Dott. Stefano DELIPERI
La sentenza del Consiglio di Stato (VI sez.) n. 3895, depositata lo scorso 4 agosto 2008, assume notevole importanza ed emblematico rilievo in relazione alle problematiche concernenti l’imposizione di nuovi vincoli paesaggistici nell’ambito del quadro normativo attualmente vigente. Essa conclude un lungo e complesso iter procedimentale, con le relative fasi di contenzioso, riguardo la predisposizione di nuove disposizioni di tutela paesaggistico-ambientale in favore dei Colli di Tuvixeddu e Tuvumannu, sede della più importante area archeologica sepolcrale punico-romana del Mediterraneo, entro l’area urbana di Cagliari. La sorte dell’area archeologica di Tuvixeddu è interessata ormai da una complessa vicenda più che ventennale. E’ opportuno ripercorrerla, almeno per sommi capi, per renderla più agevolmente comprensibile. Il sito, nel mezzo della città di Cagliari, è stato utilizzato per attività di cava (calcare) fin dai primi del ‘900 pur essendo noto il suo interesse archeologico. Dopo i devastanti bombardamenti aerei anglo-americani dell’inverno-primavera 1943 divenne anche sede, per lunghi anni, di ricoveri di fortuna per popolazione meno abbiente. Al termine dell’attività estrattiva (metà degli anni ’70 del secolo scorso), l’area d’interesse archeologico sottoposta a specifico vincolo ai sensi della legge n. 1089 del 1939 si estendeva per solo un ettaro (D.M. 7 dicembre 1962). Il resto del Colle appariva soltanto parzialmente indagato. Nella seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso venne presentato al Comune di Cagliari un vasto piano di riqualificazione urbanistica da parte della Nuova Iniziative Compresa s.r.l. per circa 650 mila metri cubi di volumetrie complessive (comprensivi di strutture di edilizia economico-popolare realizzate dal Comune di Cagliari per 158.000 metri cubi), in gran parte di interesse residenziale. A partire dai primi anni ’90 del secolo scorso vennero svolte da varie associazioni ambientaliste e culturali numerose iniziative di sensibilizzazione e legali (particolarmente attive in questo campo gli Amici della Terra, sez. italiana di Friends of the Earth International, e il Gruppo d’Intervento Giuridico) che portarono da un lato alla riduzione delle pretese volumetriche (anche per ragioni legate all’evolversi del mercato immobiliare) ed allo svolgimento di una campagna di indagini e di scavi condotta dalla locale Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari che portò all’emanazione di un decisamente più ampio e congruo provvedimento di vincolo archeologico (D.M. 2 dicembre 1996) ai sensi degli artt. 1, 3 (vincolo diretto, su circa 12 ettari) e 21 (vincolo indiretto, zona di rispetto, su circa 20 ettari) della legge n. 1089/1939 allora vigente. Tale provvedimento resistette all’impugnativa della principale Società immobiliare interessata (con intervento ad opponendum dell’associazione ecologista riconosciuta Friends of the Earth International – Amici della Terra) sia davanti al T.A.R. Sardegna che davanti il Consiglio di Stato (1997). Con atto del 15 settembre 2000 andava a concludersi il lungo e complesso iter procedimentale dell’accordo di programma fra Comune di Cagliari, Regione autonoma della Sardegna e Investitori privati (la Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. ed altri Soggetti privati) che approvava il “Piano integrato di riqualificazione urbana e ambientale dei Colli di S. Avendrace” ai sensi degli artt. 2, comma 203°, della legge n. 662/1996, 27 della legge n. 142/1990 e 11 della legge regionale Sardegna n. 14/1996. La volumetria complessiva veniva ridotta a circa 430 mila metri cubi (compresa quella comunale già realizzata) e veniva stabilita una transazione fra il Comune di Cagliari ed alcuni proprietari immobiliari che avevano subito espropri per la realizzazione degli interventi di edilizia economico-popolare ormai ritenuti illegittimi da pronunce giurisprudenziali passate in giudicato. Dopo specifico ricorso di Friends of the Earth International – Amici della Terra e del Gruppo d’Intervento Giuridico ex art. 226 del Trattato U.E. ed apertura di procedura di infrazione per mancato rispetto della normativa comunitaria sulla valutazione di impatto ambientale, veniva rapidamente avviata e conclusa la c.d. procedura di verifica preventiva e si determinava l’esclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (D.P.R. 12 aprile 1996 e successive modifiche ed integrazioni e legge regionale n. 1/1999 e successive modifiche ed integrazioni) del progetto edilizio Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. e viabilità connessa con deliberazione Giunta regionale n. 32/28 del 25 luglio 2000. A partire dal 26 novembre 2003 sono stati avviati, per conto del Comune di Cagliari i lavori per la realizzazione del 1° lotto del parco archeologico-ambientale sotto la vigilanza della locale Soprintendenza per i beni archeologici: tali lavori porteranno alla scoperta di numerose nuove sepolture, alcune delle quali, secondo un recente rapporto del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione autonoma della Sardegna, sono state danneggiate da lavori non previsti e sono attualmente oggetto di accertamenti e provvedimenti su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari. Negli ultimi anni la Regione autonoma della Sardegna ha adottato alcune concrete iniziative di tutela e salvaguardia. Con il decreto 9 agosto 2006 n. 2323 (poi modificato ed integrato con il decreto n. 2836 del 12 ottobre 2006) l’ Assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport della Regione Sardegna, nel dichiarare di notevole interesse pubblico (“ai sensi dell’art. 136 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n° 42, così come modificato ed integrato dal D.Lgs. 24 marzo 2006 n° 15, con particolare riferimento alle lettere “c” e “d”) la “zona del colle Tuvixeddu – Tuvumannu sita nel Comune di Cagliari”) ha stabilito di applicare a tale zona - ai sensi dell’art. 140 D.Lgs. 42/2004, come modificato dal D.Lgs. 157/2006 – una disciplina di tutela secondo la quale (art. 3):
“1) nell’area è vietato qualunque edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela”;
“2) sono ammesse le attività di studio, ricerca, scavo, restauro inerenti i beni archeologici, nonché le trasformazioni connesse a tale attività, previa autorizzazione dell’organo competente”;
“3) sui manufatti e sugli edifici esistenti all’interno dell’area sono ammessi solo gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo”;
“4) i contenuti dell’Accordo di Programma ex art. 27 della legge 20 giugno 1990 n° 142, sottoscritto il 15 settembre 2000, riguardante il progetto di riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S. Avendrace, che si integra con il PIA 17 “Sistema dei Colli”, saranno oggetto di una proposta di rimodulazione, tra i soggetti firmatari dell’Accordo medesimo, finalizzata a verificare l’interesse pubblico teso alla migliore sistemazione delle aree e ad assicurare la migliore compatibilità degli interventi con gli elevanti livelli di valore paesaggistico e storico culturale del contesto”;
“5) può essere oggetto della rimodulazione dell’Accordo anche l’eventuale trasferimento di cubature, purchè esso preveda la cessione gratuita delle aree all’Ente Pubblico”;
“6) tutti gli interventi, ad eccezione di quelli di cui al precedente punto 3), dovranno essere corredati, ai fini dell’approvazione, dalla Relazione paesaggistica di cui al D.P. C.M. 12.12.2005”;
“7) si applicano altresì le ulteriori disposizioni del Piano Paesaggistico regionale adottato, laddove applicabili”.
Tuttavia, in prossimità di discussione di provvedimento giurisdizionale cautelare richiesto dal Comune di Cagliari e da Nuove Iniziative Compresa s.p.a. con intervento ad opponendum degli Amici della Terra, i detti decreti assessoriali venivano revocati (previa deliberazione Giunta regionale n. 46/1 del 14 novembre 2006) ed veniva confermata l’applicazione della normativa cautelare derivante dal piano paesaggistico regionale (art. 15, comma 4°, delle norme tecniche di attuazione del P.P.R.). Particolare la posizione della Soc. Cocco Raimondo Costruzioni, la cui area, di non ampia estensione, è collocata ai margini del sito d’interesse archeologico (Viale Sant’Avendrace).
Nel frattempo, con deliberazione n. 51/12 del 12 dicembre 2006, adottata ai sensi dell’art. 137 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni, la Giunta regionale sarda istituiva una commissione regionale con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili, di cui all’art. 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio. La Commissione regionale, convocata il 10 gennaio 2007, si è poi riunita sette volte ed infine, il 21 febbraio 2007, con otto voti favorevoli ed il voto contrario del Soprintendente per i beni archeologici cagliaritano, ha approvato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu. In seguito ad ulteriori provvedimenti amministrativi regionali, sinteticamente enunciati nella sentenza del Consiglio di Stato de quo, veniva proseguita l’iniziativa di tutela fino alla delibera della Giunta regionale della Sardegna di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis n. 31/12 del 22 agosto 2007, con la quale è stato anche dato mandato agli assessori competenti, affinché venisse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col Comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement.
Il T.A.R. Sardegna, con le sentenze della Sezione II nn. 127, 128 e 129 dell’8 febbraio 2008, annullava la citata deliberazione G.R. n. 31/12 del 22 agosto 2007 di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis, accogliendo i ricorsi della Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., della Nuove Iniziative Compresa s.r.l. e del Comune di Cagliari.
Con il ricorso n. 1975/2008 la Regione autonoma della Sardegna ha chiesto la riforma della descritta sentenza del Giudice amministrativo sardo n. 129/2008. Analoghi ricorsi sono stati depositati per la riforma delle restanti sentenze in tema del Giudice di prima istanza.
Il massimo organo della Giustizia amministrativa, però, ha respinto il ricorso in appello, così come le motivazioni introdotte dalle associazioni ambientaliste intervenienti. Le argomentazioni del Consiglio di Stato appaiono piuttosto stringenti e fondate.
