Corte di Giustizia Sez. II sent. 6 novembre 2008
«Inquinamento dell’ambiente idrico – Direttiva 2006/11/CE – Art. 6 – Sostanze pericolose – Scarichi – Autorizzazione preventiva – Fissazione di norme di emissione – Regime dichiarativo – Piscicolture»
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
6 novembre 2008 (*)

«Inquinamento dell’ambiente idrico – Direttiva 2006/11/CE – Art. 6 – Sostanze pericolose – Scarichi – Autorizzazione preventiva – Fissazione di norme di emissione – Regime dichiarativo – Piscicolture»

Nel procedimento C‑381/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia), con decisione 4 giugno 2007, pervenuta in cancelleria l’8 agosto 2007, nella causa

Association nationale pour la protection des eaux et rivières – TOS
contro
Ministère de l’Écologie, du Développement et de l’Aménagement durables,
LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. J.‑C. Bonichot, J. Makarczyk, P. Kūris (relatore) e L. Bay Larsen, giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26 giugno 2008,
considerate le osservazioni presentate:

–        per l’Association nationale pour la protection des eaux e rivières – TOS, dal sig. P. Jeanson, vice-presidente di tale associazione;

–        per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A.‑L. During, in qualità di agenti;

–        per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;

–        per il governo olandese, dal sig. M. de Grave, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra S. Pardo Quintillán e dal sig. J.‑B. Laignelot, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 6 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 febbraio 2006, 2006/11/CE, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità (GU L 64, pag. 52).

2        Tale domanda è stata sollevata dal Conseil d’État nell’ambito di ricorsi per eccesso di potere proposti dall’Association nationale pour la protection des eaux et rivières – TOS diretti ad ottenere l’annullamento, in particolare, del decreto 17 luglio 2006, n. 2006-881, che modifica il decreto 29 marzo 1993, n. 93‑743, relativo alla nomenclatura delle operazioni soggette ad autorizzazione o a dichiarazione in applicazione dell’art. 10 della legge 3 gennaio 1992, n. 92‑3, sulle acque, e il decreto 29 aprile 1994, n. 94‑354, relativo alle aree di ripartizione delle acque (JORF del 18 luglio 2006, pag. 10786), nonché del decreto 27 luglio 2006, n. 2006‑942, che modifica la nomenclatura degli impianti classificati (JORF del 29 luglio 2006, pag. 11336).

 Contesto normativo
 La normativa comunitaria

3        La direttiva 2006/11 che, conformemente all’art. 1, lett. a), si applica in particolare alle acque interne superficiali, ossia, ai sensi dell’art. 2, lett. a), a «tutte le acque dolci superficiali correnti o stagnanti situate sul territorio di uno o più Stati membri», ai suoi sesto, settimo e ottavo ‘considerando’ enuncia quanto segue:

«(6)      Per garantire una protezione efficace dell’ambiente idrico della Comunità, è necessario stabilire un primo elenco, detto elenco I, contenente un certo numero di sostanze singole, scelte soprattutto in base alla loro tossicità, alla loro persistenza e alla loro capacità di bioaccumulo, escluse le sostanze che sono biologicamente innocue o che si trasformano rapidamente in sostanze biologicamente innocue, nonché un secondo elenco, detto elenco II, contenente sostanze che hanno sull’ambiente idrico un effetto nocivo che può essere tuttavia limitato ad una determinata zona e che dipende dalle caratteristiche delle acque di ricevimento e dalla loro localizzazione. Qualsiasi scarico di tali sostanze dovrebbe essere soggetto ad un’autorizzazione preliminare che ne fissi le norme di emissione.

(7)      Occorre eliminare l’inquinamento causato dallo scarico delle varie sostanze pericolose dell’elenco I (…).

(8)      È necessario ridurre l’inquinamento delle acque provocato dalle sostanze dell’elenco II. A tale scopo, gli Stati membri dovrebbero adottare programmi comprendenti standard di qualità ambientale per le acque, stabiliti nel rispetto delle direttive del Consiglio quando esse esistono. Le norme di emissione applicabili a dette sostanze dovrebbero essere calcolate in funzione di tali standard di qualità ambientale».

