TAR Piemonte Sez.I n. 674 del 13 maggio 2016
Rifiuti.Fusione di una società ed obblighi di ripristino ambientale
Una volta appurato, in base alla legge che regola il processo di fusione societaria, che la società originata dalla fusione succede in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo alla società incorporata, le conseguenze derivanti dal comportamento messo in atto da quest’ultima, anche in punto di responsabilità per ripristino ambientale, non possono che ricadere sulla società che vi subentra in universum ius: diversamente ragionando, del resto, si otterrebbe un agevole espediente per consentire all’organismo societario colpevole di una contaminazione di liberarsi dagli obblighi di bonifica semplicemente mediante un’operazione di fusione societaria, in tal modo davvero giungendo ad un inaccettabile e surrettizio aggiramento del principio “chi inquina paga”.
N. 00674/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00849/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 849 del 2015, proposto da:
ALCATEL-LUCENT ITALIA S.P.A., rappresentata e difesa dagli avv. Stefano Verzoni, Claudio Vivani, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Torino, corso Galileo Ferraris, 43;
contro
PROVINCIA DI ASTI, rappresentata e difesa dagli avv. Franca Rizzo, Massimo Caniggia, Marco Faggiano, con domicilio fissato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. in Torino corso Stati Uniti, 54;
COMUNE DI ASTI, rappresentato e difeso dall'avv. Claudia Ferraris, con domicilio fissato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. in Torino corso Stati Uniti, 54;
AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTALE PER IL PIEMONTE – A.R.P.A.;
AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTALE PER IL PIEMONTE – A.R.P.A. - DIPARTIMENTO PROVINCIALE DI ASTI;
AZIENDA SANITARIA LOCALE DI ASTI - A.S.L. AT;
REGIONE PIEMONTE;
nei confronti di
ARVIN MERITOR SUSPENSION SYSTEMS S.R.L.;
IAO - INDUSTRIE RIUNITE - S.P.A., rappresentata e difesa dagli avv. Carlo Merani, Roberto Serventi, con domicilio eletto presso il loro studio in Torino, Galleria Enzo Tortora, 21;
per l'annullamento
- della Determinazione del Dirigente della Provincia di Asti, Servizio Ambiente, Ufficio Area Tecnica Ambientale (acqua, aria, energia, rifiuti, suolo), n. 1262 dell' 11 maggio 2015, recante "Contaminazione da cromo esavalente e solventi clorurati presso lo stabilimento sito in Via Antica Cittadella 2 nel Comune di Asti, in corrispondenza dell'Area `Vecchia cromatura'- Diffida ad effettuare la bonifica", comunicata via PEC con nota della Provincia di Asti, Area Territorio, in data 18 maggio 2015;
- della nota del Comune di Asti, Settore Patrimonio, Ambiente e Lavoro, del 2 aprile2015, recante "Contaminazione da solventi clorurati presso lo stabilimento sito in via Antica Cittadella 2 nel Comune di Asti, in corrispondenza dell'area `Vecchia Cromatura', parere ai sensi del d.lgs. 152/2006 art. 244";
- della nota di ARPA Piemonte, Dipartimento provinciale di Asti, prot. n. 91312 del 3 novembre 2014, recante "Sito in bonifica ARVIN-I.A.O. area 'Vecchia Cromatura'- Asti" e dell'allegato parere tecnico;
- di tutti gli atti o provvedimenti presupposti, connessi e conseguenti, ancorché non conosciuti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Asti, del Comune di Asti e di IAO - Industrie Riunite - S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2016 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con determina n. 1262, dell’11 maggio 2015, il dirigente del Servizio Ambiente della Provincia di Asti ha diffidato la società Alcatel-Lucent Italia s.p.a. “a procedere alla bonifica dello stabilimento sito in via Antica Cittadella 2 nel Comune di Asti, in corrispondenza dell’area ‘Vecchia cromatura’, secondo quanto previsto dal D.Lgs. 152/2006 all’art. 244, comma 2 [...]”, invitandola a presentare, entro il termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento, “una proposta operativa per la bonifica delle aree contaminate da cromo esavalente e da solventi clorurati, ad integrazione delle attività di bonifica già operate sul sito [...] e tenendo in considerazione i risultati delle indagini già condotte sul sito”.
