Cass.Sez. III n. 24410 del 13 giugno 2016 (Ud. 9 feb 2016)
Presidente: Rosi Estensore: Aceto Imputato: Pezzuto e altro
Beni Ambientali.Autorizzazione paesaggistica e rilascio dopo l'esecuzione dei lavori

In tema di protezione delle bellezze naturali, l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, al di fuori dei casi previsti dall'art. 167, commi quarto e quinto, D.Lgs. n. 42 del 2004, non può essere rilasciata successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, e, non avendo equipollenti, produce l'estinzione del reato previsto dall'art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 solo se rilasciata all'esito della procedura prevista dal comma primo quater della medesima norma. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso l'efficacia sanante del parere favorevole espresso dal soprintendente nell'ambito del separato procedimento per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, o in sede di conferenza di servizi, ex art. 14, comma terzo bis, l. n. 241 del 1990).



RITENUTO IN FATTO

1. I sigg.ri Giovanni Mangia, Francesco Pezzuto e Maria Rosa Pezzuto ricorrono per l'annullamento della sentenza del 06/05/2015 della Corte di appello di Lecce che, in totale riforma della pronuncia assolutoria del 24/10/2013 del Tribunale di quello stesso capoluogo, li ha dichiarati responsabili del reato continuato di cui agli 110, 81, cpv., cod. pen., 181, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (capo A) e 19, comma 6, legge 7 agosto 1990, n. 241 (capo B) loro ascritto, e, ritenuto più grave il delitto di cui al capo B, li ha condannati alla pena, condizionalmente sospesa per i soli Mangia e la Pezzuto Maria Rosa, di un anno e due mesi di reclusione ciascuno, oltre alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla irrevocabilità della sentenza.

1.1.Si contesta agli imputati di aver eseguito lavori di ristrutturazione di un fabbricato sito in località Casalabate di Lecce, zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la necessaria autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo e in forza di una segnalazione certificata di inizio attività, falsa nella parte in cui attestava la assoggettabilità dell'intervento a SCIA, la sua conformità agli strumenti urbanistici vigenti e la preesistenza dell'immobile al 1967; nonché di aver realizzato "ex novo" un piccolo manufatto adibito a lavanderia delle dimensioni in pianta di 7 mq..

1.2.In primo grado tutti gli imputati furono assolti dal reato di cui al capo A (che inizialmente comprendeva anche la contravvenzione di cui all'art. 44, lett. c, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) in conseguenza del rilascio del permesso di costruire in sanatoria rilasciato ai sensi degli artt. 36 e 45, d.P.R. n. 380 del 20016 giugno 2001, n. 380, e dal reato di cui al capo B perché non v'è prova della consapevole perpetrazione di false attestazioni da parte degli imputati.

1.3.Su impugnazione del Procuratore Generale presso la Corte di appello, la Corte territoriale è pervenuta alle conclusioni oggi contestate sul rilievo che: a) il permesso di costruire in sanatoria non estingue il reato di cui all'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004; b) gli interventi descritti nella rubrica, fotorilevati e oggetto di consulenza tecnica, non sono mai stati autorizzati dall'autorità preposta al vincolo paesaggistico; c) la SCIA era stata firmata da tutti gli imputati, compreso il Pezzuto Francesco che aveva materialmente contraffatto la firma di Maria Rosa apposta su alcuni documenti meglio indicati nella sentenza.

2.Francesco Pezzuto e Maria Rosa Pezzuto articolano, per il tramite del difensore di fiducia, sei motivi di ricorso.

2.1.Con il primo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di totale motivazione in ordine alla affermazione della loro penale responsabilità per i fatti loro ascritti.  Deducono, al riguardo, che si è trattato esclusivamente di un intervento di manutenzione straordinaria che ha comportato la sola sostituzione di alcuni elementi senza alcun aumento di superficie e volumetria né modificazione della sagoma e dell'aspetto esteriore dell'edificio, e che è stato effettuato in conformità alle prescrizioni del regolamento edilizio comunale di Lecce (art. 2.7) e alle norme tecniche di attuazione del Piano Urbanistico Tematico Territoriale per la Puglia (art. 5.02 del P.U.T.T.), come peraltro attestato dall'avvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria. L'intervento, inoltre, ha riguardato immobili oggetto di decreto di trasferimento di proprietà adottato dal Tribunale di Lecce all'esito di procedura esecutiva immobiliare che comprendeva anche il piccolo vano adibito a lavanderia (erroneamente contestato come realizzato ex novo, tema ripreso anche dal Mangia nel primo motivo di ricorso).

2.2.Con il secondo motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea e falsa applicazione degli artt. 49, d.l. 31 maggio 2010, n. 78 e 5.02 delle N.T.A. del P.U.T.T.. Sulla ribadita premessa che si è tratto di ristrutturazione edilizia senza alcun aumento di superficie e volumetria, deducono che l'art. 5.02 delle N.T.A. del P.U.T.T. esclude, per tali interventi, la necessità dell'autorizzazione paesaggistica e la sufficienza del ricorso alla semplice S.C.I.A.

2.3.Con il terzo motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004 sotto il duplice profilo dell'affermazione della loro responsabilità e dell'ordine di riduzione in pristino perché, affermano, la Corte di appello non ha considerato che la Sovrintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Lecce, in sede di istruttoria per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, aveva comunque espresso il proprio favorevole parere al mantenimento delle opere. Si tratta, dunque, di "condono ambientale".

2.4.Con il quarto motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., vizio di carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dalle prove assunte in dibattimento. Deducono, al riguardo, che, con riferimento al reato di cui al capo B della rubrica, la sentenza omette completamente di indicare le prove in base alle quali sono stati condannati, non essendo sufficiente il generico riferimento alla consulenza dell'ing. Fiorentino poiché non consente di rilevare per quale delle dichiarazioni contenute nella S.C.I.A. sarebbe ravvisabile la contestata falsità (se cioè la data di realizzazione dell'immobile, o l'esistenza del vano lavanderia, o la conformità della predisposizione degli elaborati alle norme urbanistiche).

2.5.Con il quinto motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dalle prove assunte in dibattimento. Riprendendo il tema difensivo già affrontato con il quarto motivo, deducono che il reato di cui all'art. 19, legge n. 241 del 1990, è proprio del tecnico progettista, non essendo nemmeno astrattamente ipotizzabile che possa essere commesso anche da chi non ha le competenze tecniche per asseverare il falso. I due ricorrenti, una casalinga e un pensionato, si sono limitati a sottoscrivere la documentazione loro sottoposta senza alcuna possibilità di controllo e senza la consapevolezza di ciò che sottoscrivevano.

2.6.Con il sesto motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto un ulteriore profilo manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dalle prove assunte in dibattimento. Chiudendo il tema aperto con il quarto motivo, lamentano la generalizzata affermazione della loro responsabilità anche per il reato di cui al capo B, senza che la Corte di appello avesse accertato la paternità delle sottoscrizioni incriminate e benché risultasse per certo che la Maria Rosa non avesse apposto alcuna sottoscrizione.

3. Mangia articola, per il tramite del difensore di fiducia, tre motivi di ricorso.

3.1.Con il primo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004 (avuto riguardo alla sanatoria dell'opera in presenza dell'autorizzazione paesaggistica) e l'omessa motivazione sul punto; nonché l'omessa motivazione circa il mancato coinvolgimento del direttore dei lavori e della ditta esecutrice. Deduce, al riguardo, che il fabbricato oggetto degli interventi era stato oggetto di autorizzazione paesaggistica n. 2011/0171 del 23/09/2011 acquisita agli atti del processo e di cui la Corte di appello non ha tenuto conto. Tale autorizzazione corredava la pratica di condono edilizio definita con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 88 del 05/06/2013. Si tratta, inoltre, di una ristrutturazione di un fabbricato preesistente (compreso il vano lavanderia) che non ha comportato aumenti o variazioni degli indici plano-volumetrici, né la modifica della sagoma dell'immobile, e che ricadeva in zona B2 del P.R.G. ove gli interventi di ristrutturazione sono consentiti senza necessità di autorizzazione paesaggistica. Egli, inoltre, non era il direttore dei lavori, ma il solo progettista che non ha concorso all'esecuzione di alcunché (di qui la doglianza circa il mancato coinvolgimento del direttore dei lavori e della impresa esecutrice).

3.2.Con il secondo motivo eccepisce l'errata applicazione degli artt. 19, legge n. 241 del 1990 e 43, cod. pen., posto che: a) egli non può rispondere delle sottoscrizioni apparentemente apposte dalla Pezzuto Maria Rosa; b) non v'è prova alcuna contraria alla preesistenza dell'immobile al 1967; c) non v'è prova alcuna che intendesse attestare il falso.

3.3 .Con l'ultimo motivo eccepisce la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale finalizzata a integrare le lacune delle relazioni peritali alle quali la Corte territoriale ha fatto esclusivo riferimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.1 ricorsi sono fondati limitatamente al reato di cui al capo B, ma non a quello di cui al capo A, comunque è estinto per prescrizione.

5.Le questioni poste dai ricorrenti hanno punti in comune che comportano la necessità di un loro esame congiunto, in particolare circa la natura dell'intervento, la necessità dell'autorizzazione paesaggistica, gli effetti dell'autorizzazione postuma o comunque del parere favorevole rilasciato in sede di istruttoria per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

6.Quanto al primo aspetto, osserva il Collegio che non v'è dubbio che l'intervento edilizio in questione debba essere qualificato alla stregua di una ristrutturazione edilizia.

6.1.E' ben vero che né la (del tutto scarna) sentenza di primo grado, né quella impugnata descrivono in cosa siano materialmente consistiti gli interventi sull'edificio preesistente acquistato all'asta immobiliare dalla Pezzuto Maria Rosa. Tuttavia, che si tratti di una ristrutturazione è chiaramente evincibile: a) dal fatto che è stato chiesto e ottenuto il permesso di costruire in sanatoria (titolo non richiesto per gli interventi minori); b) dalla circostanza che gli stessi imputati più volte fanno espresso riferimento alla "ristrutturazione", sia pure per escludere che abbia comportato aumenti e modifiche di superficie, volumetria e sagoma degli edifici preesistenti.

6.2.A norma dell'art. 149, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, gli interventi di ristrutturazione edilizia da eseguire in area di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136, sono sempre soggetti ad autorizzazione della Regione il cui rilascio subordina espressamente la possibilità di procedere agli interventi, anche se realizzabili in base a segnalazione certificata di inizio attività (art. 22, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001; cfr., altresì, Sez. 3, n. 8739 del 21/01/2010, Perna, Rv. 246218). La necessità dell'autorizzazione non è esclusa, nel caso di specie, nemmeno dall'art. 5.02 delle NTA del PUTT della Regione 5 Puglia pubblicate sul B.U.R.P. n. 8 del 17 gennaio 2002, che fa salvi solo gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici (in linea, peraltro, con quanto prevede l'art. 149, d.lgs. n. 42, cit.)

6.3. Il che rende del tutto irrilevante stabilire se il piccolo locale destinato a lavanderia preesistesse oppure no all'intervento perché in ogni caso la sua ristrutturazione effettuata in assenza di autorizzazione paesaggistica conserverebbe per intero la sua penale rilevanza ai fini del residuo reato di cui all'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004.

6.4.La località Casalabate è, ai sensi dell'art. 136, lett. c), d.lgs. n. 42 del 2004 (già art. 1, comma 3, legge 29 giugno 1939, n. 1497), di notevole interesse pubblico in conseguenza del D.M. (Ministro per i beni culturali e ambientali) 16 settembre 1975, pubblicato nella G.U. n. 267 del 16/09/1975 (il che rende difficilmente spiegabile l'inquadramento della condotta nell'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004).

7. L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto agli altri titoli edilizi legittimanti l'intervento edilizio e, al di fuori dei casi previsti dall'art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. n. 42 del 2004, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi (art. 146, comma 4, d.lgs. n. 42, cit.; Cons. St., Sez. 6, n. 5327 del 24/11/2015).

7.1.L'autorizzazione paesaggistica in sanatoria estingue il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, solo se espressamente rilasciata all'esito della speciale procedura di cui all'art. 181, comma 1-quater, stesso decreto (cfr. sul punto, Sez. 3, n. 16574 del 06/03/2007, Drago, Rv. 236495; Sez. 3, n. 37318 del 03/07/2007, Carusotto, Rv. 237562; Sez. 3, n. 12951 del 07/03/2008, Scalia, Rv. 239355) e non ha equipollenti (Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011, Falconi, Rv. 251639). Non ha dunque efficacia sanante il parere favorevolmente espresso dal soprintendente in sede di (e al fine del) separato procedimento amministrativo per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria di cui all'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 47331 del 16/11/2007, Minaudo, Rv. 238531), o in sede di conferenza di servizi ai sensi dell'art. 14, comma 3-bis, legge n. 241 del 1990.