In primo luogo, non può ritenersi di portata così rilevante da esser ritenuta “legge di riforma economico sociale”, abrogativa della normativa regionale previgente in contrasto con essa e costituente limite alla potestà regionale esclusiva ai sensi dell’art. 3 dello Statuto sardo (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) qualsiasi disposizione del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni) e, in particolare le disposizioni relative all’istituzione delle commissioni per il paesaggio. Secondo il ricorso regionale, “il nuovo Codice … avrebbe profondamente modificato i principi della materia e, quindi, anche la cornice di riferimento per le Regioni a statuto speciale; lo stesso avrebbe, introdotto, infatti, un radicale mutamento della nozione di paesaggio, di tutela paesaggistica e di vincolo paesaggistico; la Regione Sardegna manterrebbe, è vero, la propria competenza esclusiva in materia di ambiente e paesaggio (in realtà in materia di paesaggio si tratta di competenza concorrente, art. 3 statuto speciale, n.d.r.) ma, fino a che non ne farà nuovo esercizio, adeguandosi ai principi del Codice Urbani stesso, per effetto dell’art. 57 dello Statuto, troverebbe in essa applicazione la legislazione statale di riforma; in particolare, l’ora citato art. 57 prevede che: “nelle materie attribuite alla competenza della regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato” “. E’ pur vero, infatti, che, in seguito alla riforma del titolo V della Carta costituzionale, apportata con la nota legge costituzionale n. 3/2001, lo Stato ha competenza legislativa esclusiva (e regolamentare) in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, comma 2°, lettera s) e competenza concorrente, indicandone quindi i “principi fondamentali”, in materia di “governo del territorio”, tutela della salute”, “tutela e sicurezza del lavoro”, “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” (art. 117, comma 3°), come ricordato dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 51 del 6 febbraio 2006, respingendo il ricorso governativo avverso la legge regionale Sardegna n. 8 del 2004 proprio in materia di pianificazione paesaggistica. Tuttavia, la stessa Corte costituzionale “ha costantemente affermato che non qualsiasi modifica legislativa merita di essere definita di "riforma economico-sociale", spettando, invece, tale qualità solo a quelle norme che corrispondono a scelte di “incisiva innovatività” in settori qualificanti la vita sociale del Paese e, in particolare, a quelle che mirano a strutturare tali settori attraverso istituzioni che, per la natura degli interessi che coinvolgono, non possono che valere sull\'intero territorio nazionale; e che non tutte le disposizioni contenute in una legge di riforma hanno il carattere di “norma fondamentale”, dovendo questo essere riconosciuto esclusivamente ai principi fondamentali enunciati o, comunque, desumibili (cfr., fra le ultime, le sentenze n. 477 del 2000 e n. 482 del 1995), ovvero a quelle disposizioni che siano legate ai principi fondamentali da un vincolo di coessenzialità o di necessaria integrazione (cfr. sentenza n. 323 del 1998)”. In quest’ottica l’art. 137 del Codice dei beni culturali e del paesaggio punta soltanto ad una riforma strutturale-organizzativa delle precedenti Commissioni provinciali per le bellezze naturali, istituite dal regolamento esecutivo (art. 2 del regio decreto n. 1357/1940) della vecchia legge n. 1497/1939 sulla tutela paesaggistica. Il legislatore nazionale si è limitato, quindi, ad assegnare alle Regioni ed alle Province autonome la facoltà di istituire non più una commissione per provincia, ma – se ritenuto opportuno – anche una sola commissione competente sull’intero territorio regionale. La limitatezza della portata di questa “minimalista” soluzione organizzativa non appare poter assumere certo il rango di principio di riforma economico-sociale “tanto più che non si tratta di norma destinata ad operare quale forma di tutela diretta dei beni paesaggistico-ambientali o volta a incidere direttamente sui titolari degli stessi o introdotta a diretto beneficio della collettività in materia”. Il legislatore nazionale, a riprova della fondatezza di tale linea interpretativa, ha poi previsto esplicitamente la permanenza delle preesistenti Commissioni provinciali fino alle riforme regionali in tema (art. 137, comma 3°, novellato del Codice, così come modificato dal decreto legislativo n. 157/2006), così come ha stabilito la permanenza delle disposizioni, in quanto applicabili, di cui al regolamento attuativo approvato con regio decreto n. 1357/1940 (art. 158 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni). “In tale situazione”, ricorda il Consiglio di Stato nella sentenza in esame, appare “tuttora pienamente vigente il disposto di cui all’art. 33 della legge regionale n. 45 del 22 dicembre 1989, il quale prevede una peculiare composizione … delle Commissioni provinciali”. Della necessità di specifica modifica legislativa del citato art. 33 della legge regionale n. 45/1989 (novellato con legge regionale n. 28/1998) si rese comunque conto la stessa Giunta regionale della Sardegna, che predispose specifico disegno di legge n. 161, presentato al Consiglio regionale in data 2 agosto 2005. Secondo il Giudice amministrativo d’appello, “appare … per certi versi, singolare che la medesima Regione appellante abbia inteso, con semplice delibera di Giunta (proponente, in precedenza, detto schema legislativo), abdicare alle proprie potestà normative primarie e secondarie nella materia, di cui si tratta (contraddicendo anche il proprio precedente operato propositivo di un’apposita novella normativa), ritenendo che una norma statale di semplice organizzazione degli uffici, non costituente norma di riforma economico-sociale e neppure pienamente definita per ciò che attiene agli ambiti di operatività e alle modalità di costituzione degli stessi … , potesse prevalere sugli assetti normativi primari che la stessa Regione (in aderenza, in tal caso, ai principi autonomistici che ne ispirano l’azione) aveva inteso darsi, a suo tempo, avvalendosi delle proprie prerogative in materia, fino a procedere alla nomina dell’organo sulla base della sola norma statale e senza neppure rimettere alle necessarie scelte politiche dell’organo consiliare l’esercizio delle molteplici opzioni che, come cennato, la norma statale stessa rimetteva direttamente alla Regione; e ciò pur in presenza (art. 8 del d.lgs. n. 42/2004) di una norma dello stesso Codice Urbani secondo cui “nelle materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”. La Giunta regionale si sarebbe, quindi, sostituita irrazionalmente e contraddittoriamente all’Organo legislativo ed alle sue competenze e neppure avrebbe potuto invocare quella “dettagliata disciplina della Commissione regionale, tanto esauriente da potere immediatamente essere applicata anche con semplice atto amministrativo”, visto che l’Esecutivo regionale ha adottato la determinazione di istituire un’unica Commissione e di non applicare il meccanismo di scelta imperniato sulle terne di nominativi proposti (art. 137, comma 2°, del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni), svolgendo una scelta di politica generale che spettava, però, al legislatore regionale, rientrando nella materia relativa all’organizzazione degli uffici non delegificata. Sottolinea il Consiglio di Stato che, tra l’altro, la nomina dei componenti esterni alle amministrazioni pubbliche competenti in materia paesaggistica è stata di fatto sottratta al Consiglio regionale (competente ai sensi dell’art. 33 della legge regionale n. 45/1989 e successive modifiche ed integrazioni) senza alcun fondamento normativo e sia stata effettuata con semplice valutazione di curricula senza alcuna precisazione preventiva dei requisiti richiesti. Inoltre, ha visto la nomina di un componente della Commissione regionale per il paesaggio avente “un curriculum recante una data successiva rispetto a quella di nomina della Commissione e del relativo commissario”, apparendo chiaramente “ulteriore indice della scarsa trasparenza dell’azione amministrativa”. E, nel caso dell’invocata urgenza dell’attività istruttoria in favore di nuovi provvedimenti di tutela paesaggistica, ben avrebbe potuto – nelle more della prevista riforma legislativa – rinnovare le composizioni delle esistenti Commissioni provinciali per le bellezze naturali.
Naturalmente – osserva il Consiglio di Stato – la Regione autonoma della Sardegna ben potrà riavviare il procedimento relativo all’imposizione di un nuovo vincolo paesaggistico, seppure seguendo un corretto iter procedimentale anche alla luce delle considerazioni e censure indicate nella sentenza in esame. Sotto questo profilo rileva anche la carente consultazione con il Comune di Cagliari, avente avuto “un rilievo solo formale”, nonostante due sedute della Commissione regionale per il paesaggio ad essa dedicata (29 gennaio 2007 e 21 febbraio 2007). A parere del Consiglio di Stato, “non ha tenuto in debito conto (tanto da non fornire, a ben vedere, alcuna motivazione al riguardo) quanto da quella stessa Amministrazione prospettato circa le problematiche legate allo stravolgimento della locale programmazione urbanistica” con particolare riferimento al noto accordo di programma immobiliare sottoscritto nel 2000 ed ai rilevanti òneri per il Comune medesimo afferenti all’onerosa restituzione ai soggetti privati delle aree, alla parziale esecuzione già effettuata di lavori, ecc. Accordo che, si ricorda, vedeva parte la Regione autonoma della Sardegna. Appaiono venuti meno, quindi, quei principi di leale collaborazione e di cooperazione che – nell’attuale assetto costituzionale conseguente alla riforma del titolo V della Carta costituzionale (artt. 114 e ss.) – debbono armonizzare i rapporti fra i vari Soggetti (“enti autonomi”) che costituiscono la Repubblica. Principi collaborativi contenuti anche nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, agli art. 132, comma 1°, e 138 (in base a cui la Commissione, nella fase istruttoria, “procede alla consultazione dei comuni interessati”), ma anche all’ art. 112, dove prescrive che la valorizzazione dei beni culturali attraverso la stipula di specifici accordi fra Stato, Regioni ed Enti locali per la definizione di strategie comuni. Nel caso de quo, inoltre, la presenza di un accordo di programma contenente rilevanti disposizioni per la realizzazione di un parco archeologico-ambientale e di un museo non poteva essere ignorata, né esser considerata mediante una consultazione meramente formale del Comune territorialmente competente. A ciò si aggiunge la mancata adeguata considerazione delle osservazioni apportate in sede di proposta di provvedimento di vincolo, carenza rilevata in sentenza da parte del T.A.R. Sardegna e non oggetto di impugnativa.
Ultimo, ma di estremo rilievo, è il complesso di argomentazioni che hanno portato il Consiglio di Stato a confermare anche il rilevato vizio dello sviamento di potere. Aspetto fondamentale, a parere del Giudice amministrativo d’appello, è l’aver fatto proprio da parte della Giunta regionale sarda il parere istruttorio della Commissione regionale per il paesaggio finalizzando la sua conseguente azione alla realizzazione di uno studio progettuale per un intervento di tutela redatto dal prof. Gilles Clement, secondo quanto esplicitato con la deliberazione Giunta regionale n. 31/12 del 22 agosto 2007. Vien da sé che tale citazione presuppone una conoscenza del detto “studio” negli specifici contenuti e una conseguente approvazione da parte dell’Esecutivo regionale, tuttavia il Consiglio di Stato non ha avuto modo di rinvenire alcuna formale iniziativa regionale di conferimento di incarico e valutazione del medesimo. Correttamente, quindi, può parlarsi di “sintomo di grave eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento” in quanto l’imposizione del nuovo vincolo paesaggistico, “con l’abbandono dei precedenti assetti progettuali concordati”, risulta finalizzata esplicitamente al perseguimento delle finalità della tutela paesaggistica conformata alle indicazioni di uno specifico “progetto di non definita origine e di non precisate fonti approvative”. Su altri aspetti non oggetto di impugnativa, ma anch’essi sintomatici dell’eccesso di potere, il Consiglio di Stato ha ritenuto l’avvenuta formazione del giudicato amministrativo.
Una sentenza, quindi, di peculiare interesse, soprattutto per i rilevanti aspetti di ordine procedurale che contribuiscono a delineare un procedimento – quello dell’imposizione del vincolo paesaggistico – fondamentale per la tutela ambientale del Bel Paese, interesse costituzionalmente garantito, tuttavia da contemperare con le basilari esigenze generali della tutela dell’affidamento, del “giusto” procedimento e della congrua motivazione che deve costituire fondamento di scelte amministrative così incisive.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3895/08
Reg.Dec.
N. 1975 Reg.Ric.
ANNO 2008
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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
sul ricorso in appello n. 1975/2008, proposto dalla Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente p,t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Cerulli Irelli, Paolo Carrozza e Gian Piero Contu e presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, via Dora 1,
la società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Benedetto Ballero e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Portuense 104, presso la sig.ra Antonia De Angelis,
del Comune di Cagliari, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello Vignolo, Massimo Massa, Ovidio Marras e Federico Melis, elettivamente domiciliato in Roma, via Portuense 104, presso la sig.ra Antonia De Angelis,
della società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Carducci 4,
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t., non costituitosi in giudizio,
dell’Associazione Italia Nostra O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Dore e presso la propria sede elettivamente domiciliata in Roma, via Sicilia 66,
interveniente ad adjuvandum
dell’associazione Legambiente O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Andreozzi e Carlo Pisano ed elettivamente domiciliata in Roma presso la Segreteria del Consiglio di Stato,
della sentenza del TAR della Sardegna, Sezione II, 8 febbraio 2008, n. 129;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., del Comune di Cagliari, della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., nonché l’intervento ad adjuvandum dell’Associazione Italia Nostra e dell’associazione Legambiente;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 30 maggio 2008, il Consigliere Paolo Buonvino;
uditi, per le parti, gli avv.ti Cerulli Irelli, Carrozza, Contu, Vignolo, Massa, Corda, Rossi, Traina, Andreozzi e Ballero.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
1) – Con il ricorso introduttivo di primo grado (n. 598/2007) è stato chiesto l’annullamento:
- del provvedimento del 21.2.2007, con il quale la Commissione regionale per il paesaggio per la Sardegna, ai sensi dell’art. 138 del D.Lgs. n. 42/2004 ha proposto che il contesto Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis, fosse dichiarato di notevole interesse pubblico;
- della deliberazione della Giunta n. 51/12 del 12.12.2006, recante “Istituzione della Commissione regionale prevista dall’art. 137 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42”;
- della delibera della Giunta regionale n. 19/12 del 12.5.2006, recante “Provvedimenti cautelari e d’urgenza per la salvaguardia e la tutela del paesaggio di parte dell’aera archeologica di Tuvixeddu in viale S. Avendrace- Cagliari”; della del. n. 46/1 del 14.11.2006 e n. 46/1 del 12.10.2006 e n. 1/2 del 9.1.2007, nonché del decreto dell’assessore della P.I. del 14 novembre 2006;
- dei decreti dell’assessore alla P.I. n. 2323 del 9.8.2006, n. 2836 del 12 ottobre 2006, che vietavano ogni intervento edilizio nelle aree in esame, della direttiva dell’assessore della P.I. n. 19/GAB/XIV.12.2 del 11.1.2007 e conseguente determinazione n. 4 del 11.1.2007 del direttore del servizio tutela del paesaggio della Regione sarda, che disponeva il vincolo di inedificabilità delle aree in esame per 90 giorni, poi revocata con determinazione n. 215 del 27.2.2007;
- del decreto dell’assessore della P.I. n. 3349 del 14.11.2006 e conseguente atto del direttore del servizio tutela paesaggio del 15.11.2006, prot. 7991, che disponeva il blocco di ogni intervento nell’area di proprietà della società ricorrente;
- della deliberazione di Giunta n. 1/2 del 9.1.2007 recante “progetto di valorizzazione dell’area archeologica in località Tuvixeddu- Cagliari. Realizzazione “Porta del Parco”;
- della nota del direttore generale dell’assessorato della P.I. n. 32 del 4 gennaio 2007;
- delle note del Direttore del servizio tutela del paesaggio presso l’assessorato regionale della P.I. del 12.1.2007 n. 291 e 293, con le quali si chiede di pubblicare la comunicazione dell’avvio del procedimento;
- dell’atto del 15 gennaio 2007 prot. n. 335 del Direttore del servizio tutela del paesaggio;
- dei verbali della Commissione regionale per il paesaggio e di tutte le determinazioni ivi contenute;
- del regolamento interno per i lavori della Commissione regionale di cui all’art. 137 del d. lgs. 42/2004;
- della nota sottoscritta il 31.1.2007 dai Componenti di nomina regionale del comitato regionale del paesaggio;
- della deliberazione della Giunta n. 5/23 del 7.2.2007 recante “Realizzazione parco archeologico di Karalis e progetto di valorizzazione del colle di Tuvixeddu nella città di Cagliari – articoli 96, 98 e 100 del D. Lgs. 22.1.2004 n. 42”, con incarico all’assessore della P.I. di assumere ogni iniziativa per estendere il parco archeologico, ricomprendendovi anche l’area tra i civici 35 e 55 del viale S. Avendrace, già individuati con la delibera del 9.1.2007, disponendo poi in ordine alla dichiarazione di pubblica utilità ed esproprio.
