TAR Umbria Sez. I n. 311 del 30 aprile 2024
Ambiente in genere.VIA e modifica non sostanziale di un’installazione già autorizzata per parziale sostituzione del combustibile tradizionale con combustibile solido secondario
L’ordinamento, nell’indicare in termini generali gli interventi da sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA e, nel caso di specie, le condizioni in presenza delle quali la modifica degli impianti deve ritenersi non sostanziale, ha individuato il punto di equilibrio tra le esigenze presidiate dal principio di precauzione e gli interessi (anche economici) antagonisti. La portata del principio di precauzione può riguardare la produzione normativa in materia ambientale o l’adozione di atti generali o, ancora, l’adozione di misure cautelari, in tutti i casi in cui l’ordinamento non preveda già parametri atti a proteggere l’ambiente da danni poco conosciuti ed anche solo potenziali. Il principio di precauzione, però, non può essere invocato laddove il livello di rischio connesso a determinate attività sia stato puntualmente definito dai decisori centrali sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, attraverso la specifica indicazione di limiti e di prove cui devono conformarsi le successive determinazioni delle autorità locali. Tale conclusione è, nel caso di modifica non sostanziale di un’installazione già autorizzata per parziale sostituzione del combustibile tradizionale con combustibile solido secondario, tanto più necessitata ove si consideri che è stato lo stesso legislatore, con la formulazione dell’art. 35, commi 2 e 3, del d.l. n. 77/2021, ad essersi preso cura di individuare e generalizzare il punto di equilibrio tra le esigenze ambientali connesse all’utilizzo ed al consumo delle fonti energetiche fossili, quelle, parimenti rilevanti sotto il profilo ambientale, della gestione dei rifiuti non pericolosi – anche con la loro destinazione a divenire combustibile (CSS-C) e a non essere più qualificati rifiuti (“end of waste”) al termine del processo di cui al d.m. n. 22/2013 – e, infine, quelle della produzione industriale. In presenza di un punto di equilibrio come sopra individuato dal decisore centrale, il principio di precauzione non può essere utilmente invocato per contestare la legittimità dell’atto amministrativo che si sia uniformato ai criteri così stabiliti a livello generale.
Pubblicato il 30/04/2024
N. 00311/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00442/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 442 del 2022, proposto dal Comitato per la tutela ambientale della Conca eugubina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Nuti e Valeria Passeri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luciano Ricci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di Gubbio, la Provincia di Perugia, l’Arpa Umbria e l’AUSL Umbria 1, non costituiti in giudizio;
nei confronti
di Colacem S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Baldoni e Mario Rampini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
- della determinazione dirigenziale della Direzione regionale Governo del territorio, ambiente e protezione civile – Servizio Sostenibilità ambientale, valutazioni e autorizzazioni ambientali della Regione Umbria n. 13416 del 29.12.2021;
- di ogni provvedimento, anche non noto, presupposto, conseguente e conseguenziale, compresa la nota della Regione Umbria, Servizio Sostenibilità ambientale, valutazioni e autorizzazioni ambientali del 31.01.2022, protocollo n. 0018654-2022;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Colacem S.p.A. e della Regione Umbria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il Comitato per la tutela ambientale della Conca Eugubina (di seguito, per brevità, “il Comitato”) ha impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica la determinazione dirigenziale n. 13416 del 29.12.2021, con la quale la Regione Umbria ha preso atto della comunicazione di Colacem di modifica non sostanziale dell’installazione già autorizzata per parziale sostituzione del combustibile tradizionale con combustibile solido secondario (CSS-combustibile o “CSS-C”) ed ha disposto l’aggiornamento ai sensi dell’art. 29-nonies, co. 1, del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 35, co. 3, del d.l. n. 77/2021, convertito dalla legge n. 180/2021, dell’autorizzazione integrata ambientale relativa all’impianto di produzione di clinker in località Ghigiano nel Comune di Gubbio.
