 Cass. Sez. III n. 46189 del 13 dicembre 2011 (PU 14 lug. 2011)
Cass. Sez. III n. 46189 del 13 dicembre 2011 (PU 14 lug. 2011)
Pres. Squassoni Est. Rosi Ric. Passariello ed altri 
Rifiuti. Attività per il traffico illecito e disastro ambientale
 
Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività. Quindi per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado dl gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie.
Requisito del reato di disastro di cui all'art. 434 c.p. è la potenza espansiva del nocumento unitamente all'attitudine ad esporre a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone, sicché, ai fini della configurabilità del medesimo, è necessario un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente immane. E' necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone che l'eccezionalità della dimensione dell'evento desti un esteso senso di allarme, sicché non è richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno ambientale e disastro qualora l'attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull'uomo.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. SQUASSONI Claudia          - Presidente  - del 14/07/2011
 Dott. FRANCO    Amedeo           - Consigliere - SENTENZA
 Dott. MARINI    Luigi            - Consigliere - N. 1711
 Dott. RAMACCI   Luca             - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ROSI      Elisabetta  - rel. Consigliere - N. 8603/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) PASSARIELLO FELICE N. IL 30/04/1957;
 2) PASSARIELLO ANTONIO N. IL 26/12/1979;
 3) NAPOLITANO VINCENZA N. IL 22/04/1954;
 4) FERRARA GIUSEPPE N. IL 10/03/1962;
 5) DE LUCIA NICOLA N. IL 02/12/1978;
 6) PERILLO CARMINE ANDREA N. IL 09/07/1963;
 7) DE VITO FEDERICO N. IL 26/03/1971;
 8) NUNZIATA GIOVANNI N. IL 23/02/1962;
 9) STANCO GENNARO N. IL 30/10/1951;
 10) Simonetti RAFFAELE N. IL 11/05/1972;
 avverso la sentenza n. 9317/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del  			11/12/2009;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/07/2011 la relazione fatta dal  			Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D'Ambrosio  			che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
 Udito, per la parte civile, Comune di Acerra, l'avv. Alberto De Vita  			del Foro di Napoli, che chiede la conferma della sentenza impugnata e  			per la parte civile VAS l'avv. Luciano Santoianni del foro di Napoli,  			che chiede la conferma della sentenza impugnata.
 Uditi:
 l'avv. Vincenzo Maiello del foro di Napoli, in proprio e quale  			sostituto processuale dell'avv. Fortunato Prisco, che chiede  			l'accoglimento dei motivi di ricorso riportandosi ai motivi a  			sostegno;
 l'avv. Emido Della Pietra del foro di Napoli che insiste per  			l'accoglimento del ricorso.
 RITENUTO IN FATTO
 1. La Corte di appello di Napoli, all'udienza dell'11 dicembre 2009,  			in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola del 5 marzo  			2007, ha condannato PASSARIELLO FELICE, PASSARIELLO ANTONIO,  			NAPOLITANO VINCENZA, FERRARA GIUSEPPE, DE LUCIA NICOLA e  			PERILLO CARMINE ed altri, in relazione:
 A) al reato di cui all'art. 416 c.p., perché si associavano tra loro  			allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti  			concernenti il traffico illecito di rifiuti, nonché disastro  			ambientale dei luoghi ove sono avvenuti gli sversamenti, il  			Passariello Felice quale organizzatore, costitutore  			dell'associazione organizzava il trasporto e lo smaltimento di  			rifiuti prodotti dalla Italmetalli sud di S. Vitaliano (del  			Passariello Carmine), reperendo i terreni ove tombare i rifiuti  			ricevuti, retribuendo i proprietari ed effettuando gli scavi per  			l'interramento, reperendo e gestendo i mezzi con i quali effettuare  			il trasporto e smaltimento;
 B) al reato di cui all'art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 97 del 1997, art. 53  			bis, perché, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente  			nel non dover sopportare i costi dovuti ordinariamente per lo  			smaltimento di rifiuti presso i siti autorizzati, attraverso  			l'allestimento di mezzi ed attività continuative, attraverso  			l'organizzazione di un servizio di trasporto illecito continuo con  			mezzi non autorizzati ed attraverso l'interramento di rifiuti di  			origine industriale prodotti dall'azienda Italmetalli sud di S  			Vitaliano, ovvero attraverso l'abbandono di rifiuti sul territorio  			senza alcuna precauzione atta ad evitare l'inquinamento,  			organizzavano, cedevano, ricevevano, trasportavano e, comunque,  			gestivano abusivamente, ingenti quantitativi di rifiuti; Fatti  			accertati in S. Vitaliano fino al 7 marzo 2003.
 PASSARIELLO FELICE, PASSARIELLO ANTONIO, NAPOLITANO VINCENZA,  			FERRARA GIUSEPPE, DE LUCIA NICOLA, STANCO GENNARO, Simonetti  			RAFFAELE ed altri, in relazione:
 D) al reato di cui all'art. 416 c.p., perché si associavano tra loro  			allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti  			concernenti il traffico illecito di rifiuti, nonché disastro  			ambientale dei luoghi ove sono avvenuti gli sversamenti, il  			Passariello Felice quale organizzatore, costitutore  			dell'associazione organizzava il trasporto e lo smaltimento di  			rifiuti prodotti dalla Redermet di Casoria (dello Stanco Gennaro) e  			dalla Fercom di Napoli (gestita di fatto dallo Stanco), reperendo i  			terreni ove tombare i rifiuti ricevuti, retribuendo i proprietari ed  			effettuando gli scavi per l'interramento, reperendo e gestendo i  			mezzi con i quali effettuare il trasporto e smaltimento;
 E) al reato di cui all'art. 110 c.p. e D.Lgs n. 97 del 1997, art. 53  			bis perché, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente  			nel non dover sopportare i costi dovuti ordinariamente per lo  			smaltimento di rifiuti presso i siti autorizzati, attraverso  			l'allestimento di mezzi ed attività continuative, attraverso  			l'organizzazione di un servizio di trasporto illecito continuo con  			mezzi non autorizzati ed attraverso l'interramento di rifiuti di  			origine industriale prodotti dall'azienda Redermet di Casoria e dalla  			Fercom di Napoli, ovvero attraverso l'abbandono di rifiuti sul  			territorio senza alcuna precauzione atta ad evitare l'inquinamento,  			organizzavano, cedevano, ricevevano, trasportavano e, comunque,  			gestivano abusivamente, ingenti quantitativi di rifiuti; Fatti  			accertati in Napoli e Casoria fino al maggio 2003 e con condotta  			tuttora perdurante.
 NUNZIATA GIOVANNI, per i reati di cui ai capi N) e O) perché in  			concorso con PERILLO CARMINE e altri violava i sigilli (art. 349,  			e art. 2 c.p.) posti dall'autorità giudiziaria al locali  			dell'azienda Italmetalli Sud di S. Vitaliano, il 10 e l'11 marzo  			2003.
 NUNZIATA GIOVANNI e DE VITO FEDERICO, per i reati di cui ai capi  			P), Q), R) perché in concorso con PERILLO CARMINE ed altri  			violava i sigilli (art. 349, e art. 2 c.p.) posti dall'autorità  			giudiziaria ai locali dell'azienda Italmetalli Sud di S. Vitaliano,  			il 14, 15 e 19 marzo 2003.
 NUNZIATA GIOVANNI per i reati di cui ai capi S) e T) perché in  			concorso con PERILLO CARMINE violava i sigilli (art. 349, e art. 2  			c.p.) posti dall'autorità giudiziaria ai locali dell'azienda  			Italmetalli Sud di S. Vitaliano, il 21 e 24 marzo 2003.  			PASSARIELLO FELICE, PASSARIELLO ANTONIO, NAPOLITANO VINCENZA,  			FERRARA GIUSEPPE, DE LUCIA NICOLA, PERILLO CARMINE, STANCO  			GENNARO, Simonetti RAFFAELE, in relazione:
 Y) al reato di cui all'art. 110 c.p. e 434 c.p., perché in concorso  			tra loro, commettevano una serie di azioni dirette a cagionare un  			disastro ambientale procedendo allo sversamento continuo e ripetuto  			di rifiuti di origine industriale proveniente dalla lavorazione  			dell'alluminio in diverse aree non autorizzate; fatti accertati in  			Acerra e Francolise (CE) fino al 21 marzo 2003, con condotta  			tuttora perdurante.
 1.2 La Corte di appello ha esaminato sia gli articolati motivi di  			appello proposti da molti dei quattordici imputati del procedimento,  			sia l'impugnazione del pm, giungendo ad una parziale riforma della  			sentenza di primo grado, in particolare accogliendo, seppure in  			parte, l'appello dell'accusa, ha ritenuto gli imputati colpevoli del  			delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito di  			rifiuti e disastro ambientale, rideterminando la pena e confermando  			la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili,  			il procedimento era nato da un'indagine su un vasto traffico illegale  			di rifiuti nel territorio di Nola, in particolare rifiuti prodotti  			dalla ItaImetalli di S. Vitaliano, facente capo al Perillo Carmine  			e la Redermet di Casoria e la Fercom di Napoli, facenti capo a  			Stanco Gennaro, ed aveva visto imputati anche altri soggetti, tra i  			quali coloro che gestivano materialmente le fasi di carico, trasporto  			e successivo smaltimento dei rifiuti (Passariello Felice, la  			convivente Napolitano ed il figlio Passatello Antonio), gli  			intermediar tra la Italmetalli e gli autotrasportatori (Ferrara e  			De Lucia), alcuni dipendenti delle società sopraindicate ed anche  			taluni proprietari dei terreni dove venivano illecitamente seppelliti  			i rifiuti, peraltro giudicati separatamente. I giudici di appello  			hanno ritenuto condivisibile la ricostruzione dei fatti già operata  			dal giudice di prime cure, sulla base degli atti processuali, tra i  			quali le testimonianze, le stesse dichiarazioni processuali degli  			imputati, i contenuti delle intercettazioni telefoniche effettuate  			dopo l'arresto di Passariello Antonio, ed hanno pertanto confermato  			la sussistenza della fattispecie associativa, con il ruolo di  			organizzatore e promotore del Passariello Felice (risultando già  			esclusa all'esito del giudizio di primo grado la qualità di  			promotore in capo al Ferrara, Perillo e Stanco), nonché hanno  			ritenuto, andando di diverso avviso al giudice di prime cure, che il  			traffico illecito di rifiuti integrasse la fattispecie di cui al  			D.Lgs n. 22 del 1997, art. 53 bis, in relazione all'ingente  			quantitativo di rifiuti trattati, e che fosse ravvisabile il reato di  			cui all'art. 434 c.p. Nell'ambito della ricostruzione operata sono  			state confermate anche le condanne per le singole violazioni di  			sigilli come contestate, mentre i giudici hanno ritenuto non  			configurabili le originarie imputazioni di truffa aggravata.  			2. Gli imputati PASSARIELLO FELICE, FERRARA GIUSEPPE, DE LUCIA  			NICOLA e NAPOLITANO VINCENZA hanno proposto ricorso per cassazione  			chiedendo l'annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1)  			Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale ex art. 606  			c.p.p., lett. b) in merito alla configurabilità del delitto di cui  			all'art. 434 c.p. e correlato difetto di motivazione, in quanto il  			reato di disastro di cui al capo Y) avrebbe richiesto il verificarsi  			di un pericolo per la pubblica incolumità, che erroneamente sarebbe  			stato individuato nel pericolo per la salute pubblica; inoltre la  			Corte di appello avrebbe errato nel ritenere provata la sussistenza  			di tale pericolo in via astratta, sulla base del fatto che la  			condotta avrebbe potuto determinare la compromissione del bene  			ambiente. Occorreva infatti dimostrare con certezza la reale  			compromissione del bene ed il concreto pericolo per la pubblica  			incolumità. Anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo, i  			giudici di appello avrebbe affermato che gli imputati avevano  			previsto e voluto gli effetti nefasti, mentre la fattispecie in esame  			esclude la possibilità di configurare un dolo eventuale, essendo  			necessario che il soggetto agente agisca al fine di realizzare  			l'evento, ossia compiere un atto diretto a cagionare il disastro,  			quando nel caso di specie è risultato che gli imputati avevano posto  			in essere le condotte di sversamento dei rifiuti al fine di lucrare  			vantaggi economici;
 2) Violazione della legge penale ed extrapenale in riferimento al  			D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, con difetto di motivazione, e  			contraddittoria e/o manifesta illogicità della motivazione in merito  			alla sussistenza del requisito dell'ingente quantità di rifiuti,  			perché è principio consolidato che la fattispecie criminosa di  			attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti richiede  			che l'attività sia abusiva, ossia effettuata senza autorizzazioni e  			comunicazioni previste dalla normativa e che abbia ad oggetto un  			quantitativo ingente di rifiuti che deve essere valutato caso per  			caso, tenendo conto del rapporto tra il quantitativo di rifiuti  			illecitamente gestito e l'intero quantitativo di rifiuti trattati.  			Invece la Corte di appello non avrebbe spiegato tali elementi, mentre  			i fatti commessi rientravano più correttamente nelle ipotesi di cui  			all'art. 51 del citatao D.Lgs.
 2.1 L'imputato PASSARIELLO ANTONIO ha proposto ricorso eccependo:
 1) Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità  			ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione agli artt. 161, 548, 178 e  			179 c.p.p., rilevando la nullità dell'avviso di deposito e  			dell'estratto della sentenza all'imputato contumace eseguito presso  			il difensore di fiducia, mentre tale notifica è ammessa solo quando  			risulta verificata una causa che rende impossibile la notificazione  			presso il domicilio dichiarato;
 2) Manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione  			della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione  			al requisito della "ingente quantità di rifiuti" necessario a  			configurare il reato di cui al D.Lgs n. 22 del 1997, art. 53 bis, in  			quanto la giurisprudenza aveva affermato che tale requisito non può  			essere desunto solo dalla organizzazione e continuità dell'attività  			di gestione di rifiuti: pertanto i fatti contestati rientrerebbero  			nelle violazioni amministrative di cui al D.Lgs, n. 22 del 1997, art.  			51.
 2.2. L'imputato PERILLO CARMINE, ha presentato ricorso per  			cassazione per i seguenti motivi:
 1) Violazione dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione  			all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento all'atto di  			appello del P.M., da ritenersi inammissibile per indeterminatezza dei  			motivi e perché fondato su elementi di fatto inutilizzabili,  			meramente reiterativi delle richieste di misure cautelari avanzate  			nel corso delle indagini preliminari;
 2) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 416 c.p., comma 2,  			in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) ed e) e difetto  			di motivazione. Dalle acquisizioni probatorie era emerso che il  			Penilo si era servito del Passatello per effettuare lo  			smaltimento dei rifiuti prodotti dalla sua azienda, ma non che fosse  			membro di una consorteria facente capo al Passatello stesso. I  			giudici di appello avrebbero trascurato di esaminare la sussistenza  			della condotta di partecipazione associativa in capo a chi si rivolga  			ad un'associazione per ottenere prestazioni rientranti nel programma  			criminoso di essa, accertamento che era stato oggetto di uno  			specifico motivo di appello;
 3) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 53 bis 22/97 in  			relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), e mancanza e  			manifesta illogicità della motivazione, in quanto i giudici di primo  			grado non avevano ritenuto provato il requisito dell'ingente  			quantitativo sulla base della durata dell'attività illecita (dal  			7/2/2003 al 4/4/2003), delle modalità con le quali venivano  			effettuati i trasporti illeciti, del complessivo numero di automezzi  			e del carico che poteva essere trasportato in ognuno di essi.  			L'opinione contraria espressa nella sentenza della Corte di appello  			è stata fondata invece, senza alcun fondamento di oggettività, sul  			fatto che le intercettazioni in atti renderebbero evidente che i  			quantitativi superati sarebbero di molto superiori a quelli sversati  			in Nocelleto e Lagno Gorgone;
 4) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 434 c.p., comma 1,  			in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e) e mancanza,  			contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perché  			mentre i giudici del Tribunale di Nola avevano ritenuto carente la  			prova del citato reato sia sotto il profilo oggettivo, che sotto  			quello soggettivo (mancando la prova che "sia stato cagionato un  			pericolo per l'incolumità di un numero indeterminato di persone").  			La Corte di appello ha rimproverato tale decisione ritenendo che il  			Tribunale abbia erroneamente ricostruito l'evento di pericolo,  			attraverso un giudizio "ex post" anziché "ex ante". Invero i giudici  			di secondo grado non avrebbero saputo analizzare gli elementi  			costitutivi della fattispecie che richiede sia la commissione di  			fatti diretti a cagionare un disastro che la probabilità che da essi  			possa derivare una lesione della pubblica incolumità (modalità  			quantitativa e qualitativa dell'offesa tipica), dimenticandosi di  			analizzare l'autonomia dell'elemento quantitativo rispetto al  			pericolo per la pubblica incolumità e di verificare se quella  			attività fosse stata realizzata con modalità ed in un contesto  			idonei a determinare la probabilità di un (macro) evento di danno  			materiale ambientale grave, complesso ed esteso, avente l'attitudine  			a mettere in pericolo la vita e l'integrità fisica di una  			collettività indeterminata di soggetti. Non sarebbe stato neppure  			fatto riferimento agli elementi probatori che evidenzierebbero che le  			sostanze ritrovate nel sito di Lagno Gorgone di Acerra erano quelle  			provenienti dallo stabilimento della Italmetalli, gestito dal  			Penilo, ne' i giudici hanno argomentato sulla attitudine degli  			sversamenti a ledere l'integrità fisica di un numero indefinito di  			persone;
 5) Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 434 e 43 c.p. in  			relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) e manifesta illogicità  			della motivazione, in riferimento al punto della sentenza che ha  			affermato la responsabilità per la fattispecie dolosa di cui  			all'art. 434 c.p. in termini apodittici: i giudici avrebbero  			erroneamente affermato che è sufficiente la consapevolezza e la  			illiceità degli illeciti sversamenti per integrare il dolo diretto  			od intenzionale, escludendo la sussistenza del dolo eventuale senza  			tenere in considerazione l'esistenza di differenti componenti  			strutturali nel dolo diretto ed in quello intenzionale.  			2.3. Anche l'imputato DE VITO FEDERICO ha proposto ricorso per  			cassazione lamentando l'insufficiente e mancata motivazione  			relativamente ai capi P), Q) e R), in quanto si è ricavata la  			responsabilità per il reato di violazione di sigilli sulla base  			dell'affermazione della presenza occasionale nello stabilimento e  			travisando le dichiarazioni del Perillo, che aveva riferito il  			ruolo di "palo" solo in capo al Nunziata.
 2.4. Con il ricorso per cassazione NUNZIATA GIOVANNI, ha lamentato  			la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e), in  			relazione all'art. 349 c.p., in quanto risultava evidente che  			l'azione posta in essere era priva di dolo, elemento indispensabile  			per la configurabilità del reato di violazione di sigilli, in quanto  			lo stesso aveva compreso che non poteva essere proseguita alcuna  			attività nell'azienda, ma non che non si potesse entrare nello  			stabilimento, per cui egli era incorso in errore; inoltre ciò che lo  			stesso aveva ammesso non poteva assurgere ad elemento probatorio nei  			suoi confronti.
 2.5. Gli imputati STANCO GENNARO e Simonetti RAFFAELE hanno  			presentato ricorso per i seguenti motivi:
 1) Violazione dell'art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione  			all'art. 597 c.p.p., in quanto la Corte di appello ha condannato gli  			stessi anche per il capo B), per il quale non c'era appello del PM;
 2) Violazione dell'art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione  			all'art. 581 c.p.p., lett. c) per inammissibilità dell'impugnazione  			d'appello del PM, essendo motivata per relationem agli altri imputati  			e generica;
 3) Violazione dell'art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione  			all'art. 191 c.p.p. perché il Tribunale ha utilizzato le  			testimonianze di Cavezza e di Ruffolo, confermative delle  			precedenti testimonianze, senza che il PM procedesse al loro esame, e  			di conseguenza senza che fosse possibile il "controesame";
 4) Violazione dell'art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione  			all'art. 133 c.p. e art. 62 bis c.p., in quanto ha fatto riferimento  			ai precedenti penali ostativi per negare le attenuanti generiche,  			mentre lo Stanco risulta incensurato: quindi la Corte di appello  			avrebbe dovuto esaminare altre circostanze che avrebbero potuto avere  			rilievo ai fini della concessione delle circostanze.  			3. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del  			mare, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, ha depositato in  			data 22 giugno 2011 una memoria con la quale chiede che i ricorsi  			vengano dichiarati infondati.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 1. Attesa la complessità della vicenda ed il numero dei motivi di  			ricorso presentati, gli stessi vengono accorpati per tematiche,  			iniziando dalle impugnazioni che hanno lamentato vizi di natura  			processuale.
 Per quello che attiene all'adombrato vizio della notifica della  			sentenza di appello nei confronti del contumace PASSARIELLO ANTONIO  			(secondo motivo del ricorso presentato dal difensore dello stesso),  			la censura è infondata; infatti, posto che l'estratto contumaciale  			della sentenza di appello risulta notificato all'imputato presso il  			difensore, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, deve essere  			rilevato che il difensore ha poi depositato nei termini i motivi di  			ricorso per cassazione, per cui in concreto, non essendo in  			discussione la richiesta di restituzione nei termini per  			l'impugnazione, nessuna lesione del diritto di difesa è  			riscontrabile. Se infatti l'omessa notifica all'imputato dell'avviso  			di deposito della sentenza comporta, ex art. 548, e art. 3 c.p.p.,  			l'inefficacia per l'imputato stesso della decorrenza del termine ad  			impugnare (diritto che può essere esercitato dall'imputato  			personalmente), risulta altresì evidente che quando il difensore di  			fiducia dell'imputato abbia proposto ritualmente gravame e  			l'imputato, sia pure tardivamente, non abbia formulato motivi di  			ricorso, deve ritenersi che lo stesso abbia avuto conoscenza, tramite  			il proprio difensore, che ha formulato i motivi di ricorso per  			l'imputato, dell'avvenuto deposito della sentenza, e che quindi sia  			stato posto nella condizione di esercitare tutte le facoltà  			concessegli dalla legge, compresa quella di reagire, con  			l'impugnazione, anche apparentemente tardiva, contro le decisioni  			assunte nei suoi confronti. Nel caso di specie risulta pertanto  			evidente, dal comportamento della parte interessata, e dal ricorso  			per cassazione come presentato, che si è verificata la sanatoria  			generale di cui all'art. 183 c.p.p..
 È stato infatti precisato che "la mancata notifica all'imputato  			dell'avviso di deposito di sentenza (o di qualunque altro  			provvedimento impugnabile) configura una nullità di ordine generale  			"a regime intermedio" e non assoluta, che resta sanata, per il  			raggiungimento dello scopo, a norma dell'art. 183 c.p.p., quando i  			motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal  			difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed  			il suo contenuto motivazionale" cfr. Sez. 1, n. 10410 del 24/2/2010,  			Italiano e altri, Rv. 246504).
 2. Altro motivo comune ad alcuni dei ricorrenti (PERILLO CARMINE e  			STANCO GENNARO e Simonetti RAFFAELE) è quello relativo alla  			presunta inammissibilità dell'atto di appello presentato dal  			pubblico ministero - atto di appello che è stato parzialmente  			accolto dai giudici di secondo grado - per genericità e motivazione  			per relationem. Il motivo di ricorso non è fondato: i giudici di  			appello hanno fornito specifica risposta su tale eccezione già  			sollevata dalle difese in appello ed hanno sottoposto a vaglio  			critico l'atto di impugnazione della pubblica accusa (si vedano pag.  			24 e 25 della decisione) precisando che esso conteneva l'esame volto  			a sostenere la sussistenza dei reati per i quali la sentenza di primo  			grado aveva concluso con una pronuncia assolutoria, mediante  			argomentazioni riferite in via specifica agli imputati (ad eccezione  			di tre di essi, in riferimento ai quali i giudici di secondo grado  			hanno affermato l'inammissibilità dell'appello). Sotto tale profilo  			la sentenza impugnata non risulta pertanto censurabile sotto il  			profilo del richiamo per relationem alle memorie presentate dalla  			pubblica accusa nel corso del precedente grado di giudizio. La Corte  			di appello con motivazione esaustiva ha rigettato l'eccezione  			considerando che l'atto impugnatorio del Pm contenesse, comunque, una  			parte nella quale venivano sottoposte ad autonoma critica le  			statuizioni assolutorie della sentenza di primo grado.  			3. Per quanto attiene agli esami testimoniali assunti in grado di  			appello, il ricorso presentato da STANCO E Simonetti ha  			lamentato l'utilizzazione da parte dei giudici di appello delle  			testimonianze dei testi Cavezza e Ruffolo. Anche questa doglianza  			non risulta meritevole di accoglimento. Come sintetizzato nella parte  			relativa allo svolgimento del processo nella sentenza impugnata, la  			Corte di appello, dopo aver celebrato quattro udienze, ha disposto  			con ordinanza la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ed alla  			successiva udienza del 23 settembre 2009, ha iniziato ex novo la  			trattazione del processo per diversa composizione del collegio  			procedente, ribadendo anche tale ordinanza; il Pm e molti dei  			difensori hanno prestato consenso all'utilizzo delle dichiarazioni  			rese da imputati e la maggior parte dei testi, mentre essendovi stata  			opposizione all'utilizzo delle dichiarazioni già rese dai due  			verbalizzanti (Cavezza e Ruffolo) gli stessi sono stati esaminati  			alla successiva udienza del 5 novembre 2009. I giudici di appello  			hanno altresì dato atto sia delle eccezioni avanzate dalla difesa  			dello Stanco che della correttezza dello svolgimento della  			rinnovazione dell'esame, svoltosi mediante conferma da parte dei  			testi delle dichiarazioni precedentemente rese nel corso del  			dibattimento di primo grado e nella possibilità offerta alle parti  			di svolgere il controesame degli stessi (effettuato nei confronti del  			teste Ruffolo da un solo difensore), correttezza connessa al fatto  			che le dichiarazioni precedentemente rese, in quanto legittimamente  			rese e perciò contenute nel fascicolo del dibattimento, possono  			essere utilizzate per essere richiamate dai testi stessi, senza che  			alcun vulnus al principio di oralità potesse essere ravvisato, in  			quanto era stata concessa alle parti la facoltà di svolgere il  			controesame ex novo. L'assunto risulta corretto: la giurisprudenza ha  			affermato che ove in sede di rinnovazione il teste esaminato confermi  			le precedenti dichiarazioni e le parti non ritengano di chiedergli  			chiarimenti o di formulare nuove domande e contestazioni, è  			legittimo utilizzare per relationem il contenuto materiale delle  			precedenti dichiarazioni, in quanto legittimamente acquisite al  			processo (in tal senso, Sez. 1, n. 41095 del 21/9/2004, Scavo, Rv.  			230624; esclude ogni violazione del principio di oralità Sez. 5, n.  			21710 del 26/3/2009, Di Gregorio e altri, Rv. 243894).  			4. I ricorrenti STANCO E Simonetti hanno poi censurato, nel loro  			motivo di ricorso n. 1), il fatto che i giudici di appello li  			avessero condannati anche del reato di cui al capo B) senza che tale  			capo della sentenza fosse stato impugnato dal pubblico ministero. Il  			motivo di ricorso non è fondato: come si evince dalla parte motiva  			della sentenza impugnata specificamente dedicata alle posizioni di  			Stanco Gennaro e Simonetti Raffaele (pagg 49 e 50), gli stessi  			non sono mai stati imputati del reato di cui al capo B), ma di quello  			di cui al capo D), e la condanna degli stessi è stata pronunciata in  			riferimento "ai soli reati sub D) E) ed Y)"; per cui l'indicazione  			del capo B) nel dispositivo della decisione di appello (capo 2 del  			dispositivo stesso) è frutto di un evidente errore materiale e non  			comporta quindi la nullità della decisione.
 5. Passando ai temi di merito, che concernono la sussistenza delle  			ipotesi delittuose ascritte, deve innanzitutto essere premesso che,  			per quanto attiene al sindacato della motivazione della sentenza  			impugnata, il compito del giudice di legittimità non è quello di  			sovrapporre la propria valutazione degli elementi probatori a quella  			compiuta dai giudici di merito, ma quella di stabilire se questi  			ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se  			abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva  			e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano  			esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle  			argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate  			conclusioni a preferenza di altre.
 5.1. Si reputa opportuno innanzitutto esaminare le due fattispecie di  			cui al D.Lgs, n. 22 del 1997, art. 53 bis e dell'art. 434 c.p., la  			cui sussistenza è stata riconosciuta in grado di appello.  			Il delitto previsto dalla norma di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art.  			53 bis (introdotto dalla L. 23 marzo 2001, n. 93) prevede la sanzione  			penale per chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto,  			allestisce una organizzazione con cui gestire continuativamente, in  			modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei  			rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con  			allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero  			attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del  			6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attività deve essere  			"abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie  			(ovvero autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le  			prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio la  			condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti  			nel titolo abilitativo, anche tutte quelle attività che, per le  			modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente  			difformi da quanto autorizzato, si da non essere più giuridicamente  			riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente  			Autorità amministrativa) (si veda Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005,  			P.M. in proc. Fradella, Rv. 232350).
 Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di  			soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della  			illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non  			esclusiva attività. Quindi per perfezionare il reato è necessaria  			una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e  			capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti  			in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in  			continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale:
 alia pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto,  			corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è  			abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le  			realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3,  			n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermato anche da Sez.  			3, n. 29619 dell'8/7/2010, Leoratì e altri, Rv. 248145, in  			riferimento alla vigente fattispecie, omologa a quella dell'art. 53  			bis dell'ormai abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997, di cui al D.Lgs. n.  			152 del 2006, art. 260).
 Per quanto attiene al requisito dell'ingente quantitativo di rifiuti,  			da sempre la dottrina prevalente ha ritenuto che fosse il giudice a  			doverlo valutare in base a criteri oggettivi, fondati sul mero dato  			quantitativo; altri invece lo hanno posto in riferimento  			all'ipotizzabile danno ambientale conseguente alla potenziale  			dispersione dei rifiuti nel sistema ed ai costi del ripristino  			ambientale. La giurisprudenza ha, sin dall'inizio, sottolineato il  			fatto che tale elemento non può essere desunto dalla semplice  			organizzazione e continuità dell'attività di gestione, dovendo  			sempre essere rapportato al quantitativo di rifiuti illecitamente  			gestiti. In particolare è stato precisato che la nozione di ingente  			quantitativo deve essere riferita al quantitativo di materiale  			complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che,  			se considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta e  			che tale requisito non può essere desunto automaticamente dalla  			stessa organizzazione e continuità dell'abusiva gestione di rifiuti  			(Cfr. Sez. 3, n. 12433 del 15/11/2005, P.M. in proc. Costa, Rv.  			234009); occorre insomma tenere conto della finalità della norma e  			dell'interesse dalla stessa tutelato (in tal senso, Sez. 3, n. 358  			del 20/11/2007, Putrone e altro, Rv. 238558 e già Sez, 3, n. 40827  			del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348). Per quanto attiene all'elemento  			psicologico, la giurisprudenza ha chiarito che ®ai fini della  			sussistenza del dolo specifico richiesto per l'integrazione del  			delitto di gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti, il  			profitto perseguito dall'autore della condotta può consistere anche  			nella semplice riduzione dei costi aziendali (in tal senso. Sez. 4,  			n. 28158 del 2/7/2007, P.M. in proc. Costa, Rv. 236907), in quanto  			l'ingiusto profitto non deve necessariamente assumere natura di  			ricavo patrimoniale, potendo consistere o nel risparmio di costi od  			anche nel perseguimento di vantaggi di altra natura" (Così Sez. 3,  			n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232349 e sez. 3, n. 40828 del  			6/10/2005, P.M. in proc. Fradella, Rv. 232351). È stato anche  			approfondito l'atteggiarsi dell'elemento soggettivo di questa  			fattispecie da parte del partecipe di un'associazione delinquenziale  			diretta all'illecito smaltimento di rifiuti, con ripartizione interna  			dei compiti, per evidenziare, ad esempio, che anche il dipendente di  			una ditta, pur non risultando avere diretto interesse ai profitti in  			quanto tale, concorre al conseguimento degli stessi, che  			rappresentano l'obiettivo delle condotte illecite dell'attività di  			illecito smaltimento di rifiuti (in tal senso, si veda la parte  			motiva di Sez. 2, n. 19839 del C26/4/2006, Di Giovanni, non  			massimata).
 5.2. La sentenza impugnata nel riconoscere la responsabilità degli  			specifici imputati per il reato di cui trattasi (contestato ai capi  			B) e D) ha pienamente rispettato il dovere motivazionale imposto in  			caso di cd. overruling. La giurisprudenza di legittimità ha,  			infatti, affermato il principio che "in tema di motivazione della  			sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza  			assolutoria di primo grado, il giudice ha l'obbligo di confutare in  			modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di  			assoluzione", come anche "di valutare le ulteriori argomentazioni non  			sviluppate in tale decisione ma comunque dedotte dall'imputato dopo  			la stessa e prima della sentenza di secondo grado, pronunciandosi  			altresì sui motivi di impugnazione relativi a violazioni di legge  			Intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell'imputato e da  			questi non dedotte per carenza di interesse, nonché sulle richieste  			subordinate avanzate dall'imputato stesso in sede di discussione nel  			giudizio di primo grado". (Cfr. Sez. 6, n. 22120 del 29/4/2009,  			Tatone e altri Rv. 243946).
 La sentenza qui impugnata ha puntualmente confutato le ragioni poste  			a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, dimostrandone  			Tinsostenibilità sul piano logico e giuridico", dando compiuta  			ragione delle scelte operate e "della maggiore considerazione  			accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati"  			(Cfr., per tutte, Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv.  			242330). La sentenza impugnata ha sostituito la valutazione espressa  			dal giudice di prime cure in ordine alla configurabilità della  			fattispecie di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, con la  			propria, attraverso una ricostruzione di perfetta tenuta logica ed in  			linea con gli orientamenti giurisprudenziali appena menzionati.  			Il Tribunale infatti aveva ritenuto sussistente l'attività di  			gestione organizzata di rifiuti abusivi, motivando in dettaglio gli  			elementi costitutivi della stessa, ma non aveva ritenuto che la  			quantità degli stessi fosse ingente, perché aveva assunto a  			quantitativi valutabili solo quelli constatati direttamente, nella  			loro materialità, nel corso delle indagini, ossia quelli relativi  			agli sversamenti effettuati nelle due sole discariche di Nocelleto in  			Francolise e di Lagno Gorgone.
 Di contro, la Corte di appello ha rivisitato tutti i fatti come  			accertati ritenendo che dovessero computarsi nel quantitativo globale  			di rifiuti anche quelli oggetto dei numerosissimi trasporti e  			sversamenti emersi dalle conversazioni intercettate, seppure in quei  			casi i pedinamenti non fossero sfociati nella diretta osservazione  			dello sversamento e nell'individuazione della discarica autorizzata.  			La valorizzazione del contenuto delle intercettazioni ritualmente  			acquisite e la deposizione del M.llo Cavezza ha condotto la Corte  			di appello ad una valutazione dell'attività di smaltimento illecito  			nel suo complesso, alla luce di principi giurisprudenziali già  			ricordati, che si è conclusa con l'affermazione che i quantitativi  			di rifiuti trattati erano stati "di molto superiori" a quelli  			sversati nelle due discariche anzidette, come del resto riconosciuto  			dallo stesso giudice di prime cure, il quale aveva riferito che nel  			periodo monitorato furono osservati uscire dalla Italmetalli circa 20  			camion (ognuno dei quali trasportava 200-250 quintali di materiale) e  			dalla Redermet e Fercom circa 25 camion, trasportanti analoghi  			quantitativi (si vedano le pagg. 32 e 33 della sentenza).  			Dunque, la sentenza impugnata ha correttamente rapportato il vaglio  			estimativo dei dati "parlati" (ossia dedotti dall'ampio compendio  			delle conversazioni intercettate) a dati oggettivi, quali i carichi  			di rifiuti che furono concretamente osservati dagli ufficiali di  			polizia giudiziaria operanti, mentre venivano sversati ed interrati  			nelle zone di Nocelleto e Lagno Gorgone, nonché il numero dei camion  			carichi di rifiuti che furono visti uscire dalle società coinvolte  			nel traffico illecito. Gli argomenti utilizzati nella sentenza  			impugnata risultano plausibili e ragionevoli e già del resto  			utilizzati ampiamente in giurisprudenza (cfr. per analogo rilievo  			della "res parlata", in materia di stupefacenti, la parte motiva di  			Sez.5, n.43377 del 28 ottobre 2010, Biba e altri, non massimata)  			5.3 Per quanto attiene al delitto di disastro di cui all'art. 434  			c.p. (capo Y), la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che  			nell'ipotesi dolosa di cui al primo comma, la soglia per integrare il  			reato è anticipata - diversamente dall'ipotesi colposa per la quale  			è necessario che l'evento si verifichi - al momento in cui sorge il  			pericolo per la pubblica incolumità, mentre qualora il disastro si  			verifichi risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal  			secondo comma dello stesso art. 434 c.p. (Cfr. Sez. 4, n. 4675 del  			17/5/2006, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235668). Requisito  			del reato di disastro di cui all'art. 434 c.p. è "la potenza  			espansiva del nocumento unitamente all'attitudine ad esporre a  			pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone,  			sicché, ai fini della configurabilità del medesimo, è necessario  			un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente  			immane" (cfr. Sez. 3, n. 9418 del 16/1/2008, Agizza, Rv. 239160). È  			stato precisato (Sez. 5, n. 40330 dell'11/10/2006, Pellini,  			Rv.236295) che "è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un  			carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo,  			collettivamente, un numero indeterminato di persone che  			l'eccezionalità della dimensione dell'evento desti un esteso senso  			di allarme, sicché non è richiesto che il fatto abbia direttamente  			prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo  			pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente  			insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si  			identificano danno ambientale e disastro qualora l'attività di  			contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli  			con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di  			durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto  			straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la  			prova di immediati effetti lesivi sull'uomo". Quindi il delitto di  			disastro innominato di cui all'art. 434 c.p., comma 1, quindi, è  			reato di pericolo a consumazione anticipata che si perfeziona con la  			condotta di "immutatio loci", purché questa si riveli idonea in  			concreto a mettere in pericolo l'ambiente; esso si realizza quando il  			pericolo concerne un danno ambientale di eccezionale gravità,  			seppure con effetti non necessariamente irreversibili qualora venga a  			verificarsi, in quanto il danno provocato potrebbe pur sempre essere  			riparabile con opere di bonifica.
 5.4. Nel caso concreto, i giudici di appello, con ampia ed esaustiva  			motivazione (pagg. 33-37), hanno innanzitutto affermato quale  			necessaria premessa metodologica la verifica della sussistenza del  			pericolo per la salute pubblica, da accertare con un giudizio ex  			ante, dovendosi ritenere raggiunta la prova del pericolo a fronte  			della "elevata probabilità" della compromissione del bene ambiente,  			senza necessità di ricercare la prova dei verificarsi di tale  			compromissione. Hanno poi ripercorso le risultanze degli accertamenti  			svolti nel territorio di Acerra, Nola, compresi i dati delle analisi  			dell'ARPAC (che avevano ritenuto trattarsi di "rifiuti pericolosi  			costituiti da scorie di fonderia unite a polveri di abbattimento fumi  			misti al cd. "fluff", corrispondente alla parte leggera delle  			autovetture, cioè le spugne, i filtri, i tubi di frizione, tutto  			materiale non riciclabile", così come menzionato nella sentenza di  			primo grado a pag. 25) e quelli della disposta consulenza tecnica, la  			quale ha stabilito che le sostanze illecitamente smaltite erano  			rifiuti pericolosi provenienti dalla metallurgia termina  			dell'alluminio, con rischio R45 cancerogeno, sostanze che erano state  			sversate in territori particolarmente vulnerabili per le loro  			caratteristiche morfo-lito-idrogeologiche. In tale situazione i  			giudici di merito hanno ritenuto che l'imponente contaminazione di  			siti realizzata dagli indagati mediante le condotte ripetute di  			scarico di una quantità ingente di rifiuti ed il loro occultamento  			mediante sotterramento, qualifichi tali condotte, nel senso che le  			stesse sono state idonee in concreto ad incidere nell'ambiente con  			conseguenze gravi e potenzialità lesive nei confronti  			dell'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone,  			sicché hanno causato un pericolo concreto ed effettivo, sia per la  			durata nel tempo del traffico illecito, sia per l'incidenza concreta  			dell'attività di interramento con inquinamento del terreno e  			contaminazione altamente probabile. Di conseguenza i giudici hanno  			concluso ritenendo la sussistenza dell'ipotesi delittuosa di disastro  			ambientale di cui al comma 1 dell'art. 434 c.p..
 Quanto all'elemento psicologico, i giudici di appello hanno ritenuto,  			con motivazione immune da censure, che risultasse evidente, anche per  			lo specifico expertise degli imputati a ragione delle attività  			svolte, la piena consapevolezza in capo agli stessi della  			"qualità/pericolosità" dei rifiuti che venivano ad essere  			illecitamente smaltiti e quindi hanno ritenuto sussistente il dolo  			del delitto di disastro ambientale, reato che non richiede come  			obiettivo specifico la volontà di porre in pericolo l'incolumità  			pubblica, bastando la consapevolezza che le condotte poste in essere,  			magari per altri fini come quello di profitto, siano idonee a mettere  			a repentaglio il bene ambiente.
 L'analisi e la valutazione degli elementi sulla cui base è stata  			affermata l'esistenza del pericolo di disastro ambientale (e la  			consapevolezza e volizione di tale pericolo in capo agli imputati) -  			pericolo ritenuto nel caso di specie più che concreto per la  			contaminazione del suolo, attese le connotazioni di durata, ampiezza  			e intensità delle condotte di traffico illecito di rifiuti - è  			stata espressa nella decisione impugnata con motivazione ampia,  			coerente, plausibile e rappresenta un giudizio sul fatto, giudizio di  			merito come tale insindacabile in questa sede.
 5.5. Pertanto il ricorso presentato da PASSATELLO FELICE, FERRARA  			GIUSEPPE, DE LUCIA NICOLA, NAPOLITANO VINCENZA, il secondo  			motivo di ricorso avanzato da PASSARIELLO ANTONIO ed il terzo,  			quarto e quinto motivo censurati nel ricorso presentato da PERILLO  			CARMINE, risultano infondati.
 6. Risultano prive di fondamento anche le censure relative alla  			mancata motivazione circa gli elementi che indurrebbero a ritenere  			sussistente in capo al Perillo la condotta di partecipazione  			all'associazione a delinquere (secondo motivo del ricorso di  			PERILLO CARMINE).
 Occorre premettere che la giurisprudenza di legittimità ha fornito  			chiare direttrici interpretative sulla struttura dell'elemento  			associativo e sui requisiti di partecipazione al consortium sceleris.  			È stato precisato che non è richiesta l'apposita creazione di una  			organizzazione, sia pure rudimentale, "ma è sufficiente una  			struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa  			e già dedita a finalità lecita, ne' è necessario che il vincolo  			associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che  			esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più  			reati predeterminati, con la conseguenza che non si richiede un  			notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche  			un'attività associativa che si svolga per un breve periodo" (Cfr.  			Sez. 5, n. 31149 del 5/5/2009, Occioni e altro, Rv. 244486 e n. 12525  			dell'1/12/2000, Buscicchio ed altri, Rv 217459). Quanto alla non  			necessità di una struttura gerarchica, si veda Sez. 1, n. 17027 del  			10/4/2003, Facie altro, Rv. 224808 e sulla non coincidenza tra  			minimum organizzatorio e numero di imputati del processo, la Sez. 6,  			n. 12845 del 6/4/2005, Biancucci e altri, Rv 231237, ha precisato che  			"è possibile dedurre l'esistenza della realtà associativa, anche  			sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può  			risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente  			estesa a più di due persone", mentre ha confermato la sufficienza di  			una minima organizzazione la Sez. 4, n. 22824 del 3/7/2006, Qose ed  			altri, Rv. 234576, per la quale "la ricerca dei tratti organizzativi  			è essenzialmente diretta a provare, attraverso tale dato  			sintomatico, l'esistenza dell'accordo indeterminato a commettere più  			delitti che di per sè concreta il reato associativo.
 Di particolare interesse, anche in relazione alla vicenda del caso di  			specie la precisazione più recente (seppure riferita ad una  			associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati di  			commercializzazione di sostanze dopanti) secondo la quale  			"l'esistenza del vincolo associativo ben può desumersi dalla  			stabilità dei collegamenti tra acquirente e fornitore delle  			sostanze, quale elemento che garantisce, al secondo, la  			consapevolezza di un sicuro smercio delle stesse e, al primo, la  			sicurezza in ordine ad una stabile fonte di approvvigionamento" (Cfr.  			Sez. 3, n. 9499 del 29/1/2009, Pellegrino e altro, Rv. 243016).  			La sentenza impugnata ha confermato il giudizio circa la sussistenza  			della fattispecie associativa, rectius, delle fattispecie  			associative, e la dichiarazione di responsabilità degli imputati in  			riferimento ai delitti di cui ai capi A) e D), anche con richiamo  			specifico all'ampia motivazione della sentenza di primo grado che  			già aveva espresso identico giudizio.
 Sul punto è bene ricordare che, quando le sentenze di primo e  			secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli  			elementi di prova posti a fondamento di un punto della decisioni, la  			struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella  			precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo  			(Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell'8/2/2007, Conversa e  			altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell'8/8/2000, Sangiorgi, Rv.  			216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale  			integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici  			di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte  			dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice  			e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai  			passaggi logico-giuridici della decisione.
 Quanto al punto della decisione relativo alla fattispecie  			associativa, i primi giudici avevano affermato con certezza  			l'esistenza di due compagini associative, operanti in maniera  			indipendente, seppure composte in parte dalle stesse persone legate  			da vincoli stabili, aventi quali reati scopo il trasporto illecito di  			rifiuti anche pericolosi ed il loro sversamento in discariche  			abusive, Cuna riferibile allo smaltimento dei rifiuti della  			Italmetalli Sud e l'altra a quello delle società Redermet e Fercom,  			con Passariello Felice nel ruolo di promotore ed organizzatore  			degli altri sodali ed i diversi ruoli degli altri imputati  			specificamente indicati. Nel confermare tale giudizio la decisione  			impugnata ha analizzato non solo la esistenza della fattispecie  			associativa, ma le posizioni dei singoli imputati rispetto al  			consortium sceleris, senza per nulla confondere il reato associativo  			con il reato fine di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53. In  			particolare, per quanto attiene alla posizione del Perillo, ha  			dato congrua e logica risposta alle censure che erano state già  			avanzate in grado di appello, evidenziando che la presenza di un  			intermediario tra lo stesso ed il Passariello Felice, nella persona  			del coimputato Ferrara, non era di ostacolo a ritenere inserito il  			Perillo nella struttura associativa, in quanto quest'ultimo,  			commissionando e pagando le attività di trasporto e sversamento  			illecito dei rifiuti, aveva di certo contribuito, con tale condotta  			volontaria e pienamente consapevole, agli scopi del sodalizio ed  			aveva recato un apporto necessario al mantenimento dello stesso.  			Nè può essere rilevante la diversa modalità di percezione dei  			profitti dei reati-fine: come affermato dai giudici di appello, con  			motivazione esaustiva ed in linea con gli arresti della  			giurisprudenza, il fatto che i responsabili delle società che  			smaltivano illecitamente i rifiuti ricevessero il loro profitto per  			effetto del risparmio dei più elevati costi di smaltimento lecito  			degli stessi, mentre il Passariello lo ottenesse quale pagamento  			dei trasporti e delle operazioni materiali di illecito smaltimento,  			non ha alcuna rilevanza ai fini della sussistenza delle due strutture  			associative; ne' è di ostacolo il fatto che il Passariello ed i  			suoi familiari organizzassero e gestissero i trasporti per due  			diverse compagini associative.
 La cd. affectio societatis, in forza del quale gli aderenti sono  			portati ad operare nel settore del traffico dei rifiuti, nella  			consapevolezza che le attività proprie ed altrui ricevano  			vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all'attuazione del  			programma criminale non suppone un accordo formalizzato, ma  			l'esistenza, di fatto, di una struttura organizzativa, in cui si  			innesta il contributo apportato dal singolo nella prospettiva del  			perseguimento dello scopo comune, per cui ben possono aversi  			strutture plurime, anche mutanti nelle loro componenti soggettive e,  			nel caso di specie, essendo promotore ed organizzatore  			dell'associazione il titolare della ditta di trasporti, è evidente  			che era stato suo precipuo interesse stringere accordi di durata per  			molteplici attività di trasporto e smaltimento con diverse società  			(e con diversi proprietari di terreni, necessari all'Illecito  			smaltimento per interramento).
 Il Collegio di appello ha anche analizzato nello specifico (pag. 47 e  			48 della sentenza) le censure che il Perillo aveva proposto già  			in quella sede proprio in relazione alla sua condotta partecipativa  			(con le quali aveva lamentato la mancanza di rapporti diretti con  			l'organizzatore Passariello Felice ed aveva posto l'attenzione sul  			ruolo di intermediario del coimputato Ferrara), per respingere le  			stesse con puntuali e logiche argomentazioni, richiamando gli  			elementi probatori (dichiarazioni testimoniali, quelle di alcuni dei  			coimputati e le intercettazioni) dai quali ha tratto logico  			fondamento per confermare la condanna nei confronti del Perillo in  			relazione alla condotta di partecipazione all'associazione a  			delinquere. La motivazione della decisione sul punto risulta congrua,  			ancorata alle prove raccolte e priva di smagliature logiche e  			pertanto anche lo specifico motivo di ricorso deve essere respointo.  			7. Del pari, i motivi di ricorso avanzati dagli imputati DE VITO  			FEDERICO e NUNZIATA GIOVANNI, in riferimento al delitto di cui  			all'art. 349 c.p., sono infondati, in quanto reiterano censure già  			avanzate in grado di appello, alle quali la sentenza impugnata ha  			già dato compiuta e congrua risposta (pagg. 37-39 e 50-53).  			8. Pur dovendo respingere tutti motivi di ricorso fin qui esaminati.  			Questa Corte deve determinare con precisione il tempus commissi  			delicti, per verificare se i reati come riconosciuti dalla Corte di  			appello di Napoli siano o meno estinti per intervenuta prescrizione,  			considerando anche le eventuali sospensioni del suo decorso  			verificatesi nel corso del giudizio.
 Orbene occorre tener conto che i reati di cui al D.Lgs n. 22 del  			1997, art. 53 bis all'art. 434 c.p. ed all'art. 349 c.p. si  			estinguono per prescrizione nel termine lungo di sette anni e mezzo  			(ex art. 157, comma 1, art. 161 c.p., comma 2) e che, nello stesso  			arco temporale, i termini di prescrizione spirano anche in relazione  			al reato di partecipazione all'associazione a delinquere di cui  			all'art. 416 c.p., comma 2. Infatti, anche se i delitti in questione  			risultano commessi nel 2003, e quindi nella vigenza della disciplina  			della prescrizione che è stata poi radicalmente modificata dalla  			legge cd. ex-Cirielli (L. 5 dicembre 2005, n. 251), in applicazione  			delle disposizioni transitorie, devono essere applicati i termini di  			prescrizione introdotti con l'attuale disciplina, in quanto più  			favorevoli e in quanto il procedimento de quo non era pendente in  			grado di appello al momento di entrata in vigore della legge (ex art.  			10, comma 3).
 Per procedere ad un'esatta collocazione temporale delle fattispecie  			ascritte ad alcuni dei ricorrenti, è necessario brevemente esaminare  			il significato della contestazione "con condotta tuttora perdurante",  			indicata in relazione ai capi D) (associazione a delinquere), E)  			(D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis) e Y) (art. 434 c.p.).  			È stato affermato che nei reati permanenti, il giudice del  			dibattimento deve appurare, attraverso l'interpretazione del capo di  			imputazione nel quale non sia indicata la cessazione della permanenza  			(contestazione cd. "aperta"), se la fattispecie concreta sia già  			esaurita prima o contestualmente all'accertamento del fatto reato,  			ovvero la condotta risulti ancora in atto (cfr. Sez. 5, n. n. 3348  			dell'1/2/2000, Gnecchi Ruscone, Rv. 215585), fermo restando, secondo  			alcune pronunce, il limite invalicabile della protrazione del reato  			segnato dalla sentenza di primo grado (in tal senso, tra le altre,  			Sez. 1, n. 17265 dell'8/4/2008, Zavettieri, Rv. 239628, fattispecie  			in tema di reato associativo, principio affermato anche in relazione  			alle problematiche del ne bis in idem): secondo altre pronunce, il  			momento temporale della formulazione dell'imputazione (così Sez. 3,  			n. 13168 del 23/2/2005, Stoia, Rv. 231226), per cui "ogni slittamento  			del termine di cessazione della permanenza necessita di una formale  			contestazione integrativa da parte dell'accusa, indipendentemente dal  			fatto che nel capo di imputazione sia stata indicata la data di  			cessazione della permanenza o sia stata lasciata eventualmente aperta  			la relativa contestazione". Per quanto attiene al delitto di  			attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, lo stesso  			è reato abituale in quanto è integrato necessariamente dalla  			realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. la già  			citata Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Casetta, Rv. 245605 e Sez. 3,  			n. 29619 dell'8/7/2010, Leorati e altri, Rv. 248145), per cui la  			contestazione circa il momento di consumazione dell'ultimo  			comportamento (a differenza che nel reato permanente, ove è  			possibile, nel caso non sia indicata la data di cessazione della  			permanenza, che l'originaria contestazione venga estesa al successivo  			sviluppo della fattispecie criminosa emergente dall'istruttoria  			dibattimentale, senza necessità di una ulteriore specifica  			contestazione da parte del pubblico ministero) resta ferma all'ultima  			attività ivi indicata, in quanto fatti ulteriori, eventualmente  			acclarati in dibattimento, devono essere sempre oggetto di  			contestazione all'Imputato "sia che servano a perfezionare o ad  			integrare la fattispecie criminosa rispettivamente enunciata nel capo  			di imputazione, sia - e a maggior ragione - che costituiscano una  			serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di  			continuazione" (in tal senso, Sez. 6, n. 4636 del 28/2/1995, Cassani,  			Rv. 201149).
 Orbene dalla lettura delle decisioni di merito emerge con chiarezza  			che i fatti oggetto del presente giudizio attengono ai vincoli  			associativi posti in essere tra il Passariello, i suoi familiari e  			i soggetti responsabili o comunque coinvolti nella gestione delle  			società sopramenzionate ed alle condotte di illecito trasporto,  			smaltimento di rifiuti industriali provenienti dalla lavorazione di  			alluminio, con sversamento degli stessi in aree non autorizzate: i  			fatti esaminati e provati nel corso del doppio grado di giudizio sono  			certamente limitati al tempus commissi delicti indicato nel capo di  			imputazione, non solo in riferimento al reato abituale di cui al  			D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis ed al reato di cui all'art. 434  			c.p., ma anche in relazione alla fattispecie di associativa, non  			risultando spesa nella motivazione alcuna argomentazione circa  			l'eventuale accertata prosecuzione delle condotte di partecipazione  			associativa di cui al capo D), oltre l'indicata data del maggio 2003.  			Pertanto, tenuto conto che dall'esame del fascicolo di primo grado  			risulta una sospensione del dibattimento per l'adesione dei difensori  			all'astensione dalle udienze, proclamata dall'associazione di  			categoria, per la durata di mesi quattro e quindici giorni (dall'11  			luglio 2006 al 28 novembre 2006), il reato di cui al capo A) ascritto  			agli imputati diversi da Passariello Felice, commesso in data 7  			marzo 2003, risulta prescritto in data 22 gennaio 2011; il reato di  			cui al capo D) ascritto agli imputati diversi da Passariello  			Felice, commesso in data 1 maggio 2003, risulta prescritto in data  			16 marzo 2011. I reati ascritti ai capi B) ed E), vanno del pari  			dichiarati prescritti perché estinti rispettivamente in data 22  			gennaio 2011 e 16 marzo 2011; anche il reato di cui al capo D)  			risulta prescritto in data 5 febbraio 2011. Tutti I reati di  			violazione di sigilli sono, del pari, prescritti in forza del  			medesimo calcolo, essendo gli stessi stati posti in essere in un arco  			di tempo circoscritto dal 10 al 24 marzo 2003 (quindi prescritti al  			gennaio 2011).
 9. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza  			rinvio nei confronti di Passariello Antonio, Napolitano Vincenzo,  			Ferrara Giuseppe, De Lucia Nicola, Perillo Carmine Andrea, De  			Vito Federico, Nunziata Giovanni, Stanco Gennaro, Simonetti  			Raffaele, per essere i rispettivi reati estinti per prescrizione.  			Devono essere considerati assorbiti dalla pronuncia quei motivi che  			si sono limitati a sottoporre a censura le statuizioni sanzionatorie  			(ricorso di STANCO, quanto al mancato riconoscimento delle  			attenuanti generiche e Simonetti, quanto alla dosimetria della  			pena inflitta).
 10. Di contro, l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 416 c.p., comma 1  			ascritta al Passariello Felice ai capi A) e D), essendo punita con  			la pena edittale massima di sette anni, si prescrive nel termine  			lungo di otto anni e nove mesi al quale va aggiunto il menzionato  			periodo di sospensione del decorso della prescrizione e quindi, il  			termine prescrizionale sarebbe maturato il 22 aprile 2012 per la  			prima fattispecie associativa contestata e il 16 giugno 2012, per la  			seconda. Pertanto nei confronti di Passariello Felice, la sentenza  			impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai capi  			B), E) ed Y) per essere i reati estinti per prescrizione con  			eliminazione della relativa pena di dieci mesi di reclusione, mentre  			i restanti motivi del ricorso di Passariello Felice devono essere  			rigettati, pertanto, e per effetto del disposto dei cui all'art. 616  			c.p.p., Passariello Felice va condannato al pagamento delle spese  			processuali del grado.
 Questo Collegio conferma, inoltre, le statuizioni civili e condanna i  			ricorrenti alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti  			civili costituite, che liquida per il Comune di Acerra in complessivi  			Euro 3.000 oltre spese ed accessori di legge e per Verde Ambiente e  			Società in complessivi Euro 2.800 oltre spese ed accessori di legge.  			P.Q.M.
 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di  			Passariello Antonio, Napolitano Vincenzo, Ferrara Giuseppe, De  			Lucia Nicola, Perillo Carmine Andrea, De Vito Federico,  			Nunziata Giovanni, Stanco Gennaro, Simonetti Raffaele, per  			essere i rispettivi reati estinti per prescrizione. Annulla senza  			rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Passariello Felice,  			limitatamente ai capi B), E) ed Y) per essere i reati estinti per  			prescrizione ed elimina la relativa pena di dieci mesi di reclusione.  			Rigetta nel resto il ricorso di Passariello Felice, che condanna al  			pagamento delle spese processuali del grado. Conferma le statuizioni  			civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del grado  			sostenute dalle parti civili costituite, che liquida per il Comune di  			Acerra in complessivi Euro 3.000 oltre spese ed accessori di legge e  			per Verde Ambiente e Società in complessivi Euro 2.800 oltre spese  			ed accessori di legge.
 Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.
 Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011
 
                    




