Corte Costituzionale ordinanza n. 276 del 27 luglio 2004
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), promosso con ordinanza del 22 maggio 2003 dal Tribunale di Potenza nel procedimento disciplinare promosso dal pubblico ministero contro il notaio Zotta Domenico Antonio, iscritta al n. 681 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2003.
ORDINANZA N. 276
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), promosso con ordinanza del 22 maggio 2003 dal Tribunale di Potenza nel procedimento disciplinare promosso dal pubblico ministero contro il notaio Zotta Domenico Antonio, iscritta al n. 681 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che il Tribunale di Potenza, nel corso di giudizio disciplinare a carico di un notaio, per avvenuta stipulazione di un atto nullo per difetto dei requisiti previsti dall’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che gli atti fra vivi aventi ad oggetto diritti reali riguardanti terreni, ai quali non sia stato allegato un valido certificato di destinazione urbanistica, possano essere confermati mediante un atto redatto nella stessa forma del precedente, cui sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare;
che il certificato di destinazione urbanistica, allegato all’atto di compravendita rogato dal notaio l’11 settembre 2000, era stato rilasciato l’11 maggio 1999, e quindi era scaduto per decorso del termine annuale previsto dall’art. 18 della legge n. 47 del 1985;
che, promosso dal pubblico ministero il procedimento disciplinare a carico del notaio, questi si era difeso adducendo che l’allegazione del certificato scaduto di validità era addebitabile a mero errore dei collaboratori, dal momento che egli era già in possesso, al momento del rogito, di nuovo certificato di destinazione urbanistica, rilasciato dal Sindaco competente in data 5 maggio 2000;
che, deduce il rimettente, per giurisprudenza costante, la rogazione di un atto pubblico (o l’autenticazione di scrittura privata autenticata) cui sia allegato un certificato di validità scaduto, costituisce, per il richiamo operato dall’art. 21, primo comma, della legge n. 47 del 1985, violazione dell’art. 28, primo comma, numero 1, della legge 13 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), con conseguente rilevanza disciplinare dell’infrazione, ai sensi dell’art. 138, secondo comma, della stessa legge n. 89 del 1913, trattandosi di nullità insuscettibile di sanatoria;
che, diversamente, l’art. 17, quarto comma, della legge n. 47 del 1985 consente che per gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici, in cui sia stata omessa l’indicazione degli estremi della concessione, sia possibile la conferma, purché l’omissione non sia dipesa dalla sua insussistenza all’epoca della stipulazione e che analoga possibilità di conferma è data dall’art. 40 della legge citata, sempre per gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici, nei casi di mancanza delle dichiarazioni o dei documenti da indicare o allegarsi quando la mancanza non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o della domanda di sanatoria, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata dopo il 15 settembre 1967;
che analoga possibilità non è prevista in caso di mancanza di valido certificato relativo alla destinazione urbanistica dei terreni, per cui l’atto è e resta irrimediabilmente nullo;
che per ovviare alla mancata considerazione di rilevanza di atti confermativi, è intervenuta una decretazione d’urgenza, più volte reiterata (dal decreto–legge 27 settembre 1994, n. 551, al decreto–legge 24 settembre 1996, n. 495), ma non convertita in legge, con previsione, fra l’altro, che anche gli atti cui non fosse allegato il certificato di destinazione urbanistica potessero essere confermati mediante atti redatti nella stessa forma del precedente, con allegato certificato contenente le prescrizioni urbanistiche –riguardanti le aree – attinenti al giorno della stipulazione dell’atto da confermare, senza che l’art. 30 del nuovo d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), abbia apportato innovazioni al riguardo, limitandosi a riprodurre il testo dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985;
che non essendo dunque ammissibile, nell’attuale contesto normativo, una conferma degli atti aventi ad oggetto terreni, carenti dell’allegazione di valido certificato di destinazione urbanistica, la “conferma” stipulata dal notaio sottoposto al procedimento disciplinare assume la natura di semplice rinnovazione del contratto nullo, emendato del vizio di nullità, escludendosi però la produzione di effetti traslativi dell’originario contratto nullo;