4        L’art. 3 della direttiva 2006/11 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri prendono i provvedimenti atti a eliminare l’inquinamento delle acque di cui all’articolo 1 provocato dalle sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze contenuti nell’elenco I dell’allegato I (di seguito: “sostanze dell’elenco I”), nonché a ridurre l’inquinamento di tali acque provocato dalle sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze contenuti nell’elenco II dell’allegato I (di seguito: “sostanze dell’elenco II”), a norma della presente direttiva».

5        Ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2006/11, il cui tenore letterale è identico a quello dell’art. 7 della direttiva del Consiglio 4 maggio 1976, 76/464/CEE, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità (GU L 129, pag. 23), che è stata abrogata dalla direttiva 2006/11:

«1.      Per ridurre l’inquinamento delle acque di cui all’articolo 1 provocato dalle sostanze dell’elenco II, gli Stati membri stabiliscono programmi per la cui attuazione ricorrono in particolare ai mezzi previsti dai paragrafi 2 e 3.

2.      Qualsiasi scarico nelle acque di cui all’articolo 1 che potrebbe contenere una delle sostanze dell’elenco II è soggetto ad autorizzazione preventiva, rilasciata dall’autorità competente dello Stato membro interessato, che ne fissi le norme di emissione. Tali norme vanno fissate in funzione degli standard di qualità ambientale stabiliti a norma del paragrafo 3.

3.      I programmi di cui al paragrafo 1 contengono standard di qualità ambientale per le acque, stabiliti nel rispetto delle direttive del Consiglio quando esse esistono.

(…)».

6        L’elenco II delle famiglie e dei gruppi di sostanze di cui all’allegato I della direttiva 2006/11, previsto dagli artt. 3 e 6 di quest’ultima, menziona al n. 8 le sostanze che esercitano un’influenza sfavorevole sul bilancio di ossigeno, in particolare l’ammoniaca e i nitriti.

7        La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU L 327, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva quadro sulle acque»), precedente alla direttiva 2006/11, ma le cui disposizioni si sostituiranno a quelle di quest’ultima a decorrere dal 22 dicembre 2013, conformemente all’art. 22, n. 2, della direttiva quadro sulle acque, all’art. 11 enuncia quanto segue:

«1.      Per ciascun distretto idrografico o parte di distretto idrografico internazionale compreso nel suo territorio, ciascuno Stato membro prepara un programma di misure, che tiene conto dei risultati delle analisi prescritte dall’articolo 5, allo scopo di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 4 (…).

2.      Ciascun programma annovera le “misure di base” indicate al paragrafo 3 e, ove necessario, “misure supplementari”.
3.      Con l’espressione “misure di base” si intendono i requisiti minimi del programma, in particolare:
(…)

g)      per gli scarichi da origini puntuali che possono provocare inquinamento, l’obbligo di una disciplina preventiva, come il divieto di introdurre inquinanti nell’acqua, o un obbligo di autorizzazione preventiva o di registrazione in base a norme generali e vincolanti, che stabiliscono controlli delle emissioni per gli inquinanti in questione, compresi i controlli a norma dell’articolo 10 e dell’articolo 16 (…).

(…)».
8        L’art. 22, n. 3, lett. b), della direttiva quadro sulle acque contiene la seguente disposizione transitoria:

«ai fini dell’articolo 7 della direttiva 76/464/CEE, gli Stati membri possono applicare i principi previsti nella presente direttiva per individuare i problemi relativi all’inquinamento e le sostanze che li provocano, istituire standard di qualità e adottare misure».

 La normativa nazionale

9        Al titolo «Acqua e ambienti idrici», le disposizioni del codice dell’ambiente, relative alle procedure di autorizzazione o dichiarazione di impianti, opere, lavori ed attività, sono intese, in base all’art. L. 211-1 di tale codice, a consentire una gestione equilibrata e durevole delle risorse idriche volta a garantire, tra l’altro, la tutela delle acque e la lotta contro ogni tipo di inquinamento. L’art. L. 211-2 del codice dell’ambiente prevede in particolare che le regole generali di preservazione della qualità e di ripartizione delle acque superficiali siano stabilite con decreto emanato secondo la procedura del Conseil d’État. Conformemente a tale articolo, queste regole generali fissano in particolare le norme di qualità e le misure necessarie al ripristino e alla preservazione di tale qualità, le condizioni in cui possono essere vietati o disciplinati gli scarichi, gli scoli, i rigetti, i depositi diretti o indiretti di materiali e, più in generale, qualunque fatto idoneo ad alterare la qualità delle acque e dell’ambiente idrico, così come le condizioni in cui possono essere prescritte le misure necessarie per preservare tale qualità. A completamento di queste regole generali, disposizioni nazionali o disposizioni che riguardano specificamente talune parti del territorio sono altresì stabilite con decreto emanato secondo la procedura del Conseil d’État, ai sensi dell’art. L. 211‑3 dello stesso codice.

