di fatto, illogicità.
Al Consorzio viene anche imposto di effettuare la registrazione quotidiana delle quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa, che dovranno essere gestiti e smaltiti conformemente a quanto prevede la normativa sui rifiuti.
Nell’impianto di cui trattasi, la nastropressa non conclude il ciclo di trattamento dei fanghi, che transitano attraverso le vasche di post-disidratazione, prima di essere smaltiti. Non è dato comprendere perché si debbano registrare le quantità giornaliere dei fanghi in una fase intermedia del processo depurativo, dato che solo il prodotto finale soggiace alla disciplina sui rifiuti.
Inoltre, tali operazioni non vengono svolte giornalmente.
2. - La Provincia di Udine si è costituita in entrambi i ricorsi, puntualmente controdeducendo nel merito degli stessi, e concludendo per la loro reiezione.
In limine, eccepisce l’improcedibilità del ric. n. 459/06, poiché l’autorizzazione impugnata ha - medio tempore - perduto efficacia, ed è stata in toto sostituita - con modifica e/o soppressione di alcune delle clausole contestate con tale ricorso - da quella opposta con il successivo ric. n. 417/07, sul quale, quindi, l’interesse del ricorrente si è concentrato.
2.1. - Entrambe le parti hanno presentato memorie.
2.2. - Dopo ampia discussione, in data odierna, le cause sono state trattenute per la decisione
DIRITTO
1. - Dapprima il Collegio dispone la riunione dei due ricorsi, connessi soggettivamente ed oggettivamente.
2. - Il ric. n. 459/06, come eccepito dalla Provincia di Udine, è improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, dato che l’autorizzazione - di cui ivi si controverte - ha cessato di produrre i propri effetti già in data 15.6.07.
Il ricorrente Consorzio, in memoria, dichiara di avere ancora interesse alla decisione perché - essendo alcune (non meglio precisate) delle prescrizioni contestate soggette a sanzione penale - è suo preciso interesse che le stesse siano dichiarate illegittime, a scanso di ulteriori problemi che potrebbero insorgere in tale diversa sede.
La prospettazione - espressa in termini meramente ipotetici - non può essere condivisa. E, infatti, il timore di possibili - future, ma, allo stato, inesistenti - ripercussioni di carattere penale, non fa permanere l’interesse alla decisione relativamente ad un’autorizzazione che ha oramai esaurito ogni suo effetto, e le cui prescrizioni in parte non sono state riprodotte, in parte si sono trasferite nella nuova autorizzazione, e sono state puntualmente contestate col ric. n. 417/07.
In definitiva, le clausole confermate sono oggetto di ricorso, e quelle non riprodotte nel testo della nuova autorizzazione non esistono più, nè risulta siano state trasgredite, cosicché, allo stato, la paventata azione penale appare del tutto ipotetica, e, comunque, non rilevante (ai fini della permanenza dell’interesse alla decisione), dato che ben potrà l’istante difendersi in tale (eventuale) giudizio penale deducendo l’illegittimità delle prescrizioni, che il giudice penale ha comunque facoltà di disapplicare, ove le ritenga contra legem.
Il ric. n. 459/06 va quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
3. - Il ric. n. 417/07 è invece fondato in parte, e va accolto, nei termini di cui infra.
Per completezza, si ritiene tuttavia, sia pure brevemente, di esaminare (invece che assorbire) anche i motivi non accolti .
3. 1. - Con il motivo sub 1.1, il ricorrente lamenta che l’autorizzazione non consenta l’utilizzo dell’impianto alla sua massima potenzialità di 83.000 mc/g.
Ad avviso del Collegio la prescrizione è corretta dal momento che - dalla documentazione in atti - emerge con chiarezza che la capacità dell’impianto di abbattere i valori inquinanti del cadmio e dello stagno, in relazione alle complessive capacità di trattamento - è quasi al limite (97,5% per il cadmio e oltre il 100% per lo stagno, secondo le stime prudenziali effettuate dai tecnici).
Quindi, la riduzione disposta appare una ragionevole precauzione per contenere il già pesante stato di inquinamento delle acque.
3. 2. - Col motivo sub 1.2, il Consorzio lamenta la contraddittorietà del limite stante l’impossibilità di controllare la quantità di acque reflue in entrata, poiché quelle reflue urbane provengono da una vasta area e i reflui industriali dalla rete fognaria collegata agli stabilimenti industriali dell’Aussa Corno.
La prescrizione non appare illegittima: una volta posto un limite in ingresso - a causa dell’estrema difficoltà dell’impianto di trattare efficacemente determinate sostanze inquinanti - sarà compito dell’ oculata gestione del Consorzio far sì che detto limite non venga superato.
Sul punto, la Provincia rileva peraltro che eventuali superamenti, dovuti a condizioni eccezionali, potranno verificarsi senza che il Consorzio - se la situazione è veramente straordinaria e imprevedibile - incorra in responsabilità.