7.2.Si aggiunga, inoltre, che l'errata qualificazione giuridica del fatto nei termini indicati al §6.4, se impedisce che agli imputati possa essere riservato un trattamento sanzionatorio peggiore o di qualificare come delitto il reato contravvenzionale, paralizza, perché contraria alla legge, l'efficacia estintiva del reato che non può conseguire ad un provvedimento amministrativo illegittimo (e 6 dunque disapplicabile) per gli immobili che ricadono in aree dichiarate di notevole interesse pubblico.

7.3. Il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica postuma, così come il parere favorevolmente espresso in sede di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, comportando la qualificata ricognizione dell'assenza di conseguenze dannose o pericolose per l'ambiente, inibisce solo la demolizione e/o la riduzione in pristino dello stato dei luoghi che ha funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 37318 del 03/07/2007, Sez. 3, n. 40269 del 26/11/2002, Nucci, Rv. 222703).

7.4.Erroneamente, dunque, i Giudici territoriali hanno ordinato la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

7.5.La fondatezza "in parte qua" dei ricorsi di Pezzuto Francesco e Pezzuto Maria Rosa non ha impedito la maturazione del tempo necessario a prescrivere il reato contravvenzionale (così come contestato) di cui al capo A della rubrica (considerata la data di consumazione contestata: febbraio 2010, e in ogni caso quella del sequestro: 13/12/2010), sicché, per esso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione (con conseguente superfluità dell'esame del primo motivo di ricorso del Mangia).

8.Con riferimento ai motivi di doglianza che hanno specificamente ad oggetto la «segnalazione certificata di inizio attività», la sentenza impugnata così motiva: «la falsità delle dichiarazioni ed attestazioni è chiaramente evincibile dalle risultanze della consulenza dell'ing. Fiorentino, oltre che da quanto emerso in seguito al sopralluogo cui seguì il sequestro».

8.1.La segnalazione certificata di inizio attività è atto proprio del committente dei lavori (nel caso di specie la Pezzuto Maria Rosa) che la sottoscrive e la presenta allo sportello unico e risponde della corrispondenza al vero di quanto in essa contenuto; b) nel caso di specie il Pezzuto Francesco ha incontestabilmente falsificato la firma apparentemente apposta dalla Maria Rosa su alcuni documenti allegati, concorrendo così a far proprio l'atto e danafbrova di ben conoscerne il contenuto e la portata; c) il committente dei lavori, inoltre, risponde direttamente della conformità dell'opera alla normativa urbanistica (art. 29, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001) e non può perciò addurre a propria discolpa l'affidamento al tecnico progettista; d) quest'ultimo assume a sua volta la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde della veridicità del contenuto della relazione di cui all'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 29, comma 5, stesso d.P.R.).

8.2.Ne deriva che i motivi di ricorso che riguardano l'astratta riconducibilità delle false asseverazioni alla responsabilità di tutti gli imputati (alcuni dei quali 7 attingono anche a dati estranei al testo del provvedimento impugnato) si fondano sull'errata applicazione delle norme citate.

8.3.E' evidente, però, il deficit motivazionale che attiene all'oggetto stesso della falsa rappresentazione non essendo chiaro in cosa essa consista (precisazione ancor più necessaria dalla totale mancanza di indicazioni in tal senso nella sentenza di assoluzione di primo grado e dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria che attesta la doppia conformità dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti e a quelli adottati), né se si riferisca, in particolare e solo, alla preesistenza dell'immobile al 1967, né quale sia il contenuto della prova solo indicata, ma non illustrata, nella sentenza impugnata.

8.4.Ne consegue che la sentenza deve essere annullata, in parte qua, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce perché colmi la lacuna.

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A perché estinto per prescrizione e alle statuizioni relative all'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, statuizioni che elimina; annulla con rinvio la sentenza impugnata in ordine al residuo reato di cui capo B ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce.

Così deciso il 09/02/2016.