 Cass. Sez. III n. 42065 del 16 novembre 2011 (Cc 29 set. 2011)
Cass. Sez. III n. 42065 del 16 novembre 2011 (Cc 29 set. 2011)
Pres. Ferrua Est. Marini Ric. Gambino
Urbanistica. Determinazioni amministrative e poteri del giudice
Non è corretto sul piano sistematico affermare che il giudice ordinario deve arrestare il proprio controllo allorché si sia in presenza di determinazioni amministrative, e a maggior ragione di pronunce del Consiglio di Stato, che dopo avere bilanciato gli interessi contrastanti individuino il punto di equilibrio tra gli stessi e acconsentano alla realizzazione di interventi modificativi di un bene soggetto a tutela.
Interventi che incidano sulla conservazione e l'integrità del bene storico sono possibili. e dunque autorizzabili, esclusivamente qualora essi mirino a valorizzare o meglio utilizzare il bene protetto, anche mediante modifiche d'uso che ne salvaguardino, pur in una prospettiva di adeguamento al mutare delle esigenze, la natura e il valore.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Camera di consiglio
 Dott. FERRUA   Giuliana          - Presidente  - del 29/09/2011
 Dott. TERESI   Alfredo           - Consigliere - SENTENZA
 Dott. LOMBARDI Alfredo M.        - Consigliere - N. 1684
 Dott. FRANCO   Amedeo            - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. MARINI   Luigi        - est. Consigliere - N. 18229/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 GAMBINO Maria Teresa, nata a Genova il 24 Giugno 1949;
 Avverso la ordinanza in data 11 Aprile 2011 del Tribunale di Genova,  			che ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal  			Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Genova in data 24  			Marzo 2011;
 Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Luigi Marini;
 Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dr. Volpe  			Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
 Uditi i Difensori, Avv. Scopesi Mario e Avv. Madia Titta, che hanno  			concluso per l'accoglimento del ricorso.
 RILEVA IN FATTO
 Con decreto depositato in data 25 Marzo 2011 il Giudice delle  			indagini preliminari del Tribunale di Genova ha disposto il sequestro  			preventivo "dell'area di Parco pubblico dell'Acquasola interessata  			dai lavori di realizzazione del parcheggio interrato di cui alla  			determinazione dirigenziale n. 2008/118.18.062".  			La richiesta del P.M. concerneva l'esistenza del "fumus" del reato  			previsto dall'art. 110 c.p. e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art.  			170, e del reato previsto dall'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del  			2001, art. 44, lett. c) in relazione al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n.  			42, artt. 169 e 170.
 Il Giudice ha respinto la richiesta avanzata dal P.M. con riferimento  			all'ipotesi ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e ha respinto  			l'ipotesi dallo stesso avanzata con riferimento al reato ex D.Lgs. 22  			gennaio 2004, n. 42, art. 170, limitatamente alla prospettata  			illegittimità ab origine dell'intera procedura e dei provvedimenti  			autorizzatori a causa dell'esistenza di un grave illecito penale  			(concussione) commesso dal funzionario pubblico che gesti la prima  			fase della procedura e gli accordi transattivi con la società  			aggiudicataria dei lavori.