3. 3. - Anche i motivi sub 2 sono infondati, in fatto prima ancora che in diritto: come rileva la Provincia, l’indicazione dei soggetti legittimati a scaricare le acque reflue presso il depuratore sono stati indicati dal Consorzio medesimo, ed esso è bensì libero di consentire ulteriori allacciamenti (come è espressamente previsto anche dal titolo), previa comunicazione alla Provincia, affinchè quest’ultima ne possa previamente valutare la fattibilità e le conseguenze (in altre parole: perché la Provincia verifichi che gli ulteriori reflui conferiti possono essere efficacemente trattati e sversati senza provocare ulteriore inquinamento).
3. 4 - . Neppure i motivi sub 3 possono trovare accoglimento.
Il Consorzio, con tale censura, contesta la sufficienza del criterio della batimetria (punto di scarico inferiore a 50 metri) per qualificare un’area come “sensibile” ex art. 91, comma 1, lett. i, del D.Lg. 152/06, ritenendo altresì che i concetti di “acque significative” e “aree sensibili” non siano equivalenti e valgano solo ai fini del conseguimento degli obiettivi di qualità.
L’art. 73 del D.Lg. 152/06, al comma 1, indica le finalità delle disposizioni della Sezione “Tutela delle acque dall’inquinamento”, e, al comma 2, elenca gli strumenti per raggiungere gli obiettivi di protezione di cui al comma precedente, indicando, alla lett. a) “l\'individuazione di obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici”, e alla lett. e) “l\'individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell\'inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili”. Quanto a queste ultime, l’art. 91 (il primo del Titolo III - Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi - del Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall\'inquinamento e di risanamento), testualmente stabilisce che “sono comunque aree sensibili… le acque costiere dell\'Adriatico settentrionale”.
L’All. 1 alla parte III., inoltre, che si occupa del “monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale”, stabilisce che “sono corpi idrici significativi quelli che le autorità competenti individuano sulla base delle indicazioni contenute nel presente allegato e che conseguentemente vanno monitorati e classificati al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale”, e, per quanto concerne le “acque marine costiere”, prevede che “sono significative le acque marine comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50 metri”.
Questa definizione di “acqua marina costiera”, per la sua specialità prevale sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74, a tenore del quale sono “acque costiere: le acque superficiali situate all\'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”.
A quanto esposto consegue che le acque dell’Adriatico, comprese entro “la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50 metri”, sono sia aree sensibili che acque significative.
E, dato che lo scarico in questione pacificamente recapita ad una batimetria inferiore a 50 metri, ancorchè a distanza superiore a 3000 m. dalla costa, esso per certo recapita in area sensibile.
E‘ parimenti incontroverso (e ne fanno fede le relazioni in atti, in specie quelle acquisite nel corso del giudizio penale) che i valori (quantomeno) di cadmio e stagno, rilevati nel punto di emissione, sono superiori ai limiti consentiti; il che ha creato una situazione, ancorchè forse - come osserva il ricorrente - non “drammatica o pericolosa”, ma certamente di grave rischio.
Tale accertato stato di fatto è sufficiente a consentire alla Provincia, in applicazione dell’art. 108, comma 2, del D Lg. 152/06 (“tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell\'ambiente in cui è effettuato lo scarico, l\'autorità competente in sede di rilascio dell\'autorizzazione può fissare, nei casi in cui risulti accertato che i valori limite definiti ai sensi dell\'articolo 101, commi 1 e 2, impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di tutela di cui all\'articolo 121, anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell\'articolo 101, commi 1 e 2”.) di imporre limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101.
E invero, a consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento dello sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere dall’esistenza o meno di un Piano di Tutela delle Acque.
Va da sé che il “limite più restrittivo” imposto è rimesso al prudente apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla situazione fattuale dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può essere contestato se non per macroscopica irragionevolezza, nella specie non sussistente.
3.5. - Sono invece fondate, e vanno conseguentemente accolte, le censure sub n. 4.
3.5.1. - L’art. 124 espressamente pone a carico del richiedente “le spese occorrenti per l\'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l\'istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore.
Infatti, l’art. 128 espressamente riserva all’ “autorità competente” l’effettuazione (e, quindi, anche i costi) del “controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli”. Attività, questa, il cui onere finanziario - stante la finalità pubblica che la contraddistingue - non può essere senz’altro e totalmente addossato all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla scorta di apposite convenzioni).
3.5.2. - Illegittima - per carenza di idonea motivazione - appare anche l’imposizione di eseguire ogni 15 giorni l’analisi di controllo delle acque reflue in uscita, poiché l’organo tecnicamente competente ad effettuare tale valutazione - e cioè l’ARPA - aveva ritenuto sufficiente l’effettuazione di un controllo mensile.
Se la Provincia riteneva tale periodicità non adeguata alla situazione di fatto, aveva l’onere di esternarlo con adeguata motivazione.
Va tuttavia notato che la stessa Provincia afferma che “è probabile che, col tempo, la prescrizione si ridimensionerà in conformità alla riduzione del grado di inquinamento” del corpo ricettore. Quindi la nuova prescrizione dovrà tener conto della situazione attuale delle acque.
3.5.3. - Il Collegio ritiene fondato anche l’ultimo punto del motivo sub 4 (obbligo di registrazione quotidiana della quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa).