2. – A seguito di opposizione ex art. 10 del D.P.R. n. 1199/1971 formulata da Colacem il 26.05.2022, con atto notificato il 21.07.2022 e depositato il 24.07.2022 il Comitato ha trasposto il ricorso straordinario dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale.
3. – L’impugnazione del Comitato è affidata a due articolati motivi.
Con il primo mezzo, il Comitato deduce la violazione degli artt. 9 e 32 Cost., dell’art. 191 TFUE degli artt. 29 e ss., 5 e 25 del d.lgs. n. 152/2006 e degli allegati IV, VII e VIII alla parte II del medesimo decreto e dell’art. 35, co. 2 e 3, del d.l. n. 77/2021 e l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione: premesso che i provvedimenti di autorizzazione ottenuti dalla controinteressata dal 1966 al 2018 non sono mai stati preceduti né da valutazione di impatto ambientale, né da verifica di assoggettabilità alla stessa, il Comitato ricorrente deduce, in primo luogo, che tali procedure avrebbero dovuto precedere i rinnovi di autorizzazione sin dal 1989, dal che discenderebbe l’illegittimità derivata del provvedimento impugnato, e che, comunque, il cambiamento delle modalità di esercizio determinato dal nuovo combustibile avrebbe imposto la sottoposizione a VIA prima del provvedimento impugnato in considerazione dell’aumento delle emissioni inquinanti che ne sarebbe derivato rispetto a quanto già autorizzato; il Comitato ricorrente, inoltre, assegnando all’art. 35 del d.l. n. 77/2021 rilevanza meramente procedurale, sostiene le sue disposizioni non esonererebbero l’amministrazione dalla sottoposizione a valutazione di impatto ambientale dell’impianto sul quale tale valutazione non sia precedentemente stata condotta, con la conseguenza che nel caso di specie la Regione Umbria avrebbe dovuto valutare gli effetti diretti ed indiretti dell’utilizzo del combustibile solido secondario sull’uomo e sulle matrici ambientali o, quanto meno, disporre la valutazione dell’incidenza ambientale dell’impianto in considerazione della vicinanza dell’impianto al sito di interesse comunitario dei “Boschi del Bacino di Gubbio”; l’impugnata determinazione sarebbe poi in contraddizione con i precedenti atti regionali, e in particolare con la determinazione dirigenziale n. 4364 del 10.05.2021, con la quale la Regione, recependo le note dell’AUSL Umbria 1, aveva disposto che il progetto di utilizzo del CSS-C fosse sottoposto a valutazione di impatto ambientale nell’ambito del procedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) di cui all’art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006.
Con il secondo motivo, il Comitato denunzia l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione del principio di precauzione, dei principi di trasparenza e imparzialità e per eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici: il Comitato cita diverse fonti dalle quali emergerebbe l’elevata presenza di sostanze tossiche per l’ambiente e per l’uomo e di inquinanti accumulatisi nell’ultimo trentennio in prossimità delle cementerie e rileva che l’attività industriale di produzione dei cementi e di frantumazione e macinazione di minerali e rocce è qualificata come industria insalubre dal decreto ministeriale del 5.09.1994, deducendone che la Regione avrebbe illegittimamente considerato l’utilizzo del CSS-C come modifica non sostanziale, omettendo quindi di sottoporre il progetto di cui si discute a valutazione di impatto ambientale ed in assenza di uno studio modellistico di ricaduta delle emissioni, laddove, invece, il principio di precauzione avrebbe richiesto di valutare l’impatto in termini di inquinamento e di aumento dei rischi sanitari del ricorso al nuovo combustibile; sempre con riguardo all’istruttoria sulla qualità dell’aria, il Comitato deduce che l’inattendibilità dei dati rilevati dall’Arpa Umbria, la cui imparzialità sarebbe compromessa dalla percezione di contributi in conto esercizio proprio da parte delle cementerie operanti nella Conca eugubina.