Nelle premesse dell’atto, in particolare, l’amministrazione ha ricostruito “la lunga e complessa storia del sito, che ha visto succedersi nel corso di oltre cento anni varie attività produttive in distinte sotto-aree dello stabilimento, gestite da diversi soggetti”. Si tratta dello stabilimento industriale denominato “Ex Way-Assauto”, originariamente di proprietà di Fabbriche Riunite Way Assauto s.p.a., poi ridenominata nel 1975 in IAO Industrie Riunite s.p.a. (c.d. “vecchia IAO”), che dagli anni Cinquanta del secolo scorso ha svolto “attività di produzione di ammortizzatori, comprendente l’attività di cromatura dello stelo, attività divenuta pressoché esclusiva a partire dal 1975”. Dopo l’incorporazione, nel 1981, della IAO Industrie Riunite s.p.a. nella SIETTE s.p.a. – si legge ancora nelle premesse dell’atto – nel 1986 lo stabilimento industriale è stato da quest’ultima conferito alla ITT Industrie Riunite s.r.l. (successivamente ridenominata in IAO Industrie Riunite s.p.a.: cd. “nuova IAO”) mentre, nello stesso anno, la SIETTE s.p.a. veniva venduta al gruppo Alcatel per poi essere incorporata, per fusione, in Alcatel Face s.p.a., successivamente ridenominata Alcatel-Lucent Italia s.p.a.
La motivazione del provvedimento, prendendo le mosse dalla già iniziata procedura di bonifica sul sito (procedura iniziata nel 1998, e tuttora in atto), ha poi riferito della sentenza del Tribunale di Asti, n. 180 dell’8 marzo 2012, “nella quale è stata riconosciuta la responsabilità della società Alcatel-Lucent Italia S.p.A. nell’inquinamento da Cromo esavalente e da Solventi organo clorurati riscontrati sull’area in oggetto”, con citazione, in particolare, dei passaggi della sentenza in cui si dice che “... la durata dell’esposizione a questo tipo di sostanze si colloca nel periodo di gestione i cui debiti sono riferibili ad Alcatel S.p.A.” e che “... le società non erano, a partire dagli anni 80, a digiuno di tematiche ambientali in quanto avevano già dovuto affrontare le problematiche”. Sono state, quindi, richiamate le conclusioni della perizia del 4 luglio 2008 della prof. Mariachiara Zanetti, consulente tecnico del Tribunale, nonché il parere dell’ARPA, Dipartimento di Asti, del 3 novembre 2014 e le relazioni redatte dal prof. Luigi Ariati (del 5 ottobre 2000, in qualità di consulente tecnico del p.m. nel procedimento penale aperto in seguito al ritrovamento del cormo esavalente) e dalla dott.ssa Alessandra Aragno (consulente tecnico d’ufficio nel procedimento civile promosso da ArvinMeritor Suspension System s.r.l. contro IAO Industrie Riunite s.p.a.). Sono state, inoltre, citate le conclusioni raggiunte – su entrambe le matrici di inquinamento, cromo esavalente e solventi clorurati – dalla relazione redatta dall’ing. Paolo Rabitti e dal dott. geol. Gian Paolo Sommaruga del 28 luglio 2014 (in qualità di consulenti tecnici del giudice istruttore nella causa civile da ultimo richiamata). Alla luce di tutti questi dati, quindi, la Provincia di Asti – previo parere favorevole del Comune di Asti, prot. n. 29418 del 1° aprile 2015 – è giunta alla conclusione di dover “individuare nella Società Alcatel-Lucent Italia S.p.A. uno dei soggetti responsabili della contaminazione da cromo esavalente e solventi clorurati per quanto attiene l’area ‘Vecchia cormatura’”.
