Cass. Sez. III n. 30017 del27 luglio 2011 (CC 14 lug.2011)
Pres.Squassoni Est.Franco Ric.Pane
Beni Ambientali.Accertamento di compatibilità paesaggistica

L'accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all'art. 181, comma primo-quater del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche a seguito delle modifiche introdotte alla disciplina transitoria (art. 182) ed al regime autorizzatorio delle aree tutelate per legge (art. 142), richiede, ai fini dell'esclusione della punibilità del reato di cui all'art. 181, comma primo, del citato decreto, il rilascio da parte dell'autorità preposta al vincolo di un provvedimento amministrativo espresso. (Nella specie, la Corte ha disatteso la tesi difensiva secondo cui le novelle del 2006 e del 2008 avrebbero introdotto una sorta di accertamento di compatibilità paesaggistica automatica).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 14/07/2011
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 1529
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 5289/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pane Michele, nato a Massa Lubrense il 19 ottobre 1947;
avverso l'ordinanza emessa il 18 marzo 2010 dalla corte d'appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione;
udita nella camera di consiglio del 14 luglio 2011 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
lette le conclusioni del Procuratore generale con le quali chiede il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l'ordinanza in epigrafe la corte d'appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, respinse l'istanza presentata da Pane Michele e da Esposito Agnese di revoca, o in via subordinata di sospensione, dell'ordine di demolizione e di rimessione in pristino emesso il 13 ottobre 1988 dal Procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello di Napoli, in esecuzione di una sentenza della corte del 24.2.2006, irrevocabile il 3.7.2007. Osservò la corte d'appello: - che la sentenza di condanna andava chiaramente interpretata nel senso che aveva in realtà disposto non solo la rimessione in pristino ma anche la demolizione; - che nella specie la rimessione in pristino coincideva sostanzialmente con la demolizione; - che il venir meno del reato ambientale non incideva pertanto sui reati edilizi e sull'ordine di demolizione; - che era irrilevante, in assenza di un contestuale condono edilizio, la richiesta del c.d. condono ambientale di cui alla L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 39; - che del resto non vi era coincidenza tra le opere indicate nella richiesta e quelle oggetto del procedimento; - che comunque la procedura prevista in relazione al reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, non è applicabile alla diversa fattispecie di cui all'art. 734 c.p., contestata al capo D), ormai prescritta, per la quale è stato emesso l'ordine di rimessione in pristino; - che la valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori concerne le tipologie indicate dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 ter, sicuramente estranee al manufatto in questione; - che per incidere sul procedimento di demolizione sono necessari l'avvenuto rilascio del condono ambientale o almeno la previsione del rilascio in tempi brevi.
Il Pane propone ricorso per cassazione deducendo: mancanza o manifesta illogicità della motivazione; erronea applicazione della L. 15 dicembre 2004, n. 308, nella parte in cui ha previsto la possibilità di sanare ex post gli interventi abusivi purché realizzati entro il 30 settembre 2004; erronea applicazione della L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 39; erronea applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9.
In particolare osserva:
1) che la sentenza di condanna conteneva la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione del manufatto abusivo e poi l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Si tratta di statuizioni diverse, che applicano istituti diversi e che non possono quindi essere confusi tra loro. Se il giudice ha omesso nel dispositivo di ordinare la demolizione D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ex art. 31, comma 9, non si può rimediare col rinvio a quanto indicato in motivazione. 2) che il PG aveva riferito il ripristino ad una contravvenzione dichiarata estinta per prescrizione;
3) che in ogni caso gli imputati avevano avanzato domanda di condono ambientale ai sensi della L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 39;
4) che con le novelle introdotte dal D.Lgs. n. 157 del 2006, l'accertamento di conformità paesaggistica straordinaria ha la valenza di una autorizzazione paesaggistica postuma, in deroga al divieto di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 146, comma 12. 5) erroneità della motivazione con la quale è stata respinta la richiesta di sospensione della esecuzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va innanzitutto precisato che, contrariamente a quanto sembrerebbe prospettare il ricorrente, la sentenza di condanna di primo grado del giudice del tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, del 25.7.2005 non ha affatto emesso l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi in riferimento al reato di cui al capo D) della contestazione (art. 734 c.p.) - reato per il quale questo ordine non è previsto e che del resto è stato dichiarato prescritto con la sentenza della corte d'appello di Napoli del 24.2.2006 - bensì con riferimento al capo C) della imputazione, ossia al reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163. L'ingiunzione del Procuratore generale a demolire ed a ripristinare lo stato dei luoghi fa riferimento alle "opere abusivamente realizzate dai condannati indicate nei capi A e D", ma si tratta con tutta evidenza di un mero errore materiale, peraltro del tutto irrilevante perché il riferimento è fatto alle opere abusive indicate in detti capi (ed in realtà indicate nel solo capo A, sicché il richiamo ad altri capi è superfluo) e non ai reati indicati nei capi stessi.
