Cons. di Stato Sez. IV sent. 5458 del 19 settembre 2006
Beni Ambientali. Attività estrattiva. Competenze del sovrintendente
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 5458/06 Reg.Dec. N.1536 Reg.Ric. ANNO 2006 |
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 1536 del 2006, proposto dalla s.p.a. Cementizillo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Ettore Verino e Franco Zambelli ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Lima n. 15, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino;
contro
- l’Ente Parco regionale dei Colli Euganei, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Bettiol e Gianluigi Ceruti, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via degli Scipioni n. 268/a, presso lo studio dell’avvocato Alessio Petretti;
- il Comune di Cinto Euganeo, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
- la Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, non costituitosi in giudizio;
- la Regione Veneto-Ufficio Genio Civile di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito;
e nei confronti
dell’ingegner Riccardo Zoppellaro, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. II, 8 febbraio 2005, n. 555, e per l’accoglimento dei ricorsi di primo grado n. 849 del 2002 e n. 2369 del 2004;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio dell’Ente Parco regionale del Colli Euganei, depositata in data 10 marzo 2006;
Vista la memoria depositata dall’appellante in data 15 giugno 2006;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Data per letta la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti alla pubblica udienza del 4 luglio 2006;
Uditi l’avvocato Verino e l’avvocato Zambelli e l’avvocato Petretti per delega dell’avvocato Ceruti;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
1. La società appellante:
- in data 3 agosto 1982, ha ottenuto dalla giunta regionale del Veneto il rilascio di una autorizzazione alla coltivazione di una cava di materiale calcareo marmoso (‘Cucuzzola’) sul Monte Rusta, nel territorio del Comune di Cinto Euganeo;
- a seguito della fissazione – da parte della giunta regionale - della data del 30 giugno 1993 per la conclusione di lavori di messa in sicurezza (conseguenti ad alcuni fenomeni di instabilità, verificatisi a monte della cava), ha chiesto alla medesima giunta una proroga di tale termine;
- col ricorso n. 4115 del 1993 (proposto al TAR per il Veneto), ha impugnato il diniego di proroga, emesso in data 30 luglio 1993 dalla giunta regionale;
- a seguito dell’accoglimento di tale ricorso con la sentenza n. 890 del 1995 del TAR, ha proposto un ricorso d’ottemperanza, accolto con l’ulteriore sentenza n. 2494 del 1999, che ha nominato come commissario ad acta il capo del distretto minerario di Padova.
A seguito del rilascio di una autorizzazione del commissario ad acta, n. 13 del 14 luglio 2000, e dopo una precedente autorizzazione del 12 marzo 2002, col decreto n. 5443 del 12 marzo 2002 il presidente dell’Ente Parco regionale dei colli Euganei ha ritenuto giustificata la richiesta di un ulteriore termine di un anno.
Successivamente, e dopo l’acquisizione di una relazione geotecnica e geomeccanica da parte dell’ing. Zoppellaro e del geol. Bernardinello (in esecuzione della delibera del comitato esecutivo n. 104 del 7 maggio 2003), con l’atto n. 5643 del 7 giugno 2004 il direttore dell’ente parco ha comunicato alla società che è stato avviato un procedimento di revisione dell’autorizzazione all’attività estrattiva.
Col ricorso n. 2369 del 2004, la società ha impugnato tale comunicazione, nonché le delibere del comitato esecutivo dell’ente parco n. 66 del 14 aprile 2004 (che ha espresso parere contrario sul piano paesaggistico ed ha disposto la presentazione di un progetto di sistemazione ambientale) e quella n. 104 del 7 maggio 2003, e cioè tutti gli atti che – constatata la pericolosità della situazione - hanno disposto la presentazione di un progetto per la messa in sicurezza del versante di cava ed il rimboschimento dell’area.
Con motivi aggiunti, la società ha anche impugnato l’atto n. 7956 del 6 settembre 2004, con cui il presidente dell’Ente Parco ha convalidato la delibera n. 66 del 14 aprile 2004.
La società ha altresì chiesto il risarcimento dei danni subiti per l’emanazione di tali provvedimenti.
2. Con la sentenza n. 555 del 2005, il TAR ha riunito i ricorsi n 849 del 2002, ha respinto il ricorso n. 849 del 2002 e ha in parte accolto il ricorso n. 2369 del 2004.
In particolare, il TAR ha ritenuto sussistente il potere dell’Ente parco di esercitare la funzione di tutela ambientale ed ha annullato per eccesso di potere la delibera del comitato esecutivo n. 66 del 14 aprile 2004 e il conseguente provvedimento presidenziale n 7956 del 6 settembre 2004, poiché non hanno espresso le ragioni che hanno indotto l’Ente a condividere il contenuto delle relazioni redatte dai signori Zoppolaro e Bernardinello, rispetto ad altre risultanze acquisite nel corso del procedimento, né sono state espresse le ragioni che hanno indotto lo stesso Ente a non condividere una precedente proposta della commissione tecnica, di sospendere ogni decisione in attesa della acquisizione di dati definitivi di un monitoraggio.
