Cass. Sez. III sent.. 42966 del 28-11-2005 (c.c. 22 settembre 2005)
Pres. Zumbo Est. Squassoni Ric. P.M. in proc. Viti
Rifiuti – Attività di cava
Sono esclusi dalla normativa sui rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura. L’attività d sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali. Se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale.
Svolgimento del
processo
In
data 1 dicembre 2004, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di
Il
Giudice non ha provveduto alla convalida per la preclusione di precedente
giudicato cautelare con provvedimento 3 dicembre 2004 avverso il quale il
Pubblico Ministeri ha proposto appello.
Il
Tribunale ha rilevato che le richieste dell'organo della accusa non si
sovrapponevano in toto a quelle coperte da giudicato ed ha preso in
considerazione le nuove imputazioni (artt.50, 51, 52 D.L.vo 22/1997) che non
coincidevano temporalmente con quelle già esaminate.
Nel
merito, i Giudici, dopo una accurata analisi delle consulenze degli esperti
dell'organo della accusa e della difesa, hanno concluso che i primi avessero
adottato metodiche non congrue e che i fanghi non fossero contaminati da amianto
oltre il limite della tollerabilità.
Indi,
il Tribunale ha escluso che i materiali derivanti dalla attività della cava
fossero da considerarsi rifiuti sia in virtù dell'art. 22 della L.R. Liguria
18/1999 (per il quale i fanghi di lavaggio provenienti dallo sfruttamento delle
cave non possono costituire rifiuto secondo da disciplina indicata dal D.L.vo
22/1997) sia a sensi dell'art. 14 D.L. 138/2002 convertito nella L. 178/2002
perché riutilizzati per ripristinare i fronti di cava senza recare danno allo
ambiente.
Per
l'annullamento della ordinanza, il Pubblico Ministero ricorre in Cassazione e -
dopo avere ripercorso tutto l'iter procedimentale deduce:
-
che il Tribunale ha omesso di consultare l'elenco dei rifiuti allegato al D.L.vo
22/1997 ove al codice 01040 e seguenti sono qualificati rifiuti i prodotti
derivanti da trattamenti chimici e fisici di materiali non metallici: i prodotti
residuati da lavaggio di inerti sono rifiuti anche se non contengono sostanze
pericolose (codice 010412);
-
che le analisi della ARPA e dei suoi consulenti hanno rilevato nei campioni di
fanghi ingenti quantitativi di amianto per cui i rifiuti erano da qualificarsi
pericolosi e soggetti alla relativa disciplina: sul punto, i Giudici hanno
condiviso gli esiti della consulenza della difesa in modo errato ed acritico;
-
che il materiale non poteva essere sottratto alla disciplina del D.L.vo 22/1997
perché non era utilizzato tale e quale, ma dopo una delle operazioni di
recupero di cui alla Allegato C (spandimento sul suolo);
-
che
Tanto
premesso, la Corte rileva come, nonostante la mole ponderale del ricorso e le
numerose questioni (anche di fatto e non proponibili in questa sede) sollevate
dal Pubblico Ministero, i veri e centrali problemi che l'impugnazione presenta
consistono nel verificare se i fanghi per cui si procede siano contaminati da
amianto e se siano da qualificarsi rifiuti regolamentati dal D.L.vo 22/1997 o se
siano esclusi dalla area di pertinenza di tale normativa.
Relativamente
al primo rilievo, è sufficiente osservare come il Tribunale abbia disatteso gli
esiti della consulenza del Pubblico Ministero, e ritenuto affidabile quella
della difesa, dopo una accurata valutazione critica degli elaborati, che
rientrava nella sua competenza, e sorreggendo le sue conclusioni con apparato
argomentativo congruo, completo, corretto e, pertanto, insindacabile da questa
Corte.
Per
risolvere il secondo quesito, va analizzata, innanzi tutto, la applicabilità
della deroga contenuta nell'art. 8 sub b D.L.vo 22/1997 (ripetitiva della
formula indicata dall'art. 2 c. 7 lett. b della direttiva 75/442 CEE e ripersa,
con sostanziale analogo contenuto, dall'art. 22 LR Liguria 18/1999) che esclude
dal campo della disciplina sui rifiuti quelli "risultanti dalla
prospezione, dall'estrazione, dall'ammasso di risorse minerali o dallo
sfruttamento delle cave"; la norma deve essere letta secondo una
interpretazione di stretto diritto trattandosi di una eccezione alla regola
generale sulla gestione dei rifiuti.
Il
termine "sfruttamento" deve essere inteso come estrazione del
materiale di cava da considerarsi, secondo il codice civile (art. 820 c.c.), un
frutto naturale della stessa; le espressioni "trattamento ed ammasso"
devono essere collegate alle "risorse naturali"e non alla intera
attività conseguente allo sfruttamento della cava (Cass. Sezione terza sentenza
9333/1996).
Pertanto,
la deroga in oggetto è limitata ai prodotti derivanti dalla attività
estrattiva i quali restano disciplinati dalle leggi speciali in materia di
miniere, cave e torbiere. Più precisamente, sono esclusi dalla normativa del
DPR 22/1997 solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando
restino entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura;
l'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione
successiva dei materiali.
Se
si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da
considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento ammasso, deposito e discarica è
regolato dalla disciplina generale (Cass. Sezione terza sentenza 11538/1994).
In
base a tali principi, la Corte ritiene che i fanghi per cui è processo
rientrino nella ricordata deroga in quanto provenienti dalla prima pulitura
connessa alla attività estrattiva (particolare precisato nel provvedimento
impugnato) e, di conseguenza, derivano direttamente dallo sfruttamento della
cava e non da diversa e successiva lavorazione delle materie prime.
Tale
conclusione è confortata dalla normativa con la quale è stata ulteriormente
integrata la disciplina in materia;
Nel
caso concreto, il Tribunale ha dato atto - correttamente motivando sul tema -
che il materiale in oggetto non proveniva da siti inquinati e del suo comprovato
riutilizzo; tale nozione (per interpretazione autentica effettuata con l'art. 1
c.
Pertanto,
in base agli atti in visione della Corte ed alle investigazioni finora espletate
(pur suscettibili di ulteriori sviluppi), si deve concludere che il
provvedimento impugnato non merita censure.