E, invero, la pur giusta preoccupazione della Provincia di sapere con esattezza quanti fanghi produca il ricorrente Consorzio e se gli stessi vengano correttamente smaltiti a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente riferita al “rifiuto” vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione inutilizzabile e non più soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente essere eliminato.
Poiché è incontroverso che la nastropressa non esaurisce il ciclo di trattamento dei fanghi stessi, non pare ragionevole che essi vengano misurati in questa fase, bensì solo dopo il completamento del ciclo.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso va accolto in parte, ut supra precisato.
4. - In ragione della parziale soccombenza, spese e competenze di causa possono essere totalmente compensate, tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, e, per l’effetto, annulla l’autorizzazione impugnata, limitatamente al punto 8, lettere I, M ed R.
Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 16/04/2008 con l\'intervento dei Magistrati:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Vincenzo Farina, Consigliere
Rita De Piero, Consigliere, Estensore
L\'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 459 del 2006, proposto da: Consorzio Depurazione Laguna S.p.a., rappresentato e difeso dagli avv. Luca De Pauli e Luca Ponti, con domicilio eletto presso il primo, in Udine, via Vittorio Veneto 39;
contro
Provincia di Udine, rappresentata e difesa dall\'avv. Marcello Perna, con domicilio eletto presso lo stesso, in Trieste, via Valdirivo 34;
sul ricorso numero di registro generale 417 del 2007, proposto da: Consorzio Depurazione Laguna S.p.a., ut supra rappresentato e difeso;
contro
Provincia di Udine; ut supra rappresentata e difesa;
per l\'annullamento, quanto al ricorso n. 459 del 2006: della determina n. 5040 dd. 13 luglio 2006 della Dirigente dell\'Area Ambiente, Servizio Risorse Idriche, della Provincia di Udine;
quanto ai motivi aggiunti depositati in data 28.4.2007 : della determina n. 1311 dd. 27 febbraio 2007 del Dirigente dell\'Area Ambiente, Servizio Risorse Idriche, della Provincia di Udine;.
quanto al ricorso n. 417 del 2007: -della determina n. 3713 dd. 14 giugno 2007, in relazione alle sole clausole, recanti limitazioni, lesive dei diritti e degli interessi della ricorrente..
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Udine;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all\'udienza pubblica del giorno 16/04/2008 il cons. Rita De Piero e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. - Col ric. n. 459/06 l’istante Consorzio Depurazione Laguna s.p.a. (di seguito: Consorzio) espone di essere una Società a partecipazione pubblica, operante nel settore delle acque, titolare di un impianto di depurazione in censuario di San Giorgio di Nogaro, realizzato nei primi anni ’90, con una capacità di trattamento di 83.000 mc/d, realizzato allo scopo di risolvere i fenomeni di degradazione dell’ambiente lagunare causati dagli insediamenti industriali presenti in zona.
L’impianto di depurazione è costituito da più sezioni collegate che effettuano - sui reflui addotti dalla rete fognaria (e, in precedenza, anche sui rifiuti conferiti) - alcuni pretrattamenti prima della fase finale di affinazione biologica. Il processo depurativo conta di due linee principali: quella relativa al trattamento delle acque e quella relativa al trattamento dei fanghi che si generano nelle varie sezioni dell’impianto medesimo. Completato il trattamento chimico-fisico e biologico dei reflui addotti dalla condotta fognaria principale, gli stessi vengono scaricati in mare attraverso il c.d. “tubone”.
Premessa una lunga e dettagliata ricostruzione delle vicende (e disavventure) che hanno caratterizzato l’impianto (e che possono essere così riassunte: dal 1996 al 2000 l’impianto ha trattato acque reflue industriali e domestiche urbane, e rifiuti liquidi - assimilabili a domestici - conferiti su gomma; dal 2000 al 2002 è stata posta in esercizio una sezione di trattamento di ossidazione chimica - processo FENTON - per il pretrattamento dei reflui industriali a bassa biodegradabilità; dopo il 2002, a seguito della cessazione della sezione di ossidazione chimica e del sequestro giudiziario disposto nel febbraio 2003, sono stati trattati gli stessi reflui del primo periodo, ad eccezione dei rifluiti liquidi), il ricorrente espone le vicende relative alle autorizzazioni di cui l’impianto è dotato.
1.1. - Osserva, in proposito, il Consorzio che l’impianto era stato realizzato in un momento in cui esso, a tenore dell’art. 2 della L.r. 22/96, non necessitava dell’autorizzazione prevista dalla legge sui rifiuti, dato che gli impianti di depurazione di cui alla L. 319/76 - che non trattavano reflui tossici e nocivi - ne erano espressamente esonerati.
Nel novembre 1997, il Consorzio, avendo in animo di trattare anche rifiuti in senso stretto, presentava istanza di autorizzazione alla competente Provincia di Udine, per realizzare gli impianti necessari alla depurazione di reflui idrici costituiti da percolati di discarica e liquami fognari (reflui speciali non tossico-nocivi ex D.P.R. n. 915/92, e rifiuti non pericolosi ex D.Lg. n. 22/97), ed al trattamento, mediante essiccazione, dei fanghi di depurazione di acque provenienti da terzi.