Con i successivi motivi aggiunti, depositati il 2 novembre 2007, la ricorrente società ha chiesto, poi, l’annullamento:
- della delibera della Giunta regionale della Sardegna di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu- Tuvumannu –Is Mirrionis n. 31/12 del 22 agosto 2007, con la quale è stato dato mandato agli assessori competenti, affinché venisse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col Comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement;
2) - In linea di fatto ha premesso, il TAR, con la sentenza impugnata, che l’area di Tuvixeddu – Tuvumannu – Is Mirrionis, ricadente nell’ambito del centro urbano di Cagliari e oggetto del provvedimento di riqualificazione urbana, è vasta circa 48 ettari. Sul versante ovest di Tuvixeddu si trova una importante necropoli fenicio-punica e romana, sulla quale esiste un vincolo archeologico ex artt. 1, 3 e 21 della legge 1089/1939. Il vincolo riguardava prima una piccola area, ma è stato successivamente allargato fino a coprire l’intera area interessata dalla necropoli d’estensione di circa 12 ettari, protetta in parte da vincolo diretto ed in parte da vincolo indiretto.
Sin dal 1997, il complesso di cui sopra è vincolato quasi per intero ai sensi della legge 1497/1939 (vincolo paesaggistico).
A fine anni 70’ il comune di Cagliari ha realizzato, ai margini della suddetta zona, due interventi di edilizia economica e popolare, occupando vaste aree di proprietà privata.
L’area è stata per lungo tempo utilizzata per attività di cava ed stata anche oggetto di dimore abusive occasionali.
La società Coimpresa, a metà del 1997, ha sottoposto all’attenzione del Comune un progetto di “Riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S.Avendrace”.
Nel frattempo, il 16 ottobre 1997, la Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Cagliari, costituita ai sensi dell\'articolo 2 della legge 1497/1939 e dell\'articolo 33 della legge regionale n. 45/1989, aveva apposto il vincolo paesaggistico di cui all\'articolo 1, n. 3 e 4 della legge 1947/1939 su un\'ampia area che comprende quasi per intero i colli di Tuvixeddu- Tuvumannu, da via San Avendrace sino a Piazza D’Armi.
Per effetto di questo provvedimento della Commissione provinciale, tutti i progetti di modificazione di luoghi sono stati accompagnati dall\'autorizzazione prevista, dapprima, all\'articolo 7 della legge 1497/1939, quindi dall\'articolo 151 del decreto legislativo n. 490/1999 e, oggi, dall\'articolo 146 del decreto legislativo n. 42/2004.
Il progetto della società Nuove Iniziative Coimpresa, sottoposto all\'esame dell\'Ufficio tutela del paesaggio, costituito presso l\'Assessorato regionale alla pubblica istruzione, ha ottenuto l\'autorizzazione n. 3015 del 27/5/1999. In tale provvedimento si articolano una serie di considerazioni molto favorevoli rispetto al progetto, in particolare che “è apprezzabile la scelta di ridefinire totalmente il comparto” e che “l\'intervento progettato consente di ricucire un brano del tessuto urbano particolarmente significativo nel contesto cittadino”.
Il progetto del parco di Tuvixeddu aveva acquisito il parere della sovrintendenza archeologica di Cagliari in data 20 ottobre 1998 n. 4904/1.
Tra i dati più significativi si rileva che la superficie complessivamente interessata all\'intervento è di circa 48 ettari, di cui 34 sono destinati a standards e a zona H - parco archeologico, mentre i 14 residui ad insediamenti edilizi.
In data 27/6/2000, negli uffici del Servizio sistema informativo ambientale, valutazione impatto ambientale ed educazione ambientale (SIVEA), istituito presso l\'Assessorato regionale difesa dell\'ambiente, e competente in Sardegna per la procedura di valutazione di impatto ambientale, si è tenuta una conferenza istruttoria, alla quale hanno partecipato i rappresentanti dello stesso servizio, degli assessorati regionali alla pubblica istruzione e all\'urbanistica, della sovrintendenza archeologica di Cagliari-OR, della soprintendenza ai beni ambientali di Cagliari-OR e dell\'assessorato all\'urbanistica del Comune di Cagliari.
All\'unanimità, la conferenza istruttoria ha approvato la relazione del Servizio (SIVEA) allegata al verbale ed ha escluso che l’intervento, per le sue caratteristiche, dovesse essere sottoposto a procedura di VIA.
Il 25 luglio 2000 la Giunta regionale con deliberazione n. 32/28 ha recepito il parere positivo della conferenza istruttoria del 27/6/2000 accogliendo la proposta dell\'Assessore alla difesa dell\'ambiente di concerto con quello della pubblica istruzione.
Con deliberazione n. 64 adottata il 25/7/2000, il Consiglio comunale di Cagliari ha approvato la bozza di transazione proposta, nell\'ambito dell\'accordo di programma dalla Coimpresa e da altri proprietari coinvolti dagli espropri; in virtù di questa proposta il contenzioso esistente è stato definito con un esborso complessivo di 43 miliardi, a fronte di 63 miliardi di debito che risultavano a carico del Comune di Cagliari.
In data 15/9/2000 è stato sottoscritto l\'accordo di programma quadro tra il Comune di Cagliari, la Regione Autonoma dalla Sardegna, l\'Assessorato regionale degli enti locali, la Società Iniziative Coimpresa, le signore Rosanna e Pier Franca Sotgiu, la Edilstrutture sas e la signora Anna Maria Mulas, concernente “progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace PIA CA 17 Sistema dei Colli.”
L\'art. 3, comma 1, primo alinea, dell\'accordo di programma stabilisce che la Regione Autonoma dalla Sardegna conferma il finanziamento di cui alla bozza di accordo del PIA CA 17 Sistema dei Colli allegato b), attraverso gli assessorati competenti, si impegna a mettere a disposizione del Comune di Cagliari la somma di 12 miliardi per la realizzazione del Parco Archeologico Urbano.
Il 3/10/2000 è stato, quindi, stipulato un accordo di programma inerente al PIA CA 17, autonomo rispetto all’accordo di programma del 15/9/2000, ma collegato ad esso. L\'accordo di programma connesso al PIA CA è stato adottato con delibera di giunta regionale n. 37/1 del 13/9/2000 ed è stato sottoscritto dal Presidente della regione Sardegna, dagli Assessori regionali della programmazione, degli enti locali, dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, dall\'amministrazione provinciale di Cagliari, dal comune di Cagliari e dalla società Coimpresa.
Con deliberazione n. 114 del 10.10.2000 il Consiglio comunale di CA ha ratificato l’accordo di programma del 15.9.2000.
Il 17.5.2002 e il 25.5.2003 si è tenuta una conferenza di servizi convocata dal Comune di Cagliari, ai sensi dell’art. 7 della legge 109/1994, per ottenere il parere di tutte le amministrazioni interessate in ordine al progetto delle opere di urbanizzazione primaria predisposto dalla Coimpresa; tutte le amministrazioni interessate, compresa la Sovrintendenza archeologica, hanno espresso parere favorevole.
Con convenzione sottoscritta il 5.6.2003, la Coimpresa ha ceduto al Comune le aree occorrenti per la viabilità, i parcheggi, il verde pubblico, il parco archeologico ed i servizi connessi alle residenze. Inoltre la medesima convenzione ha individuato le aree di proprietà privata destinate ad uso pubblico.
Il 26.11.2003, con la consegna dei lavori per la costruzione del parco archeologico urbano di Tuvixeddu, ha avuto inizio l’attuazione del progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace comprendente anche la viabilità di penetrazione urbana via Cadello - via S. Paolo e d’interconnessione tra l’asse mediano di scorrimento, l’asse litoraneo e le SS 130, 131, 195 e 554 i cui lavori sono stati consegnati il 3.10.2005 – il museo archeologico- i cui lavori sono stati consegnati il 29.12.2005, e gli interventi dei privati.
In data 14 ottobre 2005 il Presidente della giunta regionale, il Sindaco di Cagliari ed la società Coimpresa hanno sottoscritto un atto preventivo di intesa per la individuazione di tratti di viabilità di interesse urbano relativi al PIA, nel quale convenivano che non si riteneva essenziale per la validità dell’iniziativa, nel suo complesso, la realizzazione dell’ultimo tratto della viabilità di piano, individuato come 3° lotto.
Con delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24.5.2006 è stato adottato il PPR, definitivamente approvato con delibera n. 36/7 del 5.9.2006: con tale strumento è stata ampliata l’area già sottoposta a vincolo paesaggistico.
A partire dal maggio 2006, la Giunta regionale, con diversi provvedimenti succedutisi nel tempo ed adottati prima della scadenza del precedente (tutti poi ritirati), ha sospeso - di tre mesi in tre mesi - tutti i lavori in corso nell’area Tuvixeddu - Tuvumannu.
Infine, con deliberazione n. 51/12 del 12.12.2006, adottata ai sensi dell’art. 137 del D.Lgs. 42/2004, la Giunta ha istituito una commissione regionale con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili, di cui all’art. 136 del codice Urbani.
Con deliberazione n. 1/2 del 9.1.2007 la Giunta ha incaricato l’assessore regionale della P.I. di fare quanto necessario per estendere il progetto di parco archeologico e di museo fenicio punico della zona di Tuvixeddu, in vista di una successiva espropriazione.
La Commissione regionale, convocata il 10.1.2007, si è poi riunita sette volte ed infine, il 21.2.2007, con otto voti favorevoli ed il voto contrario del sovrintendente per i beni archeologici di CA e OR, ha approvato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area di Tuvixeddu.
Per quanto riguarda la posizione della società ricorrente ha precisato, il TAR, che la stessa era titolare della concessione edilizia n. 1392/2005 del 22 novembre 2005, rilasciata dal Comune di Cagliari per l’edificazione di un fabbricato da realizzarsi, in parte, su una area nella quale insistevano alcuni fabbricati ed un cortile interno ed, in parte, su di una area ad essa ceduta dal Comune di Cagliari; si tratta di terreni esterni al vero e proprio complesso archeologico, essendo poste a margine del viale S. Avendrace ed era estranea agli accordi di programma di cui si è sopra parlato.
L’area era sottoposta a vincolo archeologico ed era stata definitivamente acquistata dalla ricorrente a seguito del mancato esercizio, da parte del Ministero, del diritto di prelazione.
Con la concessione edilizia di cui sopra era stata autorizzata la realizzazione di un fabbricato, previa demolizione di quelli esistenti .
L’area era stata acquistata dalla odierna ricorrente quando, dai precedenti proprietari, erano state già ottenute sia la concessione edilizia che i nulla-osta paesaggistico ed archeologico.
Il progetto esecutivo del fabbricato era stato approvato dalla sovrintendenza archeologica con atti prot. 894 del 15 febbraio 2005 e prot. 3912 del 9 giugno 2005, che confermava la fattibilità dell’intervento. Il nulla osta paesistico veniva rilasciato dal competente ufficio del comune di CA, con provvedimento n. 51437 prot. 13557 del 26 giugno 2004.
A questo punto l’attuale società acquistava l’immobile avendo acquisito il massimo affidamento possibile sulla realizzabilità dell’intervento.
In precedenza la ricorrente si era assunta degli impegni nei confronti della sovrintendenza archeologica in modo da salvaguardare e da assicurare la fruibilità il sito archeologico denominato “Tomba dei pesci e delle palme”, ubicato con ingresso sul muro retrostante le costruzioni esistenti, inoltre si era impegnata a concordare con la sovrintendenza una soluzione nel caso che si rinvenissero, con la demolizione delle costruzioni esistenti, ulteriori siti di interesse della soprintendenza archeologica.
I lavori sono stati, pochi mesi dopo il loro inizio, sospesi per tre mesi (del. Giunta del 12.5.2006), ma prima della scadenza del termine, è intervenuto un nuovo blocco (decreto assessore P.I. 9.8.2006) ed ancora, un secondo decreto dell’assessore della P.I. (12 ottobre 2006), che ha vietato ogni possibilità di trasformazione delle aree in esame. Tali decreti sono stati poi revocati e, con lo steso provvedimento di revoca, si è ribadito il vincolo; ancora in data 11.1.2007 il Direttore del servizio tutela del paesaggio di CA, su ordine scritto dell’assessore rinnovava, per altri tre mesi, il divieto di realizzare l’intervento edilizio. Questo atto è stato poi revocato lo stesso giorno - il 27.2.2007 - in cui formalmente è divenuto operativo il vincolo di cui alla proposta della Commissione regionale del paesaggio del 21.2.2007.
Con la proposta e, poi, con l’approvazione definitiva del vincolo sull’area in questione, il lotto sul quale la società ricorrente stava per realizzare un edificio è stato collocato in zona 1 di massima tutela, dove vige il divieto di qualunque edificazione.
