Ancora sulla minaccia di danno ambientale e sul ruolo dell'operatore interessato. La Cassazione chiarisce.

di Leonardo PACE

La seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza del 29.11.2023 pubblicata il successivo 5 dicembre (1), si è pronunciata a definizione di una controversia avente ad oggetto la violazione dell’art. 304 co. 2 D.Lgs 152/06 per avere la Società ivi coinvolta omesso, in presenza di una minaccia imminente di danno ambientale, di darne comunicazione entro le previste 24 ore agli enti pubblici territoriali competenti.

Il tema controverso, in questa sede di precipuo interesse, consente di ritornare sulla figura dell’ “operatore interessato” nell’ambito della normativa del codice dell’ambiente.

Nel caso concreto, i giudici del merito avevano necessariamente ancorato la suddetta qualità alla sussistenza di un’attività idonea a dare origine ad un evento rilevante in termini di minaccia imminente di danno ambientale ed alla contestuale presenza di un nesso eziologico tra l’attività dell’operatore interessato e l’attuale condizione di pericolo ambientale.

In altri termini si trattava di scrutinare se la veste di ”operatore interessato” fosse individuabile o meno in funzione della sola esecuzione delle attività che avevano cagionato la situazione di pericolo ambientale, e del contestuale rapporto qualificato e diretto con l’attività o la cosa da cui promanava la minaccia per l’ambiente.

La Cassazione ha fornito risposta negativa, chiarendo ed ampliando così la portata normativa della fattispecie in relazione al ruolo dei soggetti coinvolti.

L’attività dell’ operatore interessato si articola – come ha sottolineato la Suprema Corte - nell’alveo della fattispecie prevista dall’art. 245 Decreto Ambiente, in tema di obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione.

Il dettato normativo va interpretato, di conseguenza, nel senso che l’operatore interessato non è soggetto “responsabile” solo a fronte dell’eventualità di un danno ambientale riconducibile alla propria attività.

Trattandosi di porre in essere un’azione di prevenzione, in presenza di una fattispecie di pericolo e non di danno, ne segue – ha argomentato ancora la Suprema Corte – che l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 304 del Codice non può essere unicamente riferito alla necessaria sussistenza di un nesso causale tra l’attività di impresa ed il pericolo ambientale originatosi.

La soluzione adottata indica, pertanto, che l’operatore interessato è altresì gravato da un più generale obbligo di intervento e di segnalazione a fronte di un pericolo di contaminazione ambientale, pur non essendone egli responsabile sul piano eziologico.

Tale approdo ermeneutico suggerisce alcune riflessioni.

La prima riguarda il richiamo operato dal Supremo Consesso ai principi dell’azione ambientale in tema di prevenzione e di precauzione, consacrati dal Decreto agli art. 3 ter e 301, sulla scia della normativa comunitaria di cui agli artt. 3 comma 3 del Trattato UE e 191 Trattato di Lisbona (TFUE). (2) e (3)

La seconda considerazione concerne, in termini figurativi, la formale riconsiderazione (rivalutazione?) di un precetto che finora appariva marginalmente previsto a definizione del sistema normativo concernente i criteri e le procedure finalizzati all’eliminazione delle sorgenti di inquinamento per la bonifica dei siti contaminati, di cui alla parte Quarta – Titolo V – artt. 239 e seguenti D.Lgs n. 152/2006.

Il collegamento così delineatosi in chiave esegetica tra i richiamati articoli 245 e 304 del Decreto Ambiente riconduce tale ultima fattispecie al più generale assetto normativo che il Codice ambientale contempla tra gli obblighi di bonifica ed i correlati comportamenti preventivi, riassegnando centralità strategica alla complessiva disciplina delle azioni finalizzate al ripristino ambientale, di cui alla Parte Sesta – titolo Secondo – art. 304 e segg. Dlgs 152/06.

In terzo luogo, la riconsiderazione della fattispecie complessiva appare comunque coerente con i precedenti arresti giurisprudenziali.

