Pres. Papa Est. Sensini Ric. Amm.ne Prov.le Imperia in proc. Pizzimbone
Danno Ambientale. Risarcimento alla PA e irrilevanza del comportamento della stessa
Eventuali carenze dell'attività di vigilanza della Pubblica Amministrazione non possono riflettersi negativamente, pena un percorso argomentativo logicamente viziato, sul risarcimento dei danni che l'Ente ha comunque diritto di conseguire per effetto del comportamento di terzi, lesivo del suo prestigio e della sua immagine. Invero, una volta affermata la penale responsabilità dei prevenuti, non è possibile elidere il danno in dipendenza del comportamento dell'Ente, comportamento che - a tutto voler concedere - potrebbe integrare soltanto un concorso di colpa (art. 2056 in relazione all'art. 1227 c.c.), incidente sulla quantificazione concreta del danno. Di nessuna incidenza è la mancata riscossione della polizza fidejussoria da parte della Amministrazione in considerazione del fatto che la mancata escussione non può in ogni caso riguardare la fonte del danno, ma piuttosto attiene ad un posterius, alla fase per così dire esecutiva e, pertanto, indipendente dalla prima. La riscossione della polizza fidejussoria presuppone che si sia verificato il danno a garanzia del quale la polizza è preordinata, ma la mancata riscossione è un elemento eventuale e, appunto, successivo, che non esclude il verificarsi del fatto garantito dalla polizza stessa.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con sentenza in data 13 dicembre 2004 il
Tribunale di Imperia dichiarava Pizzimbone Giovanni Battista e
Pizzimbone Pier
Paolo colpevoli dei reati di cui agli artt.: a) 110 c.p., 51 comma 4
D.L.vo n.
22/1997 perché, in concorso tra loro, il primo quale Presidente, il
secondo
quale membro del Consiglio di Amministrazione ed Amministratore
Delegato della
“ Ponticelli s.r.l.” - società che gestiva, in forza di provvedimento
autorizzativo della Amministrazione Provinciale di Imperia, una
discarica
pubblica di rifiuti solidi urbani - nella gestione della suddetta
discarica,
non osservavano le prescrizioni richiamate nelle autorizzazioni, ed, in
particolare, effettuavano la lavorazione dell’impianto di selezione
“secco-umido”
non ottemperando alle prescrizioni di cui alla autorizzazione n. 38 del
12
febbraio 1999 nonché delle successive diffide n. 249/1999 e n. 300/1999
(in
particolare, non veniva rispettata la prescrizione di eseguire le
operazioni in
“ambiente confinato, ottenibile con coperture e paratie mobili, per il
contenimento di polveri e di odori, il cui controllo deve essere
garantito
mediante idonee misure e sistemi di abbattimento”; b) 110 c.p., 674
c.p.
perché, nella qualità di cui sopra, provocavano emissioni di
esalazioni, gas ed
odori sgradevoli, tali da molestare gli abitanti delle zone limitrofe.
Acc. in Frazione Poggi di Imperia, con
permanenza fino al gennaio 2004.
Il Tribunale, riuniti i reati in
continuazione, condannava gli imputati alla pena di euro 25.000 di
ammenda;
disponeva la sospensione condizionale della pena, subordinando il
beneficio
alla puntuale ottemperanza, entro e non oltre il 31 gennaio 2005, alle
prescrizioni
inevase. Condannava gli imputati al risarcimento dei danni in favore
delle
dodici Parti Civili private costituite, mentre rigettava l’istanza di
risarcimento del danno avanzata dalla Amministrazione Provinciale di
Imperia.
Secondo la ricostruzione operata dalla
sentenza, i fatti di causa si collegavano ad un esposto presentato in
data 3
ottobre 2000 da alcuni abitanti della zona di Poggi, i quali
lamentavano un
forte disagio provocato dai miasmi provenienti dalla vicina discarica
“Ponticelli”, denunciando lo stato di invivibilità in cui versavano da
quando
era stata avviata in discarica la lavorazione del “compost” allo
scoperto, con
odori del tutto sgradevoli.