La Provincia ritenne che solo per l’essiccazione dei fanghi fosse necessario ottenere un’autorizzazione a tenore della normativa sui rifiuti.
Nelle more della procedura, entrava in vigore il D.P.G.R. n. 01/98.
L’autorizzazione richiesta veniva rilasciata, con atto n. 181 del 21.5.98.
Peraltro, il 20.5.98, con sentenza n. 173, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della L.r. 22/96, nella parte in cui escludeva gli impianti di smaltimento e depurazione per conto terzi di rifiuti liquidi, dall’obbligo di autorizzazione.
La Regione, con ordinanza contingibile ed urgente ex art. 13 del D.Lg. 22/97, consentiva ai gestori di continuare l’attività nelle more della regolarizzazione dell’autorizzazione (che doveva venire chiesta entro 60 giorni dal 3.6.98, data di pubblicazione dell’ordinanza sul BUR, termine poi prorogato).
Il Consorzio presentava domanda di autorizzazione il 31.7.98.
In data 18.9.98, il Comune di San Giorgio di Nogaro rilasciava concessione edilizia per l’impianto FENTON.
Il 4.1.99, la Regione precisava che dovevano ritenersi soggetti al D.Lg. 22/97 solo gli impianti di depurazione che ricevevano rifiuti liquidi (che pervenivano per via diversa da quella fognaria) per conto terzi; per “gli impianti di depurazione già realizzati ma non ancora in esercizio il 3.6.98”, era sufficiente la procedura di cui all’art. 22 del D.Lg. medesimo; mentre - per gli impianti non ancora completati o in corso di autorizzazione alla suddetta data - si sarebbe dovuta espletare l’intera procedura degli artt. 26 e 28.
Ritenendo di rientrare nel primo caso, il Consorzio agiva di conseguenza.
In data 12.4.99, la Provincia rilasciava l’autorizzazione richiesta.
In prosieguo, entrava in vigore il D.Lg. 152/99 di tutela delle acque, le modalità di applicabilità del quale, al caso di specie - ad avviso del ricorrente - non era affatto chiara.
Così, in data 20.7.01, la Provincia - sia per quest’ultima ragione, che per la pendenza nei confronti del Consorzio di un procedimento penale, nel corso del quale era intervenuto anche il sequestro delle linee FENTON ed essiccamento, le quali, da quel momento, non sono più state in uso - comunicava l’apertura di un procedimento per la rideterminazione delle scadenze delle autorizzazioni in essere, in attesa di rilasciare un nuovo titolo, in regola con tutti i necessari adempimenti normativi.
Seguiva, il 12.2.02, l’atto della Provincia n. 118 che fissava il termine di scadenza dell’autorizzazione al 31.12.02, termine poi prorogato al 30.6.03.
Il 16.1.02, il ricorrente otteneva l’autorizzazione definitiva per lo scarico in mare della durata di 4 anni.
Il 27.6.02, faceva istanza per ottenere l’autorizzazione per la gestione ed esercizio di un impianto di trattamento per rifiuti liquidi.
Vari problemi sorgevano, successivamente, in ordine alla necessità di sottoporre il progetto anche alla procedura di VIA, finchè perveniva al provvedimento provinciale del definitiva reiezione della domanda.
Contro quest’atto è stato proposto il ricorso 623/04 (dichiarato improcedibile con sentenza n. 297/07).
In data 25.9.06, il progetto veniva sottoposto alla verifica tecnica del Ministero dell’Ambiente.
1.2. - Quanto all’autorizzazione allo scarico in mare, in data 10.1.05 il Consorzio provvedeva a chiederne il rinnovo alla Provincia (nel frattempo divenuta competente), la quale decideva solo in data 13.7.06, con l’atto n. 5040, oggetto del ricorso n. 459/06, con il quale si contestano alcune clausole, in particolare quelle che pongono limiti più restrittivi rispetto a quelli fissati in via generale dalla legge.
Detta autorizzazione, valevole fino al 28.2.07, veniva dalla Provincia dapprima prorogata al 15.6.07, e, con atto n. 3713 del 14.6.07, sostituita da un nuovo atto autorizzatorio, avente durata di 4 anni, emesso sulla scorta dell’acquisizione di una rinnovata indagine ad opera del prof. Collivignarelli (del 18.5.07) ed al parere (favorevole) dell’ARPA del 13.6.07.
Il Consorzio precisa che alcuni problemi legati alla precedente autorizzazione sono stati superati, ma che anche il nuovo titolo contiene limiti e determinazioni - a suo dire - illegittime, che vengono, per l’appunto, contestate col secondo ricorso (n. 417/07).
1.3. - In ordine ai limiti di quantità di acque reflue depurate (premesse, lett. a), lamenta:
1.1. - illogicità, difetto di motivazione, violazione degli artt. 101, 124 e sg. e all. 5, parte III, del D.Lg. 152/06; errore di fatto.
