Corte di Giustizia
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE ELEANOR SHARPSTON presentate il 22 giugno 2011 Causa C‑204/09
«Accesso all’informazione ambientale detenuta da autorità pubbliche – Convenzione di Aarhus –Direttiva 2003/4/CE– Organismi che agiscono nell’esercizio di competenze legislative – Riservatezza delle deliberazioni interne prevista dal diritto»
1. Ai sensi della direttiva 2003/4 (2), le autorità pubbliche, in linea di principio, devono essere obbligate a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta dalle stesse o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta. Tuttavia, la direttiva consente agli Stati membri di escludere dalla definizione di «autorità pubblica» gli organismi pubblici che agiscono nell’esercizio di competenze legislative. Inoltre, l’accesso alle informazioni può essere negato in relazione a certi tipi di documenti o nel caso in cui la divulgazione rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità qualora tale riservatezza sia prevista dal diritto.
2. Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale tedesca) chiede chiarimenti, in particolare, in merito alla misura in cui si può ritenere che le autorità del potere esecutivo agiscano nell’esercizio di competenze legislative e ai possibili limiti temporali della suddetta esclusione, nonché in merito alla precisa portata del criterio che prescrive che la riservatezza delle deliberazioni interne sia «prevista dal diritto».
La Convenzione di Aarhus
3. L’Unione europea, gli Stati membri ed altri diciannove Stati sono parti della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (in prosieguo: la «Convenzione»), che è entrata in vigore il 30 ottobre 2001. La Convenzione si fonda su tre «pilastri» – accesso alle informazioni, partecipazione del pubblico e accesso alla giustizia. Il preambolo della Convenzione contiene i seguenti ‘considerando’:
«Riconoscendo che un più ampio accesso alle informazioni e una maggiore partecipazione ai processi decisionali migliorano la qualità delle decisioni e ne rafforzano l’efficacia, contribuiscono a sensibilizzare il pubblico alle tematiche ambientali e gli consentono di esprimere le sue preoccupazioni, permettendo alle pubbliche autorità di tenerne adeguatamente conto,
Mirando in tal modo ad accrescere la responsabilità e la trasparenza nel processo decisionale e a rafforzare il sostegno del pubblico alle decisioni in materia ambientale,
Riconoscendo l’opportunità di promuovere la trasparenza in tutti i settori della pubblica amministrazione e invitando gli organi legislativi ad applicare i principi della presente convenzione alle proprie procedure».
4. L’art. 2, n. 2, della Convezione definisce l’«autorità pubblica» come, in particolare, «l’amministrazione pubblica a livello nazionale, regionale o ad altro livello», oltre che come qualsiasi persona fisica o giuridica che abbia compiti, responsabilità o funzioni pubbliche, in particolare riguardo all’ambiente, ma esclude da tale definizione «gli organi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo».
5. L’art. 4 della Convenzione, che introduce il primo pilastro, è rubricato «Accesso alle informazioni ambientali». I suoi primi due numeri impongono alle parti di provvedere, essenzialmente, affinché le autorità pubbliche, in risposta ad una richiesta di informazioni ambientali, mettano tali informazioni a disposizione del pubblico non appena possibile, senza che il pubblico debba far valere un interesse al riguardo. L’art. 4, n. 4, stabilisce determinati motivi in base ai quali una richiesta può essere respinta. Questi comprendono, a norma dell’art. 4, n. 4, lett. a), i casi in cui la divulgazione di tali informazioni pregiudichi, inter alia, «la segretezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, ove sia prevista dal diritto nazionale». L’art. 4, n. 4, ultimo comma, stabilisce: «I motivi di diniego di cui sopra devono essere interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni nonché dell’eventuale attinenza delle informazioni con le emissioni nell’ambiente».
6. Nell’ambito secondo pilastro, nel corso del procedimento è stato richiamato l’art. 8 della Convenzione, sebbene non riguardi direttamente l’accesso alle informazioni. È rubricato «Partecipazione del pubblico all’elaborazione di regolamenti di attuazione e/o strumenti normativi giuridicamente vincolanti di applicazione generale» e in particolare dispone che: «Ciascuna Parte si sforza di promuovere, in una fase adeguata e quando tutte le alternative sono ancora praticabili, l’effettiva partecipazione del pubblico all’elaborazione, ad opera delle autorità pubbliche, di regolamenti di attuazione e altre norme giuridicamente vincolanti di applicazione generale che possano avere effetti significativi sull’ambiente». A tal fine le parti dovrebbero fissare termini sufficienti per consentire l’effettiva partecipazione, rendere le proposte legislative accessibili al pubblico, consentire al pubblico di formulare osservazioni direttamente o tramite organi consultivi rappresentativi e prendere in considerazione i risultati della consultazione del pubblico nella misura più ampia possibile.
7. L’art. 9 racchiude il terzo pilastro della Convezione e concerne l’accesso alla giustizia. In particolare, impone alle parti della Convenzione di provvedere affinché chiunque non sia soddisfatto dalla risposta alla propria richiesta di informazioni abbia accesso ad una appropriata procedura di ricorso giurisdizionale che offra rimedi adeguati ed effettivi.
8. La Convenzione è stata approvata a nome della Comunità europea con decisione del Consiglio 2005/370 (3), il cui allegato contiene una dichiarazione della Comunità europea (in prosieguo: la «dichiarazione»), che, per quanto qui rileva, recita quanto segue:
«In relazione all’articolo 9 della convenzione di Aarhus, la Comunità europea invita le parti della convenzione a prendere atto dell’articolo 2, paragrafo 2, e dell’articolo 6 della [direttiva]. Tali disposizioni danno agli Stati membri della Comunità europea la possibilità, in casi eccezionali e a condizioni strettamente specificate, di escludere istituzioni e organismi determinati dalle norme sulle procedure di ricorso in relazione alle decisioni sulle richieste di informazione.
Pertanto, la ratifica da parte della Comunità europea della convenzione di Aarhus abbraccia qualsiasi riserva da parte di uno Stato membro della Comunità europea nella misura in cui siffatta riserva sia compatibile con l’articolo 2, paragrafo 2, e con l’articolo 6 della [direttiva]».
9. Nel ratificare la Convenzione il 20 maggio 2005, la Svezia ha formulato una riserva che, per quanto qui rileva, recita quanto segue: «La Svezia formula una riserva in relazione all’art. 9, n. 1, per quanto riguarda l’accesso ad una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale avverso decisioni assunte dal parlamento, dal governo e dai ministri in merito a questioni concernenti la pubblicazione di documenti ufficiali». La Germania ha ratificato la Convenzione il 15 gennaio 2007, senza formulare alcuna riserva.
La direttiva
10. La direttiva è stata adottata nel 2003, prima che il Consiglio approvasse la Convenzione. Il ‘considerando’ 5 chiarisce che la direttiva mirava a rendere l’allora diritto comunitario coerente con la Convenzione in vista della sua conclusione da parte della Comunità. La direttiva abbraccia il primo pilastro della Convenzione, insieme a quelle parti del terzo pilastro che rilevano per l’accesso all’informazione.
11. Il ‘considerando’ 16 recita: «Il diritto all’informazione implica che la divulgazione dell’informazione sia ritenuta un principio generale e che alle autorità pubbliche sia consentito respingere una richiesta di informazione ambientale in casi specifici e chiaramente definiti. Le ragioni di rifiuto dovrebbero essere interpretate in maniera restrittiva, ponderando l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle (…)».
12. L’art. 1, lett. a), indica che uno degli obiettivi della direttiva è di «garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse e stabilire i termini e le condizioni di base nonché modalità pratiche per il suo esercizio».
13. L’art. 2, n. 2, primo periodo, definisce l’«autorità pubblica» come «il governo o ogni altra amministrazione pubblica, compresi gli organi consultivi pubblici, a livello nazionale, regionale o locale», oltre che, di nuovo, come ogni persona fisica o giuridica avente responsabilità o funzioni pubbliche connesse con l’ambiente. Il secondo e il terzo periodo prevedono che: «Gli Stati membri possono stabilire che questa definizione non comprende gli organismi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative. Se alla data di adozione della presente direttiva nessuna disposizione costituzionale prevede procedure di riesame ai sensi dell’articolo 6 [(4)], gli Stati membri possono escludere detti organismi o istituzioni da tale definizione».
14. L’art. 3, n. 1, della direttiva dispone: «Gli Stati membri provvedono affinché le autorità pubbliche siano tenute, ai sensi delle disposizioni della presente direttiva, a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse».
15. Le disposizioni rilevanti dell’art. 4 recitano quanto segue:
«1. Gli Stati membri possono disporre che una richiesta di informazione ambientale sia respinta nei seguenti casi:
(…)
d) se la richiesta riguarda materiale in corso di completamento ovvero documenti o dati incompleti;
e) se la richiesta riguarda comunicazioni interne, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione.