La sentenza impugnata evidenziava che, a
seguito di svariati accessi in loco, l’Amministrazione Provinciale
aveva
constatato la palese violazione delle prescrizioni impartite con
provvedimento
dirigenziale n. 38/1999, portante l’autorizzazione alla installazione
dell’impianto di selezione “secco-umido”. Tali violazioni avevano
indotto
Argomentava ancora il Tribunale che il
provvedimento dirigenziale n. 38/1999 autorizzava la “Ponticelli
s.r.l.”
subordinatamente al fatto che l’impianto di selezione “secco-umido”
fosse
rispettoso dei limiti di emissioni in atmosfera di cui al D.P.R. n.
203/1988,
laddove, in prossimità dell’impianto, erano state riscontrate ingenti
quantità
di polveri in atmosfera. In definitiva, il processo di lavorazione
utilizzato
non rispettava gli standards qualitativi indispensabili per mantenere
la massa
in maturazione entro i parametri ottimali di umidità, temperatura, ph,
carica
batterica e porosità del materiale e le lavorazioni avvenivano in
ambiente non
confinato. Il Tribunale riteneva, pertanto, integrate entrambe le
ipotesi
contestate. Con riferimento alla seconda ipotesi del reato di cui
all’art. 674
c.p., anch’esso doveva ritenersi sussistente, in quanto - secondo
l’Amministrazione Provinciale di Imperia - i limiti indicati e disposti
con il
provvedimento n. 38/1999 erano stati superati.
Il Tribunale, mentre riconosceva la
sussistenza di danni materiali e morali in capo alle Parti Civili
private, in
ragione della possibile sussistenza di un danno derivante da perdita di
valore
degli immobili in relazione alla messa in funzione del nuovo impianto
di
compostaggio senza l’osservanza delle prescrizioni impartite, rigettava
l’istanza di risarcimento del danno avanzata dalla Provincia,
essenzialmente,
per le seguenti ragioni:
1) la ditta “Ponticelli s.r.l.” aveva
costituito garanzia finanziaria con polizza fidejussoria per un importo
assicurato di £ 10.500.000.000, valida per sette anni e, dunque, fino
all’11
dicembre
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso
per Cassazione l’Amministrazione Provinciale di Imperia e gli imputati,
a mezzo
dei loro difensori.
La prima deduce: 1) difetto ed illogicità
della motivazione in punto di rigetto della richiesta risarcitoria. La
sentenza
impugnata non conteneva alcuna motivazione in ordine alle ragioni per
le quali
tale domanda era stata respinta. Invero, il fatto che la polizza
fidejussoria
non fosse stata incamerata poteva significare soltanto che
Gli imputati, a loro volta, a mezzo del
proprio difensore, deducevano: con riferimento al capo a) di
imputazione,
nullità della sentenza per difetto di contestazione in quanto la
condotta di
cui alla imputazione si riferiva all’assenza di ambiente confinato,
mentre il
Tribunale, illegittimamente, aveva pronunciato condanna per la ritenuta
violazione di prescrizioni ulteriori contenute nel D.M. 5 febbraio 1998
e per
ave subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena
alla
ottemperanza di tutte le prescrizioni impartite e non soltanto a
quella,
inevasa, riportata nella contestazione; 2) erronea applicazione del
punto
16.1.3 dell’Allegato I del D.M. 5 febbraio 1998, non essendo
intervenuta alcuna
violazione delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni, con
riferimento
all’unica condotta omissiva effettivamente contestata (assenza di
ambiente
confinato). La violazione contestata era stata ritenuta provata
equiparando il
concetto di ambiente confinato a quello di ambiente chiuso, anziché a
quello di
luogo isolato, perimetralmente recintato e dotato di adeguati sistemi
di
drenaggio, come nella specie avvenuto; 3) difetto di prova in ordine al
superamento dei limiti di emissione in atmosfera e, dunque,
insussistenza del
reato di cui all’art. 674 c.p.; 4) violazione del disposto di cui al
terzo
comma dell’art. 81 c.p., avendo il Tribunale irrogato, a titolo di
continuazione con il reato di cui all’art. 51 comma 4 D.P.R. n.