10      L’art. L. 214-1 del codice dell’ambiente dispone quanto segue:

«Sono soggetti alle disposizioni degli artt. da L. 214‑2 a L. 214‑6 gli impianti non menzionati nella nomenclatura degli impianti classificati, le opere, i lavori e le attività realizzati a scopi non domestici da qualsiasi persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che comportano (…) scarichi, scoli, rigetti o depositi diretti o indiretti, cronici o episodici, anche non inquinanti».

11      Ai sensi dell’art. L. 214‑2, primo comma, del codice dell’ambiente:

«Gli impianti, le opere, i lavori e le attività di cui all’art. L. 214-1 sono definiti in una nomenclatura, stabilita con decreto emanato secondo la procedura del Conseil d’État su parere del Comité national de l’eau (comitato nazionale francese per l’acqua), e sottoposti ad autorizzazione o dichiarazione a seconda dei pericoli che essi presentano e della gravità dei loro effetti sulle risorse idriche e gli ecosistemi acquatici, tenuto conto in particolare dell’esistenza di zone e delimitazioni perimetrali istituite per la tutela dell’acqua e degli ambienti idrici».

12      L’art. L. 214‑3 del codice dell’ambiente prevede:

«I.      Sono soggetti ad autorizzazione dell’autorità amministrativa gli impianti, le opere, i lavori e le attività tali da presentare pericoli per la salute e la sicurezza pubblica, nuocere al libero scorrimento delle acque, ridurre le risorse idriche, accrescere significativamente il rischio di inondazioni, arrecare grave danno alla qualità o alla diversità dell’ambiente idrico, segnatamente al popolamento ittico.

(…)

II.      Sono soggetti a dichiarazione gli impianti, le opere, i lavori e le attività che, non essendo tali da presentare detti pericoli, devono tuttavia rispettare le misure adottate in applicazione degli artt. L. 211-2 e L. 211-3.

Entro un termine stabilito con decreto emanato secondo la procedura del Conseil d’État, l’autorità amministrativa può opporsi all’operazione progettata se risulta che essa è incompatibile con le disposizioni dello schema generale di regolazione e di gestione delle acque o dello schema di regolazione e di gestione delle acque, o reca agli interessi di cui all’art. L. 211‑1 un pregiudizio di gravità tale che nessuna misura permetterebbe di rimediarvi. I lavori non possono cominciare prima della scadenza di tale termine.

Anche se il rispetto degli interessi menzionati all’art. L. 211-1 non è garantito dall’attuazione delle misure adottate in applicazione degli artt. L. 211‑2 e L. 211‑3, l’autorità amministrativa può, in qualunque momento, imporre con decreto tutte le misure particolari necessarie.

(…)».

13      Gli artt. da R. 214‑32 a R. 214‑40 del codice dell’ambiente contengono le disposizioni applicabili alle operazioni soggette a dichiarazione. La dichiarazione deve essere indirizzata, in base al primo di questi articoli, al prefetto del dipartimento o dei dipartimenti interessati, il quale, entro quindici giorni successivi al ricevimento della dichiarazione, invia al dichiarante, in applicazione dell’art. R. 214‑33 dello stesso codice, quando la dichiarazione è incompleta, un avviso di ricezione che indica i documenti o le informazioni mancanti o, quando la dichiarazione è completa, una ricevuta di dichiarazione che indica sia la data in cui l’operazione progettata, in mancanza di opposizione, potrà essere effettuata, sia la mancanza di opposizione che consente di compiere subito tale operazione. La stessa disposizione prevede che tale ricevuta sia accompagnata, ove necessario, da una copia delle prescrizioni generali applicabili. Il termine concesso al prefetto per consentirgli di opporsi ad un’operazione soggetta a dichiarazione è di due mesi, in base all’art. R. 214‑35 del detto codice, a decorrere dal ricevimento di una dichiarazione completa.

