Il Punto su: Inquinamento atmosferico e d.p.r. 203 del 1988, ambito di
applicabilità
di Alfredo Montagna (Magistrato. Corte di cassazione)
(pubblicato su Ambiente & Sviluppo febbraio 2006)
Con due recenti decisioni il giudice di legittimità ha posto nuovamente
all’attenzione degli studiosi la questione dell’ambito di applicabilità delle
disposizioni introdotte dal d.p.r. 24 maggio 1988 n. 203 in tema di inquinamento
atmosferico. In realtà la giurisprudenza della Corte è ampiamente “schierata”
sul fronte di una interpretazione estensiva della nozione di impianti cui
riferire la applicabilità del citato d.p.r., pur tuttavia la necessità di
ribadire mostrata dalle due pronunce della terza sezione ripropone la questione
e giustifica i motivi di critica che da alcuni vengono sostenuti.
Infatti la Corte, anche se chiamata a valutare la posizione processuale dei
dirigenti del reparto parchi minerali di un grosso insediamento industriale, ha
sentito la necessità di puntualizzare, con decisione assunta nella pubblica
udienza del 28 settembre 2005, e depositata il 24 ottobre n. 38936, R. ed altro,
in corso di inserimento in Ced Cass, che “l’inquinamento atmosferico
disciplinato dal d.p.r. n. 203 del 1988 ricomprende quello ingenerato da tutti
gli impianti destinati alla produzione, al commercio, all’artigianato ed ai
servizi dai quali derivi anche uno solo degli effetti contemplati dal citato
d.p.r., ovvero una alterazione delle normali condizioni ambientali o delle
risorse biologiche e della salubrità dell’aria”.
Quasi contestualmente, con altra decisione, questa volta relativa ad una
imputazione elevata al responsabile di un frantoio oleario per le emissioni
conseguenti all’uso di una caldaia alimentata a sanza esausta ed utilizzata per
il riscaldamento dell’acqua impiegata nel ciclo produttivo, e redatta da un
diverso estensore, la Corte era ancora più esplicita affermando che “
l’inquinamento atmosferico disciplinato dal d.p.r. n. 203 del 1988 non è
limitato alla salubrità dell’aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche
originate dai soli impianti qualificabili quali industriali ai sensi dell’art.
2195 c. c., ma si estende a qualsiasi impianto che può dare luogo ad emissioni
nell’atmosfera, ai sensi dell’art. 1 del citato decreto n. 203” (Cass. Sez. III
30 settembre 2005, dep. 11 novembre 2005 n. 40944, B, in corso di inserimento in
Ced Cass).
Preliminare ad ogni ulteriore riflessione si rende a questo punto necessaria una
lettura attenta dei testi normativi; infatti con il d.p.r. 24 maggio 1988 n.
203, veniva data attuazione a quattro Direttive CEE (80/779, 82/884, 84/360 e
85/203) concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a
specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti
industriali, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987 n. 183 (relativa
al coordinamento delle politiche comunitarie e adeguamento dell’ordinamento
interno agli atti normativi comunitari), che al comma primo disponeva che “Il
Governo è delegato ad emanare, entro il termine di dodici mesi dall'entrata in
vigore della presente legge, con decreti aventi forza di legge, le norme
necessarie per dare attuazione alle direttive della Comunità economica europea
indicate negli elenchi "B" e "C" allegati alla presente legge”: nel lungo elenco
di disposizioni comunitarie delle quali veniva disposta l’attuazione erano
ricomprese, nell’Allegato 3 le quattro Direttive sopra riportate:
Direttiva 80/779 del Consiglio del 15 luglio 1980 relativa ai valori limite e ai
valori guida di qualità dell'aria per la anidride solforosa e le particelle in
sospensione.