2. Non ritenendo legittimo siffatto provvedimento, la Alcatel-Lucent Italia s.p.a. l’ha impugnato dinnanzi a questo TAR, insieme ai menzionati pareri dell’ARPA e del Comune di Asti, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, per i motivi che di seguito si riportano sinteticamente:
- violazione del principio “chi inquina paga”, di cui all’art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006: ciò, in quanto la ricorrente non avrebbe mai gestito lo stabilimento industriale né potrebbe essere considerata responsabile di una contaminazione avvenuta negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso quando essa “non aveva [...] alcun legame né fattuale né giuridico con l’area in questione e, più in generale, con il sito industriale”;
- violazione degli artt. 3-ter, 239, 242 e 244 del d.lgs. n. 152 del 2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta: ciò in quanto, in base alla ricostruzione storica delle vicende societarie, la ricorrente “non può essere subentrata in alcun obbligo in ipotesi riferibile alle precedenti imprese che hanno operato sul sito”, sia perché già in capo all’incorporata SIETTE s.p.a. non poteva dirsi sussistente alcun obbligo di bonifica, posto che all’epoca (1991) non era ancora vigente alcuna norma che imponesse tale obbligo (con invocazione, al riguardo, della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 6055 del 2008), sia perché, già a far data dal 1986, lo stabilimento industriale era comunque stato conferito a terzi (la ITT Industrie Riunite s.r.l., ossia la c.d. “nuova IAO”) sicché la società ricorrente, al momento di incorporare la SIETTE s.p.a. (1991), non sarebbe affatto subentrata nei rapporti facenti capo a detto stabilimento;
- difetto di istruttoria e di motivazione; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta, sotto altro profilo: tanto si deduce per contestare la presunta responsabilità della stessa SIETTE s.p.a., società incorporata nell’odierna ricorrente, nella contaminazione del sito denominato “Vecchia Cromatura”. Non idonei sarebbero, secondo la ricorrente, gli elementi istruttori utilizzati dall’amministrazione per chiamarla in responsabilità: non il parere dell’ARPA del 3 novembre 2014, privo – a suo dire – di riscontri analitici puntuali sul pur affermato coinvolgimento della ricorrente, in particolare per quanto concerne il nesso di causalità; e non le varie perizie giudiziarie citate nel provvedimento impugnato, le quali si fonderebbero su criteri marcatamente probabilistici, senza che l’amministrazione abbia proceduto “ad autonomi accertamenti e valutazioni”. Peraltro, evidenzia la ricorrente, la perizia Rabitti-Sommaruga, pur citata nel provvedimento impugnato, condurrebbe a conclusioni del tutto divergenti: quanto all’inquinamento da cromo esavalente, esso sarebbe ivi indicato come derivante da sversamenti avvenuti nel diverso reparto denominato “Nuova Cromatura”; quanto alla contaminazione da solventi clorurati, quella perizia ne individuerebbe la fonte nella (diversa) “zona Fergom” peraltro indicando un periodo di rilascio successivo al 1994;
- violazione degli artt. 9 e 10 della legge n. 241 del 1990: ciò in quanto, nel corso del procedimento, l’amministrazione non avrebbe dovutamente valutato le osservazioni presentate dalla società ricorrente, di conseguenza frustrandone le garanzie partecipative;
- violazione dell’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006: l’ordine rivolto alla ricorrente dalla Provincia, ossia quello di presentare “una proposta operativa per le aree contaminate”, non troverebbe riscontro nell’invocata disposizione di legge la quale invece imporrebbe, in successione, diversi tipi di adempimenti, quali la caratterizzazione del sito, l’analisi del rischio e, solo alla fine, l’eventuale azione di bonifica;
- incompetenza: l’ordine di bonifica sarebbe dovuto provenire non dalla Provincia di Asti ma, in considerazione dell’ubicazione del sito (che si trova interamente nel territorio comunale), dal Comune di Asti, ai sensi del riparto di competenza delineato dagli artt. 4 e 3, comma 1, lett. d, della legge della Regione Piemonte n. 42 del 2000, e successivamente confermato dall’art. 43 della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2007, con invocazione del precedente giurisprudenziale costituito dalla sentenza n. 155 del 2012 di questo TAR.
3. Si sono costituiti in giudizio, con successivi ed autonomi atti, la IAO- Industrie Riunite s.p.a. (c.d. “nuova IAO”), la Provincia di Asti ed il Comune di Asti, questi ultimi due in persona, rispettivamente, del dirigente pro tempore del Servizio Ambiente (giusta norma dello Statuto provinciale) e del Sindaco pro tempore, tutti depositando documenti e chiedendo il rigetto del gravame.
Le due amministrazioni resistenti, in particolare, hanno diffusamente contestato la fondatezza dei vari motivi di gravame, sia in fatto che in diritto, previa ricostruzione storica dei fatti ritenuti rilevanti ai fini del decidere.
4. Con ordinanza n. 288 del 2015 questo TAR ha respinto la domanda cautelare, non ritenendo sussistente il requisito del periculum in mora.