14      Secondo l’art. R. 214-38 del codice dell’ambiente, gli impianti, le opere, i lavori o le attività interessati devono essere installati, realizzati e gestiti conformemente al fascicolo di dichiarazione e, se del caso, alle prescrizioni specifiche menzionate agli artt. R. 214‑35 e R. 214‑39 di tale codice. Quest’ultimo articolo prevede che la modifica delle prescrizioni applicabili ad un impianto possa essere domandata dal dichiarante al prefetto, il quale statuisce con decreto, e che essa possa anche essere imposta dal prefetto sulla base dell’art. L. 214‑33, II, terzo comma, del detto codice. Inoltre, l’art. R. 214‑40 dello stesso codice dispone che qualunque modifica apportata dal dichiarante al progetto dichiarato e tale da comportare un notevole cambiamento degli elementi del fascicolo di dichiarazione iniziale prima della sua attuazione deve essere portata a conoscenza del prefetto, il quale può richiedere una nuova dichiarazione, soggetta alle stesse formalità della dichiarazione iniziale.

15      Il decreto n. 2006-881, di cui è chiesto l’annullamento nella causa principale, ha realizzato una rifusione della nomenclatura prevista dall’art. L. 214‑2, n. 1, del codice dell’ambiente, che compare nell’allegato dell’art. R. 214‑1 di tale codice sotto il titolo «Nomenclatura delle operazioni soggette ad autorizzazione o a dichiarazione in applicazione degli artt. da L. 214‑1 a L. 214‑3 del codice dell’ambiente». Secondo la rubrica 3.2.7.0 di detta nomenclatura, come modificata, gli allevamenti ittici di acqua dolce (in prosieguo: gli «allevamenti ittici») rientrano ormai, a titolo di polizia delle acque, nella procedura di dichiarazione, mentre prima erano soggetti ad autorizzazione o a dichiarazione a seconda che dessero luogo a uno studio o ad una nota d’impatto.

16      Peraltro, in applicazione dell’art. L. 511‑1 del codice dell’ambiente, sono soggetti alle disposizioni di tale codice, relative agli impianti classificati per la tutela dell’ambiente, gli impianti che possono presentare pericoli o inconvenienti, vuoi in particolare per la salute, la sicurezza e la salubrità pubbliche, vuoi per l’agricoltura, vuoi per la tutela della natura e dell’ambiente. Conformemente all’art. L. 511-2 di questo stesso codice, tali impianti sono definiti nella nomenclatura degli impianti classificati che li sottopone ad autorizzazione del prefetto o a dichiarazione a seconda della gravità dei pericoli o degli inconvenienti che può comportare la loro gestione.

17      Il decreto n. 2006-942, di cui, parimenti, è chiesto l’annullamento nella causa principale, ha modificato tale nomenclatura. Ne risulta che gli allevamenti ittici sono ormai soggetti ad autorizzazione, a titolo della polizia degli impianti classificati per la tutela dell’ambiente, solo qualora la loro capacità di produzione annua sia superiore a 20 tonnellate.

 Causa principale e questione pregiudiziale

18      L’Association nationale pour la protection des eaux et rivières – TOS afferma, a sostegno dei ricorsi di annullamento dei decreti nn. 2006‑881 e 2006‑942 dinanzi al Conseil d’État, che questi ultimi violano le disposizioni dell’art. 6 della direttiva 2006/11.

19      Dopo aver rilevato che gli scarichi degli allevamenti ittici contengono ammoniaca e nitriti, sostanze rientranti nell’elenco II, e che l’art. 6 della direttiva 2006/11 assoggetta gli scarichi che potrebbero contenere tali sostanze ad autorizzazione preventiva che ne fissa le norme di emissione, il giudice del rinvio constata nella sua decisione che, ad eccezione di quelli la cui capacità di produzione annua è superiore a 20 tonnellate, soggetti ad autorizzazione in base alla legislazione relativa agli impianti classificati per la tutela dell’ambiente, gli allevamenti ittici in quanto tali sono soggetti soltanto ad un regime dichiarativo.