 Ha, quindi, proceduto (pagg. 5 e 6 del decreto) all'esame dei  			principali atti della complessa procedura, a partire dai pareri della  			Soprintendenza per giungere agli esiti della conferenza dei servizi e  			alla determinazione conclusiva dell'8 agosto 2008.  			Sulla base di queste premesse il Giudice ha ritenuto (pag. 6 e ss.)  			fondata la richiesta del P.M. e ravvisato la sussistenza del "fumus"  			del reato previsto al capo A). Muovendo dalle caratteristiche dei  			"giardini e parchi storici" e dalle specifiche esigenze di tutela che  			essi pongono in quanto "beni viventi" e che sono state incluse nelle  			linee guida adottate nelle c.d. "carte di Firenze", il Giudice ha  			considerato che l'intervento progettato e autorizzato si pone in  			contrasto con la conservazione e la tutela del parco, soprattutto  			dopo che gli accertamenti tecnici hanno consigliato di rinunciare al  			reimpianto degli alberi di maggior fusto e dopo che si è reso  			evidente che con cadenza di circa 40 anni la copertura di terra e le  			piante poggiate sopra le aree prensili dovranno essere rimosse per la  			necessaria manutenzione dei manufatti. Di conseguenza, sebbene  			regolarmente autorizzate mediante atti amministrativi che hanno  			trovato conferma in sede di Consiglio di Stato a seguito di ricorsi  			giurisdizionali, le opere si pongono in contrasto con gli del D.Lgs.  			22 gennaio 2004, n. 42 e deve ritenersi sussistente il "fumus" di  			reato, anche sotto il profilo soggettivo (sul punto si rinvia al  			penultimo capoverso di pag. 9 della motivazione del decreto).  			Con la decisione impugnata in questa sede il Tribunale di Genova ha  			confermato il decreto di sequestro preventivo. Come esposto in  			particolare alle pagine 6 e seguenti della motivazione, l'ordinanza  			illustra le ragioni che conducono a respingere le prospettazioni  			della difesa. Afferma, tra l'altro (pag. 7) che l'intervento  			conclusivamente autorizzato comporterebbe una demolizione di una  			parte consistente del parco senza una successiva ricostruzione,  			ipotesi vietata dall'art. 20 e non effettuabile ai sensi dell'art.  			21, citati. Il carattere sostanzialmente demolitorio delle opere non  			viene meno per l'intervenuta emanazione dei provvedimenti  			autorizzatori. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del  			reato, il Tribunale richiama la sentenza di questa Corte n. 10618 del  			2010 per concludere che l'adozione del sequestro preventivo prescinde  			dall'accertamento dell'elemento soggettivo in capo al titolare del  			bene.
 Avverso tale decisione la Sig.ra Gambino, quale legale  			rappresentante della Sistema Parcheggi Srl, propone ricorso tramite  			il Difensore.
 Il ricorso, effettuata una sintetica esposizione dell'iter della  			procedura amministrativa che autorizza la Sistema Parcheggi Srl ad  			effettuare l'intervento edilizio, propone in sintesi i seguenti  			motivi.
 Con primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione  			per omessa considerazione della evidente assenza dell'elemento  			soggettivo del reato. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto di  			escludere ogni propria competenza in ordine alla valutazione  			dell'elemento soggettivo, e ciò ha fatto richiamando in modo  			impreciso una sentenza di legittimità (Sesta Sezione Penale,  			sentenza n. 10618 del 2010) e omettendo di considerare che altre  			decisioni della Corte Suprema hanno espresso un diversa  			interpretazione sulla scia dell'ordinanza della Corte costituzionale,  			n. 153 del 2007.
 Con secondo motivo lamenta errata applicazione del D.Lgs. 22 gennaio  			2004, n. 42, artt. 20 e 21. In modo errato e infondato il Tribunale  			afferma l'esistenza di principi di ordine generale che in tema di  			beni culturali sottrarrebbero anche al Ministero la possibilità di  			autorizzare interventi diversi da quelli di conservazione e  			salvaguardia dei beni protetti; tali principi non sono certo  			enucleabili dal disposto degli artt. 20 e 21 citati, così che non si  			ravvisa quale fonte giustifichi l'affermazione della intangibilità  			dei beni culturali.
 Con terzo motivo lamenta l'errata applicazione del D.Lgs. 22 gennaio  			2004, n. 42, art. 170. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto  			integrata la violazione per l'esistenza di interventi modificativi  			del bene, mentre l'art. 170 citato, sanziona esclusivamente la  			destinazione del bene ad un "uso" incompatibile col carattere storico  			e artistico oppure pregiudizievole per la conservazione e integrità  			del bene. E siccome il concetto di "uso" rilevante ai nostri fini non  			coincide con l'utilizzazione che le persone fanno del bene, ma solo  			l'utilizzazione che a questo è assegnata nel provvedimento  			concessorio, è evidente che la costruzione del parcheggio  			sotterraneo pone un tema di compatibilità che riguarda coloro che  			hanno autorizzato l'intervento e non chi sulla base di  			quell'autorizzazione, ha dato corso regolarmente ai lavori.  			Con quarto motivo lamenta l'assenza di legittimazione del giudice  			penale a sindacare l'atto amministrativo (in particolare la  			deliberazione 8 agosto 2008) sotto profili diversi dalla liceità e  			legittimità; in specie, il giudice penale non ha alcun titolo a  			valutare la legittimità dell'atto sotto il profilo della sua  			opportunità; quest'ultimo profilo è stato oggetto di plurime  			decisioni del giudice amministrativo richiamate in premessa così  			che, nel rispetto del principio di unicità della giurisdizione, non  			può formare oggetto della decisione in sede penale.