5. In vista della pubblica udienza di discussione, la società ricorrente e la Provincia resistente hanno svolto difese, anche nella forma delle rispettive repliche.
La società ricorrente, in particolare, ha riferito che con sentenza n. 2214 del 16 dicembre 2015 (depositata in atti) la Corte d’Appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Asti che l’amministrazione provinciale aveva posto a fondamento della chiamata in responsabilità della Alcatel-Lucent s.p.a.: in particolare, la sentenza di appello ha affermato che “in realtà né la relazione della CTU prof.ssa Zanetti in atti né gli altri documenti forniscono emergenze probatorie certe in ordine alla provenienza e datazione delle presunte infiltrazioni da cromo esavalente precedenti all’incidente del reparto ‘nuova cromatura’ verificatosi nel 1999, né in ordine alla sicura provenienza del cromo diffusosi per dilavazione, in area imprecisata, dal reparto ‘vecchia cromatura’ [...] né, soprattutto (e questo appare dirimente), in ordine ai quantitativi ed alle percentuali di cromo immesso nelle acque e pervenuto ai pozzi dei privati ubicati a valle dell’area del sito industriale...”. Con memoria depositata il 27 gennaio 2016, poi, la ricorrente ha eccepito l’inammissibilità di alcuni documenti depositati dalla Provincia resistente in data 15 gennaio 2016, per violazione del termine di deposito di cui all’art. 73, comma 1, cod. proc. amm., in relazione alla data fissata per l’udienza pubblica di discussione.
Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2016, dopo articolata discussione tra le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La società ricorrente è proprietaria di alcune aree, risultate inquinate da cromo esavalente e da solventi clorurati, situate nel territorio del Comune di Asti e coincidenti con la sede di un vecchio stabilimento industriale, noto come “stabilimento Ex Way- Assauto”, nel quale si producevano automobili.
I fatti rilevanti ai fini del decidere possono così essere riassunti. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, lo stabilimento si specializzò nella produzione di ammortizzatori per automobili, eseguendo le relative lavorazioni industriali, in particolare quelle di cromatura dello stelo, presso il laboratorio oggi noto con il nome di “Vecchia cromatura” (per distinguerlo dall’altro laboratorio, ubicato in posizione diversa, denominato “Nuova cromatura”, dove analoghe lavorazioni sono proseguite nel corso degli anni Ottanta e Novanta). All’epoca la gestione dello stabilimento industriale faceva capo alla società Fabbriche Riunite Way Assauto s.p.a., poi diventata IAO Industrie Riunite s.p.a. (c.d. “vecchia IAO”). Nel 1981 questa società si fuse, per incorporazione, nella SIETTE s.p.a. la quale, dunque, continuò a gestire detto stabilimento. Nel 1986 la SIETTE s.p.a. cedette lo stabilimento, ivi compreso il laboratorio “Vecchia cromatura”, ad un terzo soggetto, la società ITT Industrie Riunite s.r.l. la quale successivamente, nel 1991, cambiò la ragione sociale in IAO Industrie Riunite s.p.a. (c.d. “nuova IAO”). Sempre nell’anno 1991 la SIETTE s.p.a., ormai come detto privatasi dello stabilimento, si fuse per incorporazione nella Alcatel Face s.p.a., poi ridenominata, nel 2007, Alcatel-Lucent Italia s.p.a. (odierna ricorrente).
Nel frattempo, l’attività industriale dello stabilimento proseguiva sotto la gestione della ArvinMeritor Suspension Systems Italia s.r.l., società in favore della quale la “nuova IAO” (proprietaria, come detto, dello stabilimento industriale) aveva concesso in locazione una parte rilevante del sito, ed in particolare il nuovo laboratorio denominato “Nuova Cromatura” attivo dal 1981. E proprio durante la gestione della ArvinMeritor s.r.l., nel 1999, si è verificato l’episodio dell’“acqua gialla”, sintomo dell’inquinamento della falda freatica da cromo esavalente, inquinamento derivante dalle fessurazioni di una tubazione del reparto di cromatura: da tale episodio ha avuto origine sia il procedimento penale a carico dell’ingegnere responsabile del servizio per la tutela dell’ambiente di ArvinMeritor s.r.l. sia il procedimento civile per il risarcimento del danno, promosso da alcuni cittadini abitanti nella zona, poi conclusosi in primo grado con la sentenza del Tribunale di Asti n. 1294 del 10 febbraio 2003.