3. La sentenza del TAR è stata impugnata unicamente dalla società ricorrente in primo grado, che ha riproposto tutte le censure, respinte dal TAR, secondo cui l’Ente Parco non sarebbe titolare dei poteri di tutela ambientale e, dunque, non potrebbe disporre misure volte alla verifica dello stato dei luoghi per le conseguenti determinazioni.
Le altre parti non hanno invece impugnato il capo della sentenza con cui è stato accolto in parte il ricorso n. 2369 del 2004.
4. Così riassunte le vicende che hanno condotto alla presente fase del giudizio, vanno esaminati il primo, il secondo ed il quarto motivo del gravame, con cui l’appellante ha lamentato la violazione dell’art. 3 della legge n. 1097 del 1971, dell’art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, degli articoli 31, 39 e 40 della legge regionale n. 44 del 1982, degli articoli 48, 64 e 85 della legge regionale n. 11 del 2001 e dell’art. 16 della legge regionale n. 38 del 1989.
Secondo l’assunto, l’Ente Parco sarebbe titolare della competenza ad autorizzare l’attività estrattiva con esclusivo riferimento agli aspetti ambientali e paesaggistici, con esclusione degli aspetti geologici, sicché i suoi atti risulterebbero illegittimi per le parti in cui hanno esercitato poteri valutativi e disposto incombenti istruttori sulla stabilità del fronte di cava e alle correlazioni tra l’attività estrattiva e la frana in corso da decenni sul Monte Rusta.
5. Ritiene la Sezione che le censure così riassunte siano infondate e vadano respinte.
Risulta decisivo considerare che:
- per l’art. 3, quinto comma, della legge n. 1097 del 1971, “qualora … la prosecuzione dell’attività estrattiva risulti di pregiudizio all’ambiente paesaggistico e naturale, il soprintendente respinge il progetto e dispone la cessazione dell’attività stabilendo le relative modalità”;
- tale disposizione ha attribuito alla competenza del soprintendente la valutazione non solo degli aspetti specificamente riguardanti gli aspetti paesaggistici e ambientali, ma anche di quelli riguardanti la consistenza del sito, in relazione a tutti i suoi aspetti naturali, geologici e di sicurezza;
- i poteri già spettanti al soprintendente statale sono stati devoluti alla Regione Veneto con l’art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977 e, in particolare, all’Ente Parco regionale dei Colli Euganei con le leggi regionali n. 38 del 1989 e n. 11 del 2001.
La titolarità di tali poteri non è stata incisa dalle vicende riguardanti l’esecuzione della sentenza del TAR n. 2494 del 1999, resa in sede di ottemperanza, che ha riguardato lo specifico procedimento attivato dalla società per il rilascio della proroga del termine in scadenza il 30 giugno 1993.
Neppure sussistono i profili di eccesso di potere, dedotti con i medesimi motivi del gravame.
Non sussiste infatti alcuna contraddittorietà tra l’autorizzazione rilasciata dal commissario ad acta e le successive determinazioni dell’Ente Parco sulla necessità di monitoraggio dell’area e di valutare l’instabilità del sito, poiché l’Ente – per esercitare responsabilmente le proprie competenze – è titolare del potere di disporre incombenti istruttori – e comunque periodici approfondimenti rispetto a quelli svolti in precedenza - per la verifica della realtà dello stato dei luoghi, in relazione a tutti i profili geologici e comunque attinenti alla sicurezza.
Inoltre, la delibera del comitato esecutivo n. 66 del 14 aprile 2004 ha legittimamente ravvisato la propria competenza ad esprimere valutazioni sugli aspetti geologici, limitandosi a rilevare – senza alcuna contraddizione - come spettasse agli organi regionali la competenza ad adottare il provvedimento formale di revoca della autorizzazione.
5. Col terzo motivo del gravame, la società appellante ha dedotto l’illegittimità del provvedimento del presidente dell’Ente Parco n. 5443 del 12 marzo 2002, che ha autorizzato la proroga dell’attività, ed ha censurato la sentenza impugnata per omessa pronuncia e difetto di motivazione.
Secondo l’assunto, l’atto del presidente sarebbe affetto da contraddittorietà, poiché – pur avendo rilevato che il movimento franoso non è attribuibile alla coltivazione della cava – ha subordinato l’efficacia del proprio nulla osta alla presentazione alla commissione tecnica dell’Ente dei dati di monitoraggio.