Contro il citato provvedimento del 21 febbraio 2007 e contro tutti gli atti del procedimento la società Cocco Raimondo Costruzioni ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato in data 25 giugno 2007.
Con atto di opposizione in data 9 luglio 2007 la società Nuova Iniziative Compresa s.r.l. (che aveva impugnato gli stessi atti) ha chiesto, ai sensi dell’art. 10 del DPR n. 1199/1971, che il ricorso venisse deciso in sede giurisdizionale.
La società ricorrente ha, quindi, depositato atto di costituzione, per trasposizione di ricorso straordinario, presso il TAR notificandolo a tutti gli interessati.
Con delibera della Giunta del 22 agosto n. 31/12 è stata approvata la proposta della Commissione regionale di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu- Tuvumannu–Is Mirrionis e con la stessa è stato dato mandato agli assessori competenti affinché fosse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement.
Contro tale ultima deliberazione ha proposto, la stessa società, motivi aggiunti.
3) - Si è costituita in giudizio, in primo grado, l’Amministrazione regionale intimata eccependo, pregiudizialmente, l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della società ricorrente alla trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale e, nel merito, controdeducendo alle tesi esposte in ricorso e nei motivi aggiunti.
Si è costituita in primo grado anche la cointeressata Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l. (che ha insistito per l’accoglimento del gravame).
4) - Il TAR, con la sentenza appellata, dopo avere rigettato l’eccezione pregiudiziale anzidetta, sollevata dalla resistente Regione, atteso il consistente numero delle censure dedotte, ha ritenuto che le stesse potessero essere associate per temi connessi; ha, inoltre, rilevato che, nel procedere all’esame del ricorso, era da precisare che il gravame introduttivo era stato proposto anche contro una serie di atti dei quali, alcuni, non avevano natura provvedimentale, altri erano provvedimenti che avevano perso efficacia (sospensione dei lavori per 90 giorni), altri erano stati revocati dalla stessa amministrazione, o adottati da organi incompetenti, sicché, per questi, era da dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse al loro annullamento.
Quindi i primi giudici, atteso il consistente numero delle censure dedotte, hanno ritenuto che le stesse potessero essere associate per temi connessi; hanno, dunque, affrontato il primo gruppo di motivi di ricorso, attinente ad aspetti “formali” relativi alla procedura di nomina della Commissione e, specificamente, la delibera n. 51/12 del 12.12.2006; al riguardo, hanno ritenuto fondate le censure secondo cui detta Commissione avrebbe dovuto essere istituita con legge regionale o con regolamento e che le Commissioni provinciali per il paesaggio, di cui all’art. 33 della L.R. n. 45/89, non erano “decadute”, ma ben potevano ancora operare; per l’effetto, poiché l’illegittimità della delibera istitutiva della Commissione investiva tutti i successivi atti del procedimento e, in particolare, tutti gli atti della Commissione stessa, compresa la proposta di vincolo e la delibera di Giunta che approvava tale proposta; il TAR, oltre ad annullare la predetta delibera di nomina della Commissione e tutti i successivi atti da questa assunti, è pervenuto anche all’annullamento, per invalidità derivata, della stessa delibera di Giunta impositiva del contestato vincolo.
5) - Il TAR ha, poi, ritenuto che quanto detto comportava che non sarebbe stato necessario procedere all’esame degli altri motivi di illegittimità dedotti; sennonché, attesi i riflessi che le determinazioni contestate rivestivano per il territorio del comune di Cagliari e considerati, altresì, l’imponente documentazione prodotta, la palese fondatezza di molte censure dedotte, il dispendio di energie e mezzi difensivi, la complessa ricostruzione dei fatti e dei luoghi che avevano indotto il Collegio a svolgere un apposito sopralluogo in situ, hanno anche ritenuto opportuno procedere all’esame di alcuni motivi, seguendo il criterio dell’aggregazione per connessione, con l’assorbimento dei rimanenti motivi.
5.1) - Così procedendo, il TAR ha ritenuto, anzitutto, illegittima la nomina della detta Commissione anche per la carenza di idonea documentazione in relazione alle specifiche professionalità dei soggetti “esterni” nominati dalla giunta (le modalità di nomina dei membri della commissione risentivano, infatti, della mancanza di una fonte gerarchicamente superiore che avrebbe dovuto prevedere in astratto i requisiti ed i relativi criteri di valutazione, in linea con le prescrizioni contenute nel testo unico; tanto che le nomine degli esperti “esterni” sono avvenute “visti i curricula”, senza la predeterminazione, a tal fine, di alcun criterio e senza che gli stessi fossero neppure allegati alla delibera); sempre al riguardo, i primi giudici hanno anche osservato che la scelta di detti membri della Commissione, per non apparire arbitraria e suscettibile di essere influenzata da opinioni ed orientamenti soggettivi, doveva essere preceduta dalla predeterminazione ed individuazione degli elementi caratterizzanti l’idoneità tecnica del soggetto destinato a ricoprire quell’incarico, idoneità che solo con una qualificata pluriennale e documentata professionalità ed esperienza, come richiesto testualmente dall’art. 137 del codice Urbani, può essere garantita, ma che niente di tutto questo era presente nella delibera impugnata.
Sempre in relazione ad aspetti formali dell’atto in questione il TAR ha, poi, condiviso la censura in cui si lamentava che alcuni componenti di diritto della commissione non avevano partecipato alle deliberazioni e si erano fatti sostituire da delegati; al riguardo i primi giudici hanno, tra l’altro, rilevato che la commissione regionale, istituita ai sensi dell’art. 137 del codice Urbani, deve formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico di immobili di particolare interesse pubblico e che, come tale, è composta da soggetti dalla stessa norma indicati, svolgenti funzioni predeterminate nell’ambito della P.A. e da soggetti esterni, esperti nella materia de qua; e che tale composizione, legislativamente stabilita e caratterizzata da alte professionalità, ad avviso della Sezione, configurava un collegio perfetto, che doveva sempre operare col plenum dei suoi componenti; tenuto conto, quindi, della funzione attribuita alla commissione nel contesto del procedimento, il consiglio regionale, con una legge o con un regolamento, avrebbe dovuto stabilire quale configurazione attribuirle in astratto e, in tale sede, apprezzare opportunamente la circostanza che l’art. 137 del codice Urbani parla, per alcuni componenti, di membri “di diritto”, imponendo agli organi regionali l’obbligo di garantire la presenza fissa di un nucleo di componenti insostituibili; diversamente da quanto succedeva in precedenza, con il codice Urbani le funzioni di queste commissioni sono state, in realtà, potenziate; ora devono predisporre delle proposte motivate “con riferimento alle caratteristiche storiche culturali, naturali, morfologiche ed estetiche degli immobili o delle aree che abbiano significato e valore identitario del territorio in cui ricadono..”, e non solo, ma, nelle stesse, devono anche indicare “una specifica disciplina di tutela, nonché l’eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili…”; a tale potenziamento di funzioni ha fatto però illegittimamente seguito – sempre ad avviso dei primi giudici - una dequalificazione della fonte istitutiva e, comunque un’inammissibile frettolosa imprecisione nella definizione delle regole di costituzione e di funzionamento.
5.2) - I primi giudici hanno, quindi, esaminato e accolto il complesso di censure volte a contestare, anche in ragione di un sostanziale difetto istruttorio, l’esatta valutazione dello stato dei luoghi da parte della Commissione; e, al riguardo, hanno, anzitutto rilevato che detto organo non aveva considerato la situazione attuale dei luoghi (evidenziata dai rappresentanti del Comune nelle due audizioni del 29 gennaio 2007 e del 21 febbraio 2007), che appariva caratterizzata da una serie di lavori in avanzata fase di realizzazione, che avevano profondamente modificato le aree in questione.
Inoltre, ha osservato il TAR, uno dei punti essenziali evidenziati dalla Commissione nella relazione, ai fini dell’ampliamento del vincolo, è stato quello del valore archeologico e della scoperta di nuovi reperti nell’area; sennonché, la circostanza del ritrovamento di centinaia di tombe puniche, dopo il 1997, non risultava supportata da alcun elemento di prova; e proprio sotto il profilo della tutela archeologica l’arch. Santoni, Sovrintendente per i beni archeologici di Cagliari e Oristano e membro della Commissione, aveva espresso il proprio parere contrario all’estensione del vincolo sulla base delle motivazioni contenute nella nota n. 1048 del 12 febbraio 2007, allegata al verbale n. 6 in pari data.
Se pure, quindi, ha osservato, ancora, il TAR, nella relazione della Commissione erano stati messi in evidenza il paesaggio storico e le valenze storiche dell’area, non di meno il successivo passaggio era quello di mettere tali studi in stretta relazione con la realtà e, in particolare, con le modifiche che il territorio aveva subito nel corso degli anni; ma nessuna valutazione emergeva, sempre ad avviso dei primi giudici, dalla relazione non solo in ordine alla situazione della zona, così come si era evoluta, anche a seguito dei lavori – di non poco conto, come emerso nel corso del predetto sopralluogo - intrapresi dal comune e dai privati, in attuazione dell’accordo di programma, ma neppure in ordine alla eventuale collocazione degli interventi interrotti improvvisamente nella giusta logica di tutela del paesaggio esistente (al riguardo, il TAR ha ricordato l’effettuazione di lavori imponenti, quali ad esempio una lunga galleria, l’asse viario di interesse urbano via Cadello-via San Paolo, profondi scavi di fondazione per realizzare gli edifici previsti dall’accordo di programma sulla via Is Maglias, un edificio già realizzato per l’ingresso al museo, nonché opere di contenimento, gabbie imbrigliate destinate al rinverdimento, etc.. il Collegio ha anche potuto verificare che attraverso i “coni visivi”, con base sulla linea di perimetrazione verso l’area tutelata, in via Liguria, non si riesce ad intravedere nessun panorama né alcuno spettacolo di particolare bellezza, essendo tali punti, come individuati dalla Commissione, del tutto coperti dalle costruzioni esistenti che non consentono una visuale utile).
Né a contrastare quanto al riguardo osservato nel corso del ripetuto sopralluogo poteva – sempre ad avviso dei primi giudici - essere utilmente richiamato il sopralluogo effettuato dalla Commissione in data 29 gennaio 2007, la stessa essendosi limitata, in tal sede, alla verifica delle opere di cui al cantiere comunale del parco archeologico, mentre, per il resto, era giunta ”fino alla parte alta del colle di Tuvixeddu, alla villa Mulas, da dove ha potuto osservare da diversi punti le visuali che la morfologia dei luoghi consente di traguardare sia in direzione di S. Avendrace e S. Gilla sia verso via Is Maglias e il Colle S. Michele e tutti gli altri coni visuali percepibili in tutta l’area”, mentre aveva trascurato di visitare – e anche solo di citare - tutte le aree oggetto degli ingenti lavori da parte delle società Coimpresa e Cocco Raimondo, laddove, per una approfondita ed esaustiva istruttoria, tutta l’area ricompresa nel progetto di riqualificazione urbana avrebbe dovuto essere oggetto di analisi e di verifica concreta sul posto, al fine di acquisire una esatta conoscenza dello stato dei lavori e dei luoghi, non ritenendosi sufficiente la sola visuale dall’alto; in particolare, e tra l’altro, hanno ancora osservato, i primi giudici, che la Commissione non aveva tenuto conto che gli aspetti urbanistici ed edilizi, che caratterizzavano la corrente situazione urbana complessiva, costituivano elementi inscindibili del paesaggio e delle relative prescrizioni di tutela, né aveva tenuto conto dei processi insediativi che avevano portato all’attuale edificato, né del fatto che gli interventi edilizi ed infrastrutturali previsti dagli accordi di programma erano quasi tutti localizzati nelle depressioni e negli spazi creati dalla dismessa attività di cava.
5.3) - Il TAR ha, quindi, esaminato e condiviso il gruppo di censure riguardanti la partecipazione del Comune alle fasi del procedimento e, al riguardo, ha ritenuto che, dagli atti depositati in corso di causa, era emerso che il Comune medesimo era stato sentito due volte dalla Commissione, ma che, in effetti, non si era tenuto conto, in tali audizioni, di quanto dallo stesso evidenziato sia in relazione all’accordo di programma, sia in relazione alle aspettative dei privati e delle molteplici amministrazioni coinvolte, sia ai lavori in avanzata fase di realizzazione, che avevano profondamente modificato le aree, sia agli ingenti costi già sostenuti, sia, infine, alle cessioni delle aree da restituire ai privati; non vi era, quindi, dubbio circa la sostanziale estromissione del Comune nella fase istruttoria da parte della Commissione e le stesse audizioni, fatte senza che al Comune fossero neppure fornite per tempo le necessarie informazioni, non avevano sortito alcun effetto, neppure un dubbio, sulle decisioni già assunte, in aperta violazione del principio di cooperazione di cui all’art. 132 del codice Urbani.