(…)
2. Gli Stati membri possono disporre che la richiesta di informazione ambientale sia respinta qualora la divulgazione di tale informazione rechi pregiudizio:
a) alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche qualora essa sia prevista dal diritto;
(…)
I motivi di rifiuto di cui ai paragrafi 1 e 2 sono interpretati in modo restrittivo tenendo conto nel caso specifico dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione. In ogni caso specifico l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione è ponderato con l’interesse tutelato dal rifiuto. Gli Stati membri non possono, in virtù del paragrafo 2, letter[a] a) (…), disporre che una richiesta sia respinta se quest’ultima concerne informazioni sulle emissioni nell’ambiente.
(…)
4. L’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per loro conto e oggetto di richiesta è messa a disposizione in maniera parziale quando è possibile estrarre dal resto dell’informazione richiesta le informazioni indicate al paragrafo 1, lettere d) ed e), o al paragrafo 2.
(…)»
Il diritto tedesco
16. L’Umweltinformationsgesetz (legge sull’informazione relativa all’ambiente, in prosieguo: l’«UIG») ha attuato la direttiva nel diritto federale tedesco.
17. L’art. 2, n. 1, sub. 1, dell’UIG include «il governo e gli altri organi della pubblica amministrazione” tra gli organi tenuti a rilasciare informazioni. Tuttavia, l’art. 2, n. 1, sub. 1, lett. a), esclude espressamente «le supreme autorità federali, qualora siano parti attive nell’ambito della legislazione o della formulazione di disposizioni regolamentari [“Rechtsverordnungen”]».
18. Ai sensi dell’art. 8, n. 1, sub. 2, dell’UIG, qualora la divulgazione delle informazioni rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni di organi tenuti alla divulgazione ai sensi dell’art. 2, n. 1, la domanda deve essere respinta, a meno che sussista un prevalente interesse pubblico alla divulgazione, benché l’accesso alle informazioni ambientali sulle emissioni non possa essere negato in base a tale motivo. Ai sensi dell’art. 8, n. 2, sub. 2, una richiesta di informazioni interne deve essere ugualmente respinta, a meno che sussista un prevalente interesse pubblico alla divulgazione.
19. Sono state altresì richiamate alcune disposizioni del Verwaltungsverfahrensgesetz (Legge sul procedimento amministrativo, in prosieguo: il «VwVfG»).
20. L’art. 28, n. 1, del VwVfG dispone: «Prima dell’adozione di un atto amministrativo che incide sui diritti di un interessato, quest’ultimo deve avere la possibilità di esprimersi sui fatti alla base della decisione».
21. L’art. 29, nn. 1 e 2, del VwVfG recita quanto segue:
«1) L’autorità amministrativa deve consentire alle parti interessate di avere accesso agli atti relativi al procedimento, qualora la conoscenza di tali atti sia necessaria per far valere o difendere i loro interessi giuridici. Fino alla chiusura del procedimento amministrativo, il primo periodo non si applica né ai progetti di decisioni, né ai lavori direttamente connessi alla loro preparazione. (…)
2) L’autorità amministrativa non è tenuta a consentire l’accesso agli atti, qualora esso pregiudichi il regolare adempimento dei suoi compiti, qualora la divulgazione del contenuto degli atti arrechi pregiudizio agli interessi della federazione o di un Land, oppure qualora i fatti debbano essere mantenuti segreti in forza di una legge o della loro natura, in particolare in ragione dei legittimi interessi delle parti interessate o di terzi».
22. L’art. 68, n. 1, del VwVfG dispone, in particolare, che le udienze amministrative non devono essere aperte al pubblico, sebbene dei terzi possano essere autorizzati ad assistere, purché nessuna parte interessata si opponga.
Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali
23. La Flachglas Torgau GmbH (in prosieguo: la «Flachglas Torgau») è un produttore di vetro che partecipa allo scambio di quote di emissione di gas serra. In tale contesto, ha chiesto al Ministero federale per l’ambiente (in prosieguo: il «Ministero») le informazioni, da esso detenute, relative alla legge sul piano di assegnazione delle quote di emissione di gas serra per il periodo di assegnazione 2005-2007 (5).
24. Le informazioni richieste riguardavano sia il procedimento legislativo di adozione della suddetta legge, sia la sua attuazione. In particolare, concernevano note interne e pareri scritti del Ministero e la corrispondenza, inclusi gli scambi di posta elettronica, con l’agenzia tedesca per lo scambio di quote di emissione, un’autorità indipendente.
25. Il Ministero ha respinto interamente la richiesta. Per quanto riguarda le informazioni relative alla sua partecipazione al procedimento legislativo, ha ritenuto di essere, ai sensi dell’art. 2, n. 1, sub. 1, lett. a), dell’UIG, un «organ[o] tenut[o] a rilasciare informazioni». Le ulteriori informazioni derivanti da deliberazioni riservate e la cui divulgazione avrebbe potuto avere effetti negativi sull’effettività delle procedure di deliberazione, erano coperte dall’art. 8, n. 1, sub. 2, dell’UIG. Infine, le comunicazioni interne erano tutelate dall’art. 8, n. 2, sub. 2, dell’UIG e non sussisteva un prevalente interesse pubblico alla loro divulgazione.
26. La Flachglas Torgau ha impugnato il rifiuto dinanzi al Verwaltungsgericht (tribunale amministrativo), cha ha accolto parzialmente il ricorso. In sede di appello proposto dalla Flachglas Torgau e di appello incidentale proposto dal Ministero, l’Oberverwaltungsgericht (corte d’appello amministrativa) ha ritenuto che il Ministero avesse agito nell’ambito di un procedimento legislativo e che, ai sensi dell’art. 2, n. 1, sub. 1, lett. a), dell’UIG, non fosse tenuto a fornire informazioni in quanto coinvolto nella preparazione e nell’elaborazione della legislazione. Tuttavia, ha altresì ritenuto che il Ministero non potesse basarsi sulla riservatezza delle deliberazioni come motivo di rifiuto e che non avesse dimostrato in che modo la divulgazione delle informazioni avesse effetti negativi sulla riservatezza delle procedure di deliberazione. Ha ordinato al Ministero di riconsiderare la propria decisione alla luce della sentenza.
27. Entrambe le parti hanno presentato ricorso al Bundesverwaltungsgericht. Secondo la Flachglas Torgau il diritto dell’UE non consente di esonerare i ministeri dall’obbligo di fornire informazioni qualora agiscano nell’ambito di un procedimento legislativo parlamentare e, in ogni caso, la tutela dell’attività di preparazione legislativa si esaurisce con la promulgazione della legge. La Flachglas Torgau ha altresì sostenuto che il Ministero non poteva fondarsi sulla riservatezza delle deliberazioni come motivo di rifiuto, poiché il diritto dell’UE esigeva che la riservatezza fosse prevista da una espressa disposizione di legge, ulteriore rispetto alle norme generali in materia di informazione ambientale.
28. Il Bundesverwaltungsgericht ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni:
«1) a) Se l’art. 2, n. 2, secondo comma, della [direttiva] debba essere interpretato nel senso che agiscono nell’esercizio di competenze legislative solo gli organismi o le istituzioni ai quali, secondo l’ordinamento nazionale, spetta la decisione finale (vincolante) nel procedimento legislativo, ovvero che agiscono nell’esercizio di competenze legislative anche gli organismi o le istituzioni ai quali, secondo l’ordinamento nazionale, spettano competenze e diritti di partecipazione nell’ambito del procedimento legislativo, in particolare il potere di proporre disegni di legge e la facoltà di presentare pareri riguardanti proposte di legge.
b) Se gli Stati membri possano prevedere che la nozione di autorità pubblica non comprende gli organismi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative, qualora, alla data di adozione della direttiva, nessuna disposizione costituzionale prevedeva procedure di riesame ai sensi dell’art. 6 della [direttiva]
c) Se gli organismi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio di competenze legislative non siano compresi nella nozione di autorità pubblica solo per il periodo che termina con la chiusura del procedimento legislativo.
2) a) Se la riservatezza delle deliberazioni ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. a), della [direttiva] sia prevista dal diritto nel caso in cui la norma nazionale adottata per trasporre la [direttiva] disponga in generale che la richiesta di informazione ambientale debba essere respinta qualora la divulgazione di tale informazione rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni dell’organo tenuto al rilascio dell’informazione, o se sia necessaria a tal fine un’apposita norma di legge che disponga la riservatezza delle deliberazioni.
b) Se la riservatezza delle deliberazioni ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. a), della [direttiva] sia prevista dal diritto qualora dall’ordinamento nazionale risulti un generale principio giuridico non scritto secondo cui i procedimenti amministrativi delle autorità pubbliche non sono aperti al pubblico».
29. La Flachglas Torgau, il governo tedesco e la Commissione hanno presentato osservazioni sia scritte che orali.
Valutazione
Metodo di interpretazione della direttiva
30. La Convenzione e la direttiva riflettono la decisione di assicurare una maggiore trasparenza. I lavori preparatori (6) e i ‘considerando’ (7) di entrambi gli atti mettono l’accento sulla trasparenza e l’accesso all’informazione, in particolare con riguardo alla capacità dei cittadini di responsabilizzare le autorità pubbliche. Che in generale la trasparenza sia utile è infatti difficilmente contestabile. In particolare, la disponibilità pubblica di informazioni può favorire migliori prassi da parte di coloro che assumono decisioni sulla base di tali informazioni.