L’autorizzazione stabilisce che “l’impianto potrà trattare una portata influente massima di 23.400 mc/g”.
La prescrizione è illogica e non in linea coi dettami del D.Lg. 152/06. L’autorizzazione, infatti, avrebbe dovuto indicare solo la portata massima dell’impianto, e cioè 83.000 mc/g.
Il gestore, inoltre, non può effettuare un controllo preventivo pieno e incondizionato di quanto conferito all’impianto, dovendo comunque accogliere i reflui che i soggetti hanno diritto di inviarvi.
1.2. - Illogicità, contraddittorietà tra premesse e motivazione.
Nel medesimo atto, si pongono limiti alla quantità dei reflui da trattare, ma, contemporaneamente, si impone al Consorzio l’obbligo di ricevere le acque reflue di un certo numero di Comuni nonché le acque reflue industriali “convogliabili attraverso la rete fognaria dell’impianto di depurazione che provengono da stabilimenti insediati nell’Aussa Corno”, senza limiti di sorta.
Sulla quantità di tali reflui il Consorzio non può esercitare alcun controllo.
2. - Quanto all’indicazione dei soggetti ammessi alla rete fognaria (n. 3 del dispositivo):
2.1. - illogicità, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento amministrativo. Violazione del principio del minimo mezzo. Incompetenza.
L’autorizzazione specifica - con indicazione tassativa - chi sono i soggetti legittimati a conferire reflui all’impianto.
Ciò è contrario alle prerogative del Consorzio, che, in quanto gestore di una rete fognaria, gode di una potestà autorizzativa propria, che non può venire vulnerata dalla Provincia, cui devono interessare solo i limiti in uscita dall’impianto.
2.2. - Illogicità e contraddittorietà
Detta clausola è anche contrastante con quanto disposto al n. 10, ove viene precisato che di ogni nuovo allacciamento si dovrà dar comunicazione alla Provincia medesima.
O il numero degli “utenti” dei servizi resi dal Consorzio è tassativamente indicato dalla Provincia, o non lo è.
3. - Quanto ai limiti di emissione:
3.1. - violazione degli artt. 74 e 91 e all. I, della parte III, del D.Lg. n. 152/06. Travisamento, errore si fatto e carenza di istruttoria..
Nel precedente atto autorizzatorio, la Provincia aveva ritenuto che gli scarichi del Consorzio si collocassero in area sensibile, ai sensi dell’art. 91 del D.Lg. 152/06. In questo nuovo provvedimento, pur in termini più prudenti, l’Ente continua ad essere dell’opinione che lo scarico avvenga in area sensibile, applicando il criterio della batimetria. Secondo la Provincia, infatti, poiché la profondità dello stesso è inferiore a 50 m., l’area è senza meno sensibile.
Così non è. Infatti, anche se l’art. 91 definisce “aree sensibili” tutte le acque costiere dell’Adriatico settentrionale, e l’all. I della parte III, definisce “acque marine costiere” quelle comprese entro 3000 m dalla costa e comunque entro la batimetria di 50 m.; tuttavia la definizione di area sensibile è data ai soli fini della determinazione degli obiettivi di qualità ambientale, ma non già per l’individuazione delle aree sensibili considerate “significative”.
“Acque costiere” poi - a tenore dell’art. 74 - sono “ le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”.
Infine, secondo la normativa comunitaria (dir. 91/91, all. II) i criteri per la classificazione delle aree sensibili si riferiscono, in particolare, alle acque dolci e non salate, con la conseguenza che la più ampia definizione data dalla normativa italiana, non può trovare un’applicazione restrittiva e tassativa.
Ne consegue che le acque costiere dell’Adriatico settentrionale, da ritenersi aree sensibili, sono quelle situate sino ad un miglio marino dalla costa e non quelle situate entro la batimetria di 50 m., che possono essere, al più, qualificate “acque significative”.
3.2. - Travisamento, difetto di presupposto.
Secondo la Provincia, il ricettore, nei pressi dei punti di scarico, presenta concentrazioni anomale di metalli pesanti (in specie, stagno e cadmio), di inquinanti organici e di idrocarburi.
Da tale circostanza di fatto, e dal disposto dell’art. 108, detto Ente ritiene derivi il potere di imporre limiti di emissione più restrittivi di quelli fissati dall’art. 101, commi 1 e 2, del D.Lg. 152/06, in relazione alle sostanze elencate nella tab. 5 dell’all. 5 alla parte III.
Il Consorzio osserva che la presenza di “concentrazioni anomale” di metalli pesanti - registrati peraltro nei sedimenti e non nell’acqua - sono desunti dalla relazione del prof. Collivignarelli, il quale, peraltro, non ha affatto ritenuto esistente una situazione di pericolo (come è stato evidenziato anche nel corso del giudizio penale).
Per gli idrocarburi, vale lo stesso.
La Provincia ha enfatizzato una situazione ritenuta non pericolosa dagli esperti interpellati.
3.3. - Violazione dell’art. 108 e dell’all. 5 alla parte III del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine. Difetto di presupposti e incompetenza.