Principio, sempre ad avviso del TAR, nuovamente violato, in maniera anche più marcata, da parte della Giunta regionale, dopo la fine dei lavori della Commissione, nella fase in cui il Comune ha espresso, sulla proposta di vincolo, le proprie osservazioni; come, infatti, dedotto da detta Amministrazione comunale in sede di motivi aggiunti, la Regione non ha tenuto in alcun conto quanto da essa precisato sia nella premessa che nel contesto delle specifiche osservazioni contenute nel documento inviato alla Presidenza della Giunta al fine di evidenziare una serie di problematiche molto complesse, derivanti dall’apposizione del vincolo nelle aree Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis.
Al riguardo, i primi giudici hanno ritenuto, tra l’altro, che la partecipazione del Comune al procedimento de quo era stata solo “formale” e non “reale”, come invece prescritto dal codice Urbani sia nell’art. 132, sia nell’art. 138, con i quali è stato riproposto dal legislatore il principio della “leale collaborazione” fra enti locali, corollario del canone costituzionale del buon andamento dell’amministrazione; e, sempre secondo il TAR, il Comune aveva inteso sottoporre all’attenzione della Commissione e, poi, della Giunta, la situazione reale dei luoghi, il livello di compromissione del sito, anche per via degli interventi risalenti che lo avevano reso del tutto diverso da quello illustrato nella proposta della Commissione sulla base di cartografie storiche e su toponimi; in ogni caso, la Giunta non aveva fornito alcuna risposta esauriente né su tali profili, né in relazione all’ampliamento così esteso del vincolo né, in genere, con riguardo ad alcuna delle numerose osservazioni dal Comune stesso formulate.
Anche in relazione alla posizione della parte ricorrente, non poteva, poi, non rilevarsi, ad avviso del TAR, la mancata considerazione dei rilievi fatti in sede di “osservazioni” alla proposta dalla signora Desogus, acquirente di uno dei realizzandi appartamenti.
La stessa aveva indicato una serie di circostanze di fatto, contestando, fra l’altro, un nesso fra la “Grotta della Vipera” e l’area in esame, evidenziando l’esistenza di una parte rocciosa fra il livello del terreno, ove era in corso di costruzione il palazzo, ed il livello delle grotte di almeno 6 metri, l’esistenza di strutture già realizzate, il fatto che solo una piccola parte del progetto era posta a fronte delle grotte, che non vi era alcuna scoperta nuova, che non vi era stata comparazione di interessi, che il palazzo avrebbe potuto essere rimodulato nella stessa area di sedime, con il recupero in tutto o in parte della cubatura.
Come evidenziato in ricorso, in effetti, la giunta non aveva, sostanzialmente, esaminato – sempre secondo il TAR - tali circostanziate osservazioni, essendosi limitata a respingerle in quanto non apportavano “elementi di natura tecnico scientifica alla proposta di vincolo” e perché “esprimono un interesse privato di tipo patrimoniale, recessivo, nella fattispecie, rispetto all’interesse pubblico sotteso alle valutazioni poste alla base della dichiarazione di cui all’art. 140 del D. Lgs. 42/2004”
Il TAR ha, poi, rilevato che, sui punti evidenziati dal Comune e dalla avente causa dalla impresa Cocco, non vi era alcun chiarimento o motivazione, soprattutto sulle ragioni di un ampliamento così consistente della perimetrazione delle aree sottoposte a vincolo; trattandosi di una vasta porzione di territorio, caratterizzata dalla combinazione di elementi paesaggistici ed ambientali, i limiti alla disponibilità ed all’utilizzazione del bene dovevano collegarsi alle sue caratteristiche intrinseche; inoltre, era da evidenziare come circostanza di massima rilevanza che, sia alla concessione edilizia rilasciata alla parte ricorrente, sia all’accordo di programma stipulato con il comune (e con privati) era stata data già esecuzione.
Il Comune – ha rilevato, ancora, il TAR - si era da tempo attivato per i seguenti interventi (cfr. in merito nota n. 512 del 26.6.2007 del sindaco, concernente osservazioni alla proposta), che erano in avanzata fase di realizzazione: Museo archeologico di Tuvixeddu, Parco archeologico e ambientale di Tuvixeddu, Viabilità di penetrazione urbana via Cadello- via S. Paolo 1° lotto funzionale, mentre l’impresa ricorrente aveva già demolito il vecchio fabbricato, completato lo scavo delle fondazioni ed eretto lo scheletro del nuovo edificio; tutti questi lavori sono stati, in un primo tempo e per diverse volte, temporaneamente sospesi dal Servizio regionale per la tutela del paesaggio e, successivamente, definitivamente interrotti a seguito dell’approvazione della proposta della Commissione regionale, con le gravi conseguenze sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari, evidenziate in ricorso.
Da ultimo, i primi giudici hanno ritenuto opportuno evidenziare la mancata allegazione di elementi probatori in ordine alla asserita sopravvenienza di elementi di novità tali da indurre la Commissione e poi la Giunta regionale a trascurare la oggettiva situazione dei luoghi oltre a ignorare l’accordo di programma e gli effetti della concessione rilasciata alla impresa ricorrente dopo un lungo iter burocratico; sulla base delle risultanze probatorie acquisite alla causa e sulla base della cospicua documentazione allegata agli atti, si poteva rilevare, invero, che, in relazione all’area di cui si discute, non erano presenti elementi di novità (a parte i lavori lasciati in sospeso) né rispetto alla normativa introdotta dal codice Urbani, né rispetto a nuove particolari emergenze, essendo i c. d nuovi rinvenimenti archeologici conosciuti da tempo, tanto che l’area in questione era già soggetta a vincolo archeologico.
La stessa “nuova accresciuta sensibilità” affermata nella relazione della commissione, nella materia di beni paesaggistici, deve fare i conti con la dimostrazione certa ed inconfutabile che il precedente regime di tutela e salvaguardia della zona in questione, riferito ad una determinata area, sarebbe divenuto del tutto inidoneo a garantire congruamente il suo valore paesaggistico.
Erano da evidenziarsi, allora, con assoluta scrupolosità – conclude il TAR - quei fatti nuovi che richiedevano un diverso e più incisivo intervento, tenendo sempre presente che si andava ad incidere su situazioni soggettive particolarmente qualificate (diritti nascenti da accordi negoziati, da concessioni edilizie), ancorate a legittimi affidamenti, creati, invero, dalla stessa amministrazione regionale, che dopo anni di concertazione concordata, oggi decide di cambiare “la filosofia del paesaggio”, sostituendo a quella dell’”edificato” quella del “vuoto” .
5.4) - Da ultimo, i primi giudici hanno esaminato e condiviso il gruppo di censure che si appuntavano sulla individuazione di una serie di comportamenti ritenuti significativi ai fini dell’individuazione di uno sviamento di potere, sia nell’attività della Commissione, sia in quella dell’amministrazione regionale.
In particolare, il TAR ha ritenuto che vizi siffatti fosse possibile riconoscere, anzitutto, nel fatto che l’amministrazione regionale, nella stessa delibera (n. 31/12 del 22 agosto 2007) di approvazione della proposta di vincolo, aveva dato mandato agli assessori competenti “affinché venga rapidamente realizzato, anche in collaborazione con il comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di Tuvixeddu – Tuvumannu - Is Mirrionis secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement”; al riguardo, come precisato in sentenza, l’esistenza, già al momento dell’approvazione del vincolo, di un altro progetto sostitutivo del precedente faceva sorgere il legittimo sospetto che l’idea originaria fosse quella di rendere impossibile il completamento delle opere avviate e che il fine perseguito non fosse tanto, quindi, quello di tutelare e salvaguardare un’area pregevole, quanto di cambiare la tipologia di intervento, essendo cambiata, nel frattempo, più che la sensibilità verso il paesaggio, l’orientamento della Giunta regionale e del suo Presidente nei confronti di tale area cittadina; e numerosi erano gli indizi rivelatori in tal senso, puntualmente, di seguito, elencati e puntualizzati dal TAR, tra loro tutti finalisticamente concatenati.
6) - Per i motivi tutti che precedono i primi giudici, con la sentenza appellata, in accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti ed assorbiti gli ulteriori motivi, hanno annullato: la delibera della Giunta regionale n. 51/12 del 12 dicembre 2006, istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo della Commissione del 21 febbraio 2007 e la delibera di Giunta n. 31/12 del 22 agosto 2007, di approvazione della proposta della Commissione regionale per il paesaggio; inoltre, ha annullato le delibere della Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 e n. 5/23 del 7 febbraio 2007; mentre tutti gli altri atti impugnati erano da ritenersi atti endoprocedimentali, non aventi natura di provvedimenti autonomamente lesivi, essendo stati emanati nell’ambito della diverse fasi procedimentali, preordinate esclusivamente all’emanazione degli atti definitivi, il cui annullamento determinava, conseguentemente, la perdita di ogni effetto degli stessi .
7) – La sentenza è appellata dalla Regione Sardegna che ne deduce l’erroneità sotto molteplici profili e chiede che, in riforma della stessa, venga respinto il ricorso di primo grado.
Sono intervenute ad adjuvandum le associazioni o.n.l.u.s. Italia Nostra e Legambiente.
Si sono anche costituiti in giudizio la società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., il Comune di Cagliari e la società Nuove Iniziative Compresa s.r.l. che insistono per il rigetto del presente gravame.
Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.
1) – Con la sentenza impugnata il TAR, in accoglimento del ricorso n. 598/2007, proposto dalla società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., ha annullato la delibera della Giunta regionale della Sardegna n. 51/12 del 12 dicembre 2006, istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo formulata della Commissione stessa in data 21 febbraio 2007, nonché la delibera di Giunta n. 31/12 del 22 agosto 2007, di approvazione della proposta della Commissione regionale per il paesaggio e conseguente apposizione di vincolo paesaggistico; ha, inoltre, annullato le delibere della stessa Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 e la n. 5/23 del 7 febbraio 2007.
2) - Si duole, anzitutto, la Regione appellante del fatto che il TAR, nel parallelo ricorso della società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. (definito, in accoglimento, con la sentenza n. 127/2008), dapprima ebbe a respingere le istanze cautelari avanzate da detta società e, poi, abbia, invece, accolto nel merito il ricorso, con accresciute conseguenze di carattere risarcitorio in capo alla stessa amministrazione regionale; e ciò sebbene le censure (accolte dal TAR con la sentenza appellata), relative alla legittimità della costituzione della Commissione regionale e di cui si dirà, abbiano fatto oggetto di ampia trattazione in primo grado già nella predetta fase cautelare.
2.1) - Tale doglianza appare inammissibile in quanto non direttamente riguardante la controversia oggetto del presente appello, non avendo l’appellata società Cocco Raimondo s.r.l., richiesto, in primo grado, la sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.
2.2) - Quanto al fatto – pure in questa sede lamentato - che il TAR, in modo che si assume essere perplesso, oltre a pronunciarsi sull’assorbente (per la Regione) pronuncia in tema di costituzione e legittimità della Commissione regionale, abbia, con ampio obiter dictum, affrontato anche le censure di merito, può osservarsi che costituisce, invero, una ordinaria modalità nella produzione della giustizia amministrativa che, una volta definito il gravame in sede preliminare o di accoglimento di censure di carattere formale, si indulga, non di rado, da parte del giudicante, anche ad affrontare il merito delle questioni sottoposte e soddisfare, così, l’interesse delle parti a conoscere quale sarebbe stata, comunque, la risoluzione della controversia sul piano sostanziale, onde meglio orientare le proprie successive scelte a livello processuale od operativo (e così consentendo, per esemplificare, alla stessa amministrazione di meglio definire la propria azione laddove, a seguito del giudicato, costretta a reiterare l’esercizio dell’attività amministrativa, una volta sfrondata la propria azione dei rilevati vizi formali).
3) – Deduce, quindi, l’appellante l’erroneità della sentenza impugnata, anzitutto, nella parte in cui i primi giudici hanno accolto il gruppo di censure con le quali il Comune ricorrente aveva contestato la legittimità della costituzione della Commissione regionale prevista dall’art. 137 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (delibera di Giunta regionale n. 51/12 del 2006 cit.).
In particolare, assume la deducente, la sentenza stessa errerebbe palesemente in ordine alla qualificazione del Codice Urbani di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 (specie dopo le integrazioni di cui al d.lgs. n. 157 del 2006) e delle norme in esso contenute, omettendo di considerarlo come “legge di riforma economico sociale”, abrogativo della normativa regionale previgente in contrasto con esso e costituente limite alla potestà regionale esclusiva ai sensi dell’art. 3 dello Statuto sardo; così come errerebbe nel non ritenere applicabili al caso in esame le norme statutarie e i principi generali in ordine agli effetti sulla legislazione regionale conseguenti all’introduzione di una legge statale di riforma economico sociale che innova i principi in materia (norma che avrebbe, per i suoi specifici connotati, carattere autoapplicativo); ed errerebbe anche sul significato dell’art. 137, u.c., del Codice in ordine all’ultrattività delle vecchie Commissioni provinciali per il paesaggio, già disciplinate, nella Regione Sardegna, dalle disposizioni di cui all’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989; con l’aggiunta che le Commissioni regionali operanti sotto la precedente consiliatura dovrebbero ritenersi da tempo, ormai, definitivamente cessate (ai sensi sia dello stesso, ora citato, art. 33, sia, comunque, a mente della disciplina di cui alla l.r. n. 11 del 1995) e neppure operanti – per divieto normativo – in regime di prorogatio.