31. Certo, non si prevede una trasparenza illimitata. Se i benefici indotti da un sistema trasparente non sono controversi, non lo è neppure riconoscere che la trasparenza può dar luogo a difficoltà, come rilevato dal governo tedesco. La Corte, tuttavia, pur riconoscendo tali difficoltà, ha mostrato la tendenza a scegliere, in contesti analoghi, interpretazioni che favoriscano la trasparenza (8).
32. In caso di ambiguità, pertanto, la direttiva dovrebbe essere interpretata in modo da favorire la trasparenza e l’accesso alle informazioni, e qualsiasi disposizione che ne limiti la portata sotto tale profilo – come l’art. 2, n. 2, che contempla una limitazione della categoria delle autorità tenute a rendere disponibili le informazioni, oppure l’art. 4, nn. 1 e 2, che permette di rifiutare la divulgazione delle informazioni in determinate circostanze – dovrebbe essere interpretata restrittivamente. Infatti, in relazione all’ultima disposizione, la direttiva stessa prevede specificatamente che i motivi di rifiuto siano interpretati in modo restrittivo.
Sulla prima questione
33. Ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva, la Germania ha escluso dall’obbligo di rendere disponibili le informazioni ambientali «le supreme autorità federali, qualora siano parti attive nell’ambito della legislazione o della formulazione di disposizioni regolamentari». L’organismo cui è stato domandato di fornire informazioni nella presente causa era un ministero federale, anziché che un organismo parlamentare. Con le tre parti della sua prima questione, il giudice del rinvio chiede quindi essenzialmente: a) se la direttiva consente di escludere gli organismi il cui ruolo nel procedimento legislativo è limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative, b) se è affatto possibile escludere gli organismi le cui decisioni erano già sottoposte ad una procedura di riesame, e c) se qualunque esclusione è consentita solo finché il procedimento legislativo non è concluso. Tuttavia, esaminerò il punto b), che appare logicamente antecedente, prima del punto a) – che a sua volta appare più strettamente legato al punto c).
b) Possibilità di escludere gli organismi le cui decisioni erano già sottoposte ad una procedura di riesame ai sensi dell’art. 6
34. Il secondo e il terzo periodo dell’art. 2, n. 2, recitano: «Gli Stati membri possono stabilire che [la definizione di autorità pubblica] non comprende gli organismi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative. Se alla data di adozione della presente direttiva nessuna disposizione costituzionale prevede procedure di riesame ai sensi dell’articolo 6, gli Stati membri possono escludere detti organismi o istituzioni da tale definizione».
35. Il giudice del rinvio chiede chiarimenti sul rapporto tra i due succitati periodi. In altri termini, chiede se il terzo periodo circoscrive le circostanze in cui uno Stato membro può far ricorso all’opzione di cui al secondo periodo (tesi della Flachglas Torgau) o se dispone una distinta opzione, cui si può far ricorso in circostanze specifiche, ma che è autonoma rispetto a quella del secondo periodo (tesi preferita dal governo tedesco e dalla Commissione).
36. È pacifico che, al tempo dell’adozione della direttiva, il diritto costituzionale tedesco prevedeva il riesame giurisdizionale delle decisioni come quella del Ministero nella presente causa. Di conseguenza, se dovesse prevalere l’interpretazione della Flachglas Torgau, non vi sarebbe alcuna possibilità per la Germania di escludere organismi come il Ministero dalla definizione di autorità pubblica, anche qualora agiscano nell’esercizio di competenze legislative.
37. Comunque venga letto, il rapporto tra i due periodi non è chiaro. Come osservato dalla Commissione, il terzo periodo è stato aggiunto in una fase tardiva del procedimento legislativo, nel Comitato di conciliazione convocato ai sensi dell’art. 251, n. 3, CE (9). Se l’inserimento è stato effettuato in quella fase per uno scopo preciso, i redattori possono non aver considerato appieno il suo rapporto con il testo circostante o le sue implicazioni per l’interpretazione di tale testo. Tuttavia sorge la questione di quale fosse lo scopo preciso cui serviva. Sfortunatamente, ancora una volta come evidenziato dalla Commissione, i lavori preparatori non offrono chiare indicazioni. Sono state prospettate due ipotesi.
38. La Flachglas Torgau osserva che il terzo periodo è stato aggiunto dopo un fallito tentativo del Parlamento di modificare il secondo periodo come segue: «Gli Stati membri possono stabilire che, nel quadro dell’applicazione delle disposizioni riguardanti il diritto di ricorso della presente direttiva, la definizione di "autorità pubblica" non comprenda gli organi che esercitano competenze legislative o giudiziarie» (il corsivo è mio) (10). Tale proposta mirava pertanto a sottoporre tutte le autorità pubbliche all’obbligo di rendere disponibili le informazioni ambientali, consentendo un’esclusione solo dalla necessità di prevedere un riesame giurisdizionale di qualsiasi rifiuto di una richiesta di informazioni. La Flachglas Torgau sostiene che il terzo periodo dell’art. 2, n. 2, era stato inserito durante la procedura di conciliazione come una sorta di quid pro quo in cambio del rigetto della proposta del Parlamento e che era volto ad imporre una condizione sostanziale all’esercizio dell’opzione di cui al secondo periodo.
39. La Commissione e il governo tedesco propongono una motivazione differente, ossia che l’inserimento era volto a spianare la strada alla riserva (11) che la Svezia avrebbe dovuto formulare al momento della ratifica della Convenzione e ad ospitare tale riserva nell’ambito della direttiva. La prospettata riserva della Svezia rispecchiava la sua situazione giuridica interna, dove non sussistevano procedure di riesame giurisdizionale delle decisioni dei più alti organi dello Stato su questioni concernenti la divulgazione di documenti ufficiali. La dichiarazione (12), che si riferiva specificatamente all’art. 2, n. 2, della direttiva in associazione con qualsiasi riserva formulata da uno Stato membro, forniva quindi il necessario collegamento. Il governo tedesco sostiene pertanto che, mentre il secondo periodo dell’art. 2, n. 2, permette agli Stati membri di escludere gli organismi che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative, il terzo periodo consente un’esclusione totale degli organi giurisdizionali o legislativi in quanto tali. La Commissione ritiene inoltre che il secondo e il terzo periodo siano alternativi.
40. Non sono persuaso dalla spiegazione della Flachglas Torgau. Dato che l’emendamento proposto dal Parlamento non era stato accolto (13), sarebbe sorprendente se la soluzione adottata nel Comitato di conciliazione si fosse spinta anche oltre tale proposta nel limitare la portata della possibile esclusione dalla definizione di «autorità pubblica». La direttiva va già oltre la Convenzione nel permettere solamente che gli Stati membri possano prevedere un’esclusione dalla definizione, mentre la Convenzione stabilisce che la definizione «non comprende» gli organi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo. L’emendamento del Parlamento avrebbe limitato l’esclusione consentita alla sfera del riesame giurisdizionale. Tuttavia, l’interpretazione della direttiva della Flachglas Torgau precluderebbe del tutto qualsiasi esclusione salvo che in particolari circostanze costituzionali – che, possiamo dedurre, non sono comuni, in quanto solo la Svezia ha formulato una riserva alla Convenzione al riguardo.
41. L’interpretazione alternativa proposta dal governo tedesco e dalla Commissione potrebbe apparire più convincente. L’ordinamento giuridico svedese non consentiva il riesame giurisdizionale delle decisioni concernenti la divulgazione di documenti ufficiali assunte dal parlamento, dal governo o dai ministri. Pertanto la Svezia ha formulato una riserva in relazione all’art. 9, nn. 1 e 2, della Convenzione con riguardo al riesame giurisdizionale di tali decisioni. Si può ben comprendere che la Svezia sarebbe stata restia a farsi vincolare dalla direttiva ad un obbligo rispetto al quale aveva intenzione di formulare una riserva in diritto internazionale. Avrebbe pertanto avuto bisogno che la direttiva consentisse ad uno Stato membro nelle proprie specifiche circostanze di creare un’esclusione generalizzata per alcuni organismi, piuttosto che un’esclusione con riferimento alle competenze da essi esercitate. La dichiarazione sembra confermare tale lettura. Mette in evidenza che gli artt. 2, n. 2, e 6 offrono agli Stati membri la possibilità «in casi eccezionali e a condizioni strettamente specificate», di escludere istituzioni e organismi determinati dalle norme sulle procedure di ricorso, e precisa che la ratifica da parte dell’UE della Convenzione abbraccia qualsiasi riserva da parte di uno Stato membro che sia compatibile con detti articoli. La dichiarazione racchiude essa stessa una riserva, che ha consentito all’UE di aderire alla Convenzione senza pregiudicare la posizione assunta da uno qualsiasi dei suoi Stati membri.
