TAR Lombardia (BS) Sez.II n.1853 del 30 dicembre 2011
Beni Culturali. Interventi in via di urgenza
È vero che nella normativa in materia di beni storico-artistici (e poi in quella relativa ai beni culturali) esiste la possibilità di eseguire in via d’urgenza, e quindi senza nulla-osta preventivo, gli interventi provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato (v. art. 19 della legge 1089/1939; art. 27 del Dlgs. 490/1999; art. 27 del Dlgs. 42/2004). Tale facoltà deve però essere esercitata dai privati con la massima trasparenza, avvertendo immediatamente la Soprintendenza per dare modo agli uffici competenti di controllare e gestire in tempo utile la situazione. Inoltre la normativa richiede che si tratti di interventi provvisori, ossia non irreversibili o eccessivamente estesi, al fine di ridurre il rischio di comportamenti mirati a determinare il fatto compiuto
N. 01835/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00145/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 145 del 2001, proposto da:
LUCIANO SORLINI, in proprio e come legale rappresentante di LUCIANO SORLINI SPA, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Onofri e Maria Ughetta Bini, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, via Ferramola 14;
contro
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI E ARCHITETTONICI DI BRESCIA CREMONA MANTOVA, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Brescia, via S. Caterina 6;
per l'annullamento
- del decreto del direttore generale dell’Ufficio Centrale per i Beni Architettonici Archeologici Artistici e Storici del 12 settembre 2000, con il quale è stata inflitta al ricorrente la sanzione pecuniaria di lire 38.458.145 ai sensi dell’art. 131 comma 4 del Dlgs. 29 ottobre 1999 n. 490 per le opere abusivamente realizzate nell’immobile denominato Palazzo Bruni Conter;
- delle note della Soprintendenza richiamate nel suddetto provvedimento;
- del parere del Comitato di Settore del 12 giugno 2000;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2011 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con atto notificato il 15 gennaio 2001 e depositato il 7 febbraio 2001 il ricorrente Luciano Sorlini, in proprio e quale legale rappresentante della società Luciano Sorlini spa, ha impugnato il decreto del direttore generale dell’Ufficio Centrale per i Beni Architettonici Archeologici Artistici e Storici del 12 settembre 2000, con il quale è stata irrogata la sanzione pecuniaria di lire 38.458.145 (€ 19.861,97) ai sensi dell’art. 131 comma 4 del Dlgs. 29 ottobre 1999 n. 490 (v. ora l’art. 160 comma 4 del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42) per le opere abusivamente realizzate nell’immobile denominato Palazzo (Villa) Bruni Conter.
2. Il suddetto edificio si trova nel Comune di Calvagese della Riviera (frazione Carzago) ed è di proprietà della Luciano Sorlini spa. Con DM 29 luglio 1988 l’immobile (mappali n. 100-99-98-101-113-114-102-110-103-104) è stato dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 1 della legge 1 giugno 1939 n. 1089. Nella relazione storico-artistica che accompagna il decreto di vincolo l’edificio è descritto come un “austero e massiccio palazzo seicentesco, che […] costituisce un tipico e significativo esempio di residenza signorile in territorio extra-urbano”. Tra gli elementi architettonici di rilievo la relazione segnala “il prospetto verso la piazza, a sera, […] articola[to] su due piani con una serie di aperture perpendicolari e simmetriche del maestoso portale in pietra chiara a bugne molto larghe”, “il motivo decorativo delle finestre, pure in pietra, con l’incorniciatura di pennacchi a cinque bugne verticali”, “[l’]ampio porticato con cinque arcate sostenute da grossi pilastri bugnati in pietra”, “[l’]elegante portichetto nell’ala a monte che conduce alle scuderie”, “lo scalone, chiuso da un cancello in ferro battuto di ottima fattura della fine del XVIII secolo, [che] conduce al piano nobile”, “il grande e signorile salone centrale con l’imponente camino seicentesco in marmo”.
3. Il vincolo è stato poi esteso alle aree adiacenti (mappali n. 93-94-96-105-109-111) con DM 30 novembre 1996 ai sensi dell’art. 21 della legge 1089/1939. Si tratta dei fabbricati, con annessi cortili e brolo, che costituiscono il naturale prolungamento dell’edificio originariamente vincolato. Il nuovo decreto, con una disposizione che si deve intendere riferita all’intero complesso storico-artistico, impone “la massima conservazione possibile dei prospetti esterni e, in merito agli interni, degli ambienti voltati, da mantenersi nella loro integrità spaziale: ogni eventuale sostituzione dovrà, quindi, essere attuata con materiali dello stesso tipo e dimensione di quelli esistenti, e soprattutto gli interventi sugli intonaci esterni dovranno essere limitati al semplice consolidamento per punti”.
