Cass. Sez. III n. 41408 del 14 novembre 2011 (Ud. 20 set. 2011)
Pres. Squassoni Est. Amoroso Ric. SALERNO
Caccia e animali. Detenzione fauna selvatica
La lettera e) dell'art. 21 prevede in particolare l'esercizio venatorio in determinate aree dove la caccia - e quindi il prelievo venatorio - è interdetta. Ma il fatto di detenere animali appartenenti a specie protette non può integrare, di per se solo, la nozione di esercizio venatorio tanto più che la lettera e) citata de11'art. 21 considera come vietato l'esercizio venatorio in alcuni luoghi determinati. Invece la condotta di detenzione di animali appartenenti a specie protetta può integrare la fattispecie prevista sempre dall'art. 21, ma alla lettera ee) che prevede appunto il fatto di detenere, acquistare e vendere esemplari di fauna selvatica, ad eccezione dei capi utilizzati come richiami vivi nel rispetto delle modalità previste dalla presente legge e della fauna selvatica lecitamente abbattuta, la cui detenzione viene regolamentata dalle regioni anche con le norme sulla tassidermia. L'oggetto della previsione normativa è costituito quindi dalla detenzione di esemplari di fauna selvatica protetta dalla normativa regionale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente - del 20/09/2010
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 1787
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 48624/2010
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Salerno Nicolò nato a Sant'Agata Militello il 22/12/1980 e Salerno Giovanni nato a Sant'Agata Militello il 17/11/1984;
avverso la sentenza del 27 maggio 2010 del tribunale di Catania, sezione distaccata di Bronte;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. SPINACI Sante che ha concluso per il rigetto del ricorso.
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Salerno Nicolò e Salerno Giovanni, opponenti al decreto penale n. 977/09, erano citati in giudizio innanzi alla Sezione distaccata di Bronte del Tribunale di Catania, per rispondere del reato p. e p. dall'art. 110 c.p. e L. n. 157 del 1992, art. 21, lett. e) e art. 30, lett. l), perché, in concorso tra loro detenevano, all'interno dell'autovettura targata 8B 426 SZ, n. 71 esemplari di testuggine della specie "Hermanni hermanni" appartenenti a specie protetta (fatto accertato a Bronte il 17 maggio 2008). Con sentenza n. 70/2010 pronunciata dal Tribunale di Catania, sezione distaccata di Bronte, il 27 maggio 2010, depositata il 10 giugno 2019, Salerno Nicolò e Salerno Giovanni erano stati dichiarati colpevoli del reato loro ascritto e per l'effetto condannati alla pena di Euro 1.500,00 di ammenda, oltre spese processuali. Ha osservato il tribunale che dalle dichiarazioni del teste brig. Smeralda era emerso che in data 17.5.2008 la vettura sulla quale si trovavano gli imputati venne fermata ad un posto di blocco e nel corso del controllo vennero rinvenute nel cofano all'interno di un sacco 71 tartarughe appartenenti a specie protetta. 2. Avverso questa pronuncia gli imputati propongono ricorso per cassazione con sei motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il ricorso, articolato in sei motivi, i ricorrenti denunciano essenzialmente la violazione e falsa applicazione della L. n. 157 del 1992, art. 21, lett. e) e art. 30, lett. l) nonché difetto di motivazione sul punto della affermata responsabilità penale. La legge citata riguarda la "protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio". Invece - deducono le ricorrenti - da nessun atto processuale emergeva che essi avessero mai esercitato la caccia. Quindi essi avrebbero dovuto essere assolti dal reato loro contestato perché il fatto non sussiste. In ogni caso mancava la correlazione tra le norme enunciate e norme applicate, in ordine al fatto contestato. Comunque non c'era corrispondenza tra norma contestata e condotta accertata.
Inoltre i ricorrenti deducono la mancanza dell'elemento soggettivo del dolo. Ed infatti nella specie doveva ritenersi sussistente l'ignoranza inevitabile della legge, in quanto essi ricorrenti non avevano mai cacciato e non conoscevano e non potevano conoscere le norme dettate per il commercio internazionale di specie di animali in via di estinzione, anche perché la specie di tartarughe in questione era molto diffusa nelle zone da loro frequentate. Infine ricorrenti si dolgono della eccessività della pena inflitta.