22/1997, con
riferimento alla contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., la somma di
euro
12.500, laddove per tale ipotesi contravvenzionale era prevista la pena
alternativa dell’arresto fino a 1 mese o dell’ammenda fino ad euro 206:
pertanto, era stato adottato un trattamento sanzionatorio ben più
gravoso
rispetto a quello che sarebbe risultato dall’applicazione del cumulo
materiale
dei reati di cui all’art. 73 c.p.; 5) difetto di motivazione in punto
di
mancata concessione delle attenuanti generiche; 6) difetto di
motivazione con
riferimento alla ritenuta responsabilità di Pizzimbone Giovanni
Battista per il
periodo successivo al 5 giugno 2002, data in cui il predetto era uscito
dalla
compagine sociale senza più farvi rientro.
Si chiedeva l’annullamento della sentenza.
Il ricorso della Amministrazione Provinciale
è fondato e va accolto.
Eventuali carenze dell’attività di vigilanza
della Pubblica Amministrazione non possono riflettersi negativamente,
pena un
percorso argomentativo logicamente viziato, sul risarcimento dei danni
che
l’Ente ha comunque diritto di conseguire per effetto del comportamento
di
terzi, lesivo del suo prestigio e della sua immagine. Invero, una volta
affermata la penale responsabilità dei prevenuti, non è possibile
elidere il
danno in dipendenza del comportamento dell’Ente, comportamento che - a
tutto
voler concedere - potrebbe integrare soltanto un concorso di colpa
(art.
La riscossione della polizza fidejussoria
presuppone che si sia verificato il danno a garanzia del quale la
polizza è
preordinata, ma la mancata riscossione è un elemento eventuale e,
appunto,
successivo, che non esclude il verificarsi del fatto garantito dalla
polizza
stessa.
La sentenza censurata evidenzia, tra l’altro,
indiscutibili profili di illogicità e di contraddittorietà della
motivazione
laddove, da un lato, come si è detto, ha rigettato la richiesta
risarcitoria
della P.A. sulla base di una sua pretesa inerzia; dall’altro lato, ha.,
però,
ravvisato la condotta contravvenzionale contestata agli imputati nel
non aver
osservato le prescrizioni richiamate nella autorizzazione della P.A. e
nel non
aver ottemperato alla reiterate diffide della stessa, al fine di
ottenere una
corretta utilizzazione del sito. E’, inoltre, appena il caso di
rilevare che la
stessa sentenza impugnata dà conto di “svariati accessi sulla località”
compiuti dalla Amministrazione Provinciale, accessi a seguito dei quali
veniva
constatata la palese violazione delle prescrizioni impartite (cfr.
sent. cit.
pag. 2). Il tutto a dimostrazione, ancora una volta, dell’infondatezza
dell’inerzia addebitata alla Pubblica Amministrazione.
Va. conseguentemente, annullata la
statuizione relativa alla domanda di risarcimento dell’Amministrazione
Provinciale, con rinvio al Tribunale Civile di Imperia, anche per
quanto
concerne la liquidazione delle spese del grado.
Passando all’esame del gravame degli
imputati, sicuramente infondato è il primo motivo di censura, con il
quale si
lamenta la violazione del principio di correlazione tra la
contestazione e la
sentenza, dal momento che - secondo i ricorrenti - sarebbe stata
contestata una
sola condotta omissiva, laddove la condanna era stata pronunciata per
una
pluralità di omissioni e lo stesso beneficio della sospensione
condizionale
della pena era stato subordinato “al puntuale adempimento ed
ottemperanza...
alle prescrizioni sino ad oggi inevase”. La doglianza è infondata, solo
che si
tenga conto che la diffida del 3 agosto 1999 fa espresso riferimento al
D.M. 5
febbraio 1998 il quale, nella individuazione dei rifiuti non pericolosi
sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt.
31 e 33
del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, fa esplicito richiamo alle varie
modalità che
devono caratterizzare l’attività di recupero e, tra queste, al punto 6,
prevede
che “la fase di stoccaggio delle matrici e la fase di bio-ossidazione
accelerata”
debbano avvenire “in ambiente confinato, ottenibile anche con coperture
o
paratie mobili, per il contenimento di polveri e di odori il cui
controllo deve
essere garantito tramite idonee misure e sistemi di abbattimento.”. Da
notare,
che il capo di imputazione, contenendo l’inciso “in particolare”, ha
carattere
esemplificativo e non intende esaurire la contestazione, senza peraltro
che
alcuna lesione dei diritti defensionali possa dirsi verificata, essendo
evidente il richiamo a tutte le disposizioni della normativa di
riferimento,
recepita dall’autorizzazione e dai vari atti di diffida
dell’Amministrazione
Provinciale. Il motivo è infondato anche con riferimento all’avvenuta
subordinazione del beneficio di cui all’art. 163 c.p. alla ottemperanza
a tutte
le prescrizioni impartite e non soltanto a quella, inevasa, riportata
nella
contestazione.