Tutte le considerazioni svolte con il ricorso in relazione alla intervenuta prescrizione del reato di cui all'art. 734 cod. pen. sono pertanto manifestamente infondate.
Per il resto deve osservarsi che - come esattamente rilevato dalla ordinanza impugnata - con la sentenza di condanna sono stati emanati sia l'ordine di demolizione sia l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, dal momento che immediatamente dopo l'affermazione di responsabilità e l'irrogazione della pena si dispone sinteticamente la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese degli imputati e subito dopo viene subordinata la sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, il che dimostra inequivocamente che nel primo ordine era contenuto anche il secondo. Ciò del resto era di tutta evidenza perché si trattava di un manufatto di mq. 80 con struttura in ferro e copertura in lamiera, per il quale quindi la rimessione in pristino dello stato dei luoghi coincide sostanzialmente con la demolizione e per il quale comunque è impossibile procedere alla rimessione in pristino senza preliminarmente effettuare la demolizione. Nel caso in esame, pertanto, le due sanzioni avevano contenuto identico e quindi l'applicazione dell'una o dell'altra ben può soddisfare le pur diverse finalità delle rispettive previsioni, in quanto l'abuso edilizio era di per se solo anche lesivo delle bellezze naturali. Deve quindi confermarsi la statuizione della corte d'appello che ha ritenuto che la sentenza di condanna contiene anche l'ordine di demolizione oltre che quello di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
In ogni caso, anche qualora fosse vero l'assunto difensivo - ossia che la demolizione del manufatto abusivo costituisca solo la condizione cui è sottoposta la sospensione condizionale della pena ma non l'oggetto di specifica condanna che riguarderebbe solo l'ordine di rimessione in pristino - egualmente non potrebbe essere sospesa o revocata l'ingiunzione del Procuratore generale che ha ad oggetto, appunto, sia la demolizione sia la rimessione in pristino. Come si è visto, infatti, è manifestamente infondato l'assunto che questo ordine sarebbe venuto meno con la dichiarazione di prescrizione del reato di cui all'art. 734 c.p.. Ed anche in tale ipotesi sarebbe pienamente regolare e legittima l'ordinanza del Procuratore generale, dal momento che la rimessione in pristino nel caso concreto implica e presuppone necessariamente la demolizione del manufatto.
Ciò posto, tutte le considerazioni relative ad un presunto condono ambientale che sarebbe nel frattempo intervenuto sono in realtà irrilevanti perché comunque non potrebbero incidere sull'ordine di demolizione contenuto - come si è visto - nella sentenza di condanna e sulla conseguente ingiunzione di demolizione validamente emanata. In ogni modo tali considerazioni sono infondate. Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, solo la concreta previsione che la pubblica amministrazione possa emettere in tempi brevi un provvedimento favorevole consente la sospensione dell'ordine esecutivo, situazione questa neppure allegata dal ricorrente, che si è limitato a produrre una istanza depositata nel 2005, priva di ulteriore documentazione o di altro dato recente.
Il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 182, commi 3 bis (inserito dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, art. 29, e successivamente modificato dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63, art. 4) e 3 ter (inserito dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, art. 29) o le varie modifiche nel tempo apportate al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, non hanno poi previsto una sorta di accertamento di compatibilità paesaggistica automatica, occorrendo pur sempre il rilascio un provvedimento amministrativo, che nella specie manca.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011