Cass. Sez. III n. 29353 del 19 luglio 2024 (UP 5 apr 2024)
Pres. Aceto Rel. Galanti Ric. Mulazzani
Ambiente in genere.Procedura estintiva di cui agli artt. 318-bis e ss. dlv 152\06 non attivabile dopo l'esercizio dell'azione penale
Dal tenore inequivoco degli articoli 318-sexies (la cui norma parla del solo «procedimento»; incardina la verifica solo sul pubblico ministero; non preclude l’archiviazione ovvero l’assunzione di prove non rinviabili) e 318-septies, comma 2, d. lgs 152/2006 (il quale prevede che, in caso di ottemperanza alle prescrizioni e pagamento della somma prevista, «il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta»), appare evidente che il meccanismo estintivo previsto dagli articoli 318-bis ss. d. lgs 152/2006 può essere attivato solo finchè è possibile attivare la procedura di archiviazione. In altre parole, esso trova una «preclusione di fase», in cui il limite è costituito dall’avvenuto esercizio dell’azione penale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/03/2023, il Tribunale di Rimini condannava Sauro Mulazzani alla pena di mesi 2 di arresto, pena sostituita con la corrispondente pena pecuniaria (€ 9.000,00 di ammenda), per il reato di cui all’articolo 255, comma 3, d. lgs. 152/2006.
2. Avverso la sentenza l’imputato propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge in riferimento agli articoli 192, comma 3, e 255, comma 3, d. lgs. 152/2006, ritenendo che, conformemente alle pronunce del Consiglio di Stato, il terzo proprietario non può essere chiamato a rispondere degli abbandoni di rifiuti effettuati da terzi sul proprio immobile, a meno che il Comune non dimostri che tale abbandono possa essere allo stesso addebitato a titolo di colpa, dimostrazione assente nel caso di specie.
Il provvedimento asseritamente inottemperato andava pertanto disapplicato in quanto illegittimo.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione e travisamento delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’esame dibattimentale in data 15/12/2021, laddove ha riferito allo stesso la dichiarazione di avere dirottato sul terreno parte dei rifiuti provenienti dai suoi cantieri edili, mentre, in realtà, parti di esso erano solo adibite a deposito di materiali edili.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Il motivo si articola a sua volta in tre sotto-motivi:
2.3.1. Mancata applicazione dell’articolo 318-bis d. lgs. 152/2006, come formalmente richiesto nella memoria difensiva depositata in data 09/01/2022, avendo l’imputato provveduto a rimuovere i rifiuti prima che il pubblico ministero esercitasse l’azione penale.
2.3.2. Mancata applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen., come formalmente richiesto nella memoria difensiva depositata in data 09/01/2022, in ragione della estemporaneità della condotta.
2.3.3. Errore nella subordinazione della sospensione condizionale della pena alla integrale ottemperanza a quanto disposto con l’ordinanza sindacale ex art. 192 d. lgs. 152/2006, avendo il ricorrente dimostrato di avere pienamente ottemperato prima dell’azione penale. Il ricorrente chiede alla Corte di annullare con rinvio o in alternativa senza rinvio, disponendo direttamente la concessione del beneficio “secco”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato.
2.1. Quanto al reato di cui all'art. 255, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il Collegio evidenzia come gli elementi costitutivi del reato sono l'adozione di un'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, di smaltimento degli stessi e di ripristino dello stato dei luoghi, emessa ai sensi dell'art. 192, comma 3, del d.lgs. citato, e la condotta di inottemperanza da parte dei suoi destinatari (Sez. 3, n. 31310 del 04/06/2019, Gerli, Rv. 276302 - 01), senza che possa avere rilevanza il fatto che l'accumulo dei rifiuti non sia ascrivibile al comportamento del destinatario dell'intimazione (Sez. 3, n. 2853 del 12/12/2006, dep. 2007, Lefebre, Rv. 235876 – 01).
Il reato ha natura permanente e lo scadere del termine per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell'ottemperanza all'ordine ricevuto (Sez. 3, n. 33585 del 08/04/2015, Rosano, Rv. 264439 – 01).
La sanzione penale di cui all'art. 255, comma 3, citato, è rivolta propriamente ai destinatari formali dell'ordinanza sindacale, mentre il precetto di cui all'art. 193 comma 3, è rivolto ai responsabili dell'abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato.
Ma, in ogni caso, spetta a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza, di ottenere l'annullamento dell'ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o - al limite - di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno né responsabili dell'abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione dell'ordinanza per illegittimità (Sez. 3, n. 31291 del 07/05/2019, Ricigliano, Rv. 276301 – 01).
Ciò che il ricorrente non deduce neppure di avere fatto, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per difetto di specificità.
2.2. Quanto alla (lamentata) omessa disapplicazione del provvedimento sindacale, il Collegio rammenta che, secondo la giurisprudenza della Corte, il giudice penale può sindacare in via incidentale l'eventuale illegittimità dell'atto amministrativo, trattandosi di un provvedimento che costituisce il presupposto dell'illecito penale (Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Papa, Rv. 240728 - 01), e disapplicare il provvedimento amministrativo illegittimo, presupposto di ipotesi delittuosa e provvedere di conseguenza all'assoluzione dell'imputato, ma solo quando la causa dell'illegittimità risulti oggettiva e di semplice rilevabilità (Sez. 1, n. 28849 del 11/06/2009, Makdad, Rv. 244296 - 01).
Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente chiede al Collegio una rivalutazione dei presupposti di emanazione del provvedimento sindacale che impinge sulla sussistenza di elementi, quali il dolo e la colpa, operazione che richiederebbe una valutazione ampiamente fattuale e discrezionale, e non certo di semplice ed oggettiva rilevazione.
Come è stato evidenziato da questa Corte, infatti, «l'eventuale illegittimità dell'ordinanza stessa … [omissis] … si configura come un mero vizio di annullabilità della stessa e, dunque, non avrebbe potuto in ogni caso essere fatta valere dall'imputato se non attraverso la sua impugnazione di fronte ai giudice amministrativo» (Sez. 3, n. 37054 del 30/05/2012, Venti, n.m.); impugnazione che, come visto, l’imputato neppure deduce di avere proposto.
Il motivo è pertanto manifestamente infondato.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Come ribadito da questa Corte, affinché il vizio di travisamento della prova possa avere rilievo, occorre, in positivo, che la «essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato» renda illogica la motivazione al punto di «disarticolare l'intero ragionamento probatorio» (Sez. 5, n. 8188 del 4/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774 - 01), e, in negativo, l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5 , n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 - 01), fermo in ogni caso il limite del devolutum in caso di «doppia conforme», circostanza – quest’ultima - che nel caso di specie non ricorre.
Pertanto, la presenza di una eventuale criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227).
Sotto tale profilo il ricorso, che censura la motivazione come erronea, in quanto fondata su una valutazione sbagliata di un unico elemento (le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di esame), è manifestamente infondato (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Di Stefano, Rv. 262908; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Basile, Rv. 258153), non potendo questa Corte fare altro che prendere atto che l'iter argomentativo complessivamente svolto dal giudice di merito appare comunque completo, avendo il giudice fondato il giudizio di colpevolezza su dati oggettivi (la presenza di rifiuti sul terreno, l’esistenza dell’ordinanza e la sua inottemperanza, l’esercizio di attività di imprenditore edile da parte dell’imputato) ed inferito («ed è presumibile…», pag. 7) che, in ragione dell’attività svolta, l’imputato abbia dirottato parte dei rifiuti prodotti dai cantieri edili su tale terreno, anziché portarli in discarica.
Quanto alla deduzione secondo cui il teste Todeshini, all’udienza del 12 maggio 2021, avrebbe completato la rimozione dei rifiuti a gennaio 2020, il Collegio evidenzia come il ricorso, in parte qua, difetti del requisito dell’autosufficienza, essendo state allegate allo stesso solo due pagine della relativa trascrizione, su 29.
Ed infatti, il requisito della specificità dei motivi, cui è condizionata l’ammissibilità del mezzo di gravame, comporta non solo l’onere di dedurre le censure che l’imputato intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì quello di curarne l’integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 - dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053, Sez. 2, n.26725 dell’01/03/2013 - dep. 19/06/2013, Natale, Rv. 256723).
In particolare, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione esige, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7 del d. lgs. 11/2018, un onere di puntuale indicazione e contestuale allegazione degli atti che si assumono travisati, attività quest’ultima materialmente devoluta alla Cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 2, Sentenza n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432), con la conseguenza che incorre nell’inammissibilità il ricorso contenente un limitato stralcio di dichiarazioni neppure decisive perché inidonee a disarticolare il puntuale ragionamento probatorio svolto nel provvedimento impugnato, ovvero un limitato stralcio di passaggi estrapolati dagli atti asseritamente travistati, la cui frammentazione non consente di apprezzarne il senso complessivo (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 26360101):
In ogni caso, il ricorrente potrà far eventualmente valere in sede esecutiva l’avveramento della condizione cui è subordinata la concessione del beneficio (arg. ex Sez. U., n. 37503 del 23/06/2022, Liguori, Rv. 283577 – 01).
4. Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato.
4.1. La censura relativa alla omessa attivazione della procedura estintiva di cui agli articoli 318-bis ss. d. lgs. 152/2006, è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte, l’omessa indicazione all’indagato, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza, è necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell’azione penale (Sez. 3, n. 24677 del 17/05/2023, Balvis, n.m.; Sez. 3, n. 19666 del 27/04/2022, Ahmetovic, n.m. ; Sez. 3, Sentenza n. 49718 del 25/09/2019 – dep. 06/12/2019, Fulle, Rv. 277468; Sez. 3, n. 38787 del 8/2/2018, De Tursi, non massimata).
La Corte ha affermato anche che l’imputato non può dolersi della mancata adozione della procedura, attesa la inesistenza di un obbligo specifico in capo agli accertatori di provvedervi, né, tanto meno, di informare i soggetti controllati della possibilità di farvi ricorso (Sez. 3, n. 7286 del 04/02/2022, El Mostanjid, n.m.).
A ciò va aggiunto un dato testuale di primaria importanza: dal tenore inequivoco degli articoli 318-sexies (la cui norma parla del solo «procedimento»; incardina la verifica solo sul pubblico ministero; non preclude l’archiviazione ovvero l’assunzione di prove non rinviabili) e 318-septies, comma 2, d. lgs 152/2006 (il quale prevede che, in caso di ottemperanza alle prescrizioni e pagamento della somma prevista, «il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta»), appare evidente che il meccanismo estintivo previsto dagli articoli 318-bis ss. d. lgs 152/2006 può essere attivato solo finchè è possibile attivare la procedura di archiviazione.
In altre parole, esso trova una «preclusione di fase», in cui il limite è costituito dall’avvenuto esercizio dell’azione penale (sul punto, v. Sez. 3, n. 41889 del 03/07/2023, Santeramo, n.m., secondo cui «le precise scansioni procedimentali previste dal dato normativo sono scansioni che non prevedono mai la partecipazione dell’Autorità giudiziaria, intesa come giudice del dibattimento»).
Da ultimo, il ricorrente non ha fornito prova alcuna del requisito fondamentale ai fini dell’operatività del meccanismo delineato dagli art. 318-bis e ss. del d. lgs. n. 152 del 2006, ovvero del fatto che le contravvenzioni per cui si procede non abbiano cagionato un danno o un pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (v. sul punto sent. n. 41889/2023, citata), di talché il motivo è anche inammissibile sotto il profilo del difetto di specificità.
Il ricorrente, nella memoria difensiva indicata nell’atto di ricorso, depositata all’udienza del 09/11/2022, ritiene di poter applicare in analogia la disciplina delle prescrizioni impartite dall’autorità di vigilanza alla ordinanza sindacale di rimessione in pristino.
Tale assunto è manifestamente infondato, essendo contrario alla chiara lettera della legge e alla giurisprudenza summenzionata di questa Corte.
4.2. La censura relativa alla pretesa applicazione dell’articolo 131-bis, coltivata nella citata memoria del 9/11/2022 e richiamata nel ricorso, è manifestamente infondata.
4.2.1. E’ sicuramente vero che il Tribunale non ha motivato in riferimento alla insussistenza della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen..
Tuttavia, questa Corte, in tema di particolare tenuità del fatto, ritiene che la motivazione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello (ma il principio vale anche per le sentenze pronunciate in unico grado) abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, Epidendio, Rv. 275635 - 02).
4.2.2. Scendendo in concreto, nella memoria dell’imputato si leggeva che l’applicabilità dell’istituto discenderebbe dalla occasionalità della condotta e dall’avere l’imputato completamente ripulito l’area in questione.
Tale assunto risulta smentito dalla sentenza, che a pagina 4 chiaramente precisa che «è oggettivamente dimostrato che l’opera di ripulitura integrale dell’area dai materiali edili di vario genere non è stata completata nei termini e con le modalità dovute e specificate nell’ordinanza comunale» (come confermato dallo stesso imputato, che ha dichiarato di avere proceduto solo ad un parziale smaltimento), rimanendo sparsi sul terreno, senza alcuna copertura, tutti i materiali edili, sì da ingenerare il pericolo di ulteriori danni all’ambiente (pag. 5).
A pagina 8, nel quantificare la pena, inoltre, il Tribunale precisa che si tratta di «fatto non modesto» commesso da soggetto gravato da precedente penale.
Il Collegio ritiene pertanto che il Tribunale abbia soddisfatto l’onere di motivazione, escludendo la particolare tenuità del fatto in ragione della sua oggettiva gravità.
4.3. L’ultimo profilo di doglianza – in cui si lamenta un errore del Tribunale nel subordinare la sospensione condizionale della pena alla integrale ottemperanza a quanto disposto con l’ordinanza sindacale, avendo il ricorrente dimostrato di avere ottemperato prima dell’azione penale - è inammissibile, in quanto non si confronta con il contenuto della sentenza in ordine alla solo parziale remissione in pristino del terreno, come visto al par. 4.2.2.
Inoltre, come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, il provvedimento impugnato ha escluso di poter concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena per la presenza di precedenti penali, così motivando sufficientemente sul punto.
In tema di sospensione condizionale della pena, infatti, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, ivi compresi i precedenti giudiziari (cfr. Sez. 5, n. 17953 del 07/02/2020, Rv. 279206 - 02).
5. Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/01/2024.