Viene qui ad evidenza il conforme orientamento della giurisprudenza penale di legittimità che, a più riprese, aveva ribadito che la comunicazione della minaccia di danno ambientale non grava in capo ai soggetti che non sono responsabili della condotta causa di inquinamento (Cass. Pen. Sez. III . 20.11.2019 n. 2686; Sez. III, 16.3.2011 n. 18503, Burani).

La difforme valutazione dell’ambito applicativo della fattispecie rispetto alla Cassazione civile è solo apparente.

Nei casi scrutinati dalla giurisprudenza penale rilevava la violazione dell’art. 257 (bonifica dei siti) in capo al responsabile dell’inquinamento nel caso di superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se questi non provvedeva alla bonifica secondo il progetto approvato nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e segg.

Si è così dedotto che il richiamo all’art. 242 Decreto Ambiente esplicitamente contenuto nell’art. 257 impone (e limita) in capo al responsabile dell’inquinamento di attivarsi con la comunicazione dovuta agli Enti competenti, ma in presenza di un evento di potenziale contaminazione del sito.

Al di fuori di tale ipotesi, da intendersi direttamente riconducibile nell’alveo delle azioni di prevenzione, vale a dire in caso di situazioni di più generale impatto determinato da un possibile ovvero probabile evento di danno ambientale, i meccanismi di tutela risultano più ampi.

Viene infatti ad essere privilegiato il più generale contesto di tutele riferibili alle azioni di precauzione, esperibili in ragione del combinato disposto di cui agli articoli 304 e 245 Decreto, che impone gli obblighi tassativi di comunicazione sia in capo al soggetto responsabile dell’inquinamento sia ad opera di coloro ai quali non può riferirsi la potenziale contaminazione del sito interessato.

L’obbligo di comunicazione per il solo responsabile dell’inquinamento si atteggia così a norma speciale nei casi esplicitamente richiamati dalla fattispecie astratta, per come si è visto.

La regola generale impone, nella lettura della Corte di Cassazione, il dovere di informare le Autorità competenti (4) in capo altresì all’operatore interessato che abbia acquisito conoscenza di una situazione di potenziale lesione del bene giuridico tutelato, benchè ciò non sia conseguenza della propria attività organizzata.

Infine, a volere ampliare lo spettro di indagine, rileva come anche in capo al proprietario non responsabile dell’inquinamento, pur se non tenuto ad adottare le misure di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica di cui all’art. 240 comma 1 lett. m) e p) dlgs. 152/06, gravi comunque l’onere di adottare le misure di prevenzione di cui alla precedente lett. i) (Cass. Sez. Un. Civ., sentenza 1.2.2023 n. 3077). (5)

(1) Cass. Civ. Sez. II, Pres. Grasso Rel. Guida, ordinanza resa in proc. Rg n. 7250/2022 proposto da Provincia di Potenza contro Eni spa – c.c. 29.11.2023, data pubblicazione 5.12.2023.

(2) Cfr. “Danno Ambientale. Il ruolo dell’operatore e la minaccia di danno ambientale” di Cinzia Pasquale e Leonardo Pace, in www.lexambiente.it, luglio 2023.

(3) cfr.: “Codice dell’Ambiente commentato”, Rottgen - Farì – Gruppo 24 Ore, 2021.

(4) Affinché prendano cognizione della condizione e possano verificare lo sviluppo delle attività ripristinatorie, così anche prescindendo dall’eventuale superamento delle soglie di contaminazione (cfr. Sez. III – 20.11.2019 n. 2686 cit., con richiamo ai numerosi precedenti conformi).

(5) Le Sezioni Unite non mancano di evidenziare che, in adesione testuale al dettato della direttiva n. 2004/35/CE, l’art. 308 esclude a carico dell’operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta, se egli può provare di non avere dato origine al danno o alla minaccia imminente di danno ambientale.