 Cass. Sez. III n. 47870 del 22 dicembre 2011 (Ud. 19 ott. 2011)
Cass. Sez. III n. 47870 del 22 dicembre 2011 (Ud. 19 ott. 2011)
Pres. Ferrua Est. Marini Ric. Giommi ed altri 
Rifiuti. Attività organizzate per il traffico illecito
L'esistenza di una irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico, di sistematiche attività di miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti  pericolosi con altri non pericolosi, l'effettuazione di miscelazioni in assenza di accertamenti tecnici preliminari e in assenza dei  necessari trattamenti preliminari,  il mancato rispetto delle cautele necessarie rispetto alla gestione di rifiuti pericolosi, l'apposizione del codice CER privilegiando la compatibilità con le autorizzazioni dei destinatari  e la compatibilità con le esigenze commerciali rispetto alla effettiva composizione dei materiali inviati, la conseguente destinazione di rifiuti in prevalenza pericolosi a impianti che non avrebbero potuto  riceverli, la modifica di codice CER, e non solo il mero "giro bolla", rispetto a rifiuti non sottoposti ad  alcun trattamento costituiscono condotte che valutate nel loro insieme con riferimento, ovviamente, al singolo impianto, denotano manifesta illiceità, e ciò a prescindere dal fatto che l'impianto potesse, quale "produttore" non originario indicare se stesso come produttore dei rifiuti e dal fatto che in condizioni di rispetto delle altre formalità e cautele il c.d. "giro bolla" possa non rivestire carattere di intrinseca illiceità. Ciò che rileva è che la mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti nei formulari e il ricorso al "giro bolla" costituiscono metodologia scelta ed utilizzata all'interno di un meccanismo che muove dalla irregolare tenuta dei registri di carico-scarico e termina con la destinazione ad altri impianti di prodotti diversi per caratteristiche rispetto a quanto dichiarato, frutto di miscelazioni non operate nei limiti e con le garanzie previste e, infine, marcati con codici CER non fedeli alle caratteristiche prevalenti della miscela e apposti avendo riguardo alle opportunità commerciali.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. FERRUA  Giuliana           - Presidente  - del 19/10/2011
 Dott. GENTILE Mario              - Consigliere - SENTENZA
 Dott. GRILLO  Renato             - Consigliere - N. 2117
 Dott. MARINI  Luigi         - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ROSI    Elisabetta         - Consigliere - N. 00467/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da dagli imputati:
 GIOMMI Gianni, nato a Bologna il 2 Marzo 1935;
 VALLE Carlo, nato a Vicenza il 30 Maggio 1949;
 GOTTARD Giuliano, nato a Gorizia il 9 Gennaio 1958;
 GARBENAL Gianni, nato a Mirano il 15 Gennaio 1944;
 Nonché dai responsabili civili;
 - ECOVENETA S.p.a.;
 - NUOVA ESA S.a.s., già NUOVA ESA S.r.l.;
 - SERVIZI COSTIERI S.r.l.;
 Avverso la sentenza emessa in data 7 Giugno 2010 dalla Corte di  			Appello di Venezia, che ha parzialmente modificato la sentenza con  			cui il Tribunale di Venezia con sentenza in data 7 febbraio 2008  			aveva condannato i ricorrenti e i responsabili civili per i reati  			rispettivamente ascritti e previsti dall'art. 416 c.p. e dall'art.  			674 c.p., nonché dagli artt. 81 e 110 c.p., D.Lgs. n. 22 del 1997,  			art. 51, comma 4, in relazione all'art. 51, comma 1, lett. b) e art.  			51, comma 5, nonché dagli artt. 110 e 81 c.p. e D.Lgs. n. 22 del  			1997art. 52, comma 3, dagli artt. 110 e 81 c.p. e art. 51, comma 1,  			letta) e b), e dagli artt. 110 e 81 c.p. e D.Lgs. n. 22 del 1997,  			art. 53 bis, e altri reati minori, e disposto il risarcimento dei  			danni in favore delle parti civili costituite. Fatti di reato  			commessi in tempi diversi dal dicembre 1999 fino all'8 marzo 2004.  			Con le Parti civili:
 - Ministero dell'Ambiente;
 - Provincia di Venezia;
 - Provincia di Rovigo;
 - Provincia di Treviso;
 - Comune di Adria;
 - Comune di Venezia;
 - Comune di Marcon;
 - Comune di Mogliano;
 - Comitato Aria Pulita di Marcon;
 - Sig. Berto e altri cittadini di Marcon;
 - W.W.F. Italia;
 - Legambiente Volontariato Veneto;
 Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dr. Luigi Marini;
 Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dr. Izzo  			Gioacchino, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.  			Uditi i Difensori delle parti civili, dei responsabili civili e dei  			ricorrenti, che hanno concluso come da verbale.
 CONSIDERATO IN FATTO
 Premessa;
 La complessa vicenda ha ad oggetto una serie numerosa di violazioni  			al codice penale e alla disciplina in tema di rifiuti (D.Lgs. n. 22  			del 1997 e D.Lgs. n. 277 del 1991) che le sentenze di merito  			ritengono commesse nella gestione di due gruppi societari.  			Il primo gruppo, facente capo al Sig. GIOMMI, aveva come cardine le  			attività della NUOVA ESA S.r.l., società che ha conosciuto  			successive trasformazioni, e concerne il periodo che va dal 15  			dicembre 1999 al 22 dicembre 2003.
 Il secondo gruppo, facente riferimento ai Sigg. GOTTARD,  			GARDENAL e VALLE, aveva come cardine le attività svolte dalla  			SERVIZI COSTIERI S.r.l. nel periodo dal 15 dicembre 1999 al 31 maggio  			2003 e quindi dalla ECOVENETA S.p.a. a far data dal primo giugno 2003  			fino alla data del sequestro degli impianti il giorno 8 marzo 2003.  			I due gruppi societari hanno agito con modalità analoghe per un  			lasso di tempo in gran parte coincidente, e tali circostanze hanno  			suggerito al Pubblico Ministero di esercitare l'azione penale in  			unico contesto e ai giudici di merito di riconoscere l'esistenza di  			ragioni di speditezza per conservare l'unicità del processo.  			Il meccanismo fraudolento posto in essere dagli imputati nella  			gestione delle rispettive aziende ha assunto, secondo i giudici di  			merito, connotazioni di stabilità e di organizzazione tali da  			giustificare la sussistenza del delitto di traffico illecito di  			rifiuti previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 53 bis.  			Ciò sia per la durata nel tempo degli illeciti e la vera e propria  			strumentalizzazione dell'organizzazione aziendale sia per la  			quantità elevatissima dei rifiuti oggetto di movimentazione e  			gestione da parte di ciascuna delle società. I giudici di merito  			hanno, invece, ritenuto non presenti i presupposti del delitto  			previsto dall'art. 416 c.p. contestato dal Pubblico Ministero.  			La sentenza del Tribunale di Venezia.
 Come emerge con chiarezza dai numerosi e dettagliati capi di  			imputazione, la gestione illegale dei rifiuti avveniva mediante la  			gestione e la miscelazione illecita dei materiali e la loro  			destinazione verso imprese o siti non abilitati a riceverli, condotte  			cui si affiancavano irregolarità sistematiche nella tenuta dei  			registri obbligatori di carico e scarico e nelle attività di  			trasporto. Tali condotte sono state oggetto di analitico esame da  			parte del Tribunale di Venezia, che ha affrontato alle pagine 1 e  			seguenti della motivazione le attività riconducibili alla gestione  			NUOVA ESA, analizzando a pag.27 e seguenti le responsabilità  			personali dei Sigg. Giommi e Toresini, ed ha, poi, affrontato  			alle pagine 29 e seguenti le attività riconducibili alle società  			SERVIZI CANTIERI ed ECOVENETA, affrontando alle pagine 47 e seguenti  			le responsabilità personali de Sigg. GARDENAL, GOTTARD e  			VALLE.
 In esito all'istruttoria dibattimentale che ha impegnato oltre venti  			giornate di udienza e comportato l'acquisizione e l'assunzione di un  			numero molto elevato di mezzi di prova, il Tribunale ha:
 - dichiarato non doversi procedere nei confronti del Sig. GIOMMI  			per intervenuta prescrizione per i capi B, T, U, V;
 - assolto lo stesso dal capo W per non avere commesso il fatto;
 - dichiarato non procedibile nei confronti dello stesso GIOMMI il  			capo R perché coperto da precedente giudicato;
 - dichiarato non doversi procedere nei confronti del Sig. GOTTARD  			in relazione ai capi D e I per intervenuta prescrizione;
 - condannato il Sig. GIOMMI perché responsabile di fatti  			contestati ai capi A, C, F, H, N, P. S e, applicata la continuazione  			e ritenuto più grave il capo N, determinato la pena in sei anni di  			reclusione;
 - condannato il Sig. VALLE perché responsabile dei fatti  			contestati ai capi D, G, I, O, Q e, applicata la continuazione e  			considerato più grave il capo O, determinato la pena in tre anni e  			quattro mesi di reclusione;
 - condannato il Sig. GOTTARD perché responsabile dei fatti  			contestati ai capi G, O, Q e, applicata la continuazione e  			considerato più grave il capo O, determinato la pena, previa  			concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla  			recidiva, in due anni e tre mesi di reclusione;
 - condannato il Sig. GARDENAL perché responsabile dei fatti  			contestati ai capi D, E, G, I, K, 0, Q e, applicata la continuazione  			e considerato più grave il capo O, determinato la pena, previa  			concessione delle circostanze attenuanti generiche, in un anno e  			undici mesi di reclusione, pena condizionalmente sospesa;
 - applicato ai condannati le pene accessorie previste dal D.Lgs. 5  			febbraio 1997, n. 22, artt. 28, 30, 32 bis, 32 ter e 53 bis nonché  			l'obbligo di rimettere in pristino lo stato dei luoghi;
 - condannato gli imputati e i responsabili civili al risarcimento dei  			danni in favore delle parti civili rispettivamente costituitesi (come  			da pag.64 della sentenza) e alla corresponsione delle relative spese  			di costituzione e assistenza.
 La sentenza della Corte di Appello:
 Avverso la decisione del Tribunale hanno proposto appello sia gli  			imputati GIOMMI, Carlo VALLE, GOTTARD e GARDENAL sia i  			responsabili civili (appellanti e appellati) ECOVENETA S.p.a., NUOVA  			ESA S.a.s., già NUOVA ESA S.r.l., e SERVIZI COSTIERI S.r.l..  			Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia ha, in  			sintesi:
 - dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli  			imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi A,  			C, D, E, H, I, K, S per essere gli stessi estinti per prescrizione;
 - dichiarato non doversi procedere nei confronti di GIOMMI anche in  			ordine alla contestazione dei punti a), b) e c) del capo F per essere  			i reati estinti per prescrizione;
 - assolto gli imputati dai reati contestati rispettivamente ai capi P  			e Q perché il fatto non sussiste;
 - rideterminato la pena nei confronti di GIOMMI in quattro anni e  			sei mesi di reclusione; di VALLE in due anni di reclusione; di  			GOTTARD in un anno e otto mesi di reclusione; di GARDENAL in un  			anno e due mesi di reclusione;
 - rideterminato per ciascun imputato la durata della pena accessoria  			dell'interdizione dai pubblici uffici e di quella prevista dall'art.  			32 c.p.;
 - condannato gli imputati e i responsabili civili al risarcimento dei  			danni in favore delle parti civili rispettivamente costituite, danni  			da liquidarsi in separato giudizio, e determinato le somme che  			debbono essere versate a titolo di provvisionale.
 I ricorsi per cassazione.
 Nei confronti della sentenza di appello hanno proposto ricorso per  			cassazione sia gli imputati sia i responsabili civili.  			L'Avv. Antonio Cantelli nell'interesse di GIOMMI Gianni in sintesi  			lamenta:
 1. l'errata valutazione dei fatti per avere i giudici di merito  			omesso di considerare che la società NUOVA ESA era autorizzata ad  			operare come impianto di stoccaggio che, ai sensi della lett. i)  			dell'art. 6 del decreto Ronchi può svolgere attività di deposito  			preliminare e di recupero, attività che includono la cernita, la  			miscelazione secondo componenti omogenee, l'attribuzione di un nuovo  			CER e l'individuazione della destinazione finale; consegue a ciò che  			il titolare dell'impianto di stoccaggio acquisisce la qualifica di  			"produttore" e come tale non è vincolato alla destinazione  			attribuita ai rifiuti nel formulario originario, così che errano i  			giudici di merito a ritenere che i rifiuti in uscita dall'impianto  			dovessero essere qualificati come "pericolosi" e non destinabili ai  			siti indicati;
 2. violazione di legge e, in particolare dell'art. 25 Cost. e del  			D.P.R. n. 449 del 1988, art. 7 bis, rilevante ex art. 606 c.p.p.,  			lett. b), per avere il Presidente del Tribunale di Venezia, con  			provvedimento censurato dalle difese in sede di primo giudizio e  			quindi con specifici motivi di appello, modificato con motivazione  			solo apparente l'originaria assegnazione alla Prima sezione penale  			del Tribunale e violato il principio del "giudice naturale" ex art.  			25 Cost., così come interpretato dalla Corte costituzionale con le  			sentenze n.272 e n.419 del 1998;
 3. violazione dell'art. 111 Cost. con riferimento a plurimi episodi  			di contrazione del diritto ad una difesa effettiva che appaiono  			indici di non imparzialità dell'organo giudicante; in particolare  			con riferimento a: a) al rigetto dell'istanza di rinvio per legittimo  			impedimento dell'imputato a presenziare all'udienza del 30 maggio  			2007; b) al rigetto da parte del Tribunale, con ordinanza 19 aprile  			2007, delle istanze di rinvio per impedimento dei difensori, con  			nocumento dell'effettività del diritto di difesa, e al successivo  			rigetto all'udienza del 10 gennaio 2008 dell'istanza della difesa  			volta a consentire al Sig. Giommi di sottoporsi all'esame; c) alla  			pratica impossibilità di procedere al controesame del teste Urli,  			verbalizzante e fonte centrale dell'impianto accusatorio;
 4. erronea applicazione della legge penale rilevante ex art. 606  			c.p.p., lett. b) con riferimento al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22,  			art. 52, comma 3, contestato al capo F, lettere da d) a k) della  			rubrica, e alla motivazione che la Corte di Appello ha esposto alle  			pagine 50 e 51; confondendo le due ipotesi previste dalla fattispecie  			incriminatrice, i giudici hanno ravvisato nelle condotte tenute dal  			personale della società una ipotesi di reato estranea alla  			previsione normativa: il formulario, infatti, non contiene  			indicazioni sulla qualità dei prodotti, previste invece dal  			certificato di analisi. Di tali condotte, che la disciplina affida a  			soggetti qualificati, non può essere chiamato a rispondere il legale  			rappresentante della società, mentre è ben possibile che le  			irregolarità nella formulazione dei documenti siano riconducibili  			alle violazioni amministrative previste dal cit. art. 52, comma 4,  			come modificato dal D.Lgs. n. 389 del 1997. Il fatto, dunque, non  			costituisce reato;
 5. vizio di motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., lett. e) con  			riferimento alla contestazione del reato ex D.Lgs. 5 febbraio 1997,  			n. 22, art. 53 bis (capo N); coi motivi di appello il ricorrente  			aveva contestato la sussistenza del reato sia sotto il profilo  			oggettivo, risultando minimo il numero delle aziende destinatarie dei  			trasporti illeciti rispetto al numero complessivo di quelle servite,  			sia sotto quello soggettivo, non risultando provata alcuna finalità  			di illecito arricchimento.
 L'Avv. Antonio Romano nell'interesse dei Sigg. VALLE Carlo e  			GARDENAL Gianni in sintesi lamenta:
 1. vizio di motivazione per illogicità del percorso decisionale e  			per travisamento del materiale probatorio. In particolare, è stata  			omessa da parte dei giudici di merito una puntuale valutazione delle  			dichiarazioni rese dal teste PERSI, responsabile del laboratorio di  			analisi della Servizi Costieri S.r.l., dal teste PAOLETTO e del  			teste VINCENZI, dipendenti della medesima società, che hanno reso  			dichiarazioni favorevoli alla difesa nei termini riportati alle  			pagine 2-4 del ricorso;
 2. vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta  			illogicità per avere la Corte di Appello affermato erroneamente che  			la difesa non aveva fornito prova della regolare gestione dei fanghi  			trattati; si tratta di affermazione che contrasta con l'avvenuto  			deposito di copiosa documentazione in corso di udienza del 10 gennaio  			2008.