La Provincia, ripetendo le prescrizioni già contenute nella precedente autorizzazione, ha creato un suo proprio sistema tabellare di riferimento, diverso da quello della legge, motivandolo con la considerazione che la mancanza del Piano di Tutela delle Acque consentirebbe di imporre limiti di emissione più restrittivi di quelli fissati dall’art. 101, commi 1 e 2, del D.Lg. 152/06, in relazione alle sostanze elencate nella Tab. 5 dell’all. 5 alla parte III.
Così non è, in quanto l’applicazione dell’art. 108 non prescinde, ma presuppone l’esistenza del Piano, che, nella specie, non c’è ancora.
3.4.- Perplessità, illogicità, violazione del principio del minimo mezzo. Incompetenza. Violazione degli artt. 101 e 108 e dell’all. 5 alla parte III del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine. Carenza di potere.
La scelta di imporre limiti più restrittivi doveva comunque trovare una giustificazione di carattere tecnico ed una congrua motivazione.
La Provincia richiama infatti gli esiti dell’indagine penale e le indicazione dell’ARPA e della Regione, ma, pur riconoscendo - in sostanza - che non vi sono concreti pericoli, applica il principio di precauzione, riducendo del 60% i limiti di emissione delle sostanze pericolose, senza tener conto delle esigenze del Consorzio e dei soggetti che recapitano nella sua rete, e ignorando del tutto quanto precisato dall’ARPA che aveva escluso l’esistenza di qualsivoglia pericolo e riteneva possibile autorizzare lo scarico senza limitazioni..
La riduzione delle emissioni ad oltre la metà di quanto consentito dalla legge senza che sia stato evidenziato un concreto pericolo o pregiudizio per l’ambiente doveva essere “ampiamente giustificata e ben altrimenti spiegata”.
La Provincia, inoltre, neppure possiede tale potere limitativo, dovendo attendere le determinazioni della Regione - ex art. 106, comma 3 - la quale non ha stabilito ancora neppure gli obiettivi di qualità.
Il limite imposto non si giustifica nemmeno con riferimento alla tab. 4, che si riferisce agli scarichi di acque reflue urbane e industriali che recapitano sul suolo (nella specie si tratta, invece, di scarico a mare, in profondità e a 6 km dalla linea di costa).
4. - Quanto agli oneri imposti al Consorzio:
4.1. violazione degli artt. 73, 124 e 128 del D.Lg. 152/06 e degli artt. 41 e 97 della Costituzione. Illogicità.
Sub n. 8, lett. R, l’autorizzazione impone al Consorzio di effettuare una valutazione dello stato ecologico del ricettore per quanto concerne la qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica, e di trasmettere i relativi dati alla Provincia e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale.
La prescrizione è priva di fondamento, e mira solo a riversare sul Consorzio - con costi a carico dello stesso - oneri che fanno capo ai soggetti pubblici.
A tenore dell’art. 324, infatti, gravano sul richiedente l’autorizzazione solo gli oneri per “rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi” necessari per l’istruttoria della domanda, ma non certo quelli relativi al monitoraggio e controllo ambientale, che incombono sul soggetto pubblico, ed esattamente sulla Regione, a tenore dell’art. 120 del D.Lg. 152706, che vi provvede anche tramite accordi di programma con altri soggetti, quali l’ARPA.
4.2. - Violazione dell’art. 124 del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine. Contraddittorietà, illogicità, violazione del principio del minimo mezzo. Difetto di motivazione.
Anche la prescrizione di cui al punto 8, lett. M - che impone di eseguire, ogni 15 giorni, analisi di controllo delle acque reflue in uscita, relativamente a tutti i parametri di cui alla tab. 3 dell’all. 5 alla parte III del D.lg. 151/06 - è illegittima, se non altro perché l’ARPA aveva previsto che dette analisi si svolgessero con cadenza mensile.
L’obbligo di effettuare il doppio delle analisi indicate come ottimali dall’organo tecnico competente non ha adeguata giustificazione di ordine tecnico, né motivazione; viola inoltre il principio di proporzionalità e di necessario contemperamento delle diverse esigenze.
4.3. - Violazione dell’art. 127 del D.Lg. 152/06. Travisamento, errore di fatto, illogicità.
Al Consorzio viene anche imposto di effettuare la registrazione quotidiana delle quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa, che dovranno essere gestiti e smaltiti conformemente a quanto prevede la normativa sui rifiuti.
Nell’impianto di cui trattasi, la nastropressa non conclude il ciclo di trattamento dei fanghi, che transitano attraverso le vasche di post-disidratazione, prima di essere smaltiti. Non è dato comprendere perché si debbano registrare le quantità giornaliere dei fanghi in una fase intermedia del processo depurativo, dato che solo il prodotto finale soggiace alla disciplina sui rifiuti.
Inoltre, tali operazioni non vengono svolte giornalmente.
2. - La Provincia di Udine si è costituita in entrambi i ricorsi, puntualmente controdeducendo nel merito degli stessi, e concludendo per la loro reiezione.
