Corte Costituzionale sent. 441 del 22 dicembre 2006
Caccia - Regione Lombardia -Norme per la protezione della fauna e per
la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina
dell'attività
venatoria -Detenzione ed uso dei richiami vivi per la caccia da
appostamento -Previsione della possibilità di detenzione dei
richiami stessi senza anello -Previsione altresì che della
legittima detenzione degli stessi faccia fede la Provincia e, per i
richiamidi allevamento, la documentazione delcacciatore.
SENTENZA N. 441
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Franco
BILE Presidente
- Giovanni Maria
FLICK
Giudice
- Francesco
AMIRANTE "
-
Ugo
DE SIERVO "
-
Romano
VACCARELLA "
-
Paolo
MADDALENA "
-
Alfio
FINOCCHIARO "
-
Alfonso
QUARANTA "
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA "
-
Gaetano
SILVESTRI "
-
Sabino
CASSESE
"
- Maria Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
- Paolo Maria
NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26,
ultimo
comma, della legge della Regione Lombardia del 16 agosto 1993, n. 26
(Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela
dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività
venatoria), sostituito dall'art. 2 della legge della Regione Lombardia
del 7 agosto 2002, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto
1993, n. 26), promosso con ordinanza del 27 luglio 2004 dal Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia, sul ricorso proposto da WWF
Italia ed altri contro la Regione Lombardia, iscritta al n. 923 del
registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visti gli atti di costituzione del WWF
Italia ed altri e della Regione Lombardia;
udito nell'udienza pubblica del 21
novembre 2006 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
udito l'avvocato Giuseppe Franco Ferrari
per la Regione Lombardia.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 27 luglio 2004, il
Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia ha sollevato, in riferimento
agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l) e s), e terzo della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art.
26, comma 5, della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26
(Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela
dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività
venatoria), sostituito dall'art. 2 della legge della Regione Lombardia
del 7 agosto 2002, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto
1993, n. 26).
Premette il rimettente che il giudizio
principale ha
ad oggetto l'impugnazione della delibera della Giunta della Regione
Lombardia con la quale è stato adottato il regolamento di
attuazione della legge sopraindicata e, in particolare, l'art. 12 del
suddetto regolamento.
I ricorrenti nel giudizio a quo
lamentano che tale
norma regolamentare, nel dare attuazione all'art. 26 della legge
regionale n. 26 del 1993, prevede, in contrasto con l'art. 5 della
legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), la rimozione
dell'anello numerato identificativo dei richiami vivi per l'esercizio
venatorio, con il solo obbligo per il cacciatore di darne comunicazione
alla Provincia e, per gli allevatori, di provvedere direttamente alla
registrazione di tale operazione.
1.1.- In punto di rilevanza, il giudice
a quo
osserva che l'art. 12, in attuazione dell'art. 26 della legge regionale
n. 26 del 1993, prevede la possibilità di rimozione del
suddetto
anello inamovibile, di talché, a parere del rimettente,
l'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma
regionale comporterebbe l'annullamento anche della disposizione
regolamentare.
1.2.- Quanto alla non manifesta
infondatezza, il
rimettente, dopo aver osservato che la disciplina relativa
all'individuazione dei limiti entro cui è consentito
l'esercizio
venatorio rientra nella competenza esclusiva dello Stato, ex art. 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, rileva che la norma
impugnata si pone in contrasto con quanto disposto dall'art. 5 della
legge n. 157 del 1992, che, proprio al fine di apprestare idonea tutela
alla fauna, prevede l'inamovibilità dell'anello
identificativo
dei richiami vivi, impedendone in tal modo la cattura ed il commercio
illeciti.
Il giudice a quo ritiene che la norma
regionale
impugnata violerebbe, altresì, l'art. 117, secondo comma,
lettera l), della Costituzione, poiché la condotta di chi
caccia
con richiami privi di anello inamovibile rientra nella ipotesi di
esercizio dell'attività venatoria con mezzi vietati,
sanzionata
penalmente dall'art. 30, lettera h), della legge n. 157 del 1992. La
norma impugnata, quindi, nel rimuovere un divieto afferente a
comportamenti suscettibili di sanzione penale, interferirebbe sulla
astratta fattispecie penale la cui individuazione è
riservata
alla competenza del legislatore nazionale.
Infine, il rimettente ritiene che l'art.
26, comma
5, della legge regionale n. 26 del 1993 violerebbe anche l'art. 97
della Costituzione, poiché il sistema di controllo previsto
dalla norma impugnata non garantirebbe la stessa tutela di quello
previsto dalla legge n. 157 del 1992.
2.- Si sono costituite le associazioni
WWF Italia,
Legambiente e la Lega per l'abolizione della caccia, ricorrenti nel
giudizio a quo, aderendo ai dubbi di costituzionalità
sollevati
dal rimettente.
3.- Si è costituita,
altresì, la
Regione Lombardia, resistente nel giudizio a quo, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile e/o infondata.