1.1. In particolare quest’ultima sentenza, in punto di fatto, e con l’ausilio della relazione del c.t.u. Zanetti, ha individuato tre scenari di inquinamento sul sito.
Un primo scenario è quello derivante dallo sversamento del cromo esavalente a causa della lesione della tubatura del reparto “Nuova Cromatura”, verificatosi – come detto – nel 1999: è stata qui affermata la responsabilità civile della ArvinMeritor s.r.l., all’epoca gestore dell’industria, ai sensi dell’art. 2050 c.c.
Un secondo scenario è l’inquinamento c.d. “storico” da cromo esavalente, derivante dal sottosuolo del reparto “Vecchia Cromatura” impregnato dalla sostanza inquinante utilizzata per le lavorazioni industriali messe ivi in atto negli anni (all’incirca) 1960-1980: al riguardo, la sentenza ha affermato la responsabilità civile sia di SIETTE s.p.a. e, per essa, di Alcatel-Lucent ai sensi dell’art. 2560, comma 1, c.c. (a norma del quale, in tema di cessione di azienda, “L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito”), sia dei gestori successivi, e quindi della “nuova IAO” e della ArvinMeritor s.r.l., per questi ultimi sotto forma di responsabilità omissiva ex art. 2051 c.c. posto che, pur sussistendo già la consapevolezza dell’inquinamento in atto, non fu fatto nulla per impedire la penetrazione del cromo esavalente nella falda.
Un terzo scenario, infine, è quello c.d. “storico” per inquinamento da solventi clorurati, causalmente ricollegato ad un’attività industriale risalente ad almeno cinquant’anni prima, con conseguente responsabilità sia della SIETTE s.p.a. e della Alcatel Lucent che l’ha inglobata (a titolo di responsabilità commissiva ex art. 2050 c.c.) sia della “nuova IAO” e della ArvinMeritor (a titolo di responsabilità omissiva ex art. 2051 c.c.).
Proprio prendendo a fondamento la ricostruzione operata da questa sentenza (e, per essa, dalla perizia del c.t.u. Zanetti, nonché le perizie svolte nel corso del procedimento penale per il reato ambientale), la Provincia di Asti ha individuato nella società odierna ricorrente “uno dei soggetti responsabili della contaminazione da cromo esavalente e solventi clorurati per quanto attiene l’area ‘Vecchia cromatura’” (ossia, responsabile per i due scenari di inquinamento c.d. storico) e, per l’effetto, le ha ordinato di presentare “una proposta operativa per la bonifica delle aree contaminate”. Ciò, ad integrazione delle attività di bonifica ancora in corso e già in precedenza avviate sul sito, a partire dagli anni 2000, da parte delle società riconosciute responsabili per l’inquinamento da cromo esavalente del 1999 (ossia, la “nuova IAO” e la ArvinMeritor s.r.l.).
2. Così ricostruiti i fatti salienti della vicenda per cui è causa – e riservandosi, comunque, di integrare questa ricostruzione nel corpo dei seguenti paragrafi, soprattutto con riguardo alla sentenza di appello del 2015 che ha parzialmente riformato la pronuncia del Tribunale di Asti – il Collegio deve preliminarmente dichiarare l’inammissibilità dei documenti depositati dalla Provincia resistente in data 15 gennaio 2016.
Si tratta infatti di un deposito avvenuto oltre il termine di 40 giorni liberi prima della pubblica udienza di discussione, a norma dell’art. 73, comma 1, cod. proc. amm., senza che al riguardo sia individuabile alcuna ragione giustificatrice del ritardo ai sensi dell’art. 54 cod. proc. amm. né si sia registrato alcun assenso ad opera delle controparti (cfr., ex multis, questo TAR Piemonte, sez. II, sentt. nn. 386 e 537 del 2015 e n. 134 del 2016) le quali, anzi, hanno espressamente sollevato un’apposita eccezione di inammissibilità.
3. Ragioni logiche e sistematiche impongono di iniziare la disamina del merito dall’ultima delle censure formulate dalla società ricorrente, ossia quella di incompetenza.
Assume la ricorrente che, poiché il sito contaminato si trova interamente nel territorio del Comune di Asti, avrebbe dovuto essere quest’ultima amministrazione ad intervenire con l’ordine di bonifica e non invece la Provincia di Asti: ciò, in base all’ordine di competenze delineato ai sensi degli artt. 4 e 3, comma 1, lett. d, della legge della Regione Piemonte n. 42 del 2000, come successivamente confermati dall’art. 43 della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2007.