2. Il ricorso - i cui sei motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato.
3. Bisogna innanzitutto considerare che per l'attuazione della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali (e vegetali) in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla L. 19 dicembre 1975, n. 874, la L. 7 febbraio 1992, n. 150, ha sanzionato una serie di condotte relative agli esemplari appartenenti alle specie elencate nell'allegato A del Regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni:
In particolare nell'elenco allegato al suddetto regolamento è indicata la testuggine di Hermann, ovvero testuggine di terra (comune), oltre alla testuggine di Kleinman. Si tratta quindi di una specie da considerarsi protetta perché in via di estinzione, come correttamente ha ritenuto la sentenza impugnata.
L'art. 1, lett. f), prevede come reato contravvenzionale e sanziona (con la pena dell'arresto e dell'ammenda) in particolare la condotta di detenzione di animali appartenenti a specie protette senza documentazione di provenienza. Peraltro la detenzione prevista dell'art. 1, lett. f)) è sia quella tout court, che quella sorretta dal dolo specifico ossia dal fine di lucro o dal fine della vendita dell'animale appartenente alla specie protetta.
Il tribunale invece ha ritenuto integrata la condotta prevista dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 21, lett. e), che detta norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio; disposizione questa indicata parimenti nel decreto di citazione a giudizio e prima ancora nel decreto penale di condanna. L'art. 21, lett. e) prevede in particolare l'esercizio venatorio in determinate aree dove la caccia - e quindi il prelievo venatorio - è interdetta. Ma il fatto di detenere animali appartenenti a specie protette non può integrare, di per sè solo, la nozione di esercizio venatorio tanto più che il citato art. 21, lett. e) considera come vietato l'esercizio venatorio in alcuni luoghi determinati. Invece la condotta di detenzione di animali appartenenti a specie protetta può integrare la fattispecie prevista sempre dall'art. 21, ma alla lett. e) che prevede appunto il fatto di detenere, acquistare e vendere esemplari di fauna selvatica, ad eccezione dei capi utilizzati come richiami vivi nel rispetto delle modalità previste dalla presente legge e della fauna selvatica lecitamente abbattuta, la cui detenzione viene regolamentata dalle regioni anche con le norme sulla tassidermia.
L'oggetto della previsione normativa è costituito quindi dalla detenzione di esemplari di fauna selvatica protetta dalla normativa regionale.
Nella specie si tratta di detenzione di animali appartenenti alla fauna selvatica protetta sì, ma viene in rilievo la particolare protezione accordata alla fauna selvatica in via di estinzione. Rileva quindi la fattispecie prevista dalla citata L. n. 150 del 1992, art. 1 che appunto - come già ricordato - prevede come reato la detenzione di esemplari di fauna selvatica appartenenti a una delle specie elencate nell'allegato al regolamento comunitario sopraccitato, tra cui le testuggini della specie di Hermann. 4. In breve, la contestazione fatta agli imputati sia nell'originario decreto penale di condanna che nel decreto di citazione a giudizio e da ultimo nella rubrica della sentenza attualmente impugnata è precisa e puntuale perché fa riferimento alla detenzione delle testuggini della specie di Hermann.
Per la detenzione della fauna selvatica protetta a livello comunitario o ricadente nella convenzione di Washington la qualificazione giuridica del fatto va ricondotta a quella della L. n. 150 del 1992, art. 1 che prevede una fattispecie di reato contravvenzionali più grave, essendo infatti punita con la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda. Il tribunale invece facendo rientrare la condotta contestata agli imputati nella fattispecie della L. n. 157 del 1992, art. 21 ha commesso un errore in bonam partem perché ha applicata la solo pena dell'ammenda. Di ciò però gli imputati certo non hanno interesse a dolersi invocando l'esatta qualificazione giuridica della condotta loro contestata.
5. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti, singolarmente, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, singolarmente, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011