 OSSERVA IN DIRITTO
 L'ampio e articolato ricorso e gli altrettanto articolati  			provvedimenti giudiziali di cui si chiede il controllo descrivono una  			situazione di fatto di rilevante complessità, che potremmo definire  			paradigmatica dei rapporti esistenti nel nostro Paese fra beni  			collettivi, diritti e interessi individuali, azione della pubblica  			amministrazione o, meglio delle pubbliche amministrazioni, e  			attribuzioni del giudice ordinario.
 11 compito di questo giudice è, peraltro, limitato all'esame dei  			profili specifici sottoposti al suo controllo e alla individuazione  			dei soli profili di ordine generale rilevanti per la decisione. Non  			vi è dubbio, ad esempio che il principio di affidamento del  			cittadino rispetto alle scelte della pubblica amministrazione  			costituisca un elemento che deve essere tenuto in considerazione, ma  			di analoga rilevanza risulta essere il principio di lealtà nei  			rapporti fra soggetti privati e soggetti pubblici, così come non  			può essere trascurata la considerazione che in materia di beni di  			particolare rilevanza per la collettività, che l'ente pubblico ha  			sottoposto a specifiche garanzie, il bilanciamento tra l'interesse  			collettivo e quello individuale non è necessariamente esaurito dalle  			determinazioni delle amministrazioni pubbliche, come sarà in seguito  			specificato.
 Venendo ai singoli profili posti all'attenzione di questa Corte, si  			osserva quanto segue.
 1. Sostiene la ricorrente che l'intero impianto logico che sorregge  			il provvedimento cautelare presenta un punto di criticità  			insormontabile: l'assenza dell'elemento soggettivo del reato in capo  			all'unica indagata, che fa sorgere l'obbligo per il giudice di  			escludere il "fumus" di reato e la possibilità di conservare il  			sequestro.
 Corrisponde a verità che la giurisprudenza non è più univoca nel  			considerare irrilevante in sede di riesame la valutazione  			dell'elemento soggettivo del reato, ivi compresa l'esistenza di  			profili di colpa. All'impostazione secondo cui nella valutazione  			circa l'esistenza del "fumus" il controllo giudiziale deve essere  			limitato alla sola corrispondenza tra l'ipotesi fattuale e la  			fattispecie legale (per tutte, Seconda Sezione Penale, sentenza  			n.2808 del 2009, rv 242650) si affianca oggi una interpretazione  			costituzionalmente orientata sulla scia della ordinanza della Corte  			costituzionale, n. 153 del 2007, secondo la quale il giudice può  			estendere il controllo anche alla sussistenza dell'elemento  			soggettivo, nel senso che il "fumus" può essere escluso quando si  			ravvisi "Ictu oculi" l'assenza di profili di dolo o di colpa rispetto  			alla condotta o all'evento posti a base della misura cautelare (si  			veda l'esame di tale profilo compiuto dalla Quarta Sezione Penale con  			la sentenza 23944 del 2008, rv 240521).