42. Tuttavia, entrambe le spiegazioni sono ipotetiche e pare difficile affermare con certezza che una delle due è corretta. Le diverse parti possono essersi basate su assunti differenti durante la procedura di conciliazione, per cui può essere imprudente cercare di dedurre dal contesto un unico intento legislativo. La formulazione stessa, come ho detto, non è di aiuto. Se il terzo periodo fosse stato introdotto da un termine come «inoltre» oppure «alternativamente», il significato avrebbe potuto essere più chiaro. Ma così non è. Tutto quello che si può dire con certezza è che la formulazione non avvalora in modo chiaro l’interpretazione della Flachglas Torgau, che comporterebbe una maggiore divergenza tra la Convenzione e la direttiva rispetto all’interpretazione proposta dal governo tedesco e dalla Commissione. Dato che l’obiettivo principale della direttiva era di allineare il diritto dell’UE alla Convenzione, sembra preferibile adottare la seconda impostazione, che si discosta meno dalla Convenzione.
43. Ritengo pertanto che il terzo periodo dell’art. 2, n. 2, della direttiva contenga un’opzione (di cui in ogni caso la Germania non ha cercato di avvalersi) completamente separata da quella del secondo periodo (di cui la Germania si è avvalsa). Di conseguenza, il fatto che le disposizioni costituzionali della Germania, alla data di adozione della direttiva, permettevano in effetti una procedura di riesame per le decisioni di organismi quali il Ministero (così che il terzo periodo dell’art. 2, n. 2, non può essere invocato nei loro confronti) non le impedisce di avvalersi del secondo periodo e, all’art. 2, n. 1, sub. 1, lett. a, dell’UIG, di escludere dalla definizione di «autorità pubblica» alcune autorità in base alla natura della loro attività.
44. Tuttavia, se il contenuto di tale disposizione in effetti corrisponda esattamente a quello del secondo periodo dell’art. 2, n. 2, della direttiva è un quesito da affrontare nell’ambito del punto a) della questione posta dal giudice del rinvio.
a) Organismi il cui ruolo nel procedimento legislativo è limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative
45. Il secondo periodo dell’art. 2, n. 2, consente agli Stati membri di escludere dall’ambito di applicazione della direttiva organismi, altrimenti ricompresi nella definizione di «autorità pubblica», «che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative». Appare quindi chiaro che è intesa una definizione contestuale, funzionale, dipendente dalla natura dell’attività svolta in un dato momento, piuttosto che una definizione strutturale in cui la natura dell’organismo considerato lo fa ricadere in uno o nell’altro dei tre poteri di Montesquieu (14). Inoltre, come indicato dalla Commissione, solo un’interpretazione funzionale consente di tener conto dei differenti sistemi legislativi degli Stati membri in modo tale da fornire un ragionevole grado di uniformità.
46. In base ad una classificazione strutturale, il Ministero apparterrebbe presumibilmente al potere esecutivo e non sarebbe un organo legislativo. Tuttavia, ci dicono, il potere esecutivo è in Germania – come probabilmente in tutti gli Stati membri – il primo promotore del processo legislativo nel parlamento federale. E durante l’avanzamento di un disegno di legge in sede legislativa, il Ministero può essere consultato e può formulare pareri. Al riguardo, esso agisce chiaramente «nell’ambito della legislazione», per usare i termini dell’art. 2, n. 1, sub. 1, lett. a), dell’UIG. Ma ci si chiede se ciò sia la stessa cosa di agire «nell’esercizio di competenze (…) legislative» ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva.
47. Il Ministero, a quanto sembra, può anche emanare disposizioni regolamentari, presumibilmente misure di attuazione che ha il potere di adottare in base alla legislazione primaria. Ancora una volta si può porre la domanda se nel far ciò esso agisca nell’esercizio di competenze legislative.
48. Dall’ordinanza di rinvio risulta che la Flachglas Torgau ha richiesto informazioni «derivanti dal procedimento legislativo» relative alla legge in questione – che, a quanto sembra, è stata emanata dal legislatore istituzionale e non è una misura di attuazione adottata dal Ministero stesso. Sebbene il giudice nazionale non sia più esplicito in merito all’esatta natura dell’informazione richiesta (15), devo fare la medesima considerazione di quella che sta alla base sia della domanda stessa sia di tutte le osservazioni sottoposte alla Corte, ossia che è il coinvolgimento del Ministero quale promotore e consulente nel procedimento legislativo a dover essere valutato. Di conseguenza non devo affrontare la questione se il Ministro possa «[agire] nell’esercizio di competenze (…) legislative» quando esercita i suoi ulteriori poteri di emanare disposizioni regolamentari, una questione che non sembra rilevante per la causa principale.
49. Sembra opportuno iniziare prendendo in considerazione lo scopo dell’esclusione di organismi che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative. Sfortunatamente, tuttavia, una espressa spiegazione di detto scopo sembra essersi persa nella notte dei tempi.
50. La direttiva è stata adottata per allineare quello che era allora il diritto comunitario alle disposizioni della Convenzione, ma dai lavori preparatori della Convenzione (16) non risulta alcuna indicazione che sia stata prestata particolare attenzione alla formulazione dell’esclusione, che era già presente nel progetto iniziale. Infatti, come evidenziato dalla Commissione, gran parte della Convenzione ha tratto inizialmente ispirazione ed è stata elaborata sulla base della legislazione comunitaria esistente, ivi inclusa la direttiva antecedente a quella attuale (17), che già conteneva l’eccezione nella medesima formulazione (18).
51. L’unica testimonianza di una qualsiasi considerazione dello scopo dell’esclusione consentita è rinvenibile nella relazione del Parlamento in prima lettura sulla proposta della direttiva attuale (19), dove, nel cercare di limitare l’ambito dell’esclusione all’obbligo del riesame giurisdizionale (in contrapposizione all’obbligo di rendere disponibili le informazioni), si presume che la ragione della restrizione sia la classica idea dell’equilibro tra il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, ma si ritiene che la separazione dei poteri sarebbe più equa se i cittadini potessero accedere simmetricamente all’informazione in possesso di tutti e tre i poteri. Detta ipotesi, tuttavia, non è di particolare rilievo per la questione se il potere esecutivo in certe circostanze possa agire nell’esercizio di competenze legislative.
52. Il governo tedesco sostiene che la ragione dell’esclusione era di proteggere l’attività legislativa in campo ambientale – in relazione alla quale spesso vengono sostenute ed espresse opinioni in maniera vigorosa – da insistenti richieste di informazioni, da veementi contestazioni delle informazioni ottenute e da strenui tentativi di influenzare gli esiti sulla base di tali informazioni. Essa mira quindi a consentire all’intero procedimento legislativo, dal disegno di legge alla promulgazione, ma in particolare nei dibattiti e negli scambi che permettono il formarsi delle opinioni, di svolgersi senza qualsiasi interferenza del genere.
53. L’osservazione di base del governo tedesco ha un certo pregio come ipotesi se, per il momento, la consideriamo relativa al potere giudiziario e legislativo in quanto tali. L’esercizio delle funzioni sia giurisdizionali che legislative potrebbe essere pregiudicato se informazioni di qualsiasi genere riguardanti ogni singola fase del procedimento – analisi delle questioni e dei dati rilevanti, deduzione di conclusioni da tale analisi e formulazione di una decisione finale – potessero essere domandate di diritto in ogni momento da qualsiasi membro del pubblico (20). Sembra ragionevole ritenere che coloro che hanno redatto il primo degli strumenti normativi in questione avessero in mente considerazioni del genere (21) e che tali considerazioni siano state recepite, benché implicitamente, da coloro che hanno partecipato alla redazione degli strumenti successivi.
54. Tuttavia, non è in alcun modo consigliabile, né risulterebbe coerente con il senso complessivo della Convenzione o della direttiva, che l’attività legislativa o giurisdizionale si svolga in assoluta segretezza. Si ritiene generalmente necessario, al fine di assicurare lo stato di diritto e il governo democratico, che sia gli organi giurisdizionali sia le assemblee legislative operino alla presenza del pubblico (o almeno dei mezzi di comunicazione quali intermediari), salvo che in circostanze del tutto eccezionali – ed è inoltre generalmente riconosciuto che tali circostanze siano più comuni nel corso dell’attività giurisdizionale che di quella legislativa. Salvo che in circostanze del tutto eccezionali, quindi, in nessuno dei due casi dovrebbero essere assunte delle decisioni sulla base di fatti o motivi che sono tenuti nascosti ai cittadini.
55. Pertanto, nell’ambito giurisdizionale, è del tutto appropriato che un collegio di giudici deliberi in segreto (come un giudice monocratico deve necessariamente fare). Come corollario, tuttavia, i motivi in base ai quali hanno assunto la loro decisione devono essere resi pubblici, insieme alle prove e agli argomenti che hanno preso in considerazione. Mutatis mutandis – e accantonando, per il momento, il problema dell’estensione temporale dell’esclusione, che è oggetto del punto c) della prima questione – sono disposto ad accogliere un analogo fondamento logico ed un analogo limite per l’esclusione dall’obbligo di rendere disponibili le informazioni per gli organismi che agiscono nell’esercizio di competenze legislative. Ma il fatto che un particolare tema susciti un dibattito pubblico animato, a mio parere, non è una ragione sufficiente a proteggere l’intero procedimento di meditazione, preparazione e attuazione della legislazione da tutte le richieste di informazioni.