In limine, eccepisce l’improcedibilità del ric. n. 459/06, poiché l’autorizzazione impugnata ha - medio tempore - perduto efficacia, ed è stata in toto sostituita - con modifica e/o soppressione di alcune delle clausole contestate con tale ricorso - da quella opposta con il successivo ric. n. 417/07, sul quale, quindi, l’interesse del ricorrente si è concentrato.
2.1. - Entrambe le parti hanno presentato memorie.
2.2. - Dopo ampia discussione, in data odierna, le cause sono state trattenute per la decisione
DIRITTO
1. - Dapprima il Collegio dispone la riunione dei due ricorsi, connessi soggettivamente ed oggettivamente.
2. - Il ric. n. 459/06, come eccepito dalla Provincia di Udine, è improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, dato che l’autorizzazione - di cui ivi si controverte - ha cessato di produrre i propri effetti già in data 15.6.07.
Il ricorrente Consorzio, in memoria, dichiara di avere ancora interesse alla decisione perché - essendo alcune (non meglio precisate) delle prescrizioni contestate soggette a sanzione penale - è suo preciso interesse che le stesse siano dichiarate illegittime, a scanso di ulteriori problemi che potrebbero insorgere in tale diversa sede.
La prospettazione - espressa in termini meramente ipotetici - non può essere condivisa. E, infatti, il timore di possibili - future, ma, allo stato, inesistenti - ripercussioni di carattere penale, non fa permanere l’interesse alla decisione relativamente ad un’autorizzazione che ha oramai esaurito ogni suo effetto, e le cui prescrizioni in parte non sono state riprodotte, in parte si sono trasferite nella nuova autorizzazione, e sono state puntualmente contestate col ric. n. 417/07.
In definitiva, le clausole confermate sono oggetto di ricorso, e quelle non riprodotte nel testo della nuova autorizzazione non esistono più, nè risulta siano state trasgredite, cosicché, allo stato, la paventata azione penale appare del tutto ipotetica, e, comunque, non rilevante (ai fini della permanenza dell’interesse alla decisione), dato che ben potrà l’istante difendersi in tale (eventuale) giudizio penale deducendo l’illegittimità delle prescrizioni, che il giudice penale ha comunque facoltà di disapplicare, ove le ritenga contra legem.
Il ric. n. 459/06 va quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
3. - Il ric. n. 417/07 è invece fondato in parte, e va accolto, nei termini di cui infra.
Per completezza, si ritiene tuttavia, sia pure brevemente, di esaminare (invece che assorbire) anche i motivi non accolti .
3. 1. - Con il motivo sub 1.1, il ricorrente lamenta che l’autorizzazione non consenta l’utilizzo dell’impianto alla sua massima potenzialità di 83.000 mc/g.
Ad avviso del Collegio la prescrizione è corretta dal momento che - dalla documentazione in atti - emerge con chiarezza che la capacità dell’impianto di abbattere i valori inquinanti del cadmio e dello stagno, in relazione alle complessive capacità di trattamento - è quasi al limite (97,5% per il cadmio e oltre il 100% per lo stagno, secondo le stime prudenziali effettuate dai tecnici).
Quindi, la riduzione disposta appare una ragionevole precauzione per contenere il già pesante stato di inquinamento delle acque.
3. 2. - Col motivo sub 1.2, il Consorzio lamenta la contraddittorietà del limite stante l’impossibilità di controllare la quantità di acque reflue in entrata, poiché quelle reflue urbane provengono da una vasta area e i reflui industriali dalla rete fognaria collegata agli stabilimenti industriali dell’Aussa Corno.
La prescrizione non appare illegittima: una volta posto un limite in ingresso - a causa dell’estrema difficoltà dell’impianto di trattare efficacemente determinate sostanze inquinanti - sarà compito dell’ oculata gestione del Consorzio far sì che detto limite non venga superato.
Sul punto, la Provincia rileva peraltro che eventuali superamenti, dovuti a condizioni eccezionali, potranno verificarsi senza che il Consorzio - se la situazione è veramente straordinaria e imprevedibile - incorra in responsabilità.
3. 3. - Anche i motivi sub 2 sono infondati, in fatto prima ancora che in diritto: come rileva la Provincia, l’indicazione dei soggetti legittimati a scaricare le acque reflue presso il depuratore sono stati indicati dal Consorzio medesimo, ed esso è bensì libero di consentire ulteriori allacciamenti (come è espressamente previsto anche dal titolo), previa comunicazione alla Provincia, affinchè quest’ultima ne possa previamente valutare la fattibilità e le conseguenze (in altre parole: perché la Provincia verifichi che gli ulteriori reflui conferiti possono essere efficacemente trattati e sversati senza provocare ulteriore inquinamento).
3. 4 - . Neppure i motivi sub 3 possono trovare accoglimento.
Il Consorzio, con tale censura, contesta la sufficienza del criterio della batimetria (punto di scarico inferiore a 50 metri) per qualificare un’area come “sensibile” ex art. 91, comma 1, lett. i, del D.Lg. 152/06, ritenendo altresì che i concetti di “acque significative” e “aree sensibili” non siano equivalenti e valgano solo ai fini del conseguimento degli obiettivi di qualità.