4. In data 11 maggio 1994 il ricorrente ha chiesto il nulla-osta per l’esecuzione di interventi di risanamento, con l’inserimento sul mappale n. 103 di impianti tecnologici (tubazioni a pavimento e una caldaia), allo scopo di ricavare un alloggio abitativo. La Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Brescia ha autorizzato i lavori con provvedimento del 24 giugno 1994.
5. In data 30 novembre 1994 il ricorrente ha chiesto il nulla-osta per un’ulteriore serie di lavori di risanamento e manutenzione straordinaria su tutto il complesso immobiliare. La Soprintendenza con nota del 21 gennaio 1995 ha chiesto l’invio di documentazione fotografica illustrante con sistematicità l’intero edificio (dai prospetti esterni ai dettagli decorativi dell’interno). Il ricorrente ha trasmesso il 22 febbraio 1995 le tavole di progetto modificate e un fascicolo fotografico. Una volta ricevuta questa documentazione la Soprintendenza, vista la delicatezza dell’intervento, ha chiesto chiarimenti e spiegazioni con nota del 4 marzo 1995. In risposta il progettista del ricorrente ha fornito nuova documentazione tecnica in data 20 marzo 1995.
6. A questo punto è però emerso che una parte dei lavori era già stata eseguita, e che il ricorrente il 28 febbraio 1995 aveva presentato al Comune istanza di condono ai sensi dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724. La Soprintendenza ha quindi chiesto al Comune con nota del 14 marzo 1995 copia della pratica di condono presentata dal ricorrente. Il Comune ha trasmesso copia dell’istanza e della documentazione tecnica in data 25 marzo 1995. Subito dopo la Soprintendenza con nota del 31 marzo 1995 ha invitato i vigili urbani a svolgere ulteriori accertamenti, precisando in particolare di non aver mai autorizzato i lavori eseguiti sul corpo di fabbrica individuato con il mappale n. 103.
7. Contestualmente con nota del 31 marzo 1995 la Soprintendenza ha comunicato al ricorrente che la richiesta di nulla-osta presentata il 30 novembre 1994 e la successiva richiesta di detrazione fiscale per le spese di restauro dei beni vincolati dovevano ritenersi sospese. Per quanto riguarda i lavori già eseguiti la suddetta nota invitava il ricorrente a inoltrare con la massima urgenza la domanda di sanatoria.
8. Il ricorrente ha presentato domanda di sanatoria il 4 aprile 1995, precisando che tale richiesta era riferita unicamente alla realizzazione di un abbaino e alla riapertura di alcune finestre (opere eseguite nel 1990 e nel 1992) ma non aveva alcuna relazione con i lavori di risanamento in corso effettuati nel 1994. Questa posizione è stata precisata in una nota protocollata in pari data, nella quale il ricorrente afferma che la sanatoria non riguardava gli interventi indicati nella richiesta di nulla-osta presentata il 30 novembre 1994.
9. La Soprintendenza con provvedimento del 3 maggio 1995 ha rilasciato il nulla-osta per i lavori descritti nella richiesta del 30 novembre 1994, ma tra le prescrizioni ha imposto di non iniziare gli interventi relativi al mappale n. 103 prima del sopralluogo che avrebbe dovuto stabilire l’effettiva consistenza di quanto realizzato fino a quel momento e la corrispondenza con il progetto. In sostanza per le opere riguardanti il mappale n. 103 era necessario un ulteriore e definitivo nulla-osta.
10. Gli interventi sul mappale n. 103 sono però stati ugualmente eseguiti. Il Comune, rilevata la mancanza del nulla-osta della Soprintendenza, ha disposto la sospensione dei lavori con ordinanza del 30 maggio 1995. Una volta informata della situazione, la Soprintendenza con nota del 1 luglio 1995 ha invitato il ricorrente a inoltrare con urgenza la domanda di sanatoria.
11. Il ricorrente con nota trasmessa il 4 luglio 1995 ha precisato che nel corso dei lavori di rifacimento di una canna fumaria nel fabbricato contraddistinto dal mappale n. 103 (intervento conseguente a quelli autorizzati dal nulla-osta del 24 giugno 1994) era improvvisamente crollata una porzione del tetto. Questa situazione di emergenza (v. anche la relazione del progettista del 28 giugno 1995) avrebbe provocato la decisione di eseguire immediatamente i lavori per i quali era stato richiesto il nulla-osta in data 30 novembre 1994, pur in mancanza della pronuncia favorevole della Soprintendenza.
12. Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con nota del 23 febbraio 1996 ha espresso parere favorevole alla sanatoria edilizia degli abusi ma ha sottolineato la necessità di applicare per il profilo attinente al vincolo storico-artistico la sanzione prevista dall’art. 59 comma 3 della legge 1089/1939, ossia il pagamento di una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa per effetto della trasgressione.
13. Riferendo agli uffici del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, la Soprintendenza con nota del 14 maggio 1996 ha così riassunto la vicenda: (a) le opere in questione (rifacimento del tetto, allargamento di una finestra, scrostatura di intonaci esterni e interni, sostituzione del pavimento, ampliamento di un servizio igienico) erano state sanate sul piano edilizio ma rimanevano abusive in relazione al vincolo storico-artistico, in quanto non preventivamente autorizzate; (b) la rimessione in pristino appariva sconsigliabile, in quanto avrebbe comportato ulteriori alterazioni del contesto architettonico; (c) doveva quindi essere applicata la misura pecuniaria prevista dall’art. 59 comma 3 della legge 1089/1939; (d) mancando qualsiasi documentazione che chiarisse lo stato di fatto anteriore ai lavori, la quantificazione di quanto dovuto poteva essere effettuata sommando il costo della teorica demolizione a quello della teorica ricostruzione delle sole parti finalizzate alla conservazione del bene (in via equitativa il costo della demolizione del tetto poteva essere dimezzato); (e) applicando questi criteri l’importo dovuto dal proprietario era stimabile in lire 38.458.145.
14. Su questi presupposti il direttore generale dell’Ufficio Centrale per i Beni Architettonici Archeologici Artistici e Storici ha emesso il decreto del 12 settembre 2000, oggetto di impugnazione, con il quale è stata irrogata la predetta sanzione pecuniaria.
15. Nel ricorso si propongono diversi argomenti così sintetizzabili: (i) violazione dell’art. 131 comma 4 del Dlgs. 490/1999, in quanto, anche se non espressamente codificato, sarebbe presente nell’ordinamento l’istituto della sanatoria, in grado di legittimare a posteriori gli interventi non preventivamente autorizzati; (ii) travisamento dei fatti, tanto per l’omessa pronuncia sulla domanda di sanatoria quanto per l’assenza di un danno al bene culturale; (iii) contraddittorietà e difetto di motivazione, in particolare con riferimento agli inviti a presentare domanda di sanatoria e al parere favorevole espresso sulla sanatoria edilizia.
16. L’amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
17. Sulle questioni sollevate nel ricorso si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) dalla sintesi dei fatti esposta sopra risulta che il ricorrente, senza il preventivo nulla-osta della Soprintendenza, ha effettuato una serie di lavori su un immobile vincolato (mappale n. 103). La giustificazione addotta consiste nell’esigenza di mettere in sicurezza l’edificio dopo che una parte del tetto era crollata durante il rifacimento di una canna fumaria (quest’ultimo intervento poteva dirsi ricompreso tra le modifiche agli impianti tecnologici autorizzate dalla Soprintendenza con il nulla-osta del 24 giugno 1994);
(b) la giustificazione indicata dal ricorrente non appare condivisibile. È vero che nella normativa in materia di beni storico-artistici (e poi in quella relativa ai beni culturali) esiste la possibilità di eseguire in via d’urgenza, e quindi senza nulla-osta preventivo, gli interventi provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato (v. art. 19 della legge 1089/1939; art. 27 del Dlgs. 490/1999; art. 27 del Dlgs. 42/2004). Tale facoltà deve però essere esercitata dai privati con la massima trasparenza, avvertendo immediatamente la Soprintendenza per dare modo agli uffici competenti di controllare e gestire in tempo utile la situazione. Inoltre la normativa richiede che si tratti di interventi provvisori, ossia non irreversibili o eccessivamente estesi, al fine di ridurre il rischio di comportamenti mirati a determinare il fatto compiuto;
(c) nello specifico queste limitazioni non sono state osservate. In effetti la Soprintendenza è stata informata e coinvolta solo dopo che la stessa aveva già espresso, d’ufficio, dubbi sulla presenza di abusi. Anche il successivo chiarimento circa le opere abusive eseguite ha richiesto tempo, in quanto il ricorrente aveva ritenuto di poter semplicemente richiamare il programma di interventi descritto nella domanda di nulla-osta del 30 novembre 1994. Nell’esecuzione dei lavori è poi mancata la proporzionalità rispetto all’esigenza, indicata dalla norma, di evitare danni al bene tutelato. La necessità di mettere provvisoriamente in sicurezza alcune strutture non implica la possibilità di completare un intero programma di interventi. oltretutto su parti interne dell’edificio. La Soprintendenza ha tenuto in considerazione il carattere urgente del rifacimento del tetto crollato, ma per il resto ha correttamente rilevato che gli interventi non erano indifferibili e avrebbero quindi potuto essere definiti e indirizzati attraverso un nulla-osta preventivo. Una volta accertata l’esecuzione dei lavori, la Soprintendenza ha infine chiarito che non intendeva autorizzare (neppure implicitamente) le opere già eseguite sul mappale n. 103, evitando quindi di far sorgere aspettative in questo senso a favore del ricorrente;