 Ora, non vi è dubbio che nel caso in esame non appare privo di  			rilievo l'argomento prospettato dalla ricorrente circa l'esistenza di  			una propria evidente buonafede, che trova fondamento nel complesso  			iter amministrativo seguito e nella conferma circa la legittimità  			del progetto derivante dalle decisioni che il Consiglio di Stato ha  			assunto anteriormente all'avvio dei lavori. Tuttavia, la Corte deve  			mettere in evidenza che appare non corretto limitare la valutazione  			della fondatezza e della legittimità del sequestro avendo riguardo  			esclusivamente alla posizione soggettiva della persona  			individualmente indagata e trascurare, per contro, le finalità del  			provvedimento cautelare in relazione alla complessiva vicenda  			procedimentale. In altri termini, qualora il giudice ravvisi  			l'esistenza del "fumus" obiettivo di una violazione che offende  			interessi protetti, è tenuto a valutare la legittimità del  			sequestro tenendo conto della sua natura di strumento indispensabile  			ex art. 321 c.p.p., comma 1, al fine di impedire che il reato venga  			portato ad ulteriori conseguenze o che il bene protetto subisca  			comunque ulteriori offese. Non vi è dubbio, allora, che il sequestro  			può essere legittimamente disposto nei casi in cui sono ignote le  			persone che possono avere commesso l'illecito, così come nei casi in  			cui solo una parte dei possibili autori sono stati individuati e  			iscritti nel registro delle notizie di reato ex art. 335 c.p.p..  			Inoltre, se un problema di buona fede può porsi fin dalla prima fase  			delle indagini con riferimento alle ipotesi di confisca obbligatoria  			a seguito di condanna, nel senso che ove difetti manifestamente  			l'elemento soggettivo occorre considerare la prognosi di futura  			assoluzione che non consentirebbe la confisca del bene, non  			altrettanto può dirsi per le ipotesi in cui ai fini della confisca  			rileva anche il solo l'accertamento della violazione sul piano  			obiettivo.
 Tutto ciò premesso, la Corte rileva che nel caso in esame il reato  			ipotizzato va considerato come plurisoggettivo e l'iscrizione della  			notizia di reato è stata effettuata nei confronti della ricorrente  			in concorso con persone da identificare. Si tratta di impostazione  			coerente con l'ipotesi avanzata dal Pubblico Ministero, che valuta  			come non conformi a legge i provvedimenti autorizzativi e non può  			per questo non valutare la posizione di coloro che quei provvedimenti  			hanno emanato quanto meno in cooperazione colposa con la legale  			rappresentante della società appaltatrice dei lavori. Così  			ricostruita l'ipotesi di reato sottesa al sequestro in esame, la  			possibile assenza di profili di colpa in capo alla ricorrente assume  			contorni di complessità maggiori di quelli che possono essere  			rilevati ad una prima lettura degli atti; permangono, poi, i profili  			di responsabilità degli amministratori pubblici che spetta al  			Procuratore della Repubblica individuare e identificare. Sulla base  			di tali considerazioni la Corte ritiene che non sussista la  			prospettata manifesta assenza di "fumus" di reato con riferimento  			alla carenza dell'elemento soggettivo.
 2. Quanto alla sussistenza del "fumus" di reato con riferimento alle  			condotte e alle altre circostanze di fatto ampiamente esposte nei  			provvedimenti cautelari e nel ricorso, la Corte ritiene di dover  			concentrare l'attenzione su un profilo che appare decisivo: la  			compatibilità dell'uso con la natura e le caratteristiche proprie  			del bene pubblico avente valore storico che risulta interessato dal  			progetto e dai lavori.
 Afferma la ricorrente con ampie argomentazioni che l'attenzione deve  			avere riguardo essenzialmente a due profili: a) il concetto di "uso"  			rilevante ai fini del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 170 non  			ricomprende l'utilizzazione fattuale del bene, bensì l'utilizzazione  			che viene individuata e disciplinata dai provvedimenti di  			autorizzazione; b) la compatibilità fra l'utilizzo del bene e la sua  			natura e destinazione è giudizio rimesso esclusivamente all'ente  			pubblico, e al giudice amministrativo ove necessario, e non può  			costituire oggetto di valutazione da parte del giudice ordinario.  			3. La Corte ritiene che non sia corretto sul piano sistematico  			affermare che il giudice ordinario deve arrestare il proprio  			controllo allorché si sia in presenza di determinazioni  			amministrative, e a maggior ragione di pronunce del Consiglio di  			Stato, che dopo avere bilanciato gli interessi contrastanti  			individuino il punto di equilibrio tra gli stessi e acconsentano alla  			realizzazione di interventi modificativi di un bene soggetto a  			tutela.