Il secondo motivo è parimenti infondato e
specioso, poiché il rinvio del]a autorizzazione alla previsione del
Decreto
Ministeriale (che contiene la prescrizione inevasa) richiede lo
stoccaggio in
ambiente confinato, e la possibilità di ottenere quest’ultimo anche con
paratie
mobili (modalità riportata nella contestazione), ridonda, semmai, a
vantaggio
dei ricorrenti.
Fondato ed accoglibile è, per contro, il
terzo motivo di gravame, relativo alla sussistenza del reato di cui
all’art.
674 c.p.
Il reato previsto dalla seconda parte del
citato articolo, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale,
al
quale questo Collegio aderisce, non è configurabile nel caso in cui le
emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano
inferiori
ai limiti previsti dalle disposizioni in tema di inquinamento
atmosferico,
atteso che l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” comporta
la
necessità che le emissioni avvengano in violazione degli “standards”
fissati
dalle normative dì settore (cfr. Cass. Sez. 3, 10 febbraio 2005 n.
9503,
Montanaro; Sez. 1, 20 maggio 2004 n. 25660, Invernizzi ed altri). Nel
caso di
specie, la stessa sentenza impugnata (cfr. pag. 15), pur dando atto che
in
prossimità dell’impianto erano state riscontrate “ingenti quantità di
polveri
in atmosfera”, chiarisce subito dopo che non erano stati effettuati i
campionamenti per mancanza di idonea strumentazione e che, allorquando
tali
rilievi erano stati effettuati, il quadro complessivo era nei limiti
della
norma. “Solo alla fine del 2002, nel periodo 17-20 dicembre,
L’accoglimento del presente motivo di gravame
assorbe la trattazione della censura sub 4), in quanto - relativamente
al reato
sub b) della rubrica - la sentenza va annullata senza rinvio “perché il
fatto
non sussiste”, con eliminazione della relativa pena di euro 12.500,00
di
ammenda per ciascuno degli imputati.
Va disattesa, perché infondata, la doglianza
relativa al preteso difetto di motivazione in punto di diniego delle
attenuanti
generiche.
Al contrario, risulta (cfr. pag. 17 della
sentenza) che il Tribunale non si è affatto sottratto al proprio dovere
motivazionale, ma, con apprezzamenti congrui e non contraddittori e
facendo uso
dei propri poteri discrezionali, ha negato agli imputati, malgrado la
loro
incensuratezza, le attenuanti ex art. 62 bis c.p. in ragione del loro
comportamento particolarmente pervicace avuto riguardo alle violazioni
oggetto
di contestazione.
Occorre a tal fine ricordare che la
sussistenza di circostanze attenuanti, rilevanti ai sensi dell’art. 62
bis
c.p., è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal
Giudice con
motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria
decisione,
avuto riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., senza
necessità
che tali criteri vengano indicati compiutamente, essendo sufficiente
che il
Giudicante precisi a quali di essi ha inteso far riferimento. Allorché
la
motivazione sia sorretta - come nella specie - da congruità e logicità,
essa
non può essere neppure sindacata in Cassazione, in quanto la
valutazione delle
circostanze poste a base del giudizio positivo o negativo che sia, si
traduce
in un giudizio di fatto, precluso in questa sede.
Del
pari
infondato è il motivo relativo alla ritenuta responsabilità di
Pizzimbone
Giovanni Battista per il periodo successivo al 5 giugno 2002, data in
cui il
predetto sarebbe uscito dalla compagine sociale per non farvi più
rientro.
Lamenta il ricorrente che il suo coinvolgimento nella società anche per
il
periodo successivo al giugno 2002 si desume dalla circostanza che la
sentenza,
a fronte di una contestazione generica “fino al gennaio
Le suesposte considerazioni conducono, pertanto, a
rigettare nel resto il
ricorso dei Pizzimbone.