20      Tuttavia il giudice del rinvio afferma che tale regime, tenuto conto del carattere ritenuto scarsamente inquinante degli impianti di piscicoltura, si basa su un obiettivo di semplificazione delle procedure amministrative e di migliore assegnazione dei mezzi di controllo. Egli rileva che il prefetto, nell’ambito di tale regime, dispone di un diritto di opposizione ai lavori, i quali possono avere inizio solo dopo che sia trascorso un termine di due mesi, e ove non si opponga può fissare prescrizioni tecniche per proteggere gli interessi di cui all’art. L. 211‑1 del codice dell’ambiente, in particolare fissando i valori limite di emissione di sostanze inquinanti. Egli considera che, in tale contesto, presenta serie difficoltà la questione se l’art. 6 della direttiva 2006/11 possa essere interpretato nel senso che esso consente agli Stati membri di istituire tale regime.

21      Da ciò consegue che il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento riguardo alle conclusioni del ricorso di annullamento presentato contro il decreto n. 2006‑881, nella parte in cui esso assoggetta gli allevamenti ittici ad un regime dichiarativo a titolo della polizia delle acque, nonché riguardo al ricorso di annullamento del decreto n. 2006/942, e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 6 della direttiva 2006/11 (…) possa essere interpretato nel senso che esso consente agli Stati membri, una volta che siano stati adottati, in applicazione di detto articolo, programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque comprendenti standard di qualità ambientale, di istituire, per impianti ritenuti scarsamente inquinanti, un regime dichiarativo cui si accompagni un richiamo di tali prescrizioni e un diritto, a favore dell’autorità amministrativa, di opporsi all’apertura di un’azienda o d’imporre valori limite per lo scarico specifici per l’impianto interessato».

 Sulla questione pregiudiziale

22      Per risolvere la questione sottoposta occorre rilevare, in primo luogo, che la direttiva 2006/11 non è diretta a subordinare l’apertura di aziende che potrebbero scaricare sostanze pericolose nell’ambiente idrico ad un regime particolare, di autorizzazione o di dichiarazione in funzione delle caratteristiche delle dette aziende. Essa è volta invece, come risulta in particolare dai suoi ‘considerando’, dal sesto all’ottavo, nonché dall’art. 3, ad eliminare l’inquinamento delle acque che rientrano nel suo ambito di applicazione provocato dalle sostanze contenute nell’elenco I, e a ridurre l’inquinamento delle stesse acque provocato dalle sostanze dell’elenco II, come l’ammoniaca e i nitriti. La direttiva 2006/11 non intende, quindi, obbligare gli Stati membri ad adottare misure applicabili specificamente a determinate aziende o impianti in quanto tali, ma impone loro di adottare le misure idonee ad eliminare o a ridurre l’inquinamento delle acque provocato dagli scarichi che potrebbero contenere sostanze pericolose a seconda della natura di queste ultime.

23      Pertanto, al fine di ridurre l’inquinamento delle acque provocato dalle sostanze dell’elenco II, l’art. 6 della direttiva 2006/11 dispone in particolare che gli Stati membri stabiliscono programmi che prevedono standard di qualità ambientale per le acque, stabiliti nel rispetto delle direttive del Consiglio quando esse esistono. Per l’attuazione di tali programmi il detto art. 6 prevede, al n. 2, che qualsiasi scarico nelle acque di cui all’art. 1 della stessa direttiva, che potrebbe contenere una di queste sostanze, sia soggetto ad autorizzazione preventiva rilasciata dall’autorità competente dello Stato membro interessato, che ne fissa le norme di emissione da stabilirsi in funzione degli standard di qualità ambientale.

24      In secondo luogo occorre sottolineare che la direttiva 2006/11 non prevede alcuna eccezione alla norma contenuta nell’art. 6, n. 2. Pertanto, per i motivi esposti al punto 22 della presente sentenza, tale disposizione non pone distinzioni a seconda delle caratteristiche degli impianti da cui provengono gli scarichi e, in particolare, a seconda che tali impianti siano ritenuti molto inquinanti o scarsamente inquinanti. Essa non pone nemmeno distinzioni a seconda dell’entità degli scarichi. Pertanto un regime dichiarativo come quello descritto nella questione sottoposta dal giudice del rinvio potrebbe essere considerato consentito dall’art. 6 della direttiva 2006/11 solo nel caso in cui imponga all’autorità amministrativa competente di adottare per tutti gli scarichi una decisione che può essere considerata valere come autorizzazione preventiva ai sensi di tale articolo.