Con il proprio ricorso, il Comitato ha anche chiesto che sia disposta una verificazione, da affidare all’ISPRA e all’Istituto superiore di sanità, sulla potenziale incidenza sull’ambiente e sulla salute umana dell’attività del cementificio della controinteressata, considerato anche l’accumulo di inquinanti negli anni. L’istanza è stata reiterata con la memoria del 27.02.2024, con la quale il Comitato ricorrente ha chiesto altresì l’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio.
4. – Si sono costituite per resistere al ricorso tanto Colacem quanto la Regione Umbria.
Entrambe le parti resistenti, oltre a contestare la fondatezza dei motivi di impugnazione, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva in capo al Comitato, in assenza di adeguata rappresentatività dello stesso (stante l’esiguità della sua compagine associativa, nella quale, peraltro, non figurerebbero soci residenti nel territorio direttamente interessato dalla presenza degli impianti di cui si controverte) e di sufficiente stabilità, continuità e consistenza della sua attività.
5. – In vista della discussione della causa, le parti hanno scambiato memorie e repliche.
6. – All’udienza pubblica del 9 aprile 2024 le parti hanno discusso la causa, che è stata quindi trattenuta in decisione.
7. – L’infondatezza nel merito delle censure formulate dal Comitato ricorrente – che peraltro hanno già costituito oggetto del ricorso del Comune di Gubbio deciso da questo Tribunale amministrativo regionale con la sentenza n. 28 del 12 gennaio 2023 – consente di soprassedere sulle eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso sollevate dalle parti resistenti.
8. – L’atto regionale impugnato dal Comitato è stato emesso in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 35, co. 2 e 3, del decreto legge n. 77/2021, convertito nella legge n. 108/2021, che è opportuno richiamare insieme alle altre disposizioni rilevanti ai fini del decidere.
Ai sensi del comma 2, «gli interventi di sostituzione dei combustibili tradizionali con CSS-combustibile conforme ai requisiti di cui all’articolo 13 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, in impianti o installazioni già autorizzati allo svolgimento delle operazioni R1, che non comportino un incremento della capacità produttiva autorizzata, nel rispetto dei limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti, non costituiscono una modifica sostanziale ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera l-bis), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dell’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica del 13 marzo 2013, n. 59, o variante sostanziale ai sensi degli articoli 208, comma 19, e 214, 214-bis, 214-ter, 215 e 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e richiedono la sola comunicazione dell’intervento di modifica da inoltrarsi, unitamente alla presentazione della documentazione tecnica descrittiva dell’intervento, all’autorità competente. Nel caso in cui quest’ultima non si esprima entro quarantacinque giorni dalla comunicazione, il soggetto proponente può procedere all’avvio della modifica. L’autorità competente, se rileva che la modifica comunicata sia una modifica sostanziale che presuppone il rilascio di un titolo autorizzativo, nei trenta giorni successivi alla comunicazione medesima, ordina al gestore di presentare una domanda di nuova autorizzazione. La modifica comunicata non può essere eseguita fino al rilascio della nuova autorizzazione».
Il successivo comma 3 dispone che «gli interventi di sostituzione dei combustibili tradizionali con CSS-combustibile conforme ai requisiti di cui all’articolo 13 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 22 del 2013 in impianti o installazioni non autorizzati allo svolgimento delle operazioni R1, che non comportino un incremento della capacità produttiva autorizzata, non costituiscono una modifica sostanziale ai sensi dell’ articolo 5, comma 1, lettera l-bis), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013, o variante sostanziale ai sensi degli articoli 208, comma 19, e 214, 214-bis, 214-ter, 215 e 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e richiedono il solo aggiornamento del titolo autorizzatorio, nel rispetto dei limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti, da comunicare all’autorità competente quarantacinque giorni prima dell’avvio della modifica. Nel caso in cui quest’ultima non si esprima entro quarantacinque giorni dalla comunicazione, il soggetto proponente può procedere all’avvio della modifica. L’autorità competente, se rileva che la modifica comunicata sia una modifica sostanziale che presuppone il rilascio di un titolo autorizzativo, nei trenta giorni successivi alla comunicazione medesima, ordina al gestore di presentare una domanda di nuova autorizzazione. La modifica comunicata non può essere eseguita fino al rilascio della nuova autorizzazione».