 Questa Sezione ha avuto modo di affrontare più volte il tema del  			rapporto fra bene protetto e intervento del giudice ordinario in  			settori ove la pubblica amministrazione esercita poteri  			discrezionali che le sono attribuiti dalla legge; per ciò che rileva  			ai fini della presente decisione, la Corte può limitarsi a rinviare  			alle ampie argomentazioni con le quali il giudice di legittimità ha  			chiarito l'esistenza di margini di apprezzamento del giudice  			ordinario; in particolare, può rinviarsi alle osservazioni contenute  			nelle sentenze della Terza Sezione Penale n.37181 del 2010, PM in  			proc. Martino (rv 248623) e n.34205 del 2010, Vastarini e altro (rv  			248369). La prima decisione afferma che l'annullamento da parte del  			giudice amministrativo della revoca del nulla osta rilasciato  			dall'ente preposto alla tutela del vincolo non comporta  			automaticamente la caduta dei presupposti del sequestro preventivo  			disposto dal giudice dopo avere valutato la non legittimità del  			nulla osta stesso. La seconda decisione evidenza come anche  			successivamente alle modifiche apportate dalla L. n. 308 del 2008  			alla disciplina del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l'accertamento  			sull'offesa al bene paesaggio è di competenza del giudice penale e  			il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica può assumere rilievo  			solo ai fini della valutazione dell'elemento soggettivo del reato e  			della gravità dello stesso; principio, questo, affermato dalle  			Sezioni Unite Penali con riferimento agli estremi della  			contravvenzione prevista dall'art.724 c.p. (sentenza n.248 del 1992,  			rv 193416).
 4. La lettura della motivazione della sentenza n.34205 del 2010  			introduce un ulteriore argomento interpretativo che assume rilevanza  			nel caso in esame. Osservava, infatti, la Corte che spetta "al  			giudice penale di verificare, a fronte di una compromissione del  			paesaggio e dell'ambiente, la corrispondenza delle opere al  			provvedimento nonché la liceità e legittimità (ma non  			l'opportunità) dei relativi atti amministrativi, in quanto  			l'eventuale illegittimità di tali atti potrebbe essa stessa  			costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa (Sez. 4,  			n.32125 del 29/3/2004, Rv, 229092)".
 Si è in presenza di un passaggio motivazionale, integralmente  			condiviso da questa Corte, che chiarisce come il giudice penale non  			possa sindacare l'esercizio della discrezionalità tecnica dell'ente  			e le determinazioni che su tale base sono state assunte, ma abbia il  			dovere di verificare la liceità e la legittimità dell'atto  			amministrativo al fine di vagliarne la rilevanza nella determinazione  			sulla liceità delle condotte tenute dal privato anche in base a  			quell'atto. In altri termini, un atto illegittimo della pubblica  			amministrazione, per quanto confermato dal giudice competente, non  			può rimuovere gli ostacoli o i divieti che la legge ha posto nei  			confronti delle condotte del privato al fine di tutelare un interesse  			pubblico qualificato.
 Osserva la Corte in via incidentale che le decisioni del T.A.R. e del  			Consiglio di Stato richiamate dalla ricorrente e acquisite agli atti  			del procedimento meriteranno una lettura più articolata e  			approfondita di quella che viene prospettata nel ricorso: il  			contenuto delle decisioni si collega alla specificità del petitum e  			degli argomenti presentati da ricorrenti e resistenti, così che  			sembra di poter concludere che si è in presenza di decisioni che non  			esauriscono tutti gli aspetti rilevanti per le determinazioni del  			giudice penale. Si tratta, peraltro, di temi che non risultano  			essenziali ai fini della presente decisione e che dovranno costituire  			oggetto dell'esame di merito.
 5. Sulla base di tali premesse di ordine generale può essere  			esaminato adesso il contenuto degli atti autorizzatori e delle  			condotte poste in essere dalla ricorrente.
