Pres. Postiglione Est. De Maio Ric. Rescigno
Rifiuti. Rifiuti e MPS
I materiali costituiti da parti di tegole frantumate, scarto di pietre provenienti dall'estrazione di cave, inerti da demolizione, costruzione di fabbricati, blocchi di tufo, plastiche varie e qualche rottame ferroso non sono classificabili come materie prime secondarie in quanto è pacifica la loro natura di rifiuti essendo normativamente previsto che i materiali provenienti da demolizione edilizia costituiscono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere riutilizzati nello stesso o in diverso ciclo produttivo ...previo test di cessione degli stessi, in conformità al DM 5.2.1998,in assenza del quale, ogni recupero dei materiali cd. di risulta integra reato.
Motivazione
Antonio Rescigno fu rinviato al giudizio del
giudice monocratico del Tribunale di Benevento, sez. distaccata di
Airola,
perché rispondesse del reato di cui all’art.51 co. 3 D.L.vo 22/97 in
relazione
all’art.51 co. 1 lett. a) stesso decreto (“perché, in assenza di
qualsivoglia
autorizzazione, realizzava in località Palmentata di S.Agata dei Gori,
in una
cava tufacea dismessa una discarica abusiva di rifiuti non pericolosi
per una
superficie pari a mq. 10.000. L’area risultava recintata, salvo varchi
pedonali
ed invasa da cumuli di rifiuti inerti e vegetali, speciali, non
pericolosi,
acc. in S.Agata dei Gori il 29 marzo
Avverso tale sentenza propose appello (poi
convertito in ricorso ex artt. 593 co. 3 e 568 co. 5 cpp) il difensore
dell’imputato. Deve essere subito rilevato che l’atto risente
chiaramente della
sua origine di impugnazione di merito, per cui, riguardata come
ricorso, va
dichiarata inammissibile perché basata su censure essenzialmente di
fatto,
comunque, manifestamente infondate.
Con il primo motivo viene dedotto che il
Rescigno avrebbe dovuto essere assolto perché il fatto non sussiste, in
quanto
“trattatasi di parti di tegole frantumate, scarto di pietre provenienti
dall’estrazione di cave, inerti da demolizione, costruzione di
fabbricati,
blocchi di tufo, plastiche varie e qualche rottame ferroso, tutto
materiale che
può affermarsi ai sensi della C.I. del 22 luglio 1984 e del D.L.
443/19934
essere classificabile come materia prime secondarie, MPS, e quindi
avviati
all’effettivo riutilizzo in quanto non inquinanti”. La censura è
manifestamente
infondata, in quanto è ineccepibile il rilievo della sentenza di
merito,
secondo cui “pacifica è la natura di rifiuti dei materiali in
questione”,
essendo normativamente previsto che “i materiali provenienti da
demolizione
edilizia costituiscono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere
riutilizzati nello stesso o in diverso ciclo produttivo... previo test
di cessione
degli stessi, in conformità al DM 5 febbraio 1998, ...in assenza del
quale,
ogni recupero dei materiali cd. di risulta integra la contravvenzione”
ritenuta
in sentenza.
Di mero fatto, come si diceva, sono poi le altre deduzioni, secondo cui: a) ”l’area di proprietà del Rescigno è tra l’altro recintata da un reticolato di ferro e l’ingresso chiuso con un apposito cancello, proprio al fine di evitare che terzi si introducano nella medesima per scaricare laterizi senza alcuna autorizzazione”; b) ”tutti i rifiuti nominati erano già presenti sui luoghi al momento dell’acquisto” da parte del Rescigno avvenuto nell’ottobre 2001; c) nessuna responsabilità è ascrivibile al Rescigno, che “vive e risiede stabilmente a Napoli, dove svolge attività di panettiere e solo occasionalmente e sporadicamente si reca con la propria famiglia in S.Agata dei Gori”. Al riguardo può solo rilevarsi che il giudice di merito ha superato tali deduzioni, osservando che la condotta contestata è riferibile all’imputato, “che pacificamente aveva la disponibilità di quell’area e nella quale, essendo interamente recintata e chiusa..., non potevano clandestinamente penetrare i mezzi meccanici che hanno effettuato il trasporto e lo scarico di quella massa di rifiuti”.
Con altro motivo (elencato con il numero 3, ma in
realtà si tratta del
secondo) viene denunciata la mancata concessione delle attenuanti di
cui
all’art. 62 n. 4 e 62 bis cp. Va rilevato che le attenuanti in
questione non
risultano richieste dalla difesa in sede di discussione finale (avendo
il
difensore concluso solo per l’assoluzione e, in subordine, per
l’applicazione
dell’art. l° co. E) della L. 22/97), per cui il primo giudice non era
tenuto a
motivare sulle stesse.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la
condanna del ricorrente
alle spese, nonché (non essendovi elementi per ritenere un’assenza di
colpa) al
versamento alla Cassa delle ammende della somma, equitativamente
fissata, di euro
mille.