L’ipotesi di cui al comma 2 riguarda gli impianti o installazioni già autorizzati allo svolgimento delle operazioni di recupero R1 di cui all’allegato C alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006 (“Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”) e in tal caso è previsto che l’intervento di sostituzione sia preceduto da una comunicazione da inoltrare all’autorità competente quarantacinque giorni prima dell’avvio della modifica.
L’ipotesi di cui al comma 3 si riferisce agli impianti o installazioni non autorizzati allo svolgimento delle operazioni R1 e richiede solo l’aggiornamento del titolo autorizzatorio, da comunicare comunque all’autorità competente quarantacinque giorni prima dell’avvio della modifica.
In entrambi i casi è stabilito che se l’autorità competente non si esprime entro quarantacinque giorni dalla comunicazione il proponente può procedere all’avvio della modifica e che l’autorità competente, se rileva che la modifica comunicata sia una modifica sostanziale che presuppone il rilascio di un titolo autorizzativo, nei trenta giorni successivi alla comunicazione medesima ordina al gestore di presentare una domanda di nuova autorizzazione: in tal caso, la modifica comunicata non può essere eseguita fino al rilascio della nuova autorizzazione.
Come evidenziato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2023, n. 8093), con i due commi sopra citati il legislatore ha inteso porre una sorta di presunzione relativa di non sostanzialità della modifica consistente nella sostituzione, negli impianti già autorizzati, dei combustibili tradizionali con CSS-combustibile. Tale presunzione può operare solo in presenza delle condizioni specificate dalla legge, ovvero:
- che il CSS-C che l’operatore intende utilizzare in sostituzione del combustibile tradizionale sia conforme ai requisiti di cui all’art. 13 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 (Regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari – CSS – ai sensi dell’articolo 184-ter, co. 2, del d.lgs. n. 152/2006);
- che l’intervento di sostituzione non comporti un incremento della capacità produttiva già autorizzata;
- che siano comunque rispettati i limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti.
Il “CSS-combustibile” (o “CSS-C”), che ai sensi dell’art. 13 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 è utilizzabile nelle cementerie e nelle centrali termoelettriche ai fini della produzione, rispettivamente, di energia termica o di energia elettrica, è definito dall’art. 3 del medesimo decreto come «il sottolotto di combustibile solido secondario (CSS) per il quale risulta emessa una dichiarazione di conformità nel rispetto di quanto disposto all’articolo 8, comma 2», all’esito della verifica del rispetto delle condizioni di cui al titolo II dello stesso decreto ministeriale, relative ai rifiuti ammessi per la produzione del CSS-C (solamente rifiuti urbani e rifiuti speciali, purché non pericolosi), alle caratteristiche dell’impianto e del relativo processo di produzione e al sistema di gestione per la qualità.
9. – L’impianto di cui oggi si controverte ha ad oggetto la produzione di clinker (ovvero il componente di base per la produzione del cemento, ottenuto dalla cottura di materie prime naturali come calcari, marne ed argille) in forni rotativi con capacità superiore a 500 tonnellate al giorno, ricadendo dunque nella categoria di cui all’art. 3, co. 1, lett. b), del d.m. n. 22/2013 (“cementificio”, definito come «impianto di produzione di cemento avente capacità di produzione superiore a 500 ton/g di clinker e soggetto al regime di cui al Titolo III-bis della Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»).
L’attività svolta dalla società controinteressata presso il suddetto impianto (in vero già attivo dal 1966) è esercitata in forza dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla Regione Umbria con determinazione n. 10814 del 28.11.2007, poi aggiornata con determinazione della Provincia di Perugia n. 8228 del 18.09.2013 e da ultimo rinnovata con determinazione della Regione Umbria n. 11441 del 6.11.2018.