L’art. 73 del D.Lg. 152/06, al comma 1, indica le finalità delle disposizioni della Sezione “Tutela delle acque dall’inquinamento”, e, al comma 2, elenca gli strumenti per raggiungere gli obiettivi di protezione di cui al comma precedente, indicando, alla lett. a) “l\'individuazione di obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici”, e alla lett. e) “l\'individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell\'inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili”. Quanto a queste ultime, l’art. 91 (il primo del Titolo III - Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi - del Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall\'inquinamento e di risanamento), testualmente stabilisce che “sono comunque aree sensibili… le acque costiere dell\'Adriatico settentrionale”.
L’All. 1 alla parte III., inoltre, che si occupa del “monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale”, stabilisce che “sono corpi idrici significativi quelli che le autorità competenti individuano sulla base delle indicazioni contenute nel presente allegato e che conseguentemente vanno monitorati e classificati al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale”, e, per quanto concerne le “acque marine costiere”, prevede che “sono significative le acque marine comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50 metri”.
Questa definizione di “acqua marina costiera”, per la sua specialità prevale sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74, a tenore del quale sono “acque costiere: le acque superficiali situate all\'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”.
A quanto esposto consegue che le acque dell’Adriatico, comprese entro “la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50 metri”, sono sia aree sensibili che acque significative.
E, dato che lo scarico in questione pacificamente recapita ad una batimetria inferiore a 50 metri, ancorchè a distanza superiore a 3000 m. dalla costa, esso per certo recapita in area sensibile.
E‘ parimenti incontroverso (e ne fanno fede le relazioni in atti, in specie quelle acquisite nel corso del giudizio penale) che i valori (quantomeno) di cadmio e stagno, rilevati nel punto di emissione, sono superiori ai limiti consentiti; il che ha creato una situazione, ancorchè forse - come osserva il ricorrente - non “drammatica o pericolosa”, ma certamente di grave rischio.
Tale accertato stato di fatto è sufficiente a consentire alla Provincia, in applicazione dell’art. 108, comma 2, del D Lg. 152/06 (“tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell\'ambiente in cui è effettuato lo scarico, l\'autorità competente in sede di rilascio dell\'autorizzazione può fissare, nei casi in cui risulti accertato che i valori limite definiti ai sensi dell\'articolo 101, commi 1 e 2, impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di tutela di cui all\'articolo 121, anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell\'articolo 101, commi 1 e 2”.) di imporre limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101.
E invero, a consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento dello sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere dall’esistenza o meno di un Piano di Tutela delle Acque.
Va da sé che il “limite più restrittivo” imposto è rimesso al prudente apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla situazione fattuale dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può essere contestato se non per macroscopica irragionevolezza, nella specie non sussistente.
3.5. - Sono invece fondate, e vanno conseguentemente accolte, le censure sub n. 4.
3.5.1. - L’art. 124 espressamente pone a carico del richiedente “le spese occorrenti per l\'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l\'istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore.
Infatti, l’art. 128 espressamente riserva all’ “autorità competente” l’effettuazione (e, quindi, anche i costi) del “controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli”. Attività, questa, il cui onere finanziario - stante la finalità pubblica che la contraddistingue - non può essere senz’altro e totalmente addossato all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla scorta di apposite convenzioni).
3.5.2. - Illegittima - per carenza di idonea motivazione - appare anche l’imposizione di eseguire ogni 15 giorni l’analisi di controllo delle acque reflue in uscita, poiché l’organo tecnicamente competente ad effettuare tale valutazione - e cioè l’ARPA - aveva ritenuto sufficiente l’effettuazione di un controllo mensile.
Se la Provincia riteneva tale periodicità non adeguata alla situazione di fatto, aveva l’onere di esternarlo con adeguata motivazione.
Va tuttavia notato che la stessa Provincia afferma che “è probabile che, col tempo, la prescrizione si ridimensionerà in conformità alla riduzione del grado di inquinamento” del corpo ricettore. Quindi la nuova prescrizione dovrà tener conto della situazione attuale delle acque.
3.5.3. - Il Collegio ritiene fondato anche l’ultimo punto del motivo sub 4 (obbligo di registrazione quotidiana della quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa).
E, invero, la pur giusta preoccupazione della Provincia di sapere con esattezza quanti fanghi produca il ricorrente Consorzio e se gli stessi vengano correttamente smaltiti a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente riferita al “rifiuto” vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione inutilizzabile e non più soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente essere eliminato.
Poiché è incontroverso che la nastropressa non esaurisce il ciclo di trattamento dei fanghi stessi, non pare ragionevole che essi vengano misurati in questa fase, bensì solo dopo il completamento del ciclo.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso va accolto in parte, ut supra precisato.
4. - In ragione della parziale soccombenza, spese e competenze di causa possono essere totalmente compensate, tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, e, per l’effetto, annulla l’autorizzazione impugnata, limitatamente al punto 8, lettere I, M ed R.
Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 16/04/2008 con l\'intervento dei Magistrati:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Vincenzo Farina, Consigliere
Rita De Piero, Consigliere, Estensore
L\'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO