Il Bel paese in ginocchio
di Giovanni CORPORENTE
Giovanni Corporente (*)
IL BEL PAESE IN GINOCCHIO
Scrivere dei miei pensieri (estivi) su di una rivista di interesse giuridico ed economico, ancorchè riguardante temi di tutela dell’ambiente, è una scelta; i miei pensieri sono appunto rivolti agli addetti ai lavori (docenti, magistrati, amministratori ed avvocati).
Con queste poche righe non scopro nulla di nuovo nella legislazione e giurisprudenza, ma certamente scrivo di norme e vicende troppo spesso dimenticate, perché è certamente più comodo prendersela con gli eventi climatici (in)spiegabili e negli ultimi anni sempre più ricorrenti, a causa dei quali: interi paesi calabresi franano dalla collina a valle; un ragazzo muore all’uscita di una discoteca a causa di un macigno che frana dal monte; centinaia di chilometri di coste dell’Adriatico e dello Jonio sono flagellate da tempeste ed inondazioni; una famiglia colpita dai fulmini in Puglia; foci dei fiumi veneti, emiliani e campani che esondano; pericolosi dissesti del territorio a Napoli in fasce di rispetto ospedaliero e, così via.
Centinaia sono gli episodi di cronaca nera, anzi, di “cronaca nera ambientale”, a cui probabilmente gli editori e direttori dei mass media dovrebbero oramai fare riferimento con la attivazione di specifiche redazioni.
Le morti, i feriti, i molteplici incidenti e gli ingenti danni economici possono ricondursi sempre a nomi e cognomi dei vari responsabili della disapplicazione delle leggi dello Stato e, rispetto a ciò, nemmeno le parole del ministro dell’ambiente di turno (… mai più condoni edilizi…) possono infonderci speranza, atteso che le stesse parole sono state inutilmente proferite nel corso dell’ultimo trentennio (dal 1985 con la legge 47 di primo condono edilizio) da tutti i ministri della Repubblica.
Le pregevoli coste del centro sud italiano, aree di macchia mediterranea tutelate anche da trattati internazionali, sono state messe in crisi ed oggetto della vendetta della Natura: anche gli arenili stanno oramai scomparendo!
Nelle Maldive del Sud (il Salento pugliese) le spiagge bianche sono oramai un ricordo fotografico ripescato, di volta in volta, dai tour operator per meglio “vendere” il martoriato territorio, ove ogni cento metri di duna e di gigli bianchi è possibile individuare decine e decine di fabbricati (anche recentissimi) poggiati sulla (ex) macchia mediterranea.
Analoga situazione la rinveniamo sulle coste calabresi, campane, laziali, toscane e liguri, ovvero, in tutte le aree territoriali ove nell’ultimo ventennio (nel quale il legislatore ha deliberato altri due condoni edilizi) abbiamo assistito a dissesti, distruzioni e morti.
Lo scempio del Bel Paese non ha un determinato colore politico: esso non è di centro destra, né di centro sinistra, bensì corrisponde, ad una precisa (deprecabile) scelta, quella di affidare la gestione del territorio ai c.d. “poteri locali”.
Vero è che già dopo il periodo di sfrenato regionalismo (1970/1985) e, a seguito della riforma costituzionale del Titolo Quinto, si è assistito al ridimensionamento dell’autonomismo locale (complice anche la sempre pessima congiuntura economica), che ha consentito anche di ricondurre alla competenza centralistica le competenze in materia ambientale e di tutela del territorio.
Ma evidentemente ciò non è ancora sufficiente: a fronte di atti amministrativi e decreti dirigenziali non sempre conformi alla norma, tuttora sono affidate alle ondivaghe decisioni della magistratura amministrativa gli importanti istituti normativi delle fasce di rispetto urbanistiche (ospedaliera, stradale, ferroviaria, cimiteriale, ecc.), della realizzazione di manufatti edilizi su suoli demaniali (arenili e macchie mediterranee), dell’illecito consumo del suolo agricolo in favore di edilizia residenziale, ed altro ancora.
La proprietà privata è ovviamente oggetto di un preciso dettato costituzionale, che la garantisce a chiunque, purchè osservi le regole del patto sociale.
Ecco, dette regole le abbiamo forse dimenticate un po’ tutti e le ricordiamo solo ad orario di pranzo o di cena o leggendo il giornale, commentando le nuovi morti di uomini, donne e bambini, le morie di pesci, il mare sporchissimo, il paesino calabrese che frana e il povero ragazzo morto perché colpito dal masso dopo la pioggia, sfortunato come l’altro ragazzo colpito a Napoli da una pezzo di fabbricato storico (Galleria Umberto I) non manutenzionato.
Purtroppo le medesime considerazioni vanno svolte anche relativamente ai beni architettonici e storici (vedi il degrado di Pompei, dei templi di Agrigento, ecc.).
Ma davvero sino al 1985 in Italia tutto era possibile, anche costruire in adiacenza o in prossimità dei beni monumentali, sulla macchia mediterranea del territorio salentino e domizio?
Il motivo della mia personale sfiducia nelle volontà individuali di tutelare effettivamente i “valori” (perché di valori si tratta) in argomento consegue dalla semplice osservazione che detti valori erano stati già tutelati da importanti corpus normativi negli anni ’30 e, quindi, pienamente vigenti anche negli anni successivi, tanto che l’attuale e vigente codice dei beni culturali, ancora contiene riferimenti ampi alla perdurante vigenza di alcune norme delle leggi 1089 e 1497 del 1939 (c.d. legislazione Bottai, dal nome del ministro del governo fascista).
Il primo ventennio di vita repubblicana ha effettivamente registrato una scarsa attenzione per i sempre più emergenti problemi della tutela del patrimonio storico artistico e delle bellezze paesistiche.
Solo con la legge 26 aprile 1964, n. 310 è istituita una “Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose d’interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio” (Commissione Franceschini dal nome del suo Presidente). Le proposte (nel 1966) della commissione Franceschini, espresse in 84 « Dichiarazioni », furono il frutto di una collaborazione d’insigni giuristi e di studiosi dell’arte, e saranno utilizzati nella successiva legislazione, al pari delle proposte delle successive Commissioni Papaldo ( 1968 e 1971). Ciò indusse all'istituzione, nel 1975, del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (con D.L. 14 dicembre 1974 n. 657 convertito con legge 29 gennaio 1975 n. 5) e Giovanni Spadolini fu il primo dei Ministri preposti al Ministero.
Seguono alcuni provvedimenti di “regionalizzazione” che poi hanno consentito il sostanziale “sacco” del territorio. Infatti, sono state adottate leggi specifiche su problemi particolari inerenti alla tutela del patrimonio, senza tuttavia che si arrivi ad una riforma completa, che superi la legislazione Bottai.
Quest'ultima, frattanto, non subì nel primo periodo repubblicano sostanziali modifiche, salvo alcune rettifiche concernenti il problema spinoso dell'esportazione d’opere d'arte (legge 8 agosto 1972 n. 482), adeguata agli accordi sulla libera circolazione delle merci nei paesi della Comunità Europea.
Il D.P.R. 14 gennaio 1972 n. 3 trasferisce alle Regioni le funzioni statali in materia di “biblioteche di enti locali” ed introduce il criterio (poi non più sviluppato nella successiva legislazione dei beni culturali) dell’interesse locale a fianco di quello semplicemente territoriale - geografico. Il successivo D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 trasferisce (art. 83) alle Regioni la competenza in materia di interventi per la protezione della natura, le riserve e i parchi naturali (poi emanata con la legge quadro 394 del 1991).
Ma torniamo alla legislazione Bottai, per osservare la sua particolare efficienza, anche perché sostanzialmente poggiata sul centralismo governativo con le sue diramazioni amministrative provinciali.
Nel 1939 fu adottata la principale riforma del Novecento in tema di tutela del patrimonio culturale. Se ne fa promotore e garante, nel governo fascista, il Ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai.
Vengono, in primo luogo, affrontati, con la legge 22 maggio 1939 n.823, i problemi della riorganizzazione periferica, distribuendo le sovrintendenze (revisionate territorialmente) sulla base delle prevalenti specializzazioni di archeologi, architetti e storici dell’arte (sovrintendenze alle antichità , ai monumenti, alle gallerie) e rinsaldando l’autorità dell’amministrazione centrale.
Nel corpus legislativo della riforma Bottai - fondato sulla 1egge 1 giugno 1939 n. 1089 (norme in materia di tutela delle cose di interesse storico, artistico, archeologico) e sulla 1egge 29 giugno 1939 n. 1497 (norme in materia di protezione delle bellezze naturali) - rimasto in vigore, senza variazioni o adattamenti, sino al Testo unico del 1999, emerge una prospettiva ampia e articolata riguardo al ruolo delle cose culturali e alle bellezze paesistiche.
Coeva alla riforma Bottai è la legge 22 dicembre 1939 n. 2006 che stabilisce il nuovo ordinamento degli Archivi del Regno (all’epoca incardinati nel Ministero dell’Interno).
Nelle intenzioni di Bottai il patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale è il centro intorno a cui si costruisce e si raccoglie l'identità e l'unità di un popolo.
La riforma Bottai riprende la legislazione precedente e la ricompone su un impianto razionale, integrandola con criteri fino allora non contemplati o trascurati.
La legge n. 1497 del 1939 sulla Protezione delle bellezze naturali introduce una disciplina organica della protezione del paesaggio, inteso come «bello appartenente alla natura».
Alle due leggi principali della riforma si aggiunge, nel 1942, la prima legge nazionale di pianificazione urbanistica e territoriale. Infine nel 1942 il Codice civile, agli articoli 822 e 824, si ricollega alla riforma Bottai e include nel demanio dello Stato gli immobili riconosciuti di interesse storico, artistico e archeologico e le raccolte di musei, pinacoteche, archivi e biblioteche.
La legge n. 1089 del 1939, Tutela delle cose d’interesse artistico o storico, delinea l'oggetto della tutela, sia esso di proprietà pubblica o privata e precisa che vi rientra “tutto ciò che presenta interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, nonché le testimonianze di civiltà , tra cui monete, documenti, libri, stampe, codici di rarità e pregio, e infine ville, parchi e giardini artisticamente e storicamente rilevanti”. Fa inoltre riferimento alla storia politica e militare, alla letteratura, all'arte e alla cultura per indicare i beni immobili di cui lo Stato deve curare la protezione.
La legge n. 1089 del 1939 mette a fuoco tutti i principali concetti-chiave in materia di tutela del patrimonio:
la procedura del vincolo sui beni privati riconosciuti come di pubblico interesse, attraverso l'atto della notifica;
le disposizioni per la conservazione, l'integrità e sicurezza dei beni;
la “pubblica godibilità ”, nei termini di ammissione alla visita da parte del pubblico, sia per i beni statali, sia per quelli privati coperti da riconoscimento del pubblico interesse;
l’eventuale appartenenza delle opere d'arte contemporanea al patrimonio artistico dello Stato, purché gli autori non siano viventi o l'esecuzione di queste risalga ad almeno cinquanta anni.
I concetti e i termini base dell'odierna disciplina conservativa e di tutela, sono quindi acquisiti nella riforma Bottai.
Il complessivo programma fascista di politica della cultura non si ferma alle cose d’interesse artistico o storico, alle bellezze paesistiche e agli archivi di Stato, ma si estende in maniera organica alle attività culturali: teatro, lirica e spettacoli viaggianti, incentivati con sovvenzioni e sottoposti a controlli e programmi ( R.D.L. n. 1547 del 1938 conv. in legge n. 423 del 1939 e D.C.G. n. 1813 del 1939); cinematografia nazionale, incentivata con “premi di produzione” e sottoposta ad autorizzazione (legge n. 458 del 1939 e D.C.G. n. 1812 del 1939) ed istituzione del monopolio statale, affidato all’ENIC, di importazione/ distribuzione dei film provenienti dall’estero; protezione del diritto d’autore (legge 22 aprile 1941 n. 633) e norme sulla consegna obbligatoria degli stampati alla presidenza del consiglio e alle biblioteche nazionali centrali (legge 2 febbraio 1939 n. 374); riordino della Discoteca di Stato (legge 2 febbraio 1939 n. 467).
La rapida analisi della normativa “storica” della legislazione Bottai, dovrebbe condurre l’interprete di oggi ad una semplice valutazione comparativa dell’attuale impianto normativo che vede la piena e fattiva partecipazione delle autorità locali (regioni comprese), rispetto a quella centralistica degli anni ’30, vigente sino agli anni ’70, rivolgendo a sé stessi le seguenti semplici domande:
Cosa, dove e come si è costruito nel quarantennio 1930-1970?
Cosa, dove e come si è costruito nel quarantennio 1970-2010?
I rappresentanti locali ed amministratori (di regioni, province e comuni) ed i loro dirigenti, hanno adottato provvedimenti di interesse generale o particolare, in quanto eletti e nominati?
Ognuno potrà darsi le risposte che intende, più o meno oggettive, come anche io ho realizzato.
Concludo con le osservazioni di Platone (la democrazia, Repubblica, Capitolo VIII), chiarendo che i valori democratici e le libertà sono ovviamente insostituibili, ma vanno tutelati soprattutto rispetto agli interessi privati, al fine di evitare un desiderio di governi “forti”:
Ecco, secondo me, come nascono le dittature.
Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo .
(*) Dirigente del Consiglio regionale della Campania, commissario regionale dell’Ente Parco regionale Area vulcanica Roccamonfina – Foce Garigliano