Direttiva 82/884 del Consiglio del 3 dicembre 1982 concernente un valore limite
per il piombo contenuto nell'atmosfera
Direttiva 84/360 del Consiglio del 28 giugno 1984 concernente la lotta contro
l'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali
Direttiva 85/203 del Consiglio del 7 marzo 1985 concernente le norme di qualità
atmosferica per il biossido di azoto
La delega veniva esercitata con la elaborazione del d.p.r. n. 203 che adottava
un concetto di inquinamento atmosferico riferito ad “ogni modificazione della
normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica, dovuta alla presenza
nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da
alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell'aria; da
costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute
dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi
dell'ambiente; alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni
materiali pubblici e privati”, con una concezione integrata ispirata non solo
alla protezione della risorsa naturale in sé, nella propria specificità
naturale, ma anche alla semplice modificazione o alterazione del normale stato
fisico naturale, stante il pericolo di effetti negativi sull’uomo o sulla
natura.
Lo stesso d.p.r. stabiliva, con l’art. 1, che fossero sottoposti alla disciplina
del decreto stesso “a) tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione
nell'atmosfera”, ma, con una formulazione di derivazione comunitaria oggi comune
ai singoli interventi legislativi in materia ambientale, forniva le nozioni dei
termini utilizzati nella stessa fonte normativa e, per quello che interessa in
questa sede, precisava, con il successivo articolo 2 punto 9, che “ai fini del
presente decreto si intende per “impianto lo stabilimento o altro impianto fisso
che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare
inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa
nazionale”.
Successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio
1989 (emanato ai sensi dell’art. 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349 istitutiva
del Ministero dell’Ambiente) veniva approvato un Atto di indirizzo e
coordinamento alle regioni per l’attuazione e l’interpretazione del d.p.r. n.
203; si tratta dell’esercizio della generale funzione di indirizzo a livello
statale prevista nelle materie ambientali dallo stesso art. 9 per “esigenze di
carattere unitario anche in riferimento agli obiettivi della programmazione
economica nazionale e dagli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e
comunitari”.
In questa occasione veniva affermato, nel punto relativo all’ambito di sua
applicazione che “il d.p.r. 203 del 1988 si applica agli impianti industriali di
produzione di beni o servizi, ivi compresi gli impianti di imprese artigiane di
cui alla l. 8 agosto 1985 n. 443, nonché agli impianti di pubblica utilità”.
Questa ricostruzione normativa ha indotto autorevole dottrina ad osservare che
il d.p.r. n. 203 dovendo dare attuazione alle citate quattro direttive sulla
base della legge delega 183/1987 non avrebbe potuto valicarne i limiti
ricavabili dall’ambito stesso delle Direttive, riferentisi all’inquinamento
atmosferico provocato dagli impianti industriali, così che correttamente l’art.
2 del d.p.r. 203 definisce impianto lo stabilimento o altro impianto fisso che
serva per usi industriali o di pubblica utilità, mentre l’operazione di
estensione dell’ambito operativo delle disposizioni introdotte con il decreto in
questione, per ragioni intuibili e certamente condivisibili in linea generale,
risulta effettuata con un D.P.C.M. che secondo i principi generali sulla
gerarchia delle fonti non può ampliare il contenuto del provvedimento che è
chiamato a chiarire.
Pur tuttavia la Corte di cassazione ha adottato e sostenuto una linea
interpretativa particolarmente ampia precisando più volte che il legislatore non
avesse inteso limitare la tutela della salubrità dell'aria ed il controllo delle
emissioni atmosferiche solo agli impianti definibili come industriali ai sensi
dell'art. 2195 del cod. civ., ma includendovi anche gli altri impianti non
industriali con potenziale inquinante uguale o maggiore, ed attribuendo una
portata generale all’art. 1 del decreto che prevedendo la sottoposizione alla
disciplina in esso contenuta di tutti gli impianti che possono dar luogo ad
emissione nell'atmosfera, non poteva essere limitato ai soli impianti
industriali (Cass. Sez. III 23/5/2001 6/7/2001 n. 27366,in Ced Cass 219986);
così applicando la disciplina normativa a tutti gli impianti destinati alla
produzione, al commercio, all'artigianato, ai servizi da cui derivasse anche
soltanto uno degli effetti contemplati dal decreto in esame (Cass. Sez. III
11/12/1991-3/3/1992 n. 2321, in Ced Cass.189886).