Risulta che, tra le operazioni di recupero di cui all’allegato C alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, la società controinteressata è autorizzata non a quelle contrassegnate con il codice R1 (“Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”), ma a quelle di cui alla categoria R5 (“Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche”) e a quelle di cui alla categoria R13 (“Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12”) con riguardo alle tipologie di rifiuto indicate nella tabella contenuta alle pagg. 40-43 del rapporto istruttorio allegato all’AIA da ultimo citata.
10. – Con la comunicazione del 17.11.2021, Colacem dichiarava alla Regione Umbria, ai sensi dell’art. 35, co. 3 del decreto legge n. 77/2021, l’intenzione di utilizzare il combustibile solido secondario di cui all’art. 3, co. 1, lett. e), del decreto ministeriale n. 22 del 2013 nella linea di cottura del clinker in sostituzione del combustibile fossile utilizzato, dichiarando che la modifica non avrebbe dato luogo ad un incremento della capacità dell’impianto e che l’utilizzo del CSS-C non avrebbe comportato lo sviluppo di ulteriori inquinanti in atmosfera.
Alla suddetta comunicazione erano allegati numerosi documenti, quali la relazione tecnica corredata da elaborati grafici, lo studio di dispersione in atmosfera, lo studio modellistico della dispersione di sostanze odorigene in atmosfera, la dichiarazione del tecnico competente in acustica e il certificato di qualità ambientale secondo la norma UNI EN ISO 14001.
11. – Con la determinazione dirigenziale n. 13416 del 29.12.2021, oggetto del presente giudizio, la Regione Umbria prendeva atto della comunicazione di modifica non sostanziale dell’installazione autorizzata e provvedeva all’aggiornamento dell’AIA di cui alla determinazione dirigenziale n. 11441 del 6.11.2018 in relazione all’utilizzo di CSS-combustibile in parziale sostituzione dei combustibili di origine fossile.
Nel rapporto istruttorio a cura del Servizio sostenibilità ambientale, valutazioni ed autorizzazioni ambientali (all. A), si dà atto che il CSS-C che il proponente intende utilizzare in parziale sostituzione del combustibile fossile ha cessato la qualifica di rifiuto (“end of waste”) ed è ricompreso tra i combustibili consentiti nell’Allegato X, Parte I Sezione 1, Paragrafo 1, punto 10), alla Parte quinta del d.lgs. n. 152/2006 e che l’azienda proponente intende utilizzare il CSS-C in miscela (circa il 45% in peso) con i combustibili fossili attualmente autorizzati e comunque fino ad un massimo di a 50.000 ton/anno.
Nello stesso rapporto si conclude che l’intervento non determinerà modifiche alla linea di cottura del clinker né variazioni al suo funzionamento né incremento della capacità produttiva dell’installazione.
12. – Tanto premesso, il collegio non condivide le doglianze articolate dal Comitato ricorrente con l’atto introduttivo del giudizio.
12.1. – Come già ritenuto da questo Tribunale nel giudizio che ha visto il Comune di Gubbio impugnare la stessa determinazione regionale qui gravata (sent. 12 gennaio 2023, n. 28), non può fondatamente sostenersi che l’assoggettamento a VIA del progetto di Colacem di utilizzare il CSS-C sarebbe stato necessario a causa dell’assenza della valutazione d’impatto ambientale prima dell’adozione dei precedenti atti autorizzativi dell’impianto, e ciò in quanto quest’ultimo non risulta essere mai stato oggetto di quelle modifiche sostanziali che avrebbero a suo tempo imposto di avviare detta procedura.
D’altra parte, non risulta che le precedenti determinazioni di autorizzazione integrata ambientale del 2007 e del 2018 siano mai state impugnate e la loro intangibilità non può esser messa in discussione sostenendo ex post che detti titoli non avrebbero potuto essere rilasciati in assenza di valutazione di impatto ambientale.