56. Tuttavia, ciò non fornisce ancora una risposta alla questione se le autorità dell’esecutivo, quando presentano disegni di legge al legislatore o formulano pareri nel corso dell’adozione della legislazione, siano destinate ad essere soggette alla medesima protezione da inopportune e illimitate richieste di informazioni.
57. Un’indicazione su cui si basa la Flachglas Torgau e menzionata dal giudice nazionale nella sua ordinanza di rinvio discende dalla guida all’applicazione della Convenzione, pubblicata nel 2000 dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (United Nations Economic Commission for Europe, UN/ECE) (22), che, inter alia, recita che: «Il coinvolgimento delle autorità dell’esecutivo nella redazione della legislazione in collaborazione con il potere legislativo merita una menzione a parte. La collaborazione tra le autorità del potere esecutivo e quelle del potere legislativo nei processi di produzione legislativa è riconosciuta all’art. 8. Dato che le attività delle autorità pubbliche nella redazione di regolamenti, leggi e atti normativi sono espressamente coperte tale articolo, è logico concludere che la Convenzione non considera dette attività come esercizio di “competenze (…) legislative”. Pertanto, le autorità dell’esecutivo che intraprendono tali attività sono autorità pubbliche ai sensi della Convenzione».
58. Tuttavia, come puntualizzato dal governo tedesco e dalla Commissione, detto documento non ha alcun valore autoritativo per quanto riguarda l’interpretazione della Convenzione. I suoi autori precisano che le opinioni espresse non riflettono necessariamente quelle dell’UN/ECE o di qualsiasi organizzazione che sponsorizzava la guida; né risulta che sia stata specificatamente approvata dalle parti della Convenzione. Inoltre, il riferimento all’art. 8 della Convenzione non sembra pertinente in relazione ai procedimenti legislativi del genere in questione nella presente causa, dove una proposta dell’esecutivo è soggetta al controllo parlamentare dei rappresentanti eletti dal popolo. L’art. 8 sembra riguardare, piuttosto, la diretta partecipazione pubblica qualora vengano redatti regolamenti di attuazione (23). Pertanto, un’interpretazione plausibile del rapporto tra la nozione di «competenze (…) legislative» di cui all’art. 2, n. 2, e quella di «elaborazione di regolamenti di attuazione e/o strumenti normativi giuridicamente vincolanti di applicazione generale» di cui all’art. 8, sarebbe quella di ritenere che la prima nozione si riferisce soltanto alla legislazione primaria implicante una qualche forma di controllo e dibattito parlamentari, mentre la seconda riguarda misure secondarie, di attuazione, adottate in base ad una norma di autorizzazione, in assenza di qualsiasi processo democratico del genere. Pertanto, benché non completamente priva di valore, la dimostrazione dedotta dalla guida all’applicazione non dovrebbe essere considerata in alcun modo decisiva.
59. Più importanti, a mio parere, come elementi da prendere in considerazione sono: l’ enfasi su una definizione funzionale di «agiscono nell’esercizio di competenze (...) legislative»; la preoccupazione di assicurare che il procedimento legislativo in quanto tale si svolga senza interferenze; e lo scopo sia della Convenzione che della direttiva di garantire la trasparenza nelle questioni ambientali e l’accesso più ampio possibile all’informazione ambientale.
60. Per quanto riguarda il primo di tali elementi, nel presentare una proposta di provvedimento al legislatore, un’autorità dell’esecutivo – come il Ministero nella presente causa – agisce in effetti al confine tra l’attività dell’esecutivo e quella legislativa. Da un lato, determinare la politica di governo e formularla nel progetto di documento è una funzione dell’esecutivo; d’altro lato, l’effettiva presentazione della proposta è una funzione indistinguibile da quella di un singolo membro dell’assemblea legislativa (o un gruppo di tali membri) che presenta una proposta affinché venga esaminata, che può essere qualificata solo come attività legislativa (24). Considerazioni analoghe sono valide in relazione a consultazioni e pareri nel corso del procedimento legislativo. Tuttavia, sebbene le due funzioni possano essere chiaramente percepite, è impossibile separarle, almeno nel contesto e nel corso del procedimento legislativo istituzionale, dalla presentazione del progetto di provvedimento fino all’adozione definitiva della legislazione. Sono, in questo contesto, due facce della stessa medaglia.
61. Conseguentemente, secondo me, la preoccupazione di garantire che il procedimento legislativo si svolga senza interferenze deve prevalere in quel contesto, o il vero scopo dell’esclusione sarebbe vanificato. Lo svolgimento del procedimento non sarebbe tutelato da un’esclusione applicabile solo ad una via di accesso all’informazione (una richiesta al legislatore stesso), mentre un’altra via (una richiesta alla pertinente parte dell’esecutivo) resterebbe aperta.
62. È probabile che, sebbene il coinvolgimento dell’esecutivo nel procedimento legislativo possa seguire in linea di massima il medesimo modello in tutti gli Stati membri, vi siano delle differenze di dettaglio tra uno Stato membro e l’altro. Di conseguenza, spetterà sempre al giudice nazionale competente verificare se, nel contesto giuridico e costituzionale del suo Stato membro, lo specifico ruolo svolto dall’esecutivo nel momento concreto faccia in effetti parte del procedimento legislativo. Dato che l’esclusione costituisce un’eccezione rispetto allo scopo generale della trasparenza e dell’accesso all’informazione promosso dalla Convenzione e dalla direttiva, il giudice nazionale deve essere attento nello svolgere questo compito.
63. Ritengo pertanto che il punto a) della prima questione del giudice del rinvio debba essere risolto nel senso che, a norma dell’art. 2, n. 2, della direttiva, gli organismi dell’esecutivo che, nel contesto giuridico e costituzionale del loro Stato membro, svolgono un ruolo nel procedimento legislativo limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative possono essere esclusi dalla definizione di «autorità pubblica» quando esercitano tale ruolo.
64. Tale risposta, a mio parere, è sufficiente a risolvere le questioni sollevate nella causa principale, senza affrontare nel dettaglio i criteri alternativi suggeriti nella domanda del giudice del rinvio, ossia se solo gli organismi che assumono la decisione finale, vincolante, nel procedimento legislativo possono essere ritenuti agire nell’esercizio di competenze legislative. Come sottolineato dalla Commissione, i procedimenti legislativi possono variare notevolmente tra gli Stati membri, per cui il rapporto tra agire nell’esercizio di competenze legislative e assumere la decisione finale, vincolante, sulla legislazione non può essere necessariamente definito in termini generali.
65. Nel proporre questa soluzione non ho dimenticato il terzo elemento che ho affermato che dovrebbe essere preso in considerazione, cioè l’obiettivo di assicurare la trasparenza e l’accesso all’informazione ambientale, ma ritengo che tale elemento sia di maggior rilievo per il punto c) della prima questione, che prenderò ora in esame.
c) Se l’esclusione è consentita solo finché il procedimento legislativo non è concluso
66. Quando un organismo agisce nell’esercizio di competenze legislative può essere escluso dalla categoria delle autorità pubbliche tenute a divulgare informazioni ambientali ai sensi della direttiva. Ma ci si chiede se tale esclusione viene a termine ad un certo momento.
67. Come correttamente osservano la Commissione e il governo tedesco, né nella Convenzione né nella direttiva vi è alcuna esplicita previsione di un qualsiasi limite temporale all’esclusione.
68. Ritengo, tuttavia, che – per quanto riguarda organismi quali il Ministero nella presente causa, il cui ruolo legislativo è circoscritto all’iniziativa e alla consultazione – tale limite possa legittimamente essere desunto dalla lettura congiunta dell’art. 2, n. 2, secondo periodo, e dell’art. 3, n. 1, della direttiva.
69. La mia interpretazione di tali disposizioni sarebbe coerente con l’obiettivo della direttiva di garantire la trasparenza e l’accesso alle informazioni ambientali e con la sentenza della Corte nei ricorsi API (25). Certamente, implicherebbe altresì una qualche qualificazione della definizione puramente funzionale dell’espressione «agiscono nell’esercizio di competenze (…) legislative» che ho adottato finora. Tenterò di spiegare meglio.
70. In primo luogo, osservo che l’art. 2, n. 2, della direttiva fornisce una definizione di «autorità pubblica» principalmente al fine di identificare gli organismi tenuti a rendere disponibile l’informazione ambientale. Nel permettere un’esclusione da detta definizione, consente una limitazione della categoria degli organismi soggetti a tale obbligo. L’esclusione ammissibile comprende solo gli organismi «che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative». Sebbene l’esplicito termine «when», contenuto nella versione inglese, non sia presente in tutte le versioni linguistiche, la formulazione sembra sistematicamente implicare che gli organismi possano agire talvolta nell’esercizio di tali competenze e talaltra no – e che l’esclusione possa applicarsi solo quando agiscano nell’esercizio di tali competenze.
71. Poi, ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva, «le autorità pubbliche [sono] tenute (...) a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da ess[e] o per loro conto». Se, ai sensi del secondo periodo dell’art. 2, n. 2, la definizione di «autorità pubblic[he]» dipende dalle competenze da esse esercitate, ne deduco che l’informazione che sono tenute a rendere disponibile può essere solo quella detenuta quando agiscono nell’esercizio delle competenze in questione.
72. Nell’esame del precedente punto a) ho preso posizione nel senso che gli organismi dell’esecutivo il cui ruolo nel procedimento legislativo è limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative possono essere esclusi dalla definizione di «autorità pubblica» quando agiscono nell’esercizio di tale ruolo. Rispetto ad ogni atto legislativo riguardo al quale svolgono detto ruolo, l’esclusione dovrebbe cominciare quando iniziano a svolgerlo e dovrebbe terminare quando finiscono. Prima del momento in cui cominciano a svolgere tale ruolo, agiscono semplicemente come parte del potere esecutivo, definendo e formulando la politica desiderata. Successivamente al momento in cui terminano di svolgere il suddetto ruolo, si preoccuperanno essenzialmente di garantire che la legislazione sia attuata, ancora una volta una funzione dell’esecutivo. È soltanto tra quei due momenti che essi agiscono nell’esercizio di competenze (parzialmente) legislative e che, al fine di garantire che il procedimento legislativo si svolga senza interferenze, deve essere possibile escluderli dalla categoria degli organismi tenuti a rendere disponibili le informazioni. Ed è soltanto tra quei due momenti che l’informazione «detenuta da essi o per loro conto» è detenuta «[quando] agiscono nell’esercizio di competenze (…) legislative».
73. Confronterei la situazione di detti organismi con quella di altri organismi che, in base ad una definizione strutturale, fanno parte del potere legislativo stesso. Rispetto all’approvazione della legislazione e rispetto alla legislazione approvata, gli organismi che fanno parte del potere legislativo agiscono esclusivamente nell’esercizio di competenze legislative. La loro attività nell’esercizio di tali competenze non ha né un inizio né una fine. Non vi è pertanto alcun limite temporale alla possibilità di escluderli dalla definizione di «autorità pubblica» ai sensi della direttiva.
74. Traggo sostegno per tale analisi dalla sentenza della Corte nei ricorsi API – pronunciata, certo, in un contesto leggermente differente, ma nondimeno, a mio parere, altamente pertinente (26). In quella sentenza la Corte aveva affermato che «se (…) può presumersi che la divulgazione delle memorie depositate nell’ambito di un procedimento giurisdizionale pendente arrechi pregiudizio alla tutela del procedimento stesso, in quanto le memorie rappresentano il fondamento dell’esercizio dell’attività giurisdizionale della Corte, ciò non può dirsi qualora il procedimento in questione sia stato definito con una decisione giurisdizionale. (…) Infatti, in quest’ultima ipotesi, non deve più presumersi che la divulgazione delle memorie arrechi pregiudizio all’attività giurisdizionale della Corte, in quanto, dopo la definizione del procedimento, tale attività si conclude» (27). La Corte ha dunque sottolineato che, in tali circostanze, ogni richiesta di accesso dovrebbe essere esaminata individualmente e che una divulgazione parziale potrebbe essere opportuna. Ha quindi accolto la decisione del Tribunale nel senso che l’accesso ai documenti in questione non poteva essere automaticamente rifiutato con la motivazione che avrebbe arrecato pregiudizio alla la tutela delle procedure giurisdizionali, una volta che tali procedure si erano concluse (28).
75. Secondo me, a livello di principio, può essere compiuto un utile confronto con la situazione della presente causa. La direttiva raggruppa le attività giurisdizionali e quelle legislative nel prevedere la possibilità di un’esclusione dalla definizione di autorità pubblica. E, come ho già indicato in precedenza, il fondamento logico è sostanzialmente il medesimo in entrambi i casi. Pertanto, quando un’autorità dell’esecutivo è parte di un procedimento giurisdizionale, in particolare quando è in una posizione analoga a quella del pubblico ministero, il suo rapporto con la funzione giurisdizionale è strettamente paragonabile a quello che ha con la funzione legislativa quando propone progetti legislativi. Se, nel primo caso, l’autorità non può più fare affidamento sull’esclusione sistematica dall’obbligo di divulgare informazioni una volta che il procedimento giurisdizionale è concluso, allora sarebbe una logica e coerente interpretazione del diritto dell’UE se, nel secondo caso, la stessa cosa valesse una volta che il procedimento legislativo si è concluso.
76. Di conseguenza ritengo che, in base ad una corretta interpretazione del secondo periodo dell’art. 2, n. 2, e dell’art. 3 della direttiva, se gli organismi dell’esecutivo il cui ruolo nel procedimento legislativo è limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative sono esclusi dalla definizione di «autorità pubblica» quando svolgono tale ruolo, tale esclusione deve essere circoscritta al periodo tra l’inizio e il termine del procedimento legislativo considerato.
77. Ricordo qui che, anche se, una volta conclusosi il procedimento legislativo, un organismo come il Ministero nella presente causa non può essere escluso dalla definizione di autorità pubblica per quanto riguarda la sua partecipazione a detto procedimento, la direttiva consente alle autorità pubbliche, anche quando non agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative, di negare l’accesso alle informazione sulla base di determinati motivi.
78. Precisamente, l’art. 4, permette agli Stati membri di disporre che una richiesta di informazione ambientale sia respinta, inter alia, se riguarda materiale in corso di completamento o comunicazioni interne, oppure qualora la divulgazione rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche o delle informazioni commerciali o industriali, agli interessi o alla protezione di chi abbia fornito le informazioni di sua propria volontà o alla tutela dell’ambiente. Una o più di tali eccezioni potrebbero essere ritenute applicabili ad informazioni come quelle domandate dai richiedenti nella presente causa. Tuttavia, ai sensi dell’art. 4, n. 2, tali motivi di rifiuto devono essere interpretati in modo restrittivo, tenendo conto in ogni caso specifico dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione. Più specificatamente, gli Stati membri non possono, in virtù di tali eccezioni, disporre che una richiesta sia respinta se la richiesta concerne informazioni sulle emissioni nell’ambiente.
Sulla seconda questione
79. Le due parti della seconda questione del giudice del rinvio riguardano informazioni che non sono coperte dall’esclusione previsto per gli organismi che agiscono nell’esercizio di competenze legislative, ma che forse possono essere negate per proteggere la riservatezza delle deliberazioni interne. Dato che l’art. 4 della direttiva concede tale possibilità solo «qualora [tale riservatezza] sia prevista dal diritto», il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, quanto specifica ed esplicita debba essere detta previsione.
80. Un punto preliminare da tenere a mente, benché non specificatamente sollevato dal giudice del rinvio, è quello di cosa si intenda per «deliberazioni interne» delle autorità pubbliche. Dall’ordinanza di rinvio risulta che le informazioni cui si riferisce la seconda questione del giudice del rinvio sono contenute in note interne e pareri scritti prodotti dal Ministero e nella corrispondenza, inclusi gli scambi di posta elettronica, intercorsa con l’agenzia per lo scambio di quote di emissione. Si chiede in quale misura tali elementi ricadano nella nozione di «deliberazioni interne».
81. All’udienza, il governo tedesco ha sostenuto che il termine includeva le discussioni tra servizi, scritte o orali, ma non, ad esempio, i dati e le statistiche costituenti la base di tali discussioni o delle risultanti decisioni, o le decisioni stesse. La Commissione, tuttavia, ha ritenuto che il suo ambito fosse circoscritto alle «deliberazioni degli organi collegiali».
82. Osservo qui che la formulazione della direttiva (e della Convenzione) può suscitare quale esitazione se si confrontano le diverse versioni linguistiche. Da un lato, la versione autentica francese della Convenzione parla di «délibérations», espressione utilizzata anche nella direttiva, dove è riflessa, ad esempio, dal tedesco «Beratungen» e dall’ancora più specifica espressione «deliberazioni interne» in italiano. Dette versioni sembrano deporre maggiormente a favore della tesi della Commissione. D’altro canto, l’egualmente autentica versione inglese della Convenzione parla di «proceedings», ancora una volta l’espressione che si ritrova nella direttiva, dove è riflessa, ad esempio, da «procedim(i)entos» in spagnolo e in portoghese e da «handelingen» in olandese – tutti termini che possono essere letti come aventi un significato più ampio e quindi come più favorevoli all’interpretazione del governo tedesco.
83. Secondo lo spirito dell’interpretazione restrittiva applicabile alla direttiva nel complesso e all’art. 4, nn. 1 e 2, in particolare, a mio parere la nozione di «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» dovrebbe essere circoscritta, al massimo, alle espressioni di opinioni e alle discussioni di opzioni politiche nel contesto di processi decisionali all’interno di ciascuna autorità. La nozione, certamente, non dovrebbe dipendere dalla forma delle deliberazioni (scritte o orali) e si dovrebbe ricordare che l’art. 4, n. 4, della direttiva prescrive che, ovunque possibile, le informazioni non coperte da un motivo di rifiuto siano separate da quelle coperte. Infine, a mio parere, le comunicazioni tra autorità pubbliche, a prescindere dalla loro natura, non possono essere considerate deliberazioni interne di dette autorità.
84. Queste considerazioni possono avere una certa utilità nello stabilire se le informazioni sono suscettibili di essere coperte dai motivi di rifiuto consentiti dall’art. 4, n. 2, lett. a), della direttiva, anche prima di considerare se la riservatezza sia «prevista dal diritto» ai sensi di detta disposizione.
85. Passo ora ad esaminare le due parti della seconda questione.
a) Se la riservatezza è «prevista dal diritto» nel caso di un riferimento generico alla riservatezza delle deliberazioni interne
86. Il giudice del rinvio chiede se il criterio di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), della direttiva – in base al quale la riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche deve essere «prevista dal diritto» affinché qualsiasi pregiudizio arrecato alla riservatezza sia in grado di giustificare un rifiuto di rendere disponibile l’informazione – è soddisfatto da una disposizione generale secondo la quale una richiesta di accesso alle informazioni ambientali deve essere negata qualora la divulgazione rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità in questione, o se è necessario che tale riservatezza sia contemplata in maniera specifica e separata.
87. Tenendo a mente che il motivo di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), è uno di quelli che devono essere interpretati «in modo restrittivo» in conformità con l’art. 4, n. 2, concordo con la Flachglas Torgau e la Commissione sul fatto che la disposizione impone una qualche forma di obbligo giuridico di mantenere riservate le deliberazioni interne in questione e che la clausola «qualora [tale riservatezza] sia prevista dal diritto» significa che l’esistenza dell’obbligo deve essere autonoma rispetto dal motivo di rifiuto.
88. Sebbene spetti al giudice nazionale valutare il diritto nazionale, a mio parere una disposizione come quella dell’art. 8, n. 1, sub. 2, dell’UIG – che sembra semplicemente disporre che una richiesta deve essere respinta qualora la divulgazione rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni interne – non prescrive essa stessa in maniera autonoma un obbligo di riservatezza per qualsiasi deliberazione interna. Piuttosto, sembra soltanto prevedere un rifiuto nei casi in cui sussista già un obbligo di riservatezza.
89. Tuttavia, se il giudice nazionale ritiene che – come sembra sostenere il governo tedesco dinanzi a questa Corte – l’art. 8, n. 1, sub. 2, dell’UIG, oltre a stabilire un motivo di rifiuto di una richiesta di informazione, imponga anche e in maniera autonoma un obbligo di riservatezza rispetto alle deliberazioni interne delle autorità pubbliche considerate, allora a mio parere si può ritenere che ciò soddisfi il criterio di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), della direttiva. Non mi sembra necessario che l’obbligo di riservatezza debba essere stabilito formalmente in una disposizione separata da quella che prevede il motivo di rifiuto (anche se sarebbe consigliabile). È soltanto necessario che, dal punto di vista giuridico, uno sia indipendente dall’altro. Lo stesso criterio, aggiungo ancora, sarebbe anche soddisfatto da qualsiasi altra disposizione nazionale che preveda un tale obbligo riguardo ad alcune o tutte le deliberazioni interne delle autorità pubbliche – anche se, data la mancanza di qualsiasi riferimento a tale altra disposizione, sia nell’ordinanza di rinvio sia nelle osservazioni presentate alla Corte, si può ritenere probabile che non ne sussista alcuna.
90. Oltre all’aspetto dell’indipendenza giuridica dell’obbligo di riservatezza rispetto al motivo di rifiuto, a mio parere ciò che sta al centro dell’espressione «prevista dal diritto» è il concetto di certezza del diritto nella misura in cui esclude qualsiasi margine per una decisione arbitraria. Se un’autorità pubblica ha un qualsivoglia potere discrezionale di decidere se le proprie deliberazioni interne sono riservate o meno, allora la loro riservatezza non può essere considerata come «prevista dal diritto».
91. Infine, si deve tenere a mente che se, anche in base ad un’interpretazione restrittiva, è chiaro che la riservatezza delle deliberazioni interne di una particolare autorità pubblica è prevista dal diritto ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. a), il secondo comma dell’art. 4, n. 2, prescrive altresì che, in ogni caso specifico, l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione sia preso in considerazione e ponderato con l’interesse tutelato dal rifiuto e vieta qualsiasi rifiuto basato su motivi di riservatezza se la richiesta concerne informazioni sulle emissioni nell’ambiente. Il giudice nazionale deve quindi verificare sia se gli interessi concorrenti siano stati ponderati, sia se il rifiuto sia vietato in ragione della natura delle informazioni richieste.
b) Se la riservatezza è «prevista dal diritto» qualora assuma la forma di una norma generale non scritta secondo la quale i procedimenti non sono aperti al pubblico
92. Il giudice del rinvio chiede altresì se – qualora l’art. 8, n. 1, sub. 2, dell’UIG non soddisfi esso stesso il criterio di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), della direttiva – tale criterio sarebbe soddisfatto da un principio giuridico generale non scritto secondo cui i procedimenti amministrativi delle autorità pubbliche non sono aperti al pubblico.
93. Rilevo che la versione tedesca dell’art. 4, n. 2, lett. a), utilizza un termine («gesetzlich») dal quale si potrebbe dedurre che la riservatezza debba essere prevista da una norma legislativa. Un’analoga deduzione può essere tratta da diverse altre versioni linguistiche (ad esempio, olandese, portoghese e spagnola). Le versioni inglese e francese, tuttavia, seguono la Convenzione (di cui sono esse stesse lingue autentiche) facendo ricorso ad un termine più generale, prescrivendo che sia prevista semplicemente «dal diritto», e almeno la versione italiana della direttiva fa lo stesso. In tali circostanze, mi sembra preferibile adottare un’interpretazione più ampia, salvo che sussista una chiara e specifica ragione per limitare la prescrizione ad una norma di legge.
94. In conseguenza delle considerazioni che ho espresso in relazione alla parte a) della presente questione, mi sembra inoltre che ciò che conta non è la forma assunta dalla regola in questione, ma se la regola sia prevista, dal punto di vista giuridico, in maniera indipendente dal motivo di rifiuto di una richiesta di informazioni e se rispetti il principio di certezza del diritto non lasciando all’autorità pubblica interessata alcun margine di discrezionalità riguardo alla natura riservata delle deliberazioni (piuttosto che riguardo al fatto se acconsentire alla richiesta).
95. Pertanto, una regola giuridica non scritta può, in linea di principio, soddisfare il criterio di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), della direttiva. Il giudice del rinvio deduce la sussistenza di una tale regola dagli artt. 28, n. 1 e 68, n. 1, del VwVfG, che, prevedendo alcuni specifici diritti di accesso ai procedimenti amministrativi delle autorità pubbliche, sembra presupporre la mancanza di qualsiasi diritto generale e quindi l’esistenza di un principio generale di riservatezza; il governo tedesco ha richiamato anche l’art. 29, nn. 1 e 2, della stessa legge come norma in grado di giustificare la medesima deduzione.
96. Se vi sia una regola non scritta che impone un obbligo generale di riservatezza relativamente ai procedimenti delle autorità pubbliche e che non lascia alcun margine di discrezionalità riguardo alla natura riservata di tali procedimenti è una questione che può essere definita solo il giudice nazionale.
97. A mio parere le disposizioni menzionate sono in grado di avvalorare la deduzione di un obbligo generale di riservatezza, ma non è, né l’unica possibile conclusione da trarre, né in effetti necessariamente la più ovvia. Ad esempio, dove è previsto che i procedimenti non sono aperti al pubblico, una logica presunzione può essere che con ciò si intenda proteggere il loro contenuto dalla divulgazione; ma se le persone interessate hanno diritto di essere presenti senza che sia loro imposto alcuno specifico obbligo di riservatezza, si potrebbe altrettanto ragionevolmente assumere che non sia previsto alcun obbligo generale di riservatezza.
98. Ritengo che nella propria decisione il giudice nazionale dovrebbe anche tener conto del numero di disposizioni considerate (nella presente causa sono stati menzionati 4 commi in una legge che conta oltre 100 articoli) e (ancora nella presente causa) della natura essenzialmente negativa o a contrario della conclusione dedotta (29) e dovrebbe considerare se la regola non scritta in questione è generalmente riconosciuta, tenuto conto, in particolare, della propria giurisprudenza e di quella di altri giudici amministrativi.
99. Sono quindi dell’opinione che il criterio di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), sia soddisfatto solo dove un generale principio giuridico non scritto secondo cui i procedimenti amministrativi delle autorità pubbliche non sono aperti al pubblico comporti chiaramente e inequivocabilmente un obbligo di riservatezza rispetto a tali procedimenti e non lasci alla pubblica autorità interessata alcun margine di discrezionalità relativamente alla loro natura riservata. Nello stabilire se un tale principio può essere desunto dalla legislazione, i giudici nazionali dovrebbero effettuare un esame accurato, tenendo conto in particolare del requisito secondo il quale i motivi di rifiuto contenuti in quella disposizione dovrebbero essere interpretati in modo restrittivo.
Conclusione
100. Ritengo pertanto che, in risposta alle questioni sollevate dal Bundesverwaltungsgericht, la Corte debba dichiarare quanto segue:
1) a) Ai sensi dell’art. 2, n. 2, secondo periodo, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, gli organismi dell’esecutivo che, nel contesto giuridico e costituzionale del loro Stato membro, svolgono nel procedimento legislativo un ruolo limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative possono essere esclusi dalla definizione di «autorità pubblica» quando esercitano tale ruolo.
b) Agli Stati membri non è vietato escludere dalla definizione di «autorità pubblica» di cui alla direttiva 2003/4/CE gli organismi e le istituzioni che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative per il fatto che le loro disposizioni costituzionali, alla data di adozione della direttiva, prevedevano procedure di riesame ai sensi dell’art. 6 della direttiva.
c) In base ad una corretta interpretazione degli artt. 2, n. 2, secondo periodo e 3, n. 1, della direttiva 2004/3/CE, se gli organismi dell’esecutivo il cui ruolo nel procedimento legislativo è limitato alla presentazione o al commento di proposte legislative sono esclusi dalla definizione di «autorità pubblica» quando svolgono detto ruolo, tale esclusione deve essere circoscritta al periodo compreso tra l’inizio e il termine del procedimento legislativo considerato.
2 (a) La riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche è prevista dal diritto nel senso di cui all’art. 4, n. 2, lett. a), della direttiva 2003/4/CE, qualora il diritto nazionale imponga un generale o specifico obbligo di riservatezza in relazione a tali deliberazioni che sia autonomo rispetto ai motivi di rifiuto di una richiesta di informazioni ambientali e che non lasci all’autorità pubblica interessata alcun margine di discrezionalità per quanto riguarda il loro carattere riservato.
b) A tali condizioni, e purché sia chiaramente previsto dal diritto, un simile obbligo può essere imposto da una norma non scritta.
1 – Lingua originale: l’inglese.
2 – Direttiva del Consiglio e del Parlamento 28 gennaio 2003, 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE (GU L 41, pag. 26) (in prosieguo: la «direttiva»).
3– Decisione del Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU L 124, pag. 1). Il testo della Convenzione è riprodotto alle pagg. 4 e segg. di detta edizione della Gazzetta ufficiale.
4 – L’art. 6 rispecchia l’art. 9 della Convezione e prevede il riesame in via amministrativa e giurisdizionale delle decisioni relative all’accesso alle informazioni.
5 – Gesetz über den nationalen Zuteilungsplan für Treibhausgas-Emissionsberechtigungen in der Zuteilungsperiode 2005 bis 2007.
6 – V. progetto di linee guida sull’accesso all’informazione ambientale e la partecipazione del pubblico nell’assunzione di decisioni in materia ambientale (Draft Guidelines on Access to Environmental Information and Public Participation in Environmental Decision-Making), Sofia 1995, e successivo progetto di elementi per la Convenzione di Aarhus (Draft Elements for the Aarhus Convention, CEP/AC.3/R.1, pag. 2) (entrambi reperibili sul sito http://www.unece.org/env/pp/archives.htm), la proposta iniziale di direttiva (COM (2000)402 def.), pag. 4, e punto 1.3 del parere del Comitato economico e sociale su tale proposta (GU 2001 C 116, pag. 43).
7 – V. supra paragrafi 3 e 10.
8 – V., ad esempio, sentenza 17 giugno 1998, causa C‑321/96, Mecklenburg (Racc. pag. I‑3809, punto 25), oppure sentenza 17 febbraio 2009, causa C‑552/07, Azelvandre (Racc. pag. I‑987, punto 52).
9 – Ora, in seguito a modifica, art. 294, n. 10, TFUE.
10 – V. relazione A5-0074/2001 della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori del 28 febbraio 2001, all’emendamento 15, e la posizione del Parlamento europeo definita in seconda lettura il 30 maggio 2002 (GU 2003 C 187 E, pag. 118, a pag. 122).
11 – V. supra paragrafo 9.
12 – V. supra paragrafo 8.
13 – Almeno secondo il parere della Commissione, l’obiezione sembra essere stata che l’emendamento sarebbe stato incompatibile con il dettato della Convenzione, mentre lo scopo della direttiva era specificatamente di allineare il diritto comunitario alla Convenzione (v. proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, GU 2001 C 240 E, pag. 289).
14 – È vero che la versione spagnola della direttiva fa riferimento a ‘entidades o instituciones en la medida en que actúen en calidad de órgano jurisdiccional o legislativo’ (il corsivo è mio), laddove altre versioni parlano solo di funzioni, competenze o poteri legislativi, ma anche detta formulazione mette in evidenza l’attività almeno tanto quanto l’intrinseca natura dell’organismo considerato.
15 – E sebbene la Flachglas Torgau, nelle proprie osservazioni, dica soltanto che la sua richiesta riguardava le istruzioni amministrative fornite dal Ministero in relazione all’attuazione della legge (in contrapposizione alle effettive misure di attuazione con efficacia giuridica vincolante); dette istruzioni sembrano essere l’oggetto della seconda questione.
16 – V. http://www.unece.org/env/pp/archives.htm.
17 – Direttiva del Consiglio 7 giugno 1990, 90/313/CEE concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente (GU L 158, pag. 56).
18 – La proposta originaria della suddetta direttiva (GU 1988 C 335, pag. 5) utilizzava una diversa formulazione: «Gli organi che detengono poteri giudiziari o gli organi legislativi». Non sembra esserci alcuna testimonianza del motivo del cambiamento da una definizione strutturale ad una funzionale per quanto riguarda il profilo legislativo. Può essere stata una questione di un suo allineamento con la definizione relativa al profilo legislativo, dato che una definizione funzionale, come ho indicato, è maggiormente adatta a tener conto delle differenze tra i sistemi giuridici e politici.
19 – Relazione A5-0074/2001, cit. alla nota 10, all’emendamento 15.
20 – V., in relazione alle attività giurisdizionali, sentenza 21 settembre 2010, cause riunite C‑514/07 P, C-528/07 P e C-532/07 P, Svezia/API e Commissione, API/Commissione e Commissione/API (Racc. I‑0000, punti 92 e 93). Tuttavia, non ne discende necessariamente che un diritto a chiedere atti processuali arrecherà pregiudizio automaticamente e in ogni circostanza all’auspicata «atmosfera di serenità» per lo svolgimento del procedimento – v., ad esempio, relativamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’art. 40, n. 2, della Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
21 – V. supra paragrafo 50 e note 17 e 18.
22 – The Aarhus Convention: an implementation guide, preparata da Stephen Stec, Susan Casey-Lefkowitz e Jerzy Jendroska, per il Centro ambientale regionale per l’Europa centrale e orientale (Regional Environmental Centre for Central and Eastern Europe) (http://www.unece.org/env/pp/acig.pdf), in particolare alle pagg. 34-35 della versione inglese.
23 – Come rileva la Commissione, l’utilizzo dei termini «e/o strumenti normativi giuridicamente vincolanti di applicazione generale» nella rubrica dell’articolo sembra riflettere la preoccupazione di evitare una terminologia che, in alcuni Stati, potrebbe designare una categoria troppo ristretta di misure regolamentari; il testo dell’articolo stesso non può essere applicato facilmente ai procedimenti parlamentari in una democrazia rappresentativa.
24 – Nel corso del procedimento il governo tedesco ha confermato che anche i singoli membri del Bundestag hanno il diritto di iniziativa legislativa, e lo stesso probabilmente vale per la maggior parte delle assemblee legislative, anche se la realtà dell’attività governativa può renderla una procedura piuttosto inusuale.
25 – Cit. supra alla nota 20.
26 – Tali ricorsi riguardavano delle richieste di accesso, ai sensi del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049 relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), a taluni documenti della Commissione relativi a procedimenti giurisdizionali conclusi e, possibilmente, futuri, nei quali la Corte era o probabilmente sarebbe stata parte (accesso che, secondo la Commissione, poteva essere rifiutato ai sensi dell’art. 2, n. 2, secondo trattino, del suddetto regolamento). Sebbene tale regolamento non rilevi nella presente causa, si deve osservare che il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 6 settembre 2006, n. 1367 sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della [Convenzione] (GU L 264, pag. 13) riunisce le tre componenti del regolamento n. 1049/2001, della direttiva e della Convenzione, per applicarne le prescrizioni alle istituzioni dell’UE.
27 – Punti 130 e 131 della sentenza.
28 – V. sentenza 12 settembre 2007, causa T-36/04, API/Commissione (Racc. II‑3201, punti 135 e segg.)
29 – Al riguardo, osservo che l’art. 30 della VwVfG attribuisce specificatamente alle parti del procedimento il diritto di chiedere che le loro informazioni riservate non siano rese pubbliche dalle autorità senza autorizzazione. Se uno specifico dovere di riservatezza è imposto in tali circostanze, si potrebbe plausibilmente dedurre, a contrario, che non sussiste un generale obbligo di riservatezza.