Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1876, del 5 aprile 2013
Beni Ambientali.Annullamento autorizzazione paesaggistica comunale e poteri dell’autorità statale
Quando l’autorità statale annulla l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune (nell’esercizio dei poteri previsti dal t.u. n. 490 del 1999 o dall’art. 159 del Codice n. 42 del 2006), l’atto di annullamento si può limitare a constatare il difetto di motivazione della medesima autorizzazione, ma nulla osta che la Soprintendenza si soffermi sulle esigenze sostanziali di tutela dell’area, per rimarcare ancor più la necessità di una adeguata motivazione dell’autorizzazione anche in relazione ad alcuni specifici aspetti concernenti lo stato dei luoghi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01876/2013REG.PROV.COLL.
N. 08891/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8891 del 2008, proposto dal il signor Lazzarini Dino, rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello Cardi e Francesco A. De Matteis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Cardi in Roma, viale Bruno Buozz, 53;
contro
il Ministero per i beni e le attività culturali, la Soprintendenza per i beni ambientali architettonici artistici e storici di Perugia, il Comune di Città di Castello, non costituitisi;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. UMBRIA - PERUGIA: SEZIONE I n. 304/2008, resa tra le parti, concernente annullamento parere favorevole su condono - demolizione opere.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il Cons. Silvia La Guardia e udito per la parte appellante l’avvocato Cardi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Il signor Dino Lazzarini ha presentato richiesta di sanatoria ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, relativamente ad un manufatto in struttura prefabbricata ad uso autorimessa di circa 40 mq. realizzato sine titulo in un’area di proprietà, classificata agricola e soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, in località Belvedere, Vocabolo Sasso del Comune di Città di Castello.
Su parere favorevole con condizioni espresso dalla Commissione edilizia integrata, il Comune ha emesso l’autorizzazione paesaggistica n. 16/P di data 7 gennaio 1999. Con decreto dell’11 marzo 1999 la Soprintendenza per i beni ambientali dell’Umbria ha annullato tale autorizzazione, indi il Comune ha negato con provvedimento n. 54 del 7 aprile 1999 il condono ed ha emesso l’ordinanza di demolizione n. 4 di pari data.
2.- Il signor Lazzarini ha lamentato l’illegittimità del provvedimento della Soprintendenza e, per derivazione, dei provvedimenti comunali suddetti con il ricorso n. 243 del 1999, che l’adito Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria ha respinto con la sentenza 23 luglio 2008. n. 304, oggetto del presente appello.
Il giudice di primo grado ha ritenuto, in sintesi, che, contrariamente all’assunto del ricorrente, la Soprintendenza di Perugia non aveva travalicato i limiti del potere di controllo di legittimità ad essa spettante in materia, ma aveva evidenziato una realmente sussistente insufficienza di motivazione del provvedimento sottoposto al suo esame, indicando in particolare, a riprova di detta insufficienza di motivazione, che le condizioni imposte dal Comune non erano idonee a giustificare la compatibilità paesaggistica, in relazione alle dimensioni ed ai materiali del manufatto e alla sua collocazione in posizione isolata su terreni a prevalente destinazione agricola e visibile anche da lunghe distanze.
3.- L’odierno appellante, con un unico articolato motivo rubricato “Error in iudicando. Violazione di legge ed eccesso di potere per inammissibilità, infondatezza, genericità e pretestuosità dei motivi, errata valutazione dei presupposti, illogicità manifesta. Sviamento di potere”, chiede la riforma della sentenza gravata sostenendo che essa, da un lato, poggia su un’applicazione non corretta dei principi che regolano la materia e, dall’altro, non rende giustizia ai reali contorni della vicenda, con particolare riguardo al contenuto del decreto impugnato e di quello di vincolo e, ancor prima, degli atti comunali racchiudenti la valutazione di compatibilità paesaggistica espressa dal Comune e travolta dall’annullamento statale.
In sintesi, l’appellante sostiene che il provvedimento statale, depurato della forzata riconduzione a schemi conformi al controllo di mera legittimità mediante un solo apparente riferimento ai consueti vizi di tale tipologia, dissimuli, in realtà, una vera e propria valutazione di merito discordante da quella effettuata dal competente Comune, rivelata dall’analisi degli aspetti concreti della fattispecie esaminata e orientata al una errata “lettura” del vicolo come tendenzialmente assoluto; il Tar dell’Umbria, attribuendo una valenza puramente formale al principio giurisprudenziale di inammissibilità della sovrapposizione, da parte dell’autorità statale, di proprie valutazioni di merito a quelle compiute dall’amministrazione locale a ciò preposta ed omettendo di esaminare gli argomenti concreti e fatti oggetto di specifiche censure che costituirebbero la vera ragione dell’annullamento disposto dalla Soprintendenza, avrebbe finito con l’eludere i limiti posti dalla giurisprudenza al sindacato statale.