3.1.- In via preliminare, la Regione
osserva che la
norma che consente la detenzione dei richiami vivi privi di anello
identificativo è contenuta nell'art 26 della legge regionale
n.
26 del 1993, di talché il giudizio principale sarebbe
inammissibile perché rivolto contro un atto legislativo.
3.2.- Nel merito la Regione rileva,
quanto alla
presunta violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 97,
della Costituzione, che la caccia rientra nella competenza normativa
delle regioni essendo soggetta soltanto al rispetto degli standard
minimi di tutela della fauna fissati dal legislatore nazionale che, nel
caso di specie, risultano rispettati. In particolare, la Regione
osserva che la norma impugnata non prevede una deroga al controllo
mediante anello inamovibile dei richiami disposto dal legislatore
nazionale, ma sostituisce questo con altro sistema parimenti in grado
di garantire la tutela degli animali utilizzabili quali richiami vivi.
Anche la presunta violazione dell'art.
117, secondo
comma, lettera l), della Costituzione sarebbe infondata, in quanto la
norma impugnata prevede, in caso di sua inosservanza, l'applicazione
delle sanzioni contenute nella stessa legge regionale n. 26 del 1993
che, sul punto, rinvia a quanto disposto dagli artt. 30 e 31 della
legge n. 157 del 1992.
3.3.- In prossimità
dell'udienza la Regione
Lombardia ha depositato memoria con la quale ha ribadito le
argomentazioni contenute nell'atto di costituzione.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo
regionale della
Lombardia dubita, in relazione agli artt. 97 e 117, commi secondo,
lettere l) e s), e terzo della Costituzione, della
legittimità
costituzionale dell'art 26, comma 5, della legge della Regione
Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna
selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina
dell'attività venatoria), sostituito dall'art. 2 della legge
della Regione Lombardia del 7 agosto 2002, n. 19 (Modifiche alla legge
regionale 16 agosto 1993, n. 26), nella parte in cui prevede che
«I richiami vivi possono essere tenuti privi di anello. Per
la
loro legittima detenzione fa fede, per i richiami di cattura, la
documentazione esistente presso la Provincia e, per i richiami di
allevamento, la documentazione propria del cacciatore».
La norma impugnata, a parere del
rimettente, sarebbe
in contrasto con i parametri costituzionali evocati e, in particolare,
con la legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che fissa
il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica valido per
l'intero territorio nazionale e, pertanto, riservato alla competenza
esclusiva dello Stato (sentenze n. 311 del 2003 e n. 536 del 2002).
2.- La Regione Lombardia, resistente nel
giudizio a
quo, eccepisce, preliminarmente, il difetto di rilevanza della
questione, assumendo che il rimettente avrebbe dovuto dichiarare
inammissibile il giudizio principale in quanto, in realtà,
diretto contro un atto legislativo e, quindi, privo di
incidentalità.
2.1.- L'eccezione va disattesa, in
quanto
prospettata su argomentazioni già valutate dal giudice del
merito e dallo stesso non implausibilmente ritenute non fondate.
3.- Nel merito la questione è
fondata.
L'art. 26 della legge regionale n. 26
del 1993, al
comma 5, prevede la possibilità per i cacciatori di detenere
richiami vivi privi di anello di riconoscimento, detenzione che
è considerata legittima, per i richiami di cattura, sulla
base
della documentazione esistente presso la Provincia e, per i richiami di
allevamento, sulla base della documentazione in possesso del cacciatore.
Tale disciplina si pone in contrasto con
l'art. 5
della legge n. 157 del 1992, il quale prevede, al comma 7, che
«È vietato l'uso di richiami che non siano
identificabili
mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali che
disciplinano anche la procedura in materia» e, al successivo
comma 8, che la «sostituzione di un richiamo può
avvenire
soltanto dietro presentazione all'ente competente del richiamo morto da
sostituire».
La norma statale sopra riportata, nel
disciplinare
le modalità di esercizio della caccia, fissa standard minimi
e
uniformi di tutela della fauna la cui determinazione appartiene in via
esclusiva alla competenza del legislatore statale ex art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione (sentenza n. 313 del 2006).
Da ciò consegue che
l'impugnata norma
regionale nel consentire, seppure previa tenuta di apposita
documentazione, la possibilità di rimuovere il suddetto
anello
introduce una deroga alla citata disciplina statale, deroga che
contrasta con la finalità di tutela da quest'ultima
perseguita,
non potendosi in alcun modo ritenere fungibile il sistema di controllo
previsto dall'art. 5 della legge n. 157 del 1992 con quello introdotto
dal legislatore regionale.
4.- La declaratoria di
illegittimità
costituzionale della norma impugnata comporta l'assorbimento di ogni
ulteriore e diverso profilo di censura prospettato dal rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità
costituzionale
dell'art. 26, comma 5, della legge della Regione Lombardia 16 agosto
1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la
tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività
venatoria).
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Caccia e animali. Protezione fauna
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