Il nuovo Codice, invero, assume, ancora, la Regione, avrebbe profondamente modificato i principi della materia e, quindi, anche la cornice di riferimento per le Regioni a statuto speciale; lo stesso avrebbe, introdotto, infatti, un radicale mutamento della nozione di paesaggio, di tutela paesaggistica e di vincolo paesaggistico; la Regione Sardegna manterrebbe, è vero, la propria competenza esclusiva in materia di ambiente e paesaggio, ma, fino a che non ne farà nuovo esercizio, adeguandosi ai principi del Codice Urbani stesso, per effetto dell’art. 57 dello Statuto, troverebbe in essa applicazione la legislazione statale di riforma; in particolare, l’ora citato art. 57 prevede che: “nelle materie attribuite alla competenza della regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato” (norma, quindi, si assume, per certi versi analoga a quella contenuta nell’art. 10 della c.d. legge “Scelba” n. 62 del 1953); la legge dello Stato contenente nuovi principi fondamentali avrebbe, quindi, effetto abrogativo delle leggi regionali non conformi e sarebbe immediatamente applicabile nelle Regioni stesse; in conclusione, deduce, ancora, l’appellante, il Codice Urbani non avrebbe fatto venire meno eventuali competenze esclusive delle Regioni, ma, fino all’esercizio concreto di tali competenze, in armonia con i principi del Codice, questo avrebbe valore suppletivo ed i suoi nuovi principi dovrebbero trovare applicazione diretta anche nelle Regioni e, per ciò che qui interessa, nella regione Sardegna, non essendo la previgente legislazione regionale in armonia con i principi introdotti dalla novella normativa statale.
Al riguardo giova ricordare che la Corte Costituzionale (cfr. sent. 31 maggio 2001, n. 170) ha ripetutamente escluso qualsiasi rilievo decisivo alla autoqualificazione di riforma economico-sociale, contenuta in taluni contesti normativi, direttamente operata dal legislatore, occorrendo, invece, far riferimento alla obbiettiva natura della norma in discussione (cfr. anche le sentenze della stessa Corte costituzionalen. 355 del 1994 e n. 151 del 1986); e ha, altresì, evidenziato l\'esigenza di unità delle scelte politiche fondamentali della Repubblica, esigenza a difesa della quale è appunto posto il limite alla potestà normativa regionale o, se del caso, provinciale.
Atteso, infatti, l\'evidente vincolo che in tale modo potrebbe essere posto alla concreta esplicazione della potestà normativa locale, la stessa Corte ha costantemente affermato che non qualsiasi modifica legislativa merita di essere definita di "riforma economico-sociale", spettando, invece, tale qualità solo a quelle norme che corrispondono a scelte di “incisiva innovatività” in settori qualificanti la vita sociale del Paese e, in particolare, a quelle che mirano a strutturare tali settori attraverso istituzioni che, per la natura degli interessi che coinvolgono, non possono che valere sull\'intero territorio nazionale; e che non tutte le disposizioni contenute in una legge di riforma hanno il carattere di “norma fondamentale”, dovendo questo essere riconosciuto esclusivamente ai principi fondamentali enunciati o, comunque, desumibili (cfr., fra le ultime, le sentenze n. 477 del 2000 e n. 482 del 1995), ovvero a quelle disposizioni che siano legate ai principi fondamentali da un vincolo di coessenzialità o di necessaria integrazione (cfr. sentenza n. 323 del 1998).
Fatta tale premessa, giova ricordare, per ciò che attiene al presente caso, che, nel d.lgs. n. 42 del 2004 - in cui non si parla, comunque, espressamente di disciplina normativa di fondamentale riforma economico sociale – è previsto,all’art. 7, che “il presente codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel rispetto di tali principi le regioni esercitano la propria potestà legislativa”.
In questo contesto, deve ritenersi che l’art. 137 dello stesso Codice miri semplicemente a ridisciplinare, sul piano strutturale-organizzativo, le Commissioni provinciali previste dall’art. 2 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357 (regolamento per l’applicazione della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali), per le quali l’originaria formulazione del Codice Urbani – art. 137 - prevedeva, che: “con atto regionale è istituita per ciascuna provincia una commissione con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) e delle aree indicate alle lettere c) e d) dell\'articolo 136”; e che “della commissione fanno parte di diritto il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio”; mentre “i restanti membri, in numero non superiore a sei, sono nominati dalla regione tra soggetti con particolare e qualificata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio”.
Il testo dell’art. 137 ora detto è stato modificato dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, nei termini che seguono:
“1. Ciascuna regione istituisce una o più commissioni con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell\'articolo 136 e delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 del medesimo articolo 136.
2. Di ciascuna commissione fanno parte di diritto il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio nonché due dirigenti preposti agli uffici regionalicompetenti in materia di paesaggio. I restanti membri, in numero non superiore a quattro, sono nominati dalla regione tra soggetti con qualificata, pluriennale e documentata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio, eventualmente scelti nell\'ambito di terne designate, rispettivamente, dalle università aventi sede nella regione, dalle fondazioni aventi per statuto finalità di promozione e tutela del patrimonio culturale e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell\'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349. Decorsi infruttuosamente sessanta giorni dalla richiesta di designazione, la regione procede comunque alle nomine”.
Così operando, peraltro, il legislatore nazionale, con norma valida per tutte le Regioni, si è limitato a dare facoltà alle stesse di istituire non più necessariamente una Commissione per ogni provincia, ma, se del caso, anche una sola Commissione per tutta la regione, senza, peraltro, imporre in alcun modo, l’una o l’altra opzione; inoltre, ha previsto che nei detti organi collegiali vengano inseriti due dirigenti regionali preposti a uffici di settore e ha ridotto da sei a quattro gli esperti, per i quali ha inteso individuare le possibili fonti di provvista.
Ebbene, non può certamente dirsi che modifiche di portata strutturale-organizzativa così modesta e destinate, potenzialmente, a trovare, nelle singole Regioni, soluzioni variamente differenziate date le opzioni offerte, possano assurgere al rango di fondamentali norme di principio di riforma economico-sociale; tanto più che non si tratta di norma destinata ad operare quale forma di tutela diretta dei beni paesaggistico-ambientali o volta a incidere direttamente sui titolari degli stessi o introdotta a diretto beneficio della collettività in materia, ma solo a riconoscere un certo spazio, nelle Commissioni stesse, alla dirigenza regionale di settore, con sacrificio della componente esterna, ovvero a dare indicazioni circa le possibili alternative di scelta di tale ultima componente.
Se la norma fosse dotata della rilevante portata che la Regione appellante ritiene, nelle proprie difese, di assegnarle, non si comprenderebbe, del resto, il motivo per cui lo stesso legislatore nazionale, con il comma 3 del novellato art. 137 (modifica introdotta dal citato d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006), abbia previsto che, “fino all\'istituzione delle commissioni di cui ai commi 1 e 2, le relative funzioni sono esercitate dalle commissioni istituite ai sensi della normativa previgente per l\'esercizio di competenze analoghe” e, quindi, dalle pregresse Commissioni provinciali, della cui legittimità, sotto il profilo della struttura costitutiva - e in attesa dell’adeguamento della disciplina regionale – lo stesso legislatore nazionale non ha, evidentemente, dubitato; ciò è confermato dalla Relazione di accompagnamento al medesimo d.lgs. n. 157 del 2006 (dalla stessa appellante richiamata nelle proprie difese) ove è precisato che “si è aggiunto, infine, un comma 3 contenente una previsione transitoria necessaria ad evitare la paralisi delle commissioni provinciali in attesa che le Regioni provvedano alla nomina delle nuove commissioni in base alla presente disciplina”.
E la mantenuta operatività delle Commissioni provinciali regolate dalla pregressa disciplina è pure pienamente confermata dall’art. 158 dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale “fino all’emanazione di apposite disposizioni regionali di attuazione del presente codice restano in vigore, in quanto applicabili, le disposizioni del regolamento approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357” (di cui, come si ripete, l’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 costituisce espressa attuazione).
In questa situazione deve ritenersi che, per ciò che attiene alla Regione Sardegna (dotata, tra l’altro, statutariamente, ai sensi dell’art. 57 del citato Statuto sardo, di competenza legislativa nella materia ambientale, giusta quanto pure ricordato, al riguardo, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2006, dalla stessa appellante pure richiamata), sia tuttora pienamente vigente il disposto di cui all’art. 33 della legge regionale n. 45 del 22 dicembre 1989, il quale prevede una peculiare composizione (per certi versi, più vicina, quanto a partecipazione ad essa di tecnici regionali, a quella indicata dal novellato art. 137 del d.lgs. n. 42/2004, mentre se ne discosta per ciò che attiene alle nomine di fonte “politica”) delle Commissioni provinciali di cui all’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, che si differenzia rispetto a quella, a suo tempo, da quest’ultima norma prevista, così come dalla composizione di cui all’originario art. 137 del d.lgs. n. 42/2004, il cui testo è stato dianzi riportato.
E, in ogni caso, come rilevato, il citato art. 7 del Codice prevede che l’attuazione dei principi contenuti nel Codice stesso trovino attuazione attraverso l’esercizio, da parte delle regioni della “propria potestà legislativa”; ciò che, nella specie, non ha, comunque, avuto luogo, atteso il carattere meramente provvedimentale dell’atto che, nell’ottica regionale, avrebbe costituito attuazione della norma, asseritamente di principio, di cui all’art. 137 cit..
A questo riguardo può anche osservarsi, incidentalmente, che la struttura delle Commissioni prevista dall’originario testo del Codice Urbani differiva sostanzialmente dalla struttura prevista per le Commissioni stesse dal citato art. 33 della l.r. n. 45 del 1989, tanto che la Regione ha avvertito l’esigenza di modificare la propria disciplina normativa del 1989 (già oggetto, a sua volta, di modifica con l.r. n. 1 2 agosto 1998, n. 28) per adeguarsi al testo medesimo; e ciò ha fatto con disegno di legge n. 161 presentato il 2 agosto 2005 dalla Giunta.
Appare, quindi, per certi versi, singolare che la medesima Regione appellante abbia inteso, con semplice delibera di Giunta (proponente, in precedenza, detto schema legislativo), abdicare alle proprie potestà normative primarie e secondarie nella materia, di cui si tratta (contraddicendo anche il proprio precedente operato propositivo di un’apposita novella normativa), ritenendo che una norma statale di semplice organizzazione degli uffici, non costituente norma di riforma economico-sociale e neppure pienamente definita per ciò che attiene agli ambiti di operatività e alle modalità di costituzione degli stessi (avendo rimesso alle Regioni le necessarie scelte opzionali al riguardo), potesse prevalere sugli assetti normativi primari che la stessa Regione (in aderenza, in tal caso, ai principi autonomistici che ne ispirano l’azione) aveva inteso darsi, a suo tempo, avvalendosi delle proprie prerogative in materia, fino a procedere alla nomina dell’organo sulla base della sola norma statale e senza neppure rimettere alle necessarie scelte politiche dell’organo consiliare l’esercizio delle molteplici opzioni che, come cennato, la norma statale stessa rimetteva direttamente alla Regione; e ciò pur in presenza (art. 8 del d.lgs. n. 42/2004) di una norma dello stesso Codice Urbani secondo cui “nelle materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”.
Né si dica che l’esercizio di dette opzioni era solo facoltativo e che la norma statale avrebbe recato una dettagliata disciplina della Commissione regionale, tanto esauriente da potere immediatamente essere applicata anche con semplice atto amministrativo; la determinazione di istituire un’unica Commissione e di non utilizzare il meccanismo delle terne di cui al comma 2 dello stesso art. 137 implica, infatti, già di per se, una scelta politica di carattere generale che spettava al legislatore regionale assumere, trattandosi di determinazione afferente alla organizzazione degli uffici.
Si noti ancora, al riguardo, che la determinazione della struttura delle Commissioni di cui si tratta compete, evidentemente, nella Regione Sardegna, alla disciplina normativa di carattere primario, le analoghe Commissioni provinciali essendo state, a suo tempo, disciplinate con la ripetuta legge regionale del 1989; sicché, non costituendo, la disciplina statale, in quanto indefinita nelle sue possibili opzioni alternative, norma autoapplicativa, non poteva la Regione darle diretta e immediata applicazione in via amministrativa, ma solo adeguare, al riguardo, i propri previgenti assetti normativi e, quindi, modificare con apposita legge ciò che, in precedenza, con legge era stato regolato e con disciplina che, afferendo alla istituzione di organi e uffici amministrativi, logicamente era stata promanata dall’organo legislativo regionale nell’esercizio delle proprie prerogative di produzione normativa primaria (ferma restando, naturalmente, la potestà regionale di delegificare la materia nei termini e limiti definiti, peraltro, in tal caso, da apposita norma primaria).