(d) l’alterazione della consistenza della cosa o dello stato dei luoghi produce un danno al patrimonio culturale pubblico perché degrada il valore storico-artistico del bene vincolato. Tale conseguenza dannosa si determina anche quando viene realizzata una replica esteticamente perfetta delle strutture, degli arredi e dei decori originali. In effetti, diversamente dal vincolo paesistico (dove l’edificio viene collocato in un contesto geografico e tutelato come elemento dell’insieme), nel caso del vincolo storico-artistico la tutela è riservata al bene culturale in sé, nella sua materialità. La materia incorpora la storia, e più precisamente il livello artistico espresso da un determinato ambito culturale in un certo periodo storico;
(e) nel caso in esame le opere realizzate sono rilevanti (v. sopra al punto 13), incidono anche su aspetti direttamente presi in considerazione nei decreti di vincolo (v. sopra ai punti 2 e 3), e non si limitano a replicare la situazione originaria ma introducono delle innovazioni (finestra, intonaci, pavimento, servizio igienico). Tali innovazioni si legano così strettamente all’edificio da diventare di fatto irreversibili. La stessa Soprintendenza ha rinunciato alla prospettiva della rimessione in pristino per evitare di sottoporre l’edificio, e specificamente la parte antica ancora integra, a eccessive sollecitazioni;
(f) l’alternativa individuata dall’amministrazione tra rimessione in pristino e risarcimento del danno subito dal bene culturale appare corretta. Per i beni culturali, tutelati anche nella loro consistenza materiale, non esiste un procedimento di sanatoria formale come quello presente in ambito edilizio (v. art. 36 e 37 del DPR 6 giugno 2001 n. 380) e, in limiti più ristretti, in ambito paesistico (v. art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004). Pertanto gli abusi realizzati su beni culturali sono sempre colpiti dalla sanzione ripristinatoria, e solo quando l’oggetto tutelato sia stato distrutto o non possa essere ripristinato in condizioni di sicurezza l’amministrazione è legittimata a optare per la misura risarcitoria (v. art. 59 comma 3 della legge 1089/1939; art. 131 comma 4 del Dlgs. 490/1999; art. 160 comma 4 del Dlgs. 42/2004);
(g) l’invito a presentare una domanda di sanatoria, ripetutamente rivolto dalla Soprintendenza al ricorrente, e lo stesso parere favorevole espresso sulla sanatoria edilizia non devono quindi essere intesi come contraddizioni insanabili nel percorso logico che ha condotto al provvedimento finale. In realtà la rinuncia alla rimessione in pristino produce un riflesso sanante, in quanto il bene culturale che ha assunto una nuova consistenza materiale diventa intangibile anche dal punto di vista giuridico. In questo senso è possibile parlare, impropriamente, di sanatoria, anche se si tratta di un consolidamento della situazione abusiva più che di un’autorizzazione a posteriori;
(h) peraltro l’effettivo consolidamento della situazione sul piano giuridico è subordinato al pagamento della sanzione. Quest’ultima va qualificata sostanzialmente come un risarcimento del danno culturale, da calcolare secondo i parametri predefiniti dalla legge: valore della cosa perduta o diminuzione di valore subita dalla stessa;
(i) l’importo del risarcimento appare calcolato in modo corretto. Essendo estremamente complessa una stima del valore originale della porzione di edificio trasformata, si può intendere la diminuzione di valore come il costo di una rimessione in pristino virtuale, definita sommando la spesa necessaria per la demolizione delle nuove opere e la spesa necessaria per la ricostruzione della struttura originaria. In questo modo il calcolo viene semplificato, in quanto è possibile fare riferimento ai prezzi utilizzati nei computi metrici degli appalti di lavori. Inoltre viene rispettata l’indicazione normativa secondo cui gli abusi riguardanti beni culturali implicano come naturale conseguenza l’obbligo di ripristino: tale obbligo viene qui trasformato nel suo equivalente monetario.
18. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità della vicenda consente la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore
Stefano Tenca, Primo Referendario
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/12/2011