6. Ritiene la Sezione che le censure dell’appellante, pur avendo evidenziato l’insufficiente motivazione del capo gravato, vadano respinte, perché infondate.
E’ del tutto ragionevole che (in presenza dell’obiettiva sussistenza del fenomeno franoso, risultante dalla ponderosa documentazione acquisita, e non rilevando in questa sede la questione della sua ascrivibilità alla precedente attività di coltivazione della cava) il presidente dell’Ente abbia disposto l’acquisizione di idonee ed aggiornate risultanze istruttorie, volte ad approfondire l’entità del fenomeno, all’evidente scopo di evitare il suo aggravarsi.
7. Col quinto motivo, la società appellante ha riproposto le censure formulate in primo grado avverso il provvedimento n. 7956 del 6 settembre 2004, con cui il presidente dell’Ente Parco ha convalidato l’atto del comitato esecutivo n. 66 del 14 aprile 2004.
Essa ha dedotto la violazione dell’art. 6 della legge 18 marzo 1968, n. 249 e vari profili di eccesso di potere, per violazione della procedura in considerazione della mancata convalida di precedenti provvedimenti, nonché per difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità e violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
8. Ritiene la Sezione che le censure così riassunte vadano respinte, perché infondate.
Nel corso del giudizio di primo grado n. 849 del 2002 proposto tra l’altro contro la delibera del comitato esecutivo n. 66 del 14 aprile 2002 (di cui era stata dedotta l’incompetenza, per la sussistenza di quella del presidente), con l’atto n. 7956 del 6 settembre 2002 il medesimo presidente dell’Ente Parco ha disposto la convalida della delibera del comitato esecutivo, in applicazione del principio espresso nell’art. 6 della legge n. 249 del 1968, che consente – anche nel corso del giudizio – la convalida di un atto per incompetenza.
Quanto ai dedotti profili di eccesso di potere, essi non sussistono, poiché l’atto di convalida si è limitato a sanare il vizio di incompetenza, richiamando tutte le valutazioni già espresse sulla questione dal comitato esecutivo.
Del resto, le valutazioni del comitato esecutivo – fatte proprie dal presidente – si sono ragionevolmente basate sulla documentazione posta al suo esame, da cui risultava inequivocabilmente la presenza di movimenti franosi nel Monte Rusta, ove è stata svolta l’escavazione.
La determinazione del presidente non risulta inficiata dalla acquisizione medio tempore della relazione integrativa dell’ingegnere e del geologo incaricati, sia perché tale autorità – e non il comitato esecutivo – risultava competente a valutarne le risultanze, sia perché risulta conforme al principio di buona amministrazione la condotta dell’amministratore che, prima di emanare l’atto di convalida, acquisisce ulteriori elementi che corroborino la legittimità sostanziale dell’atto di cui intenda sanare il vizio di incompetenza.
E’ altresì infondata la censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, poiché esso – pur esprimendo la regola secondo cui va preavvisato l’interessato prima dell’emanazione di un atto di secondo grado – non trova applicazione quando, come nella specie, si tratti di un provvedimento di convalida, emesso nei confronti di chi – nell’impugnare l’atto per incompetenza – abbia così formulato le proprie deduzioni sulla questione ed abbia concorso all’attivazione del procedimento volto alla sanatoria.
9. Col sesto motivo, l’appellante ha impugnato la statuizione con cui il TAR ha dichiarato improcedibile la censura secondo cui il diniego di autorizzazione paesaggistica è stato emesso dal comitato esecutivo, mentre la competenza risultava del presidente dell’Ente Parco.
Essa ha chiesto che, nel caso di accoglimento delle censure rivolte l’atto di convalida n. 7956 del 6 settembre 2001 emesso dal presidente, sia annullata anche la precedente delibera del comitato esecutivo.
10. Rileva la Sezione che tale censura va respinta, in considerazione della reiezione delle censure rivolte avverso il provvedimento presidenziale di convalida.
Va pertanto confermata la statuizione di improcedibilità della censura di incompetenza del comitato esecutivo.
Ciò rende irrilevante l’esame della effettiva natura dell’atto con cui il comitato esecutivo ha testualmente disposto di rendere un parere negativo.
11. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto, sicché – per effetto delle non gravate statuizioni del TAR – l’ulteriore procedimento deve svolgersi in coerenza con i principi enunciati nella sentenza impugnata.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 1536 del 2006.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 4 luglio 2006, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori:
Mario Egidio Schinaia Presidente
Luigi Maruotti Consigliere estensore
Carmine Volpe Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere
Giuseppe Minicone Consigliere
Presidente
f.to Mario Egidio Schinaia
Consigliere Segretario
f.to Luigi Maruotti f.to Vittorio Zoffoli