E di ciò, del resto, la stessa Regione Sardegna si era correttamente avveduta in un primo tempo, essendo stato sottoposto, come detto, al vaglio consiliare il citato, apposito schema legislativo di attuazione dell’originario testo dell’art. 137; ma, a maggior ragione, avrebbe dovuto farsene carico con l’entrata in vigore delle modifiche a quella stessa norma introdotte dal d.lgs. n. 157/2006; ciò che, invero, sarebbe stato pienamente in linea, da un lato, con il normale riparto di competenze Stato/Regione autonoma e, dall’altro, con l’esigenza che il competente organo consiliare si determinasse puntualmente nello scegliere tra le molteplici opzioni offerte, come si ripete, dalla novellata norma statale (nel senso ad esempio, di optare per una o più Commissioni in ambito regionale, ovvero di avvalersi di quanto previsto in merito alle modalità di individuazione degli esperti, con l’utilizzazione o meno del meccanismo delle terne designate da università, fondazioni o associazioni precisate nella norma stessa o, infine, di rimettere ad altro e/o altri organi l’esercizio delle opzioni medesime); e le scelte ora dette non rivestono, invero, carattere meramente facoltativo, bensì alternativo, il legislatore statale avendo rimesso alla Regione ogni doverosa, preventiva determinazione in merito al numero delle Commissioni da nominare e, correlativamente, all’estensione territoriale dei rispettivi bacini operativi, nonché alle modalità di individuazione dei componenti e ciò, si ripete, in conformità con i principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost. in tema di organizzazione degli uffici e di determinazione, tra l’altro, delle rispettive sfere di competenza.
Viceversa, la Giunta, senza esservi affatto astretta, ha ritenuto di derogare alla disciplina primaria regionale di settore, di ritenere prevalente, su questa, la sopravvenuta norma statale (per i motivi anzidetti, neppure costituente norma di riforma economico-sociale e, per espressa sua previsione, facente salva la piena operatività dei vigenti assetti normativi fino al momento dell’adeguamento delle norme regionali alla novella normativa del 2006, ferme restando le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale, come la Sardegna, e relative norme di attuazione) e di procedere alla nomina dei componenti del nuovo organo sulla base di una propria opzione ermeneutica volta a privilegiare la costituzione di una singola Commissione regionale, previa designazione degli esperti operata senza tenere alcun conto della predetta, ulteriore opzione offerta, con il sistema delle “terne”, dallo stesso legislatore nazionale ed in assenza della previa definizione, a livello regolamentare, di alcun meccanismo selettivo degli esperti stessi (tanto che questi sono stati individuati sulla base di semplici curricula, senza preventiva, specifica precisazione dei requisiti richiesti – al di là della generica indicazione offerta, al riguardo, dalla norma statale – e, in un caso, sulla base, si noti pure, di un curriculum recante una data successiva rispetto a quella di nomina della Commissione e del relativo commissario, ciò che appare ulteriore indice della scarsa trasparenza dell’azione amministrativa).
Vero che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 63 del 26 marzo 2008, il legislatore nazionale prevede, ora, che “le regioni istituiscono apposite commissioni, con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico .....”, senza più riferimento specifico alla possibilità di prevedere la costituzione di una o più commissioni regionali; ma, oltre a trattarsi di jus superveniens, come tale non rilevante, ratione temporis, nella presente controversia, vi è anche da osservare che il riferimento è pur sempre fatto, al plurale, alla istituzione di “apposite commissioni”.
A ciò si aggiunga, ad ogni buon conto e a tutto concedere, che, se anche, fosse stato possibile prescindere, (e non lo era), nella nomina della Commissione, dalla previa emanazione di apposita disciplina normativa regionale, non di meno si poneva, comunque, il problema della designazione dei componenti “laici” della Commissione; in base all’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 questa spettava, infatti, al Consiglio regionale; con la conseguenza che non è dato, comunque, comprendere sulla base di quale disposizione normativa la Giunta si sia direttamente attribuito il potere di designazione dei membri stessi, sottraendolo al Consiglio senza alcuna indicazione di rilievo normativo al riguardo da parte di quest’ultimo; è vero che, ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 31 del 1998, alla Giunta, al Presidente e agli Assessori competono “le nomine, designazioni e atti analoghi a essi attribuiti da specifiche disposizioni”, ma la designazione dei predetti membri era rimessa, come si ripete, al Consiglio e nessuna norma ne ha successivamente rimesso la competenza alla Giunta.
Al più, dette designazioni avrebbero potuto, allora, logicamente configurarsi - nell’ottica di cui al citato art. 8 della l.r. n. 31 del 1998, che si è conformato, in effetti, ai dettami di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 80 del 31 marzo 1998 - alla stregua di meri atti di gestione; ma, in tale ottica, le stesse avrebbero dovuto far capo al competente dirigente e non certo alla Giunta.
Appare, sempre al riguardo, anche singolare il fatto che la Giunta abbia ritenuto superato, a seguito dell’entrata in vigore della disciplina del 2006, modificativa dell’art. 137 del Codice, quanto previsto dall’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 nella sola parte relativa alla composizione dell’organo e non, invece, in quella relativa alla rimessione alla Giunta stessa della nomina dei membri delle Commissioni provinciali; anche in tal caso non si vede, infatti, sulla base di quali criteri interpretativi certi, con una sorta di ritenuta ultrattività claudicante e a macchia di leopardo, si sia considerata rimasta ferma, di detto art. 33, solo la parte relativa alla competenza giuntale nella costituzione dell’organo; a tanto ostando, invero, da un lato, la considerazione del fatto che la competenza della Giunta di cui al ripetuto art. 33 afferiva alle Commissioni provinciali dalla stessa legge n. 45 del 1989 disciplinate, mentre, nella specie, si è trattato della nomina di una Commissione non provinciale, bensì regionale, introdotta, per la prima volta, dall’art. 7 del d.lgs. n. 157 del 2006, modificativo del ripetuto art. 137 del Codice (sicché la Giunta ha finito per appropriarsi, al di fuori di ogni supporto normativo regionale, della potestà di nomina di un organo nuovo e diverso da quello in precedenza disciplinato dalla stessa normativa regionale di settore) e, dall’altro, ciò ha fatto senza neppure tenere conto dei citati assetti normativi di cui al d.lgs. n. 80 del 1998 ed alla legge regionale n. 31 del 1998.
Deduce, ancora, l’appellante che, a mente dello stesso art. 33 della l.r. n. 45/1989, le Commissioni sulla base di esso nominate sarebbero automaticamente cessate dalle loro funzioni novanta giorni dopo l’insediamento del Consiglio regionale di nuova elezione; con la conseguenza che, se non si fosse proceduto alla nomina dell’organo, non sarebbe stato possibile esercitarne la funzione.
Anche tale notazione critica è priva di consistenza dal momento che, come si è visto, la norma statale non inibiva affatto l’ultrattività del precedente assetto normativo fino a che le Regioni interessate non si fossero adeguate nel rispetto delle regole di produzione normativa proprie dei rispettivi ordinamenti; sicché la Regione appellante (nelle more dell’approvazione della disciplina contenuta nello schema normativo di cui si è detto) ben avrebbe potuto procedere alla nomina delle nuove Commissioni sulla base della disciplina corrente al momento dell’entrata in vigore della normativa di fonte statale (quella del 2004 prima e quella del 2006 poi); se ciò non ha fatto nei novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale, imputet sibi, la negligenza nel provvedere non potendo giustificare non solo la paralisi dell’organo, ma, a maggior ragione, neppure l’adozione di provvedimenti extra ordinem, difformi dagli assetti normativi primari di settore che lo stesso legislatore statale ha inteso, in effetti, salvaguardare fino al momento dell’adeguamento normativo da parte della Regione (e senza neppure l’indicazione, a tal fine, di eventuali poteri sostitutivi statali in caso di mancato sollecito adeguamento regionale).
Sicché, nel momento in cui la stessa Regione, mossa dall’urgenza, ha avvertito l’esigenza di nominare l’organo consultivo, ben avrebbe potuto procedere avvalendosi, appunto, delle norme vigenti al momento di entrata in vigore della novella normativa statale, ovvero accelerare, tenuto conto della novella di cui al d.lgs. n. 157 del 2006, l’approvazione, con le debite modifiche, del citato disegno di legge; il semplice venire a scadenza delle Commissioni non determina, infatti, certamente il venir meno dell’organo previsto dalla legge, ma implica solo l’esigenza della sua ricostituzione.
Né possono in qualche misura rilevare i richiami fatti alla disciplina regolante la materia in altre Regioni, dal momento che si tratta di assetti normativi specifici di tali enti territoriali, che in nessuna misura possono ridondare sull’interpretazione di norme proprie della Regione Sardegna.
Per i suesposti motivi è da ritenere che correttamente, con la sentenza appellata, il TAR abbia annullato l’atto di nomina della Commissione e, in via derivata, le determinazioni da essa assunte, nonché il provvedimento regionale (delibera di Giunta 22 agosto 2007, n. 31/12, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico delle aree in questione) principalmente oggetto di gravame, in quanto fondato su di un parere necessario reso da organo illegittimamente costituito.
Al travolgimento dell’atto costitutivo della Commissione si ricollega, logicamente, e tra gli altri, anche il travolgimento della disciplina regolamentare (adottata il 6 febbraio 2007) che la Commissione si è autonomamente data non solo in assenza di ogni disciplina primaria o secondaria al riguardo, ma anche in sostanziale difformità dal disposto di cui all’art. 137 del Codice, tale norma prevedendo una competenza funzionale degli organi amministrativi ivi contemplati, laddove la detta disciplina regolamentare ha consentito, in effetti (in assenza di ogni supporto normativo al riguardo), di derogare a tale principio, prevedendo la nomina di supplenti che, nella specie, hanno consentito ad un delegato del Soprintendente per i Beni architettonici e per il Paesaggio di partecipare, tra le altre, alla seduta conclusiva dell’organo, nel corso della quale il parere di cui si tratta è stato definitivamente deliberato.
Si aggiunga, inoltre, che l’appello non reca specifiche censure involgenti l’annullamento, pure operato dal TAR in correlazione all’annullamento della costituzione della Commissione regionale, delle impugnate delibere di Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 (recante “progetto di valorizzazione dell’area archeologica in località Tuvixeddu- Cagliari. Realizzazione “Porta del Parco”) e n. 5/23 del 7 febbraio 2007 (recante “Realizzazione parco archeologico di Karalis e progetto di valorizzazione del colle di Tuvixeddu nella città di Cagliari – articoli 96, 98 e 100 del D. Lgs. 22.1.2004 n. 42”); in relazione all’annullamento di tali determinazioni deve, quindi, ritenersi formato il giudicato interno.
Se ed in quanto, poi, la Regione intenda, nel prosieguo, riavviare una procedura volta all’estensione del vincolo, ciò potrà fare solo tenendo conto di tutto quanto precede, nonché delle notazioni e indicazioni, di carattere essenzialmente formale, che seguono (volte, all’occorrenza, ad indirizzare il futuro operato dell’amministrazione) e rinnovare, per l’effetto, integralmente e ab origine la necessaria attività istruttoria avvalendosi degli organi tutti all’uopo competenti; ciò che esime il Collegio dal verificare se l’attività istruttoria e valutativa ad oggi posta in essere dalla Regione stessa – in quanto interamente travolta dal giudicato amministrativo - sia stata o meno connotata, in se e per se considerata, sotto il profilo contenutistico, da astratti indici di legittimità; non senza considerare, peraltro, al riguardo che, con l’appello, sono rimaste prive di puntuale critica sia le notazioni fornite dal TAR in ordine alla mancata presa in concreta considerazione, da parte della Commissione, dei “lavori imponenti” eseguiti dal Comune e di quelli, pure rilevanti, eseguiti dai privati in base ad appositi titoli edificatori, sia quelle inerenti alla mancata considerazione del fatto che emergenze archeologiche nuove, specificamente inerenti le aree da assoggettare a vincolo, non risultavano appurate, con la conseguente inadeguata istruttoria al riguardo (non senza considerare, comunque, che la Sovrintendenza archeologica, chiamata a monitorare costantemente le aree oggetto delle opere cantierate, è pur sempre in grado di paralizzare le stesse in presenza di appurate, eventuali nuove emergenze archeologiche).
5) – A questo punto giova aggiungere, per completezza, tenuto conto degli ora cennati profili formali relativi all’attività posta in essere dall’amministrazione regionale, che l’illegittimità delle impugnate determinazioni non solo è riconducibile a quanto sin qui indicato, ma anche al fatto che, come correttamente rilevato dal TAR (e al contrario di quanto ritenuto dall’appellante), nel presente caso la “consultazione” del Comune ha avuto, in effetti, un rilievo solo formale, dal momento che la Commissione - giusta quanto emerge dai suoi lavori e, in particolare, dai verbali delle sedute del 29 gennaio 2007 e del 21 febbraio 2007, nel corso delle quali il Comune è stato sentito – non ha tenuto in debito conto (tanto da non fornire, a ben vedere, alcuna motivazione al riguardo) quanto da quella stessa Amministrazione prospettato circa le problematiche legate allo stravolgimento della locale programmazione urbanistica e, in particolare, al marcato ridimensionamento dell’accordo di programma quadro sottoscritto nel 2000, ai rilevantissimi conseguenti oneri per il Comune stesso (correlati anche all’onerosa restituzione ai privati delle aree), agli affidamenti che, negli anni, sono venuti consolidandosi al riguardo (anche a cagione della parziale esecuzione di una mole rilevante di lavori), occasionati dalle scelte (di cui al predetto accordo di programma) concordate non solo tra privati e Comune, ma anche e soprattutto con la stessa Regione e la locale Soprintendenza ai beni archeologici.