In applicazione di tale orientamento la disciplina del decreto n. 203 risulta
applicata in una serie di fattispecie esemplificative, e fra queste:
• agli impianti di frantumazione dei materiali di cava (Cass. Sez. III 7/10/1999
- 26/11/1999 n. 13534, in Ced cass. 214987) e/o impianti di selezione e lavaggio
dei materiali di cava, in quanto suscettibili di emanare polveri e fumi (Cass.
Sez. III 13/10/1995 - 22/11/1995 n. 11334, in Ced cass.203266), anche se più di
recente la Corte ha escluso la applicabilità della normativa de qua alle
immissioni provocate da un fronte di cava in quanto non tecnicamente
convogliabili (Cass. sez. III 23/01/2004 - 3/3/2004 n.9757, in Ced Cass.
228009);
• alle officine di autoverniciatura (Cass. sez. III 27/06/2001 - 21/09/2001 n.
34378, in Ced Cass. 220195), considerate in una occasione (Cass. Sez. III
11/01/1999 - 19/02/1999 n. 3, in Ced cass. 213002) non rientranti nè tra le
attività a ridotto inquinamento atmosferico previste dal punto 19 del d. p. c.
m. 21 luglio 1989 nè tra le attività i cui impianti provocano inquinamento
atmosferico poco significativo, previste dal punto 25 dello stesso d. p. c. m.,
come modificato dal d.P.R. 25 luglio 1991, 203 (Cass. Sez. III 27/11/2003 -
20/01/2004 n. 978, in Ced cass.227181), e diversamente considerate in altra
occasione rientranti tra le attività a ridotto inquinamento (Cass. Sez. III
20/12/2002 - 27/01/2003 n. 3880, in Ced Cass. 224180). Peraltro nelle prime due
citate decisioni si afferma esplicitamente l’estensione dell’ambito di
applicabilita' del d.P.R. n. 203 agli impianti di imprese artigiane e di servizi
ad opera del D.P.C.M. del 1989, e per le quali risultano introdotte in alcuni
casi procedure diversificate rispetto al disposto generale del d.P.R. n. 203;
• ad un impianto di torrefazione di caffe' grezzo qualificato, in caso di
produzione non superiore a 450 kg giornalieri, come "attivita' a ridotto
inquinamento atmosferico" (Cass. Sez. III 18/10/1996 - 19/11/1996 n. 9855, in
Ced cass 206477);
• alle emissioni tramite ventilatori dell'aria interna di un capannone destinato
all'allevamento di conigli, considerato idoneo ad alterare la temperatura e lo
stato fisico dell'atmosfera circostante, oltre che potenziale veicolo di
diffusione all'esterno di residui organici, pelo e simili, con proprietà
irritanti ed allergizzanti (Cass. Sez. III 12/04/1996 – 7/06/1996 n. 5702, in
Ced Cass.205270
A fronte di tale quadro, che va a costituire il cd. diritto vivente, non si
rinvengono in giurisprudenza ed in dottrina particolari approfondimenti sul
tema, se non, come ricordato in precedenza, in Cass. Sez. III 9757/2004, che
peraltro contestava la applicazione generalizzata della disciplina del d. p.r.
203 ma basandosi nel caso di specie sulla impossibilità di considerare
convogliabili le polveri prodotte da un fronte di cava.
La dottrina sembra in generale avere preso atto dell’opera di integrazione
effettuata con il d.p.c.m. 21/07/1989, pur nella consapevolezza della originaria
riferibilità agli impianti industriali del d.p.r. n. 203 , con la introduzione
delle sopra ricordate categorie delle attività i cui impianti provocano un
ridotto inquinamento atmosferico (punto 19 del d.p.c.m.) o un inquinamento
atmosferico poco significativo (punto 25 del d.p.c.m.) e la successiva
introduzione di procedure semplificate (ex d.p.r. 25 luglio 1991 per l’indirizzo
ed il coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni) per queste
ultime; pur tuttavia la necessità di puntualizzare nuovamente l’ambito di
riferibilità del d.p.r. n. 203 del 1988 da parte del giudice di legittimità
ripropone la necessità di una nuova riflessione che si faccia carico delle sopra
riportate osservazioni contrarie all’orientamento dominante, fornendo una
risposta ai dubbi di tipo sistematico ordinamentale che vengono sollevati.
Alfredo Montagna