 La pregevole illustrazione contenuta nel ricorso circa il concetto di  			"uso" rilevante ai fini della integrazione della violazione ex D.Lgs.  			22 gennaio 2004, n. 42, art. 170 deve essere esaminata alla luce  			delle previsioni contenute negli artt. 20 e 21 di tale legge e alla  			luce della giurisprudenza che si è occupata dell'argomento.  			L'art.20 afferma che i beni culturali, e non vi è dubbio che tale  			debba essere considerato ai sensi della citata Legge, art. 10 il  			Parco dell'Acquasola, "non possono essere distrutti, danneggiati o  			adibiti a usi non compatibili con il loro carattere storico o  			artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione".  			Il successivo art. 21 disciplina gli interventi e le modifiche che  			possono essere apportate a tali beni e prevede l'obbligo di  			preventiva autorizzazione del Ministero nei casi specificamente  			indicati, fra i quali (comma 1, lett. a) è inclusa anche l'ipotesi  			di demolizione "anche con successiva ricostituzione". I commi 4 e 5  			disciplinano più specificamente l'esecuzioni di lavori, questa volta  			soggetti ad autorizzazione del Soprintendente e non del Ministero. È  			importante evidenziare che il mutamento di destinazione d'uso dei  			beni medesimi "è comunicato al soprintendente per le finalità di  			cui all'art. 20, comma 1", e cioè per salvaguardare comunque il loro  			carattere storico o artistico e la loro integrità.
 6. L'insieme degli elementi così richiamati consente alla Corte di  			giungere ad una prima conclusione: interventi che incidano sulla  			conservazione e l'integrità del bene storico sono possibili, e  			dunque autorizzabili, esclusivamente qualora essi mirino a  			valorizzare o meglio utilizzare il bene protetto, anche mediante  			modifiche d'uso che ne salvaguardino, pur in una prospettiva di  			adeguamento al mutare delle esigenze, la natura e il valore.  			Ciò non sembra avvenuto nel caso di specie, dove gli interventi sul  			bene protetto non sono stati progettati e realizzati con la finalità  			di salvaguardare e valorizzare la sua natura storica e di  			attualizzare la destinazione pubblica che gli appartiene, bensì con  			la finalità di soddisfare beni e interessi diversi che con quella  			natura e quella destinazione non hanno relazione alcuna e, anzi, si  			caratterizzano in concreto come interessi contrapposti.  			Osserva la Corte che l'integrità e la fruibilità da parte della  			cittadinanza del bene protetto hanno conosciuto una compressione  			rilevante e destinata a protrarsi nel tempo, tanto da poter essere  			definita strutturale, al fine favorire interessi alla viabilità e al  			parcheggio che attengono a sfere della vita sociale del tutto  			diverse. In altri termini è certo che una parte del parco ha subito  			una compromissione strutturale che non ha la finalità migliorare  			l'uso che la collettività può fare del parco stesso, come sarebbe,  			invece, nelle ipotesi in cui il parcheggio fosse finalizzato a  			migliorare l'accesso al bene o la sua fruibilità in concreto.  			7. Può, dunque, concludersi che allo stato degli atti sussistono  			ragioni per ritenere immune da vizi logici la motivazione  			dell'ordinanza impugnata - che deve essere letta anche alla luce  			delle articolate considerazioni esposte nel decreto di sequestro -  			nella parte in cui afferma che si è in presenza del "fumus" del  			reato previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 170, posto che  			l'uso che viene previsto per la porzione del parco soggetta ai lavori  			può essere considerato "incompatibile" con il carattere storico del  			bene e ne pregiudica la conservazione e la integrità.  			8. Osserva, in ultimo, la Corte che anche nel caso in esame trova  			applicazione il principio fissato da questa Sezione, in linea con la  			più generale interpretazione delle norme in tema di limiti del  			giudizio di legittimità, secondo il quale la valutazione circa  			"l'uso incompatibile" del bene culturale consistente in una  			distorsione del godimento che gli è proprio (studio, ricerca,  			piacere estetico), ma lo stesso può affermarsi per i beni di  			riconosciuto valore storico, rappresenta una questione di merito non  			suscettibile di intervento della Corte di Cassazione se non in  			presenza di un radicale difetto di motivazione del provvedimento  			impugnato (sentenza n. 14377 del 2005, PM in proc. Veneroso, rv  			231072) cosa che non è nel caso in esame.
 Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere  			rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese  			processuali ex art. 616 c.p.p..
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.
 Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2011
 
                    