Né può ritenersi applicabile al caso di specie la c.d. “VIA postuma” di cui all’attuale comma 3 dell’art. 29 del d.lgs. n. 152/2006. Essa presuppone che il progetto sia stato realizzato senza la previa sottoposizione al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o al procedimento di VIA in violazione delle disposizioni di cui al titolo III della parte II del medesimo decreto legislativo, ovvero che i provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o di valutazione di impatto ambientale relativi al progetto già realizzato o in corso di realizzazione siano stati annullati in sede giurisdizionale o in autotutela. Tali presupposti non ricorrono nel caso di specie, dal momento che nessuna violazione delle disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale risulta essere stata tempestivamente denunziata in occasione della realizzazione dell’impianto o del rilascio delle precedenti determinazioni autorizzative, né l’AIA già rilasciata alla controinteressata risulta essere stata annullata in sede giurisdizionale o in autotutela.
Ancora, la legittimità del provvedimento oggi impugnato non può essere scrutinata avendo come parametro la precedente determinazione regionale n. 4364 del 10.05.2021, con la quale la Regione Umbria, nella vigenza di un diverso quadro normativo, aveva a suo tempo disposto la sottoposizione del progetto dell’odierna controinteressata a valutazione di impatto ambientale. Tale determinazione non può infatti essere assunta quale precedente vincolante per la successiva azione amministrativa, né può valere per scrutinare la legittimità di atti adottati nella mutata cornice normativa, essendo intervenuta medio tempore la succitata nuova disciplina legislativa delle condizioni in presenza delle quali la sostituzione del CSS-C ai tradizionali combustibili di origine fossile nell’impianto già autorizzato non è da considerarsi modifica non sostanziale dello stesso.
Il provvedimento in questa sede impugnato risulta pienamente rispondente alla disciplina vigente al momento della sua adozione, ovvero all’art. 25, co. 3, del decreto legge n. 77/2021, convertito nella legge n. 108/2021, con il quale il legislatore ha con ogni evidenza inteso individuare a livello generale il punto di equilibrio tra le esigenze ambientali connesse all’utilizzo delle fonti energetiche fossili, quelle, parimenti rilevanti sotto il profilo ambientale, della gestione dei rifiuti non pericolosi – come quelli che, al termine del processo di cui al d.m. n. 22/2013, sono destinati a divenire combustibile CSS-C per cementifici e centrali termoelettriche e a non essere più qualificati rifiuti (“end of waste”) – e, infine, quelle della produzione industriale.
Le condizioni per considerare la parziale sostituzione del CSS-C al combustibile tradizionale come “modifica non sostanziale” dell’impianto – la conformità del combustibile ai requisiti di cui all’art. 13 del d.m. n. 22 del 2013; l’inidoneità dell’intervento di sostituzione a comportare un incremento della capacità produttiva già autorizzata; il rispetto dei limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti – sono state evidenziate dall’odierna controinteressata alla Regione Umbria nella comunicazione del 17.11.2021 e nei relativi allegati (relazione tecnica corredata da elaborati grafici, studio di dispersione in atmosfera e gli altri documenti sopra citati) e sono state verificate dall’Amministrazione regionale (come si evince dal rapporto istruttorio allegato alla determinazione impugnata). La loro sussistenza non risulta specificamente confutata dal Comitato ricorrente.
Le doglianze formulate dal Comitato ricorrente con riguardo alla sostanziale diversità delle caratteristiche dell’impianto rispetto a quelle autorizzate non sono assistite da alcuna evidenza che possa farle ritenere fondate.
A quest’ultimo riguardo deve sottolinearsi che, come ritenuto dalla giurisprudenza, le valutazioni sottese al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale e alle relative modifiche implicano il ricorso a nozioni tecnico-scientifiche in materia ambientale e possono essere sindacate in sede giurisdizionale di legittimità nei soli casi di esiti abnormi o manifestamente illogici (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2022, n. 7706). A tali limiti del sindacato giurisdizionale soggiacciono anche le valutazioni in ordine alla modifica sostanziale dell’impianto, che per sua natura comporta valutazioni di carattere tecnico-discrezionale soprattutto in relazione all’interpretazione ed applicazione della locuzione «effetti negativi e significativi sull’ambiente».