4.- L’appello, giunto alla discussione, senza che si siano costituite le parti intimate, e posto in decisione all’udienza del 18 dicembre 2012, è infondato.
Le argomentazioni dell’appellante non risultano, invero, persuasive.
La tesi di fondo secondo cui la contestazione di un vizio di legittimità con cui si conclude la motivazione del decreto di annullamento impugnato in primo grado sarebbe un mero espediente per dissimulare una pura valutazione di merito dissonante rispetto a quella effettuata dal Comune, cui tale valutazione è normativamente rimessa, poggia sul non condivisibile assunto che il vizio di motivazione, ritenuto dal Tar sufficiente a giustificare l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica e così il rigetto del ricorso di primo grado, non sia configurabile poiché, a ben vedere, la motivazione ritenuta mancate sarebbe racchiusa nelle prescrizioni cui la C.e.i. ha subordinato il parere favorevole. Secondo l’appellante, tenuto conto del valore strumentale - ossia di semplice mezzo destinato a rendere conoscibile l’iter logico-giuridico seguito dell’amministrazione - della motivazione, tali condizioni sarebbero in concreto idonee a esprimere la giustificazione della valutazione positiva di compatibilità col vincolo stesso, considerato che lo stesso decreto di vincolo (d.m. 6 maggio 1968) “era motivato con argomenti aspecifici e privi di reale contenuto definitorio”, che si trattava di vincolo relativo e dunque non implicante un divieto assoluto di realizzazione di nuovi fabbricati, che il manufatto era di dimensioni modeste.
Le deduzioni dell’appellante – volte ad addurre argomenti per denotare una adeguatezza “quanto meno sostanziale” della motivazione del parere favorevole annullato e, per converso, l’ “inaccettabile formalismo” cui sarebbe improntata la sentenza del Tar dell’Umbria, il quale ha rilevato che il Comune non aveva esplicitato in positivo le ragioni della ritenuta compatibilità – risultano infondate, in considerazione del contenuto del verbale della commissione edilizia integrata, limitato all’espressione di parere favorevole subordinatamente alla tinteggiatura del manufatto nelle tonalità del giallo composto con il bianco e degli infissi con colore opaco e non riflettente ed alla messa a dimora di alberature schermanti nelle essenze autoctone in numero di almeno dieci esemplari.
Si tratta di una motivazione eminentemente assertiva della compatibilità dell’opera, adattata e schermata, rispetto al contesto ambientale, che non spiega le specifiche ragioni per le quali le condizioni sono state ritenute idonee a garantire l’interesse tutelato dal vicolo.
Pertanto l’avviso del giudice di primo grado – secondo cui la Soprintendenza ha colto un reale vizio di legittimità, ossia un obiettivo difetto di motivazione, del parere paesaggistico favorevole, che ne giustifica l’annullamento - trova questo Collegio concorde.
Né la sentenza gravata ha trascurato di considerare gli argomenti esposti nel preambolo del decreto impugnato, in quanto li ha considerati elementi addotti a riprova dell’insufficienza di motivazione.
Ed è vero, come osserva l’appellante, che tali argomentazioni non sono riferite al provvedimento comunale ma agli aspetti concreti della fattispecie esaminata, ma tanto non consente di ravvisare la pretesa illegittimità del disposto annullamento e si spiega con l’esigenza di non solo enunciare la constatazione di un vizio di legittimità, ma anche di chiarire (proprio in ossequio alla regola secondo cui i provvedimenti amministrativi devono essere motivati) la portata dell’omissione motivazionale riscontrata nel provvedimento, mettendo in luce i parametri cui la valutazione di compatibilità doveva attenersi e che non risultavano valutati e così, appunto, le concrete, specifiche caratteristiche, da un lato, del manufatto abusivo, e, dall’altro, del contesto ambientale in cui esso si collocava e nel quale doveva armonicamente inserirsi.
In altri termini, quando l’autorità statale annulla l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune (nell’esercizio dei poteri previsti dal t.u. n. 490 del 1999 o dall’art. 159 del Codice n. 42 del 2006), l’atto di annullamento si può limitare a constatare il difetto di motivazione della medesima autorizzazione, ma nulla osta che la Soprintendenza si soffermi sulle esigenze sostanziali di tutela dell’area, per rimarcare ancor più la necessità di una adeguata motivazione dell’autorizzazione anche in relazione ad alcuni specifici aspetti concernenti lo stato dei luoghi.
Pertanto non può essere condiviso l’assunto secondo cui non sussisterebbe alcun rapporto logico-giuridico tra le argomentazioni esposte nel preambolo e la conclusione della sussistenza di un vizio di difetto di motivazione.
L’appello deve, per tali ragioni, essere respinto.
Non si fa luogo a pronuncia sulle spese del presente grado, non essendosi costituite le amministrazioni appellate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 8891 del 2008, lo respinge.
Nulla per le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)