che la questione si presenta non manifestamente infondata per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della logicità e ragionevolezza, non trovando la norma alcuna giustificazione nell’esigenza di diversificare il trattamento normativo di fattispecie eterogenee, dato che la ratio degli artt. 17, 18 e 40 della legge n. 47 del 1985, è di prevenire la commercializzazione di edifici abusivi e la lottizzazione abusiva di terreni edificatori, per i primi attraverso l’indicazione degli estremi del titolo abilitativo all’edificazione o attraverso l’autocertificazione dell’anteriorità della costruzione al 1° settembre 1967, e per i secondi attraverso il certificato attestante la situazione urbanistica del terreno oggetto del contratto;
che il carattere formale della nullità, che non consegue in nessuno dei tre casi a illiceità del contratto, rende illogica la restrizione della confermabilità del negozio, immune dal vizio, per i soli negozi attinenti ai fabbricati, e non anche per i terreni, tutte le formalità prescritte dalle norme citate prestandosi ugualmente ad una regolarizzazione in epoca successiva alla conclusione del contratto, senza che ciò comporti conseguenze sul piano sostanziale;
che non si può neppure ricondurre la differenziazione ad una maggiore pericolosità dell’abusivismo delle lottizzazioni rispetto all’abusivismo delle costruzioni, tanto più che per queste ultime, ove non vi sia mai stato titolo abilitativo alla costruzione, o questa sia successiva al 1° settembre 1967, il vizio di risolve in nullità sostanziale, che comporta l’incommerciabilità del fabbricato; per i terreni, invece, l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica non ostacola la disponibilità del terreno derivante da lottizzazione abusiva, dal momento che la strumentalità della contrattazione alla consumazione del reato di lottizzazione abusiva non è riconoscibile in re ipsa, ma solo a posteriori, all’esito del controllo operato dal sindaco – cui deve essere trasmessa copia dell’atto ricevuto o autenticato dal notaio entro 30 giorni dalla registrazione – a seguito dell’ordinanza di sospensione delle opere, che comporta il divieto per i proprietari di disporre delle aree e delle opere mediante atto fra vivi;
che la norma non può essere interpretata in via estensiva o analogica, ostandovi il disposto dell’art. 1423 cod. civ., che non consente la convalida del negozio nullo al di fuori delle ipotesi previste in via eccezionale;
che la soluzione della questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini della decisione, in quanto l’applicazione della norma denunciata comporta l’imputabilità disciplinare del notaio nel giudizio de quo; mentre, diversamente, la manipolazione additiva della norma, nel senso della rilevanza di una conferma postuma dell’atto, corredata da certificato valido, comporterebbe l’esenzione da responsabilità;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza della questione.
Considerato che il Tribunale di Potenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), là dove non prevede che gli atti fra vivi aventi ad oggetto diritti reali riguardanti terreni, ai quali non sia stato allegato un valido certificato di destinazione urbanistica, possano esser confermati mediante un atto redatto nella stessa forma del precedente cui sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare, deducendo la violazione dell’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento e violazione dei canoni di logicità e ragionevolezza, nel raffronto con gli atti fra vivi riguardanti fabbricati, per i quali tale conferma è invece ammissibile;
che il rimettente non dà atto di una conferma postuma, ad immagine di quanto previsto dagli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, ma assume solo che l’allegazione del certificato scaduto di validità era addebitabile a mero errore dei collaboratori del professionista, dal momento che questi era già in possesso, al momento del rogito, di un nuovo certificato di destinazione urbanistica, che sarebbe stato valido al momento del rogito;
che l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma, nel senso voluto dal rimettente, non avrebbe alcuna influenza nel giudizio a quo, dal momento che, chiamato a decidere sull’infrazione disciplinare, il Tribunale, date le premesse sopra esposte, non potrebbe che condannare il notaio per l’infrazione disciplinare, prendendo atto che non vi è stata alcuna conferma negoziale postuma;
che la questione proposta è, quindi, manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionalità dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Potenza con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2004.