Come si è evidenziato, però, nel caso della sostituzione del combustibile tradizionale con il CSS-C in cementifici e centrali termoelettriche già autorizzati, è il legislatore, con una sorta di presunzione relativa, ad avere ritenuto non sostanziale la modifica dell’impianto in presenza delle condizioni già più volte richiamate, con la conseguenza che, nei limiti appena evocati, l’illegittimità della valutazione dell’amministrazione potrà predicarsi solo allorché quest’ultima abbia permesso l’aggiornamento dell’autorizzazione pur in presenza di manifesti e fondati dubbi circa l’effettiva sussistenza delle predette condizioni perché le modifiche possano considerarsi non sostanziali.
Nel caso di specie, risulta che l’azienda controinteressata non è stata autorizzata, con l’aggiornamento di cui oggi si controverte (né, d’altra parte, lo è stata in sede di rilascio dell’AIA o dei suoi rinnovi), allo svolgimento di operazioni di recupero dei rifiuti contrassegnate con il codice R1 (“Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”) o, comunque, diverse da quelle di cui alle categorie R5 (“Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche”) e R13 (“Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12”), alle quali era già stata abilitata con l’AIA di cui alla determinazione regionale n. 11441 del 6.11.2018 (cfr. pagg. 40-43 del relativo rapporto istruttorio), tali da configurare una modifica sostanziale dell’impianto già autorizzato.
Risulta, inoltre, come già evidenziato, che le condizioni previste dall’art. 35, co. 3, del d.l. n. 77/2021 sono state dichiarate e documentate dalla controinteressata con la comunicazione del 17.11.2021 e con i relativi allegati e sono state verificate dalla Regione ai fini dell’aggiornamento dell’autorizzazione. La loro sussistenza non è stata specificamente confutata dal Comitato ricorrente con il ricorso oggi all’esame.
Tale ultima considerazione impone di rigettare le istanze di verificazione o di consulenza tecnica proposte dalla parte ricorrente già nell’atto introduttivo del giudizio e reiterate nei successivi atti processuali. Si tratta, infatti, di istanze meramente esplorative perché finalizzate a verificare se gli atti impugnati «siano o meno idonei a rendere l’attività svolta dalla società Colacem nell’impianto di Gubibo priva di rischi, anche potenziali, per la salute e per l’ambiente» (come si legge nella memoria del 27.02.2024), e dunque all’accertamento di profili che, per tutto quanto evidenziato nelle pagine che precedono, l’Amministrazione regionale era chiamata a valutare per stabilire se la sostituzione del combustibile fossile tradizionale con il CSS-C costituisse o meno modifica sostanziale dell’impianto ai sensi dell’art. 35, co. 3, del d.l. n. 77/2021.
In mancanza di alcun elemento probatorio a sostegno dell’ipotetica insussistenza delle condizioni per ritenere non sostanziale la modifica dell’impianto determinata dalla sostituzione del combustibile fossile con il CSS-C, l’ammissione del mezzo istruttorio richiesto (verificazione o consulenza tecnica) «comporterebbe un inammissibile giudizio sostitutivo di una valutazione tecnico discrezionale (svolta dalla Amministrazione e demandata a specifici Organi in possesso in massimo grado delle competenze tecniche e scientifiche necessarie) ed in quanto tale “infungibile”, salvo ipotesi di macroscopiche abnormità od illogicità» (cfr. Cons. Stato, sez. II, 6 aprile 2020, n. 2248; Id., 11 maggio 2020, n. 2964), non riscontrabili nel caso di specie.
Con riguardo, poi, alla omessa valutazione dell’eventuale incidenza sulle funzioni ecologiche del sito di importanza comunitaria “Boschi del Bacino di Gubbio”, al di là di ogni considerazione sulla genericità della censura così come formulata da parte ricorrente, è sufficiente rilevare che il Comitato non ha allegato alcun elemento a sostegno del fatto che la modifica non sostanziale di cui alla gravata determinazione dirigenziale potrebbe comportare una qualche significativa incidenza, anche soltanto sotto il profilo probabilistico, sulle matrici ambientali e sugli habitat oggetto di protezione nei siti stessi.