25      Orbene, oltre al fatto che l’autorizzazione prevista dall’art. 6, n. 2, della direttiva 2006/11 deve essere preventiva a qualunque scarico che può contenere una delle sostanze comprese nell’elenco II, deve fissare le norme di emissione che sono calcolate in funzione degli standard di qualità ambientale definiti in un programma stabilito dallo Stato membro conformemente ai nn. 1 e 3 dello stesso articolo. D’altronde la Corte ha avuto più volte modo di affermare che dall’art. 7, n. 2, della direttiva 76/464, il cui tenore letterale era identico a quello dell’art. 6, n. 2, della direttiva 2006/11, risultava che le autorizzazioni dovevano contenere norme di emissione applicabili agli scarichi individuali autorizzati e calcolate in funzione degli obiettivi di qualità previamente stabiliti in un programma, ai sensi del n. 1 del detto art. 7, diretto a proteggere le acque degli specchi e dei corsi d’acqua in questione (v., in particolare, sentenza 2 giugno 2005, causa C‑282/02, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑4653, punto 68, e la giurisprudenza ivi citata). La Corte ha anche precisato, riguardo allo stesso art. 7, n. 2, che le norme di emissione fissate nelle autorizzazioni preventive devono essere calcolate in funzione degli obiettivi di qualità stabiliti in tale programma in base all’esame delle acque di ricevimento (v. sentenza 25 maggio 2000, causa C‑384/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑3823, punto 41).

26      Ne consegue che un’autorizzazione preventiva ai sensi dell’art. 6, n. 2, della direttiva 2006/11 implica un esame caso per caso di tutte le domande presentate a tale scopo e non può essere tacita (v., per quanto riguarda in particolare l’art. 7 della direttiva 76/464, sentenza 14 giugno 2001, causa C‑230/00, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑4591, punto 16).

27      Infatti, da un lato, un esame preventivo e specifico di qualunque scarico programmato che potrebbe contenere sostanze dell’elenco II è necessario ai fini dell’attuazione dei programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque stabiliti dagli Stati membri conformemente all’art. 6, n. 1, della direttiva 2006/11, in base al quale l’assoggettamento di qualsiasi scarico di questo tipo ad un’autorizzazione preventiva costituisce uno dei modi di attuazione di tali programmi. Un esame siffatto è necessario anche per fissare in qualunque caso di scarico autorizzato le norme di emissione determinate in funzione degli standard di qualità ambientale previsti in tali programmi e diretti a ridurre gli scarichi contenenti una o più sostanze dell’elenco II. Tale esame richiede inoltre una valutazione dello stato concreto delle acque di ricevimento che deve essere preso in considerazione per determinare le norme di emissione. Dall’altro lato, un’autorizzazione tacita non può essere compatibile con l’esigenza di fissare nell’autorizzazione preventiva norme di emissione stabilite in base alle modalità summenzionate.

28      Alla luce delle suesposte considerazioni, un regime dichiarativo come quello nella causa principale, cui si accompagni un richiamo degli standard di qualità ambientale previsti nei programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque e un diritto, a favore dell’autorità amministrativa, di opporsi all’apertura di un’azienda o d’imporre valori limite per lo scarico specifici per l’impianto interessato, non può soddisfare i requisiti summenzionati dell’art. 6 della direttiva 2006/11, poiché esso non garantisce che tutti gli scarichi che possono contenere una sostanza dell’elenco II diano preventivamente luogo ad un esame specifico che conduce alla fissazione delle rispettive norme di emissione determinate in funzione degli standard di qualità ambientale applicabili e dello stato concreto delle acque di ricevimento. Un regime siffatto non impone, quindi, all’autorità amministrativa competente di adottare una decisione che può essere qualificata come autorizzazione preventiva ai sensi dell’art. 6, n. 2, della direttiva 2006/11.

29      Inoltre, né l’esistenza di regole generali di preservazione della qualità delle acque superficiali o di disposizioni nazionali o speciali di talune parti del territorio, come quelle previste dagli artt. L. 211‑2 e L. 211‑3 del codice dell’ambiente e al pari delle disposizioni applicabili agli allevamenti ittici stabilite con decreto adottato il 1° aprile 2008, secondo le indicazioni fornite in udienza, anche corredate di sanzioni, né la comunicazione al dichiarante di una copia delle prescrizioni generali applicabili come quella imposta dall’art. R. 214-33 dello stesso codice, possono supplire alla mancata fissazione di norme di emissione applicabili agli scarichi individuali determinate in funzione degli standard di qualità ambientale stabiliti e dello stato concreto delle acque di ricevimento.

30      Di conseguenza, contrariamente a quanto affermato dal governo francese, un regime dichiarativo come quello in questione nella causa principale non è corredato di disposizioni che possono assimilarlo in pratica ad un regime di autorizzazione semplificato che soddisfa i requisiti stabiliti nell’art. 6 della direttiva 2006/11.

31      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dai governi francese, italiano e dei Paesi Bassi nelle loro osservazioni scritte e orali, un regime dichiarativo come quello in questione nella causa principale, cui si accompagni un diritto di opposizione, anche se si basa su un obiettivo di semplificazione delle procedure amministrative e di migliore assegnazione dei mezzi di controllo, non può essere considerato equivalente al regime di autorizzazione preventiva di cui all’art. 6 della direttiva 2006/11.

32      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento avanzato dal governo dei Paesi Bassi in udienza e sostenuto anche dal governo francese, relativo alla direttiva quadro sulle acque.

33      E’ vero che gli Stati membri d’ora in poi possono applicare, in base alla disposizione transitoria di cui all’art. 22, n. 3, lett. b), della direttiva quadro sulle acque, ai fini dell’art. 6 della direttiva 2006/11, «i principi previsti nella [direttiva quadro sulle acque] per individuare i problemi relativi all’inquinamento e le sostanze che li provocano, istituire standard di qualità e adottare misure». In particolare, come ricordato dalla Commissione delle Comunità europee in udienza, l’art. 11, n. 3, lett. g), della direttiva quadro sulle acque, consente, per gli scarichi da origini puntuali che possono provocare inquinamento, l’adozione in particolare di un regime di registrazione e non impone quindi necessariamente un regime di autorizzazione preventiva.

34      Tuttavia, tale regime di registrazione è concepibile, anche a titolo transitorio, solo nell’ambito dell’attuazione della direttiva quadro sulle acque. Orbene, il detto regime di registrazione non può essere applicato indipendentemente da altre misure previste da tale direttiva – la cui esistenza nel contesto della causa principale non risulta né dalla decisione di rinvio né dalle osservazioni presentate dal governo francese – e presuppone in particolare, come risulta dall’art. 11 di questa stessa direttiva, la previa identificazione di distretti idrografici, la realizzazione di analisi per ciascuno di essi, nonché l’elaborazione di un programma di misure, tenuto conto dei risultati di tali analisi, come anche la definizione dei controlli delle emissioni per gli inquinanti in questione.

35       Da quanto sopra discende che occorre risolvere la questione sottoposta dichiarando che l’art. 6 della direttiva 2006/11 non può essere interpretato nel senso che esso consente agli Stati membri, una volta che siano stati adottati, in applicazione di tale articolo, programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque comprendenti standard di qualità ambientale, di istituire, per taluni impianti ritenuti scarsamente inquinanti, un regime dichiarativo cui si accompagni un richiamo di tali prescrizioni e un diritto, a favore dell’autorità amministrativa, di opporsi all’apertura di un’azienda o d’imporre valori limite per lo scarico specifici per l’impianto interessato.

 Sulle spese

36      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’art. 6 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 febbraio 2006, 2006/11/CE, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità, non può essere interpretato nel senso che esso consente agli Stati membri, una volta che siano stati adottati, in applicazione di tale articolo, programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque comprendenti standard di qualità ambientale, di istituire, per taluni impianti ritenuti scarsamente inquinanti, un regime dichiarativo cui si accompagni un richiamo di tali prescrizioni e un diritto, a favore dell’autorità amministrativa, di opporsi all’apertura di un’azienda o d’imporre valori limite per lo scarico specifici per l’impianto interessato.

Firme