La censura non è fondata.
Non vi è dubbio che, nel caso di specie, la Provincia abbia agito in base a quanto prescritto dall’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, a norma del quale spetta alle Province, “dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida [re] con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”. La competenza ad adottare l'ordinanza finalizzata ad assicurare la tutela ambientale, nelle ipotesi di accertato superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), è stata quindi assegnata, dal legislatore nazionale, alla Provincia e non al Comune, in ragione verosimilmente dei molteplici interessi pubblici coinvolti in episodi di inquinamento i quali normalmente trascendono l'ambito territoriale comunale (cfr., in giurisprudenza, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. n. 959 del 2010). Non conferente, peraltro, è il richiamo alla normativa regionale piemontese dalla quale, invero, non discende la competenza dei Comuni per l’adozione delle ordinanze di diffida ma solo, a tutto voler concedere, quella relativa all’approvazione ed all’autorizzazione dei progetti di bonifica predisposti dai privati.
Né, infine, appare condivisibile l’invocazione della sentenza n. 155 del 2012 di questo TAR nella quale la pur affermata competenza del Comune ha riguardato, in quel caso (pur sempre afferente alla medesima fattispecie oggetto dell’odierno giudizio), l’adozione di un ordine di “caratterizzazione di dettaglio” che si andava ad inserire nell’ambito di un “procedimento di bonifica progressiva” già in atto e già, in precedenza, avviato dallo stesso Comune ai sensi della normativa in allora vigente. Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, si tratta di un procedimento avviato ex novo dalla Provincia di Asti, in base alla legge vigente ratione temporis, sia pure nell’ambito della complessiva vicenda relativa all’inquinamento dell’area “Ex Way-Assauto” (e quindi in necessario raccordo con quanto già in atto, in particolare con le operazioni di bonifica già avviate sin dal 2000, sul medesimo sito, dalla società ArvinMeritor).
4. Deve quindi passarsi alla disamina dei motivi di impugnazione di natura sostanziale, afferenti alla legittimità del coinvolgimento della società ricorrente, come soggetto responsabile, nella complessa vicenda più sopra descritta. In primo luogo, vi è la censura di violazione del principio euro-unitario del “chi inquina paga”, sotto il profilo per cui la società ricorrente sarebbe sempre rimasta estranea alla gestione dello stabilimento industriale.
La censura non è fondata.
Dai fatti sopra richiamati emerge, in modo evidente, che i due scenari di contaminazione c.d. storica, derivanti dal laboratorio “Vecchia Cromatura”, sono iniziati a delinearsi, in tutta la loro gravità, già durante la gestione della IAO Industrie Riunite s.p.a. (c.d. “vecchia IAO”) nel corso del ventennio 1960-1980. La società “vecchia IAO” è poi confluita, per incorporazione, nella SIETTE s.p.a. la quale, nel 1991, si è a sua volta fusa per incorporazione con la società odierna ricorrente. Sul tema della sorte dei rapporti giuridici afferenti alla società fusa, in particolare con riguardo alla responsabilità per inquinamento di siti industriali, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto occasione di pronunciarsi, riconoscendo che tali rapporti passano in successione universale alla società incorporante anche nel regime giuridico precedente alla modifica dell'art. 2504-bis c.c. ad opera del d.lgs. n. 6 del 2003. Si è così ritenuto che, pure nella precedente formulazione di quest’ultima norma, “la fusione di una società determinava una situazione giuridica corrispondente alla successione universale con la contestuale sostituzione nella titolarità di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi (ex pluribus cfr. Cass. Sez. lav., 22 marzo 2010, n. 6845; Cass. Sez. Un., 28 dicembre 2007, n. 27183; Cass. Sez. 3, 13 marzo 2009, n. 6167; Cass. 6 maggio 2005, n. 9432; Cass. 25 novembre 2004, n. 22236; Cass. 3 agosto 2005, n. 16194; Cass. 24 giugno 2005, n. 13695), come si evince dalla precedente formulazione dell'art. 2504 bis c.c., comma 1, la quale statuiva che ‘la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte’ (è proprio il riferimento testuale alle ‘società estinte’ che ha indotto giurisprudenza e dottrina a ritenere che si tratti di successione a titolo universale)” (così, condivisibilmente, TAR Veneto, sez. III, sent. n. 255 del 2014). E si è pertanto concluso, con specifico riguardo alla tematica della tutela contro gli inquinamenti, che gli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica, maturati a carico della società estinta, si trasmettono in capo alla società originata dalla fusione (cfr. TAR Toscana, sez. II, sent. n. 573 del 2011).
Da queste conclusioni il Collegio non trova motivo di discostarsi, né esse appaiono confliggere con l’invocato principio euro-unitario del “chi inquina paga”. Una volta appurato, in base alla legge che regola il processo di fusione societaria, che la società originata dalla fusione succede in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo alla società incorporata, le conseguenze derivanti dal comportamento messo in atto da quest’ultima, anche in punto di responsabilità per ripristino ambientale, non possono che ricadere sulla società che vi subentra in universum ius: diversamente ragionando, del resto, si otterrebbe un agevole espediente per consentire all’organismo societario colpevole di una contaminazione di liberarsi dagli obblighi di bonifica semplicemente mediante un’operazione di fusione societaria, in tal modo davvero giungendo ad un inaccettabile e surrettizio aggiramento del principio “chi inquina paga”.
5. Con un secondo motivo di censura la ricorrente solleva il problema dell’applicazione “retroattiva” della responsabilità per inquinamento ambientale e del conseguente obbligo di bonifica, in quanto disciplina introdotta nel nostro ordinamento soltanto con il d.lgs. n. 22 del 1997. Ciò in quanto, nel caso di specie, nel momento in cui la società ricorrente ha incorporato per fusione la SIETTE s.p.a. (1991), “in capo alla stessa S.I.E.T.T.E. non sussisteva alcun obbligo di bonifica”, proprio perché non era ancora vigente il d.lgs. n. 22 del 1997, “e dunque non vi era alcun obbligo che potesse transitare ad Alcatel-Lucent tramite l’incorporazione di S.I.E.T.T.E.”.
Il profilo di censura non è fondato.
La giurisprudenza amministrativa ha ormai chiarito che l’inquinamento, in coerenza con il principio “chi inquina paga”, costituisce una fattispecie di illecito amministrativo permanente poiché l'evento – la compromissione dell'ambiente – continua a sussistere fin quando viene rimossa la contaminazione (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 5283 del 2007; TAR Emilia-Romagna, Parma, sent. n. 218 del 2011; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. n. 50 del 2013; TAR Veneto, sez. III, sent. n. 255 del 2014). In tale cornice si è quindi ritenuto che l’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997 (a norma del quale “Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”), norma che peraltro presenta profili di continuità sostanziale con disposizioni pregresse (si vd., ad es., la legge n. 319 del 1976, specie agli artt. 21 ss., circa gli inquinamenti derivanti dagli scarichi nelle acque superficiali, nelle pubbliche fognature e nei terreni), abbia comunque un ulteriore autonomo rilievo, nel senso che essa non solo ha previsto gli strumenti normativi tali da condurre alla bonifica dei siti inquinati dopo la sua entrata in vigore, ma ha inteso affrontare anche le situazioni verificatesi in precedenza, come del resto si evince con chiarezza anche dall'art. 114, comma 7, della legge n. 388 del 2000 che ha previsto – in presenza di determinati presupposti – una causa di non punibilità per chi avesse commesso l'inquinamento prima dell'entrata in vigore della norma del 1997 (così, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4466 del 2015). L’applicabilità degli obblighi di bonifica, di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, anche alle situazioni di inquinamento già in atto alla data della sua entrata in vigore, del resto, discende anche da quanto disposto dall’art. 9, commi 3 e 6, del d.m. n. 471 del 1999, a norma del quale, per le situazioni di inquinamento o di pericolo di inquinamento derivanti da eventi verificatisi in data precedente, viene stabilita una particolare modalità di individuazione della decorrenza dell’obbligo di bonifica.