È infatti onere della parte che intenda far valere qualche forma di pregiudizio, provare un ragionevole rischio dell’impianto sul sito “limitrofo”, finendosi altrimenti per ampliare artificiosamente l’area di quest’ultimo, che presuppone, al contrario, una delimitazione certa dell’ambito vincolato, in ragione delle forti limitazioni delle facoltà di godimento e di utilizzo delle aree qualificate d’interesse pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. II, 26 aprile 2021, n. 3349; TAR Umbria, 14 giugno 2011, n. 171).
12.2. – Quanto al rilievo del principio di precauzione, intorno al quale ruota il secondo motivo di ricorso, deve poi evidenziarsi che l’ordinamento, nell’indicare in termini generali gli interventi da sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA e, nel caso di specie, le condizioni in presenza delle quali la modifica degli impianti deve ritenersi non sostanziale, ha individuato il punto di equilibrio tra le esigenze presidiate dal principio di precauzione e gli interessi (anche economici) antagonisti.
Come è stato ritenuto, la portata del principio di precauzione può riguardare la produzione normativa in materia ambientale o l’adozione di atti generali o, ancora, l’adozione di misure cautelari, in tutti i casi in cui l’ordinamento non preveda già parametri atti a proteggere l’ambiente da danni poco conosciuti ed anche solo potenziali. Il principio di precauzione, però, non può essere invocato laddove il livello di rischio connesso a determinate attività sia stato puntualmente definito dai decisori centrali sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, attraverso la specifica indicazione di limiti e di prove cui devono conformarsi le successive determinazioni delle autorità locali (cfr. TAR Piemonte, sez. I, 3 maggio 2010, n. 2294).
Tale conclusione è, nel caso di specie, tanto più necessitata ove si consideri che, come già evidenziato, è stato lo stesso legislatore, con la formulazione dell’art. 35, commi 2 e 3, del d.l. n. 77/2021, ad essersi preso cura di individuare e generalizzare il punto di equilibrio tra le esigenze ambientali connesse all’utilizzo ed al consumo delle fonti energetiche fossili, quelle, parimenti rilevanti sotto il profilo ambientale, della gestione dei rifiuti non pericolosi – anche con la loro destinazione a divenire combustibile (CSS-C) e a non essere più qualificati rifiuti (“end of waste”) al termine del processo di cui al d.m. n. 22/2013 – e, infine, quelle della produzione industriale.
In presenza di un punto di equilibrio come sopra individuato dal decisore centrale, il principio di precauzione non può essere utilmente invocato per contestare la legittimità dell’atto amministrativo che si sia uniformato ai criteri così stabiliti a livello generale.
Infine, non colgono nel segno le censure che hanno ad oggetto i dati dell’Arpa Umbria in relazione all’asserita imparzialità dell’Agenzia. La doglianza mira a insinuare il sospetto della inattendibilità dell’Agenzia regionale in considerazione della percezione di contributi finanziari provenienti dalle aziende di produzione del cemento operanti nel territorio eugubino. Tali contributi costituiscono il doveroso rimborso degli oneri di impianto, gestione e manutenzione delle centraline di rilevamento dei dati ambientali installate in prossimità delle cementerie, che la Regione, in sede di rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, ha posto a carico di queste ultime in applicazione del principio “chi inquina paga” di cui alla direttiva n. 2004/35/CE del 21.04.2004.
13. – In conclusione, previo rigetto dell’istanza di verificazione o consulenza tecnica formulata dal Comitato, il ricorso da quest’ultimo proposto deve essere respinto.
14. – La complessità e la parziale novità delle questioni trattate induce il collegio a disporre la compensazione delle spese tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere su di esse nei confronti delle parti non costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate tra le parti costituite; nulla per le parti non costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l’intervento dei magistrati:
Pierfrancesco Ungari, Presidente
Daniela Carrarelli, Primo Referendario
Davide De Grazia, Primo Referendario, Estensore