Per meglio dire, tali problematiche, sollevate da talun commissario (vedi, in particolare, la nota in data 12 febbraio 2007, n. 1048, del Soprintendente per i Beni archeologici di Cagliari e Oristano) ed evidenziate dal Comune nel corso della sua consultazione, sono state, di fatto, accantonate dal predetto organo consultivo, avendo ritenuto, in effetti, la Commissione di dover incentrare i propri compiti sui soli aspetti paesaggistico-ambientali, rimettendo ai competenti uffici regionali ogni apprezzamento in merito alla compatibilità del vincolo con gli aspetti legati alla locale disciplina urbanistica e al predetto accordo di programma (tanto risulta, tra l’altro, dalla nota 20 febbraio 2007, prot. L/566 inviata dal Direttore generale dell’Area legale della Regione alla Presidenza della Giunta).
E, quanto alla Giunta regionale, essa non ha operato alcuna preventiva e fattiva consultazione con gli organi comunali, essendosi limitata a prendere in considerazione – nell’esercizio dei compiti inerenti all’esame delle osservazioni proposte ai sensi dell’art. 139, comma 5, del Codice – i rilievi critici formulati dal Comune stesso, ma al di fuori di ogni modalità di reale, preventiva consultazione e connesso preliminare scambio di informazioni tra uffici regionali e comunali e ricerca di un possibile accordo; consultazione che, in definitiva, è sostanzialmente del tutto mancata e ciò in aperto contrasto con quei principi di leale collaborazione e cooperazione che, specie nell’attuale assetto costituzionale, conseguente alla riforma del Titolo V (art. 114 e sgg.) della Costituzione, debbono conformare i rapporti tra gli “enti autonomi” dai quali è “costituita” la Repubblica.
Principi collaborativi formalizzati dall’art. 132, comma 1, del Codice (a mente del quale: “le amministrazioni pubbliche cooperano per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi”) e dal successivo art. 138 (secondo cui la Commissione, nell’espletamento della propria attività preparatoria, “procede alla consultazione dei comuni interessati”).
E, nel rispetto di tali principi collaborativi, la Commissione (o, comunque, gli organi regionali competenti) non avrebbe neppure potuto trascurare il fatto che, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 42 del 2004, come modificato dal d.lgs. n. 156 del 2006 (“valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica”) “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi indicati all\'articolo 101, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal presente codice”; e che detto art. 101 prevede, a sua volta, che “Ai fini del presente codice sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali”; e che tale valorizzazione avviene attraverso la stipula di appositi accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica.
Ebbene, è vero che l’accordo di programma del 2000 è stato stipulato in un momento antecedente all’introduzione di tale tipologia di accordi; non di meno, esso costituiva un progetto – inquadrabile tra gli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 e al cui perfezionamento, come si ripete, aveva partecipato la stessa Regione ed al quale le Soprintendenze statali, specie quella archeologica, avevano fattivamente contribuito - di riqualificazione urbana e ambientale dei Colli di S. Avendrace, finalizzata anche alla realizzazione di un parco archeologico e di un apposito museo, anche questo destinato ad essere paralizzato dai contestati interventi regionali; sicché la Regione non poteva ignorare tale rilevante circostanza e venire a paralizzare, di fatto, anche tale significativo intervento culturale - collocantesi, comunque, nella stessa ottica di quei progetti culturali, particolarmente significativi anche nell’interesse del Comune e della locale collettività, che il legislatore ha inteso, con le norme anzidette, debitamente valorizzare – senza neppure tentare la ricerca delle soluzioni più adeguate, consultando le altre parti coinvolte dall’accordo stesso e tenendo debito conto, al riguardo, delle rilevanti opere già realizzate dal Comune, ovvero dai privati (e in conformità, per questi ultimi, con titoli concessori mai rimossi).
La consultazione prevista dal Codice non può essere rivista, invero, alla stregua di un mero onere di carattere formale ché, a soddisfare un’esigenza siffatta, varrebbe, comunque, la possibilità, accordata (sulla base di risalenti principi normativi) dall’art. 139 del Codice stesso, di proporre osservazioni al piano paesaggistico adottato, con il correlato onere per l’autorità adottante di fornire adeguate risposte al riguardo.
Con l’onere di consultazione, invero, il legislatore nazionale ha inteso introdurre un più ampio concetto di reciproco rapporto collaborativo tra le amministrazioni interessate, con la conseguenza che i mutati orientamenti in materia paesaggistica maturati dall’organo competente all’imposizione del vincolo non possono più essere calati autoritativamente sulle realtà locali, incidendone gli assetti urbanistici in corso, se non previa consultazione delle amministrazioni locali stesse e, quindi, quanto meno con il tentativo di ricerca di idonei accordi con tali primari interlocutori e tenendo debito conto, quindi, degli interessi pubblicistici potenzialmente incisi dalla pianificazione in itinere.
Consegue, da quanto precede, che ai molteplici rilievi sollevati dal Comune nelle due riunioni alle quali è stato invitato, non solo avrebbe dovuto essere data risposta immediata attraverso tentativi di ricerca di punti di incontro, ma la Regione – e per essa, quanto meno, la ripetuta Commissione regionale – avrebbe dovuto anche tentare di individuare eventuali punti di possibile convergenza; viceversa, la Commissione stessa, come si ripete, si è espressamente sottratta a un onere siffatto, mentre la Giunta si è limitata solo a fornire risposte alle osservazioni del Comune, ma al di fuori degli assetti logico-procedimentali e collaborativi (di carattere preventivo e non successivo rispetto all’adottando vincolo) che il Codice ha inteso privilegiare.
E, si aggiunga ancora, il giudicato interno si è formato anche in merito a quanto rilevato dal TAR circa il mancato esame delle osservazioni di cui è cenno, in sentenza, nella pagine 48 e 49; al riguardo è mancata, infatti, in appello, ogni censura, con il conseguente ulteriore profilo di illegittimità dell’impugnata delibera di Giunta impositiva del vincolo.
6) – Ulteriori motivi di gravame si appuntano avverso il capo della sentenza impugnata con il quale il TAR ha ritenuto fondate le censure – pure di carattere formale - di sviamento di potere sollevate dalla parte ricorrente in primo grado.
Al riguardo, sarebbe erronea, ad avviso dell’appellante, la sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto che la procedura di cui si tratta fosse affetta da sviamento di potere; sviamento che il TAR ha rilevato nell’attività sia della Commissione che dell’amministrazione regionale; l’esistenza di tale vizio si desumerebbe, ad avviso dei primi giudici, oltre che da una serie di comportamenti adottati nel corso del procedimento, anche dal fatto che nella delibera n. 31/12 del 22 agosto 2007 – impositiva del vincolo - è stato fatto riferimento alla volontà della Regione di avviare il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree in questione, secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement; sennonché, né la Commissione, né la Regione avrebbero mai utilizzato i propri poteri per fini diversi da quelli per i quali sono stati loro conferiti (né vi sarebbe indizio alcuno confortante l’ipotesi di esistenza dello sviamento stesso).
Anzitutto, osserva, ancora, l’appellante, il riferimento al predetto studio non avrebbe affatto il valore indicato dal TAR, in quanto si tratterebbe di un semplice studio a carattere orientativo che potrà, solo se del caso, essere utilizzato; e tale studio, inoltre, sarebbe stato successivo alla proposta della Commissione del 21 febbraio 2007, essendo stato presentato solamente a giugno 2007 e, soprattutto, non alla Regione Sardegna, ma in occasione di una manifestazione culturale.
Inoltre, viene ancora dedotto, già il P.P.R. approvato il 5 settembre 2006 con delibera di G.R. n. 36/7 avrebbe individuato l’area in questione come sistema storico-culturale rappresentante la più significativa relazione esistente tra viabilità storica, archeologica ed altre componenti di paesaggio aventi valenza storico-culturale; e, tutto ciò considerato, non potrebbe affermarsi, come sostiene, invece, il TAR, che la volontà di apporre il vincolo sarebbe funzionale alla realizzazione di un progetto che non c’era al momento della presentazione della proposta di vincolo; e, dall’altra parte, quanto affermato dal TAR sarebbe chiaramente smentito dal fatto che la Regione avrebbe avviato recentemente il procedimento che dovrebbe consentire di giungere anche alla nuova definizione dell’assetto dell’area mediante una progettazione che attui le azioni di valorizzazione e tutela volute dal vincolo (determinazione 29 ottobre 2007, n. 1255, non facente riferimento al progetto Clement).
Nel caso di specie, si conclude, tutti gli indizi che il TAR ha indicato come utili al fine di provare lo sviamento di potere evidenzierebbero, in realtà, solo la volontà regionale di perseguire il fine legittimo e previsto dalla legge di tutelare l’area in questione nel suo complesso, prima della sua irrimediabile compromissione.
Dette doglianze appaiono pure prive di consistenza.
Non rileva, invero, il fatto che, almeno stando alla lettura degli atti, la Commissione, nel corso dei propri lavori, non abbia tenuto conto di alcun progetto riconducibile al predetto studioso; ciò che rileva è, invece, che la Giunta, di sua iniziativa, nel fare proprio il parere espresso dalla Commissione regionale, abbia finalizzato puntualmente la propria azione alla realizzazione del progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di cui si tratta “secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement”; e, se è stato richiamato, formalmente, nella stessa deliberazione di imposizione del vincolo, detto studio, è evidente che lo stesso doveva essere ben noto alla Regione nei suoi specifici contenuti e, logicamente, doveva averne avuto sostanziale approvazione, non essendo credibile che un progetto di riqualificazione areale di così vasta portata e di ampio contenuto paesaggistico, storico-archeologico e culturale, oltre che urbanistico, possa essere stato richiamato nell’impugnata delibera senza che di esso la stessa Regione fosse pienamente consapevole e non ne avesse condiviso i peculiari contenuti; sennonché, non è dato comprendere – né alcuna indicazione in tal senso è fornita negli atti oggetto di giudizio – in che modo, in assenza di alcuna formale iniziativa al riguardo e in difetto di ogni motivazione atta a consentire un idoneo scrutinio di legittimità della scelta così operata, possa essere stato individuato detto progetto e possa esserne stata prescritta l’osservanza; e, quanto al riferimento fatto dall’appellante all’approvato P.P.R., si tratta di riferimento privo di rilevanza non comprendendosi la correlazione esistente tra detto P.P.R. ed il progetto anzidetto, richiamato dall’impugnata delibera di Giunta.
È, quindi, da ritenersi che correttamente i primi giudici abbiano ritenuto la circostanza ora detta (specifico riferimento al progetto del prof. Clement, contenente, tra l’altro, specifiche indicazioni operative che, se attuate, avrebbero inciso in termini sostanziali sul ripetuto accordo quadro) sintomo di grave eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, dal momento che l’imposizione del vincolo, con l’abbandono dei precedenti assetti progettuali concordati, appare preordinata, espressamente, alla realizzazione delle finalità al vincolo stesso sottese anche attraverso la conformazione a indicazioni contenute in uno specifico progetto di non definita origine; con la conseguenza che l’azione amministrativa, in quanto finalizzata al conseguimento di una finalità non conforme a legge (realizzazione, in sede di attuazione del vincolo, di un progetto di non definita origine e di non precisate fonti approvative), deve ritenersi affetta dal cennato vizio sintomatico; mentre non rileva che, nel prosieguo dell’azione amministrativa stessa, la conformazione al detto progetto non avrebbe avuto concreto seguito, dal momento che si tratta di circostanze maturate successivamente e irrilevanti ai fini dell’effettuazione dello scrutinio di legittimità degli atti impugnati.
A tutto quanto precede si aggiunga, ancora, che il TAR ha segnalato (pagg. 53 e sgg.) una serie di altri indizi pure manifestamente sintomatici del dedotto vizio di eccesso di potere in relazione ai quali fa difetto, nell’appello, ogni puntuale contestazione; con la conseguente formazione, anche a questo riguardo, del giudicato amministrativo.
La Regione appellante va, poi, condannata al pagamento delle spese del grado a favore dell’appellata società Cocco Raimondo s.r.l., mentre le stesse possono essere compensate nei confronti delle altre parti, liquidandole nel dispositivo.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l’appello in epigrafe.
Condanna la Regione al pagamento delle spese del grado a favore della società Cocco Raimondo s.r.l., liquidandole in complessivi € 12.000,00 (dodicimila/00); compensa le spese con riguardo alle altre parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall\'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, in Camera di Consiglio, con l\'intervento dei Signori:
PAOLO BUONVINO Consigliere Est.
ROBERTO CHIEPPA Consigliere
FRANCESCO BELLOMO Consigliere
CLAUDIO CONTESSA Consigliere
PAOLO BUONVINO VITTORIO ZOFFOLI
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
p.Il Direttore della Sezione
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell\'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria