Cass. Sez. III n. 25984 del 15 settembre 2020 (UP 2 lug 2020)
Pres. Rosi Est. Gai Ric. Muscarà
Ambiente in genere.Occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo
La fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 54-1161 cod. nav. sanziona la condotta consistente nell'occupare senza titolo, cioè nel limitare o impedire la fruibilità di un'area demaniale, senza che ai fini dell'attualità della violazione abbia rilievo quale soggetto abbia dato avvio alla violazione stessa e in quale momento. L'occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo consiste nell'acquisire e mantenere il possesso o, comunque, una situazione fattuale di detenzione con il bene in modo corrispondente all'esercizio di un diritto di proprietà o di godimento sia esso reale o personale, contraddistinto dalla continuità o dalla stagionalità cioè senza un carattere transeunte, dall'esclusione del diritto collettivo di uso per uno spazio non limitato ed un tempo apprezzabile in modo da impedire la fruibilità da parte di potenziali utenti o da comprimerne in maniera significativa l'uso, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall'interesse della collettività di usare in maniera completa ed in tutte le sue implicazioni il bene demaniale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 settembre 2019, la Corte d’appello di Messina, per quanto qui di interesse, ha confermato la sentenza del locale Tribunale con la quale Muscarà Giuseppe era stato condannato, alla pena di mesi uno di arresto, perché ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 54-1161 cod. nav. per avere occupato un’area demaniale marittima nel Comune di Galati Marina, per superficie pari a mq. 556,00, mantenendo una tettoia aperta di mq. 10, una battuta di cemento di mq. 65 e una recinzione metallica di m. 481. Accertato il 30/05/2014 e fino al 17/18 febbraio 2015.
Con la medesima sentenza gli altri imputati Muscarà Alessandro e Pesco Antonio erano assolti per non avere commesso il fatto.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di cui all'art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 54-1161 cod. nav. e art. 125 comma 3 cod.proc.pen.
Secondo il ricorrente la Corte d’appello avrebbe affermato la responsabilità penale del ricorrente senza verificare gli elementi costitutivi del reato, senza dimostrare che l’imputato fosse l’autore dello stesso, essendo stato dimostrato che i tre profili di occupazione abusiva (realizzazione di una tettoia, una battura di cemento e una recinzione) erano conseguenti alla realizzazione delle opere da parte del defunto padre e sul mero rilievo del mantenimento delle opere e, dunque, dell’occupazione dell’area demaniale. Sarebbe stata altresì travisata la prova con riguardo alla delimitazione dell’area demaniale, neppure sarebbe stata verificata la proprietà delle auto parcheggiate sull’area asseritamente demaniale, allo stesso modo non c’erano elementi per ricondurre la recinzione all’imputato.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di cui all'art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla prova dell’elemento soggettivo del reato trattandosi di beni ricevuti in eredità del padre.
2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di cui all'art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 e 125 cod.proc.pen. Erronea valutazione della prova laddove i giudici del merito avrebbero attribuito rilievo confessorio alla circostanza che l’imputato aveva bonificato dall’eternit dalla tettoria, trattandosi di intervento imposto da ordine dell’autorità.
2.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di cui all'art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62 bis cod.pen. 133 cod.pen., diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche e criteri di commisurazione della pena.
2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di cui all'art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’erronea applicazione dell’art. 131 bis cod.pen. e al diniego di applicazione della causa di non punibilità.
3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, al netto della richiesta diretta a sollecitare una rivalutazione del merito in punto accertamento dei fatti e della natura demaniale dell’area su cui insistono i manufatti di cui si discute, appaiono manifestamente infondati alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Deve, anzitutto, rilevarsi che all’imputato era contestata la violazione di cui agli artt. 54-1161 cod. nav., per l’occupazione del demanio marittimo tramite il mantenimento di una tettoria, di un battuto di cemento di mq. 65 e di una recinzione metallica. Parimenti non è in contestazione la circostanza che le innovazioni sono state realizzate da altri.
Dunque, la questione di diritto sottesa è quella se la fattispecie incriminatrice sanzioni o meno il "mantenimento", la prosecuzione dell'occupazione abusiva di suolo demaniale che è stata inizialmente posta in essere da altri.
La risposta non può che essere positiva.
Come osservato dalla giurisprudenza consolidata di Questa Corte, la fattispecie incriminatrice, infatti, sanziona la condotta consistente nell'occupare senza titolo, cioè nel limitare o impedire la fruibilità di un'area demaniale, senza che ai fini dell'attualità della violazione abbia rilievo quale soggetto abbia dato avvio alla violazione stessa e in quale momento. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha da tempo, con orientamento mai messo in discussione (Sez.3, n. 42404 del 29/9/2011, Farci, Rv. 251400 - 01; Sez. 3, n. 34622 del 22/6/2011, P.M. in proc. Barbieri, Rv. 250976 – 01; Sez. 3, n. 16495 del 25/3/2010, Massacesi, 246773 – 01; Sez. 3, n. 34601 del 03/05/2011, Ottocalli, non mass.) affermato che l'occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo consiste nell'acquisire e mantenere il possesso o, comunque, una situazione fattuale di detenzione con il bene in modo corrispondente all'esercizio di un diritto di proprietà o di godimento sia esso reale o personale, contraddistinto dalla continuità o dalla stagionalità cioè senza un carattere transeunte, dall'esclusione del diritto collettivo di uso per uno spazio non limitato ed un tempo apprezzabile in modo da impedire la fruibilità da parte di potenziali utenti o da comprimerne in maniera significativa l'uso, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall'interesse della collettività di usare in maniera completa ed in tutte le sue implicazioni il bene demaniale.
Si è chiarito che in riferimento al reato di occupazione abusiva del demanio marittimo, il protrarsi dell'uso esclusivo e del godimento del demanio continua in ogni caso a sottrarre alla fruibilità collettiva il bene demaniale stesso, (cfr. Sez. 3, n. 6540 dell'1/2/2006, Falcione, Rv. 233314 e Sez. 3, n. 6915 del 12/12/2003, P.m. in proc. Duro e altri, Rv. 227562), tanto che anche un'eventuale accessione dei manufatti al patrimonio dello Stato non incide sulla permanenza del reato (così Sez. 3, n. 9644 del 18/1/2006, Carrea, Rv. 233557) e che del pari nessun rilievo può assumere neppure un'eventuale acquiescenza degli organi preposti al controllo (cfr. Sez. 3, n. 3672 del 30/11/2005, Malatesta, Rv. 233288), che nel caso di specie il reato permanente è caratterizzato da una condotta attiva (occupare senza titolo il demanio marittimo), che era in essere prima dell'accertamento, ed ha continuato ad essere posta in essere, e che la stessa potrà dirsi esaurita solo quando l'occupazione cessi ovvero venga rilasciato un titolo legittimo a giustificare l'occupazione.
La fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., che sanziona la condotta consistente nell'occupare senza titolo un'area demaniale marittima, impedendone o limitandone la fruibilità, si applica anche a chi abbia protratto l'abusiva occupazione da altri precedentemente iniziata (Sez. 3, n. 2879 del 14/11/2013, Anfuso, Rv. 258379 – 01; Sez. 3, n. 34601 del 03/05/2011, Ottocalli, non mass.).
A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata che, sulla scorta dell’accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha ritenuto sussistente l’abusiva occupazione dell’area demaniale (come accertato con misurazione ad opere dell’architetto del Comune), per avere mantenuto le opere che impedivano la fruizione da parte di altri dell’area, a nulla rilevando la circostanza che il ricorrente aveva ricevuto l’immobile comprensivo delle opere tramite le quali è stata mantenuta l’occupazione abusiva, in eredità dal padre e non rilevando la circostanza che egli avesse provveduto a bonificare la tettoia dalla presenza di amianto.
5. Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Quanto al diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod.pen., rileva il Collegio che il ricorrente aveva genericamente invocato il riconoscimento delle memzionate attenuanti nell’atto di appello.
È ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, come non possa formare oggetto di ricorso per Cassazione il ricorso con cui si deduca il vizio di motivazione a fronte di un motivo generico nell’atto di appello, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Botta, Rv. 262700).
6. Anche il quinto motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha escluso la particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis cod.pen. in ragione della durata dell’occupazione ed estensione del suolo demaniale occupato, a nulla rilevando che il ricorrente avesse ricevuto in eredità l’immobile con le opere attraverso le quali si è protratto ininterrottamente l’occupazione del demanio e a nulla rilevando che il ricorrente non sia stato l’autore delle stesse. Motivazione che non appare né illogica né contraria a diritto.
7. L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità al 16/06/2020 come richiesto nei motivi aggiunti (Sez. 2, n. 28848 dell’08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 02/07/2020