 L'Avv. Francesco Barila nell'interesse del Sig. Carlo VALLE in  			sintesi lamenta;
 1. vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'art. 606 c.p.p.,  			lett. e), vizio che concerne plurimi profili della decisione:
 a) illogicità del giudizio in ordine alla responsabilità personale  			del ricorrente (pag.70 della motivazione), posto che il Sig. Valle  			svolgeva in proprio una diversa attività economica e non si occupava  			della gestione aziendale, salvo tenere i contatti con il Sig.  			Gottard e venire consultati per i problemi finanziari; oltre alle  			risultanze testimoniali, tale situazione è dimostrata dagli esiti  			delle intercettazioni telefoniche, tema che il ricorso affronta in  			modo specifico alle pagine 3-12;
 b) illogicità della motivazione con riferimento alle singole ipotesi  			contravvenzionali, posto che in modo improprio è stato posto a  			carico degli imputati l'onere probatorio circa la liceità delle  			miscelazioni, mentre difetta la prova positiva dell'esistenza di  			illiceità nel trattamento specifico; posto che non è stato  			affrontato il motivo di appello concernente il trattamento delle  			polveri provenienti dalle Acciaierie di Servola ne' si è considerato  			che i codici attribuiti alle polveri (100203 e 100204) non comportano  			differenze sotto il profilo del recupero e che non ha alcun senso  			parlare di "girobolla"; posto che la mancanza di una parte degli  			impianti e macchinari non aveva alcuna ricaduta sulle attività  			svolte in concreto; posto che (pag.18 e ss. del ricorso) i codici  			utilizzati offrivano le massime garanzie di trasparenza sul contenuto  			dei rifiuti inviati da Ecoveneta e non vi era in concreto alcuna  			irregolarità o condotta di frode, e il caso dei prodotto inviati  			alla Laterlite esaminato in sentenza non risulta ne' provato ne'  			rilevante, e sarebbe in ogni caso addebitabile alla responsabilità  			del chimico addetto alle verifiche; posto che in altri casi tra  			quelli posti a carico del ricorrente (Soris, Soceic, Medio Chiampo,  			Aim) mancano concreti profili di responsabilità, oltre ad essere  			presente un grave errore materiale circa la quantità dei fanghi  			Medio Chiampo (pag.23 del ricorso); posto che il laboratorio di  			analisi era attrezzato e forniva ai legali rappresentanti della  			società indicazioni tranquillanti;
 c) errata applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 53  			bis, avendo la sentenza impugnata ritenuto integrato il reato sebbene  			difettino i requisiti della professionalità delle condotte e della  			finalità di lucro;
 d) difetto di motivazione con riferimento alla data di cessazione  			della continuazione del reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.  			22, art.53 bis e alle ipotesi contravvenzionali.
 L'Avv. Luciano Sampietro nell'interesse del Sig. GOTTARD Giuliano  			in sintesi lamenta:
 1. errata applicazione di legge e in particolare del D.Lgs. 5  			febbraio 1997, n. 22, artt. 51, 52 e 53 bis quale conseguenza  			dell'errata applicazione degli artt.6 e 9 in relazione all'allegato 3  			della medesima legge. Erroneamente, infatti, la sentenza esclude la  			legittimità delle miscelazioni di rifiuti, attività invece  			legittima e ampiamente praticata nel rispetto della citata Legge,  			art. 9 e del relativo allegato 3; all'epoca dei fatti, a differenza  			di quanto previsto dal successivo D.Lgs. n. 152 del 2006, secondo il  			catalogo europeo i rifiuti formati da miscelazione non avevano un  			codice specifico (Cassazione, Terza Sezione Penale, sentenza n. 193 3  			3 dell'11 marzo 2009) e non sussisteva un divieto di operare  			miscelazioni (TAR Emilia Romagna, sentenza 1/4/2008, n.206): consegue  			a tale realtà che ai rifiuti provento di miscelazione poteva essere  			applicato o un codice generico (19.05.99) oppure il "codice  			prevalente", come in genere si faceva presso tutti gli impianti. Tale  			prassi fu seguita anche dalla Servizi Costieri, senza che venissero  			mosse contestazioni da parte dell'ente pubblico o che fossero  			avanzate riserve da parte degli impianti di ricezione;
 2. travisamento del fatto ed errata applicazione del D.Lgs. 5  			febbraio 1997, n. 22, artt. 51, 52 e 53 bis a seguito di errata  			applicazione del D.P.R. n. 915 del 1982, art. 1 e del D.Lgs. 5  			febbraio 1997, n. 22, artt. 4 e 5 in relazione al contenuto  			dell'autorizzazione provinciale. La ricostruzione operata dalla Corte  			di Appello alle pagine 45 e seguenti contrasta con la lettura  			integrale del decreto autorizzativo e, in particolare, con la  			previsione dell'art. 7, così che i giudici di appello errano nel  			concludere che non era legittimo avviare i prodotti miscelati al  			recupero, recupero previsto all'epoca del rilascio della prima  			autorizzazione (anno 1996) dalla L. n. 915 del 1982, art. 1;
 3. errata applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione  			al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 51, 52 e 53 bis a seguito di  			errata applicazione dell'arti del D.P.R. n. 915 del 1982, dell'art.  			1372 c.c. e del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 4 e 5.  			La sentenza impugnata alle pagine 66 e 67 fa discendere un profilo di  			illiceità dalla violazione degli accordi contrattuali concernenti la  			gestione dei fanghi AIM e Medio Campo; si tratta di conclusione  			errata sia con riferimento alla impropria rilevanza attribuita ai  			termini contrattuali nei confronti di terzi sia con riferimento al  			concetto di "smaltimento", che deve invece includere anche le  			attività di trattamento e recupero;
 4. errata applicazione degli artt. 187, 194 e 517 c.p.p. in relazione  			all'art. 417 c.p.p. e conseguente nullità ex art. 522 c.p.p. per  			avere i giudici di merito impropriamente esteso il giudizio anche a  			presunte violazioni concernenti le polveri provenienti dalle  			Acciaierie di Servola che non hanno mai costituito oggetto di  			contestazione all'imputato e che costituisce fatto nuovo e  			concorrente per il quale non sono state rispettate le garanzie  			previste dall'art. 517 c.p.p.;
 5. errata applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 15 e  			53 bis in relazione alla citata Legge, artt. 6 e 9 ed errata  			applicazione dell'art. 483 c.p. per avere i giudici di merito  			ritenuto violato l'art. 15 citato in relazione alla indicazione  			errata nei documenti di trasporto circa la natura dei prodotti; si  			tratta di indicazione corretta (vedi motivo 1) con riferimento al CER  			dei prodotti miscelati e, in ogni caso, va esclusa la natura dolosa  			della condotta;
 6. vizio di motivazione ed errata applicazione del D.Lgs. 5 febbraio  			1997, n. 22, art. 52 bis in relazione al D.P.R. n. 915 del 1982, art.  			1 e al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 6 e 9 per avere i giudici  			di merito accolto una errata lettura dell'autorizzazione provinciale  			e avere erroneamente ritenuto che il c.d. "girobolla" avesse  			finalità illecite.
 L'Avv. Angelo Merlin nell'interesse del responsabile civile ECOVENETA  			S.p.a. in sintesi lamenta: 1. carenza di motivazione con riferimento  			all'esistenza di prova di responsabilità del Sig. Gardenal per i  			fatti contestati al capo O) nel periodo 1 giugno 2003 - 8 marzo 2004  			nel quale la società gestì il sito di Marghera. La motivazione  			presente a pag.71 della sentenza di appello omette di dare risposta  			alle censure contenute nei punti 3.2, 3.3 e 3.4 dell'atto di appello  			del Sig. Gardenal e ricava l'illiceità delle condotte  			dell'imputato (pagg.71-73) unicamente da elementi di prova riferiti  			esclusivamente al precedente periodo di lavoro presso la Servizi  			Costieri; difetta così qualsiasi motivazione in ordine ai fatti  			successivi al primo giugno 2003;
 2. sempre con riferimento al capo O) sussiste errata applicazione  			dell'art. 110 c.p. e carenza totale di motivazione con riferimento  			alla partecipazione del Sig. Gardenal alle attività illecite  			contestate per il periodo successivo al primo giugno 2003, posto che  			la sentenza (pag.73) dichiara accertata la responsabilità  			dell'imputato per le attività svolte presso la Servizi Costieri ed  			avanza una mera ipotesi di prosecuzione delle attività presso la  			Ecoveneta S.r.l., ma non esamina il tema e non da risposta agli  			allegati difensivi contenuti al punto 3.4 dell'appello presentato da  			tale società. Si versa così in ipotesi di motivazione solo  			apparente.
 L'Avv. Claudio Cantelli nell'interesse della NUOVA ESA S.a.s., già  			NUOVA ESA S.r.l., in sintesi lamenta:
 1. violazione dell'art. 2495 c.c. e vizio di motivazione con  			riferimento alla ritenuta legittimazione passiva della NUOVA ESA. In  			sede di giudizio e in sede di motivi di appello si era eccepito che  			la NUOVA ESA S.r.l. ebbe a trasformarsi in società in accomandita  			semplice in data 10 agosto 2004, avendo come amministratore Sartori  			Valerio, ed è quindi posta in liquidazione il 30 dicembre 2005,  			rivestendo il Sig. Sartori la qualità di liquidatore. La società  			subisce quindi la trasformazione in MARNO S.a.s. e quindi in MARNO  			S.a.s. di Di Salvo Franco, cessando l'attività il 31 maggio 2007 e  			venendo cancellata dal registro delle imprese in data 18 luglio 2007.  			In tale situazione opera l'art. 2495 c.c. (entrato in vigore in data  			1/1/2004 nella nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 6 del  			2003, art. 4) che attribuisce all'atto di cancellazione efficacia  			costitutiva anche nei confronti delle cancellazioni intervenute  			precedentemente alla sua entrata in vigore (Sezioni Unite Civili,  			sentenza n.4060 del 22 febbraio 2010). La società NUOVA ESA deve  			pertanto essere esclusa dal giudizio.
 2. Violazione della L. n. 349 del 1986', art. 18 con riferimento al  			riconoscimento delle richieste risarcitorie avanzate dalle parti  			civili e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza di danno  			ambientale. E invero, nessuna prova è stata acquisita in atti circa  			la sussistenza di un effettivo danno per l'ambiente, con l'eccezione  			di disagi olfattivi lamentati dagli abitanti dei comune di Marcon  			che non assumono rilevanza ai fini che qui interessano; nessuna  			accertamento è stato compiuto con riferimento al superamento di  			valori soglia per suoli, sottosuoli e acque, con la conseguenza che  			non si ravvisano danni effettivi e che non esistono i presupposti ne'  			per le attività di bonifica ne' per le attività di ripristino dello  			stato dei luoghi previste dal citato art. 18, comma 8 come intervento  			prioritario, cui seguono in via gradata la quantificazione monetaria  			del danno ambientale e la eventuale determinazione dello stesso in  			via equitativa. Deve, poi, considerarsi che dal D.Lgs. n. 152 del  			1999, art. 58 e dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 239 e 300 emerga la  			definizione del danno ambientale come una "contaminazione rilevante"  			dell'ambiente e come un deterioramento "significativo" e "misurabile"  			di una risorsa naturale o dell'utilità che questa assicura;
 3. Violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art.  			303, comma 1, lett. f, come modificato dalla L. n. 166 del 2009, art.  			5 bis, e vizio di motivazione con riferimento ai criteri di  			determinazione dell'obbligatoria risarcitoria per i quali il citato  			l'art. 303 dispone applicarsi, anche alle domande già proposte, le  			disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311, commi 2  			e 3, in luogo di quelle contenuti nei commi sesto, settimo e ottavo  			della L. 18 luglio 1986, n. 349, art. 18; tale disciplina è stata  			ignorata dai giudici di appello anche nella parte in cui (citato art.  			311, comma 3) spetta al Ministero dell'Ambiente quantificare il danno  			ambientale;
 4. Violazione dell'art. 25 Cost. e vizio di motivazione con  			riferimento al mancato rispetto del principio del giudice naturale.  			La censura, che richiama l'esistenza di una nullità ex art. 178  			c.p.p., lett. a) in relazione alla capacità del giudice, ricalca la  			situazione oggetto del secondo motivo Giommi;
 5. Violazione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost. nei  			termini oggetto del terzo motivo Giommi;
 6. Errata applicazione di legge con riferimento alla contestazione  			dei punti d)-k) del capo di imputazione sub F; si tratta di motivo  			identico al quarto motivo del ricorso Giommi;
 7. Vizio di motivazione con riferimento al reato ex D.Lgs. 5 febbraio  			1997, n. 22, art. 53 bis del contestato al capo N; si tratta di  			motivo identico al quinto motivo del ricorso Giommi;
 8. Difetto di motivazione con riferimento alla obbligatorietà del  			codice CER 19, non avendo la Corte di Appello indicato da quali fonti  			ricava l'esistenza di tale obbligo e avendo omesso la Corte di  			considerare che "solo a partire da un determinato momento, la  			Provincia avrebbe prescritto formalmente alla Nuova Esa  			l'attribuzione del codice CER 19" e che tale condizione di obiettiva  			incertezza in capo allo stesso ente pubblico impedisce di parlare di  			"consolidate pratiche illecite";
 9. Errata applicazione della legge, in particolare dell'art. 15 c.p.,  			e vizio di motivazione con riferimento ai reati contestati ai capi A,  			C, F e H. Erroneamente la Corte di Appello ha confermato  			l'impostazione del Tribunale, secondo la quale i reati citati  			conserverebbero autonomia rispetto alla violazione prevista dal  			D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 53 bis. La Corte sul punto si è  			limitata ad affermare (pag.51) che le censure difensive contenute nel  			terzo motivo di appello sono "all'evidenza infondate sia in fatto  			come in diritto". Si tratta di motivazione solo apparente che ha  			evitato di considerare come le singole condotte previste dalle  			contravvenzioni contestate ai capi A, C, F e H siano ricomprese tra  			le condotte che integrano il delitto contestato al capo N e debbano  			ritenersi da quest'ultimo assorbite.
 OSSERVA IN DIRITTO
 1. Le questioni processuali.
 Sono state riproposte in questa sede con i motivi di ricorso alcune  			censure che la Corte di Appello è stata chiamata a valutare in  			ordine alla nullità della sentenza di primo grado per lamentate  			violazioni della legge processuale.
 Richiamato il principio generale fissato dall'art. 177 c.p.p. in tema  			di tassatività delle nullità, questa Corte rileva che i ricorrenti  			hanno invocato l'esistenza di un contrasto fra le determinazioni dei  			giudici di merito e i principi fissati dall'art. 25 Cost. in tema di  			rispetto del giudice naturale e dall'art. 111 Cost. in tema di giusto  			processo.
 Sul punto la Corte ritiene di dover condividere integralmente le  			decisioni assunte dai giudici di appello ed illustrate alle pagine 92  			e seguenti della motivazione.
 1.1. Con riferimento alla asserita violazione della regola che  			garantisce all'imputato l'assegnazione del processo al giudice  			"precostituito per legge" (secondo motivo Giommi e quarto motivo  			soc.Nuova Esa), la decisione della Corte di Appello merita piena  			conferma allorché, correttamente applicando i principi  			interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, ha  			stabilito che in ipotesi di motivata assegnazione del processo da  			parte del Presidente del Tribunale ad un giudice dello stesso ufficio  			diverso da quello inizialmente individuato non sussiste alcuna  			violazione della capacità del giudice nel rispetto dell'art. 33  			c.p.p., comma 2, non versandosi in ipotesi di individuazione di un  			organo giudicante "extra ordinem" effettuata sulla base di procedura  			arbitraria, ma di normale esercizio dei poteri di organizzazione del  			lavoro all'interno delle regole tabellari (sul punto si rinvia alla  			condivisa motivazione della sentenza n.3811 del 2006 emessa da questa  			Sezione nel procedimento Magni e altro, rv 235030 e a quella della  			sentenza n. 13445 del 2005 emessa dalla Prima Sezione Penale nel  			procedimento Perronace, rv 231338, decisioni confermate dalla recente  			decisione della Seconda Sezione Penale, n.6505 del 2011 in  			procedimento Puzio, rv 249450). Ciò premesso in ordine  			all'interpretazione della disciplina, la Corte rileva che la Corte di  			Appello ha esaminato e valutato positivamente l'esistenza dei  			presupposti per la nuova assegnazione del processo ad altra sezione e  			l'esistenza di specifica motivazione del provvedimento presidenziale,  			dandone conto a pag.93 della motivazione, così che le censure mosse  			dai ricorrenti possono essere considerate manifestamente infondate.  			1.2 Devono essere valutate, in secondo luogo, le violazioni lamentate  			dal ricorrente Giommi (terzo motivo) e dalla soc.Nuova Esa (quinto  			motivo) con riferimento all'ordine di assunzione delle prove, alla  			gestione del dibattimento e alle erronee decisioni del Tribunale che  			avrebbero respinto le istanze di rinvio per impedimento proposte  			dalla Difesa, precluso l'esame dello stesso imputato in corso di  			dibattimento e precluso la possibilità di proficua partecipazione  			all'esame del teste Urli. La Corte rileva che la motivazione della  			sentenza impugnata ha reso su ciascuno dei profili una puntuale  			illustrazione delle ragioni che escludono l'esistenza di una  			violazione o immotivata compressione dei diritti della difesa. Tale  			motivazione viene integralmente condivisa dalla Corte alla luce della  			ricostruzione dell'andamento del dibattimento che i giudici di  			appello hanno operato alle pagine 96 e 97 fornendo puntuale risposta  			alle censure mosse con i motivi di appello. Dal momento che con i  			motivi di ricorso vengono riproposte le medesime questioni già  			affrontate e risolte motivatamente dal giudice di secondo grado, deve  			richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui si  			considerano generici, con riferimento al disposto dell'art. 581  			c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) i  			motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le  			medesime doglianze presentate in sede di appello avverso la sentenza  			di primo grado e che nella sostanza non tengono conto delle ragioni  			che la Corte di appello ha posto a fondamento della decisione sui  			punti contestati. Si tratta di interpretazione costantemente  			applicata dalla giurisprudenza di questa Corte ed espressa, da  			ultimo, con la sentenza della Sesta Sezione Penale, n.22445 del 2009,  			P.M. in proc.Candita e altri, rv 244181, ove si afferma che "e '  			inammissibile per genericita' il ricorso per cassazione, i cui motivi  			si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti  			o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla  			motivazione del provvedimento impugnato ".
 2. La legittimazione della società Nuova Esa ad essere parte del  			processo nella qualità di responsabile civile.
 Tra i motivi di ricorso viene introdotta per la prima volta la  			questione relativa alla legittimazione della società ad essere  			citata in giudizio e giudicata come responsabile civile. Si tratta di  			questione non proposta in primo grado, che la ricorrente afferma di  			avere prospettato al giudice di appello mediante produzione di nuova  			documentazione in corso di dibattimento e che, non affrontata nella  			motivazione e nel dispositivo della sentenza di appello, costituisce  			adesso motivo di ricorso. Rileva la Corte che il fatto storico posto  			a fondamento del motivo di ricorso è riconducibile alla  			cancellazione della società dal Registro delle imprese che sarebbe  			stata dichiarata in data 18 luglio 2007, al termine di una complessa  			evoluzione societaria che avrebbe visto la cancellazione avvenire  			rispetto alla ragione sociale "Marmo Sas di Franco Di Salvo e C. in  			liquidazione", avendo come liquidatore il Sig. Franco Di Salvo.  			La data di cancellazione esposta dalla Difesa consente di rilevare  			che detto evento è anteriore alla celebrazione del giudizio di primo  			grado e alla sentenza emessa dal Tribunale.
 Nè le conclusioni assunte dalla Difesa della società Nuova Esa al  			termine del giudizio di primo grado ne' i motivi di appello  			successivamente presentati hanno per oggetto il difetto di  			legittimazione a seguito di cancellazione; ne' risulta richiesta in  			sede di impugnazione la rinnovazione del dibattimento al fine di  			produrre la necessaria, per quanto tardiva, documentazione. Inoltre,  			di una richiesta di esclusione della società per difetto di  			legittimazione non si da atto nelle conclusioni della parte come  			riportate in sentenza di appello, ed anzi in tale sede si da atto che  			la Difesa della società ha avanzato conclusioni di merito.  			Alla luce dei fatti processuali così sintetizzati, non sussiste la  			lamentata violazione del difetto di decisione e di specifica  			motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello, mentre  			risulta inammissibile un motivo di ricorso che sollecita questa Corte  			ad effettuare per la prima volta una valutazione che presuppone un  			accertamento di merito che è estraneo al giudizio di legittimità.  			Il Motivo di ricorso va, pertanto, considerato inammissibile e il suo  			contenuto potrà trovare eventualmente ingresso in sede di giudizio  			avanti il giudice civile.
 3. I criteri di esame dei ricorsi adottati dalla Corte.  			I contenuti dei ricorsi sono in larga parte caratterizzati da censure  			relative alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione delle prove  			operate dai giudici di merito. Ciò impone alla Corte di richiamare  			in via generale i princì pi interpretativi che la giurisprudenza ha  			fissato circa i limiti del controllo di legittimità anche con  			riferimento al testo vigente dell'art. 606 c.p.p., lett. e).  			Va, dunque, ricordato che il giudizio di legittimità rappresenta lo  			strumento di controllo della corretta applicazione della legge  			sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto  			alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di  			principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle  			Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996,  			Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite  			hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta  			illogicità della motivazione (n.47289 del 2003, Petrella, rv  			226074). Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra  			i due giudizi può essere ricavata, tra l'altro, dalla motivazione  			della sentenza n.26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto  			6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46  			del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma  			che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello  			costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle  			decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di  			cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del  			riesame di merito, consentito (invece) dall'appello".  			Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di Cassazione non ha  			"la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo  			operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo  			dell'art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a  			fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito  			mediante la sollecitazione al giudice di legittimità affinché  			ripercorra l'intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.  			Ancora successivamente alla modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e)  			apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett.  			b), l'impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime  			decisioni di legittimità, a partire dalle sentenze della Seconda  			Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in  			proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del  			15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto  			convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è  			"preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di  			fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di  			nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti"  			(fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23  			giugno 2006, Bosco, rv 234148).
 Ciò non significa, ovviamente, che la presenza di manifesta  			illogicità della motivazione, rilevante ai sensi della citata  			dell'art. 606 c.p.p., lett. e) non debba essere riconosciuta  			allorquando a fronte di plurime ipotesi ricostruttive dei fatti i  			giudici di merito non abbiano dato conto in modo coerente e corretto  			sul piano logico delle ragioni per cui l'ipotesi accolta abbia forza  			sufficiente da escludere la solidità delle ipotesi alternative  			sottoposte al loro giudizio.
 Sulla base di tale premessa la Corte procederà all'esame dei motivi  			di ricorso relativi alla sussistenza dei reati residui e delle  			responsabilità muovendo dalla constatazione che la sentenza di  			appello ha già affrontato i nodi critici che le sono stati  			sottoposti con le impugnazioni avverso la prima decisione e che a  			questa Corte compete l'esame dei soli profili rilevanti in sede di  			legittimità.
 4. I metodi di trattamento dei rifiuti; in particolare, le  			miscelazioni e i formulari.
 Attesa la loro valenza decisiva e pregiudiziale, debbono essere  			esaminati in primo luogo i motivi di ricorso che contestano la  			sussistenza stessa delle violazioni della disciplina concernente la  			gestione dei rifiuti nei suoi diversi passaggi.
 Sostengono i ricorrenti che la ricostruzione dei fatti operata dai  			giudici di merito è frutto di un duplice errore: un accertamento del  			dato stico non rispondente al materiale probatorio acquisito; una  			errata interpretazione e applicazione del dato normativo, in questo  			ricompreso anche il regime derivante dai provvedimenti di  			autorizzazione rilasciati alle imprese.
 La rilevanza assorbente di quest'ultimo aspetto impone di prendere da  			esso le mosse, concentrando l'attenzione sui motivi proposti dai  			Sigg. Gottard e Valle, che più direttamente lo hanno
 affrontato. Si osserva da parte dei ricorrenti con riferimento alle  			attività della società Servizi Costieri (ma le osservazioni hanno  			portata generale) che le prescrizioni contenute nella deliberazione  			provinciale del 1999 si prestano ad una lettura fuorviante, se non  			inserite nel contesto più ampio che prende le mosse dall'originaria  			autorizzazione del 1996, rilasciata sotto la vigenza della L. n. 915  			del 1982, e dal contenuto dell'arti di tale legge. Una corretta  			analisi di tali fonti avrebbe dovuto rendere evidente che non  			sussisteva alcun divieto di miscelazione dei rifiuti e che l'azienda  			di stoccaggio era abilitata espressamente ad effettuarle e a  			destinare a terzi i rifiuti così ottenuti, agendo come "produttore"  			e, quindi, senza dover dare conto nei formulari della provenienza  			originaria dei rifiuti stessi.
 I motivi di ricorso proposti sul punto sono manifestamente infondati  			e devono essere dichiarati inammissibili nei termini che seguono.  			È certamente vero che la deliberazione provinciale del 1996  			conteneva disposizioni che costituiscono l'antecedente della  			deliberazione emessa nel 1999, ed è vero che la prima deliberazione  			fu emessa nella vigenza della L. n. 915 del 1982 e del relativo arti,  			il cui contenuto è richiamato in sede di ricorso. Ma tali  			considerazioni perdono ogni rilevanza rispetto ai fatti di causa se  			solo si considera che le contestazioni mosse ai ricorrenti concernono  			il periodo che va dall'anno 1999 al 2003 e quindi al 2004, cioè un  			periodo disciplinato interamente dalla legge D.Lgs. 5 febbraio 1997,  			n. 22 e dalle autorizzazioni che furono emesse a seguito dell'entrata  			in vigore, anche in attuazione della disciplina comunitaria in  			materia, prima del D.L. 5 settembre 1996, n. 462, quindi della L. 11  			novembre 1996, n. 575 e, infine, della citata L. n. 22 del 1997.  			L'esame della fondamentale L. n. 22 del 1997 mette in evidenza come  			la disciplina in vigore negli anni contemplati dalle contestazioni  			prevedesse, in estrema sintesi:
 a) che la gestione dei rifiuti ha come sbocco in via preferenziale il  			recupero e, solo ove ciò non sia possibile o utile, lo smaltimento;
 è dunque evidente (art. 6) che recupero e smaltimento costituiscono  			ipotesi alternative ed esemplificate negli allegati B e C alla legge.  			A ciò consegue che la medesima legge contiene il concetto che  			"recupero" e "smaltimento" costituiscono le due forme principali di  			chiusura del ciclo di trattamento dei rifiuti (si veda per  			resplicitazione di tale logica il successivo chiarimento intervenuto  			con il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, modificato dal D.Lgs.  			16 gennaio 2008, n. 4);
 b) che per i rifiuti pericolosi esiste un generale divieto di  			miscelazione tra di loro ovvero con rifiuti non pericolosi, divieto  			cui è possibile derogare solo a seguito di autorizzazione da  			rilasciare in presenza di specifiche condizioni (art. 9, commi 1 e 2,  			in relazione all'art. 2, comma 2);
 c) che in occasione dei trasporti debbono essere utilizzati documenti  			contenenti informazioni in grado di attestare provenienza, qualità e  			quantità dei rifiuti;
 d) che i trasporti di rifiuti pericolosi debbono essere effettuati  			nel rispetto degli obblighi in tema di imballaggio e di  			etichettatura.
 Muovendo dal dato normativo qui sintetizzato è possibile apprezzare  			i contenuti dell'autorizzazione provinciale del dicembre 1999.  			In particolare si osserva:
 1) che l'art. 7 prevede per i rifiuti non pericolosi e pericolosi  			l'effettuazione di attività di cernita e di separazione secondo  			"partite omogenee", con avvio a "idoneo smaltimento" delle partite  			che non possano avere diversa destinazione;
 2) che l'art. 12 recita: "È consentita la miscelazione, ai fini del  			loro smaltimento presso l'impianto, di rifiuti non pericolosi tra  			loro, la miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non  			pericolosi e di rifiuti pericolosi con altri pericolosi, con le  			seguenti prescrizioni: ...";
 3) che l'art. 13 prevede che la miscelazione di partite di rifiuti  			diversi avvenga sulla base di accertamenti tecnici che verifichino la  			possibilità e la non pericolosità dell'operazione e del risultato,  			così da poter procedere in sicurezza al trattamento e allo  			smaltimento;
 4) che gli artt. 19 e 20 prevedono la possibilità di triturare e  			omogeneizzare i rifiuti, ma anche in questo caso si fissano cautele  			che evitino di perdere traccia dei rifiuti originari, di rendere  			impossibile il riconoscimento dei componenti, di operare  			congiuntamente su rifiuti aventi destinazioni diverse;
 5) che in caso di attività di triturazione e omogeneizzazione non si  			possono trattare insieme rifiuti pericolosi e non pericolosi, "ciò  			al fine di evitare la loro declassificazione".
 L'esame di tali disposizioni rende evidente l'errata lettura che il  			ricorso Gottard da (pag.16) dell'art. 7 del decreto provinciale.  			Rende, altresì, evidente che tale decreto nel suo complesso da  			attuazione alla regola del divieto di miscelazione di rifiuti ex  			D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 9, consentendo tale attività in  			via eccezionale (art. 12) "ai fini del loro smaltimento presso  			l'impianto" e solo procedendo con le cautele sopra ricordate.  			Sul punto non va dimenticato che proprio l'incenerimento dei rifiuti  			costituiva una fonte essenziale di produzione di energia  			dell'impianto della Servizi Costieri.
 Le miscelazioni rappresentano, dunque, una deroga al regime generale  			dei rifiuti; per tale ragione sono soggette a regime restrittivo e di  			rigida applicazione, tanto che possono essere effettuate solo previa  			autorizzazione espressa e previo rispetto di specifiche cautele e  			formalità che garantiscano una corretta e non pericolosa gestione  			dei rifiuti ottenuti.
 Va, infine, richiamato il principio generale della disciplina sui  			rifiuti, chiaramente riconducibile ai principi fissati in sede  			comunitaria, secondo cui l'intera disciplina, le determinazioni degli  			organi di controllo e le condotte tenute dai gestori devono fondarsi  			su logiche di precauzione e di prevenzione.
 5. Le condotte illecite in generale
 Quanto si è appena detto circa il regime generale della gestione dei  			rifiuti, delle miscelazioni e delle forme di trattamento rende  			evidente la infondatezza dei motivi di ricorso nella parte in cui  			contestano le difformità accertate dai giudici di merito fra le  			regole esistenti e le condotte tenute dai ricorrenti e ne contestano,  			in ogni caso, la rilevanza.
 Può essere, invece, evidenziato dalla Corte che il percorso  			motivazionale seguito dai giudici di merito risulta lineare e logico  			allorché considerano la concatenazione esistente fra una serie di  			condotte e circostanze che debbono essere prese in esame nel loro  			insieme: la irregolare tenuta dei registri di carico e scarico;
 l'assenza presso le aziende di macchinari e di strutture  			corrispondenti a quanto necessario o dichiarato; la mancanza di  			valide e puntuali analisi e accertamenti chimici adeguati sui  			rifiuti; la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti  			pericolosi e non pericolosi, in assenza di analisi adeguate e con  			modalità che non consentivano di conservare traccia delle partite di  			rifiuto gestite e non consentivano a terzi di conoscere l'effettiva  			composizione delle partite ottenute; la destinazione a terzi di  			rifiuti con caratteristiche di pericolosità non evidenziate;
 l'esistenza di irregolarità nella redazione dei formulali; la  			attribuzione del codice CER non secondo la logica della prevalenza e  			della corrispondenza fra codice e prodotti, bensì secondo le  			caratteristiche dell'impianto a cui venivano destinati; infine, la  			destinazione di rifiuti di natura pericolosa a siti e aziende non  			autorizzati a riceverli.
 Sul punto, l'esame congiunto delle motivazioni delle due sentenze di  			merito, che si integrano data la comune valutazione, porta a  			escludere che i giudici di merito siano incorsi in quei macroscopici  			errori di fatto che, secondo quanto considerato da alcune Difese in  			sede di discussione, sarebbero derivanti da errata comprensione dei  			meccanismi di gestione dei rifiuti e delle stesse norme che li  			regolano.
 Prendendo in esame adesso solo la motivazione della sentenza di  			appello, la Corte rileva che i giudici di merito muovono (pag.98) dal  			riconoscimento che non sussisteva un divieto assoluto di miscelazione  			e che sono state accertate condotte concorrenti di terzi, giudicati  			separatamente, alla determinazione delle irregolarità; va, dunque,  			escluso che l'intero impianto argomentativo si fondi su una errata  			interpretazione del dato normativo o su una superficiale  			ricostruzione dei fatti, dei ruoli e delle condotte.  			Come indicato nella premessa di metodo iniziale, a questa Corte non  			può essere chiesto di procedere ad un esame analitico dei singoli  			rapporti contrattuali e delle singole partite di rifiuti come alcuni  			dei ricorsi hanno, invece, prospettato. Sul punto, la sentenza di  			appello propone una motivazione che ricostruisce i punti essenziali  			delle violazioni, esposte alle pagine 104-106 per le attività della  			Nuova Esa e alle pagine 114-125 per le attività della Servizi  			Costieri e della Ecoveneta; tale motivazione si fa carico delle  			censure mosse alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale alle  			pagine 4-10 per la Nuova Esa e alla pagine 31 e seguenti per le  			restanti società e procede ad un esame complessivo delle condotte.  			Sul punto la Corte osserva che esistono alcuni elementi di fatto che  			le sentenze di merito illustrano in modo coerente e logico, così che  			questo giudice deve muovere da tale ricostruzione per verificare se  			le fattispecie legali siano state correttamente applicate al caso  			In particolare, le sentenze di merito accertano (si vedano le pagine  			102-107 della sentenza di appello con riferimento alle attività  			Nuova Esa e le pagine 114-125 per la soc.Servizi Costieri e la  			soc.Ecoveneta):
 a) l'esistenza di una irregolare tenuta dei registri obbligatori di  			carico e scarico, che la Corte riconduce a specifica violazione de  			D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 12 e 18 e del D.M. 1 aprile  			1998, n. 14;
 b) l'esistenza di sistematiche attività di miscelazione di rifiuti  			pericolosi tra loro e di rifiuti pericolosi con altri non pericolosi;
 c) l'effettuazione di miscelazioni in assenza di accertamenti tecnici  			preliminari e in assenza dei necessari trattamenti preliminari;
 d) il mancato rispetto delle cautele necessarie rispetto alla  			gestione di rifiuti pericolosi;
 e) l'apposizione del codice CER privilegiando la compatibilità con  			le autorizzazioni dei destinatari e la compatibilità con le esigenze  			commerciali (v. sul punto anche pag.34 e 35 della sentenza di primo  			grado) rispetto alla effettiva composizione dei materiali inviati;
 f) la conseguente destinazione di rifiuti in prevalenza pericolosi a  			impianti che non avrebbero potuto riceverli;
 g) la modifica di codice CER, e non solo il mero "giro bolla",  			rispetto a rifiuti non sottoposti ad alcun trattamento.  			Tali condotte, valutate nel loro insieme con riferimento, ovviamente,  			al singolo impianto, connotano i fatti di manifesta illiceità, e  			ciò a prescindere dal fatto che l'impianto potesse, quale  			"produttore" non originario indicare se stesso come produttore dei  			rifiuti e dal fatto che in condizioni di rispetto delle altre  			formalità e cautele il c.d. "giro bolla" possa non rivestire  			carattere di intrinseca illiceità. Ciò che rileva è che la mancata  			indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti nei formulari e il  			ricorso al "giro bolla" costituiscono metodologia scelta ed  			utilizzata all'interno di un meccanismo che muoveva dalla irregolare  			tenuta dei registri di carico-scarico e terminava con la destinazione  			ad altri impianti di prodotti diversi per caratteristiche rispetto a  			quanto dichiarato, frutto di miscelazioni non operate nei limiti e  			con le garanzie previste e, infine, marcati con codici CER non fedeli  			alle caratteristiche prevalenti della miscela e apposti avendo  			riguardo alle opportunità commerciali.
 A fronte di questa ricostruzione dei fatti, non assume alcuna  			rilevanza decisiva la doglianza relativa al fatto che l'esame dei  			materiali delle Acciaierie Servola compiuto in sede di giudizio e  			quindi ricompreso in motivazione (pag. 115 della sentenza di appello)  			concerna o meno ipotesi incluse nel capo di imputazione; anche  			qualora si espungesse tale esame dal contesto motivazionale, la  			complessiva motivazione della sentenza riferita alla soc.Servizi  			Costieri supererebbe assolutamente la c.d. "prova di resistenza" dal  			momento che i fatti oggetto di specifica contestazione contenuti nei  			capi d'imputazione sono oggetto di separata e analitica valutazione  			alle pagine 117-125 e solo ad essi si riferisce il dispositivo, così  			risultando rispettato il dettato dall'art. 521 c.p.p..  			6. Le condotte illecite riferite alla gestione Ecoveneta.  			Afferma il ricorso proposto dalla società tramite l'Avv. Merlin, in  			linea col contenuto del ricorso proposto nell'interesse del Sig.  			Gardenal, che la sentenza non offre alcun elemento obiettivo a  			riscontro della circostanza che le attività illecite proseguirono  			successivamente al mese di giugno 2003 e che l'intera motivazione ha  			per oggetto fatti, dichiarazioni e risultanze di intercettazione  			telefonica limitate al periodo che precede il mese di giugno 2003 e,  			anzi, si concentrano su elementi fattuali che non vanno oltre  			l'ultima parte dell'anno 2002.
 La Corte rileva che la motivazione della sentenza di appello non  			affronta in modo organico il tema delle condotte relative al periodo  			in cui l'impianto fu gestito dalla società Ecoveneta e constata che  			alcuni passaggi motivazionali presenti a pag.128 appaiono non  			concludenti rispetto al giudizio di responsabilità del Sig.  			Gardenal con riferimento a detto periodo.
 Tuttavia, la lettura della motivazione nella sua interezza impone di  			rilevare che i giudici di appello hanno fornito una motivazione  			sufficiente del proprio convincimento che non merita le censure che  			le sono state mosse e che deve essere valutata anche alla luce della  			motivazione della sentenza di primo grado. In effetti, l'accertamento  			della prosecuzione delle attività illecite fino al momento del  			sequestro operato nell'anno 2004 non viene fondato esclusivamente  			sulla continuità operativa e gestionale delle due società rispetto  			al medesimo impianto e sulla circostanza che il Sig. Gardenal ha  			conservato identiche mansioni al momento del cambio di ragione  			sociale e di gestione, ma trova una sua ragion d'essere sia nella  			ricostruzione della modalità operativa di Servizi Costieri sia nella  			parte in cui si accerta che le attività di gestione di rifiuti e  			fanghi proseguirono in rapporto con le medesime società e nel  			contesto di analoga politica gestionale (sul punto si rinvia in  			particolare alle pagine 115,117 e 123-127 della motivazione di  			appello, nonché alle pagine 34, 35, 39 e, quindi, 42-44 della  			motivazione di primo grado con riferimento agli specifici rapporti  			commerciali). A fronte di una motivazione che illustra in modo  			coerente le ragioni della conferma del giudizio di responsabilità,  			così che va esclusa del tutto l'esistenza del vizio di carenza di  			motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) le censure si concentrano su  			argomenti concernenti la ricostruzione dei fatti e l'esistenza dei  			presupposti della qualificazione giuridica dei medesimi, che non  			possono trovare ingresso in sede di legittimità.
 7. Le violazioni previste dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 52,  			comma 3 e dall'art. 53 bis.
 7.1 - Esaminati nelle pagine che precedono i motivi relativi alla  			ricostruzione delle condotte illecite, la Corte rileva che nessun  			dubbio può sussistere circa l'esistenza dei presupposti della  			violazione prevista dal citato art. 52, comma 3, dal momento che  			risulta accertato che nei casi oggetto di contestazione i formulari  			contenevano informazioni sui prodotti trasportati difformi dal vero,  			nè alcun dubbio può esistere circa la natura del reato a seguito  			del rinvio alle pene previste dall'art. 483 c.p., che comporta  			l'applicazione delle pene riservate ai delitti. I motivi di ricorso  			che censurano sul punto la sentenza di appello sono, dunque,  			palesemente privi di fondamento.
 7.2 - I motivi concernenti il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 53  			bis risultano manifestamente infondati. Una volta che il giudizio  			circa la sussistenza dei fatti ipotizzati e delle condotte contestate  			sia considerato immune dai vizi prospettati dai ricorrenti, nessun  			dubbio può sussistere in ordine alla coerenza e alla logicità della  			valutazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto quei fatti e  			quelle condotte riconducibili alla fattispecie incriminatrice sotto  			il profilo della sistematicità delle condotte, della natura  			professionale dell'organizzazione posta in essere utilizzando  			società e impianti destinati al trattamento dei rifiuti, della  			abusività delle condotte, della ingente quantità dei rifiuti  			trattati in modo illecito, dell'esistenza di vantaggi per i gestori  			dei rifiuti e di una consapevole e orientata volontà degli stessi  			gestori del meccanismo fraudolento.
 Sono, infatti, prive di fondamento le ipotesi interpretative proposte  			dai ricorrenti, secondo le quali il reato di organizzazione volta al  			traffico di rifiuti potrebbe essere integrato solo attraverso  			l'utilizzo di impianti privi di autorizzazione o agenti totalmente al  			di fuori del regime delle autorizzazioni, ben potendo una sistematica  			attività illecita essere agevolata sotto molteplici profili dalla  			utilizzazione di impianti forniti di autorizzazione. Altrettanto  			infondate le censure che farebbero derivare la insussistenza del  			reato dall'avvenuta assoluzione degli imputati dal reato previsto  			dall'art. 416 c.p. La mancanza di prove circa l'esistenza del reato  			associativo non esclude affatto sul piano interpretativo e logico che  			risultino integrati gli estremi del reato ex art. 53 bis, citato, il  			quale costituisce reato-fine rispetto all'ipotizzato, e poi escluso,  			vincolo associativo ex art. 416 c.p. e conserva la propria autonomia  			sulla base di elementi, quali la struttura operativa e l'elemento  			soggettivo, che rispondono a criteri di chiarezza e completezza  			rispettosi del principio costituzionale di riserva di legge penale.  			Su questi aspetti la Corte rinvia all'ampia motivazione della  			sentenza emessa il 3 Marzo 2011 nel procedimento Accarino e altri,  			potendosi limitare a richiamare in questa sede i soli passaggi  			motivazionali che affrontano il concetto di abusività:
 "... Deve rilevarsi sul punto come questa Corte abbia già affermato  			che la legge non richiede che il traffico di rifiuti sia posto in  			essere mediante una struttura operante in modo esclusivamente  			illecito, ben potendo le attività criminose essere collocate in un  			contesto che comprende anche operazioni commerciali riguardanti i  			rifiuti che vengono svolte in modo lecito (Terza Sezione Penale,  			sentenza 15 dicembre 2010, Bonesi e altro). In altri termini, il  			delitto può essere integrato sia da una struttura operante in  			assenza di qualsiasi autorizzazione e con modalità del tutto  			contrarie alla legge sia da una struttura che includa stabilmente  			condotte illecite all'interno di un'attività svolta in presenza di  			autorizzazioni e, in parte, condotta senza altre violazioni. Ciò che  			rileva, infatti, è l'esistenza di "traffico" di rifiuti  			intenzionalmente sottratto ai canali leciti e l'inserimento  			all'interno di un percorso imprenditoriale ufficiale può divenire  			addirittura una scelta mirante a mascherare l'illecito all'interno di  			un contesto imprenditoriale manifesto e autorizzato. A tale  			conclusione consegue una considerazione ulteriore: la natura "abusiva  			" delle condotte non è esclusa dalla regolarità di una parte delle  			stesse allorché l'insieme delle condotte conduca ad un risultato di  			dissimulazione della realtà e comporti una destinazione dei rifiuti  			che non sarebbe stata consentita".
 Alla luce delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che  			debbano qualificarsi come manifestamente infondate le censure che  			contestano la sussistenza dei presupposti del reato come ritenuto in  			sentenza.
 Va, infatti, rilevato, che le sentenze di merito hanno offerto una  			ricostruzione dei fatti che include come "sistematiche" le operazioni  			condotte in frode alla normativa vigente e che quantifica in entità  			rilevantissime, e cioè in milioni di chilogrammi di rifiuti, il  			traffico svolto complessivamente ma anche quello posto in essere con  			i rifiuti relativi a singole aziende.
 8. I motivi di ricorso in ordine alle responsabilità individuali.  			Quanto esposto in premessa circa i limiti del controllo di  			legittimità in ordine alla ricostruzione dei fatti e quanto esposto  			nelle pagine che precedono in ordine ai motivi concernenti le  			modalità di gestione dei rifiuti rendono manifestamente infondati i  			motivi di ricorso concernenti la responsabilità penale dei singoli  			ricorrenti.
 La Corte di Appello ha puntualmente motivato le ragioni per cui,  			giudicato separatamente il personale che operava nelle aziende di  			stoccaggio alle dipendenze delle società ricorrenti, deve essere  			affermata la penale responsabilità degli amministratori delle  			società e di coloro che di fatto ne avevano la gestione e la  			supervisione. Non può certo ravvisarsi un vizio di manifesta  			illogicità nei passaggi motivazionali con cui la Corte di Appello  			effettua un collegamento fra la sistematicità delle violazioni e il  			loro protrarsi nel tempo, da un lato, e l'esistenza di un inevitabile  			interesse di coloro che avevano poteri decisionali sulla gestione  			delle società e da questa traevano. Tale collegamento non e motivato  			dalla Corte di Appello esclusivamente su basi logiche o con massime  			di esperienza, ma trova fondamento in elementi di fatto specifici,  			quali le circostanze ricordate alle pagine 107 e seguenti per il Sig.  			Giommi, e alle pagine 125 e seguenti per i Sig. Valle,
 Gardenal (di cui si è detto nell'esaminare il ricorso relativo  			alla gestione Ecoveneta) e Gottard. Sussistono, dunque, i  			presupposti per dichiarare i motivi di ricorso sul punto  			manifestamente infondati.
 9. La richiesta estinzione dei reati per prescrizione.  			La dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi concernenti i  			profili processuali e di merito della sentenza impugnata impone di  			applicare alla presente decisione il principio in tema di decorrenza  			e maturazione dei termini prescrizionali fissato dalla giurisprudenza  			di legittimità nel senso che alla inammissibilità originaria del  			ricorso consegue la non rilevanza in questa sede dell'avvenuta  			maturazione dei termini massimi di prescrizione del reato in epoca  			successiva alla sentenza impugnata (Cass., Sezioni Unite Penali,  			sentenza n.32 del 22 novembre-22 dicembre 2000, rv217266; sentenza  			n.33542 del 27 giugno-11 settembre 2001, rv 219531; sentenza n.23428  			del 22 marzo-22 giugno 2005, rv 231164).
 Non risultano, pertanto estinti, i reati contestati agli odierni  			ricorrenti, ivi compresi i fatti commessi fino al 31 dicembre 2002  			in quanto, a prescindere da eventuali sospensioni disposte in corso  			di giudizio, il termine massimo per i delitti in esame alla luce  			delle interruzioni avvenute deve essere fissato di sette anni e sei  			mesi e matura alla data del 30 giugno 2010, data successiva alla  			pronuncia della sentenza di appello.
 Una osservazione specifica deve essere dedicata al nono motivo  			proposto dalla soc.Nuova Esa. L'avvenuta dichiarazione di  			prescrizione in sede di merito dei reati contravvenzionali e la  			inammissibilità dei motivi relativi ai profili penali dichiarata in  			questa sede rende manifestamente infondata e inammissibile la censura  			che ha ad oggetto l'esistenza di pretesi vizi motivazionali in  			relazione ai reati dichiarati prescritti.
 10. Le disposizioni civili.
 La dichiarata inammissibilità originaria dei ricorsi nella parte in  			cui afferiscono alle disposizioni penali comporta la inammissibilità  			di un intervento di questo giudice in ordine alle disposizioni civili  			impartite con le sentenze di merito. Spetterà, dunque, al giudice  			civile eventualmente investito della questione quantificare i danni  			conseguenti da reato, per i quali in sede penale è stata impartita  			una condanna generica nei confronti degli imputati e dei responsabili  			civili. È in quella sede che le parti interessate potranno far  			valere gli argomenti introdotti col ricorso proposto dalla soc.Nuova  			Esa e con la discussione avanti questa Corte relativi alla rilevanza  			della L. n. 166 del 2009, art. 5 bis rispetto allo stesso concetto di  			"danno ambientale", quelli relativi all'incidenza dei nuovi parametri  			di liquidazione del danno e, infine, quelli relativi alla  			possibilità di applicare retroattivamente, e cioè a condotte  			esaurite integralmente sotto la vigenza del D.Lgs. 5 febbraio 1997,  			n. 22, la disciplina contenuta nella nuova formulazione del D.Lgs. 3  			aprile 2006, n. 152, artt. 303 e 311.
 Pacifico, infine, che le disposizioni in tema di provvisionale non  			possono costituire oggetto di censura in sede di legittimità.  			11. Alla dichiarata inammissibilità di tutti i motivi di ricorso  			consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna di ciascun ricorrente al  			pagamento delle spese processuali.
 Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data  			del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di  			ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa  			nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che  			i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via  			equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.  			12. Infine, nel rispetto del principio di soccombenza, i ricorrenti  			debbono essere condannati in solido alla refusione delle spese  			sostenute nel grado dalle parti civili, come da separati  			provvedimenti, nei termini che seguono: GIOMMI e la soc.NUOVA ESA  			in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza sostenute nel  			grado dalle parti civili: 1) Provincia di Venezia; 2) Provincia di  			Treviso; 3) Comune di Marcon; 4) Cittadini di Marcon come da elenco  			riportato nella sentenza impugnata; 5) Comitato Aria Pulita di  			Marcon; 6) WWF Ong; 7) L.I.P.U.; che liquida in Euro 1.300,00 oltre  			accessori di legge per ciascuna delle parti sopra indicate difese  			dall'Avv. Zaffalon e in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge per  			ciascuna delle parti restanti.
 Condanna VALLE, GOTTARD, GARDENAL e le società SERVIZI  			COSTIERI/SEAV e ECOVENETA in solido alla rifusione delle spese di  			rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1) Provincia  			di Venezia; 2) Comune di Venezia; 3) Provincia di Rovigo; 4) WWF Ong;
 che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna di  			loro.
 P.Q.M.
 Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al  			pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in  			favore della Cassa delle Ammende.
 Condanna GIOMMI e la soc.NUOVA ESA in solido alla rifusione delle  			spese di rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1)  			Provincia di Venezia; 2) Provincia di Treviso; 3) Comune di Marcon;
 4) Cittadini di Marcon come da elenco riportato nella sentenza  			impugnata; 5) Comitato Aria Pulita di Marcon; 6) WWF Ong; 7)  			L.I.P.U.; che liquida in Euro 1.300,00 oltre accessori di legge per  			ciascuna delle parti sopra indicate difese dall'Avv.Zaffalon e in  			Euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna delle parti  			restanti. Condanna VALLE, GOTTARD, GARDENAL e le società  			SERVIZI COSTIERI/SEAV e ECOVENETA in solido alla rifusione delle  			spese di rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1)  			Provincia di Venezia; 2) Comune di Venezia; 3) Provincia di Rovigo;
 4) WWF Ong; che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge per  			ciascuna di loro.
 Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.
 Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011
 
                    