Non ignora il Collegio che vi è un diverso orientamento giurisprudenziale (rappresentato, specialmente, dalla sentenza n. 6055 del 2008 del Consiglio di Stato, sez. V, invocata dalla ricorrente, ma anche, ad es., da TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. n. 1913 del 2007) il quale ritiene che un’estensione applicativa degli obblighi di ripristino ambientale a fattispecie risalenti a prima del 1997 determinerebbe “una non consentita applicazione retroattiva della legge”. Ritiene tuttavia il Collegio – in ciò confortato dai numerosi arresti giurisprudenziali più recenti i quali hanno consolidato l’opposta interpretazione – che non può tecnicamente parlarsi di un’applicazione “retroattiva” delle disposizioni del d.lgs. n. 22 del 1997 (applicazione che, peraltro, il legislatore ben avrebbe potuto disporre, in ragione degli interessi primari della tutela dell'ambiente e della salute), ma di un’applicazione delle sue disposizioni alle situazioni di inquinamento accertate dopo la sua entrata in vigore (così Cons. Stato, sent. n. 4466 del 2015, cit.) le quali, pur cagionate in precedenza, pur tuttavia perdurano oltre, così prolungando la situazione di illiceità finché perdura la contaminazione.
In quanto situazione di danno permanente, in definitiva, la responsabilità per le fattispecie di inquinamento può essere scissa in due condotte, una commissiva, generatrice dell'inquinamento stesso, ed una omissiva, laddove ci si astiene dal porre in essere quelle condotte per eliminare la situazione dannosa e permanente causata (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, sent. n. 204 del 2014). Nel caso di specie, pertanto, ben poteva (e doveva) la Provincia di Asti imputare alla responsabilità dell’odierna ricorrente la situazione di inquinamento c.d. storico sull’area della “Vecchia Cromatura”, trattandosi di soggetto (come detto) succeduto in universum ius a quello che dapprima aveva dato causa all’inquinamento (sul punto, si vd. infra, par. n. 7)e che, poi, si è astenuto dall’eliminare la situazione dannosa cagionata.
6. Sempre nell’ambito del secondo motivo di impugnazione, la ricorrente ha dedotto l’eccesso di potere per travisamento dei fatti sostenendo che, già a far data dal 1986, lo stabilimento industriale era comunque stato conferito a terzi (la ITT Industrie Riunite s.r.l., ossia la c.d. “nuova IAO”) sicché la società ricorrente, al momento di incorporare la SIETTE s.p.a. (1991), non sarebbe affatto subentrata nei rapporti facenti capo a detto stabilimento.
Anche questo profilo di censura non è fondato.
Come già in precedenza evidenziato, infatti, la società ricorrente, a seguito della fusione del 1991, è comunque subentrata nella titolarità di tutti i rapporti che già facevano capo all’ente incorporato (SIETTE s.p.a.), ivi compresi, quindi, anche gli obblighi di ripristino per l’inquinamento cagionato nel ventennio 1960-1980. Non ha pertanto alcuna rilevanza che, nel 1986, lo stabilimento industriale fosse uscito dalla disponibilità e dalla gestione della società incorporata: quello che conta è che quest’ultima, al momento della fusione con la società ricorrente, avesse già nel proprio patrimonio la posta passiva costituita dalla responsabilità per i due scenari c.d. storici di inquinamento del sito industriale, posta passiva che essa, a propria volta, aveva acquisito dalla sua dante causa (ossia, dalla IAO Industrie Riunite s.p.a. – c.d. “vecchia IAO” –, precedente gestore della “Vecchia Cromatura”, con cui si era fusa nel 1981).
7. Il terzo motivo di censura non è fondato.
Pur potendosi convenire con la ricorrente in ordine alla sostanziale apoditticità sia del parere ARPA del 3 novembre 2014 (il quale pare semplicemente appoggiarsi alle valutazioni già rese dalla c.t.u. Zanetti, senza offrirne di proprie ed autonome), sia del parere del Comune di Asti del 2 aprile 2015, la chiamata in responsabilità della società ricorrente rimane tuttavia saldamente ancorata, anzitutto, alle conclusioni cui è giunta la consulenza tecnica della prof.ssa Zanetti, quali fatte proprie dalla Provincia di Asti nell’atto impugnato. La relazione conclusiva è chiara nel collocare temporalmente l’inquinamento del sottosuolo, per entrambe le matrici inquinanti (cromo esavalente e solventi clorurati), in corrispondenza del laboratorio “Vecchia Cromatura”, al periodo 1960-1980, ossia all’epoca in cui si è svolta la gestione industriale della “vecchia IAO”; ed anzi, con specifico riguardo allo scenario del cromo esavalente, la relazione della prof.ssa Zanetti evidenzia che anche dopo il 1980 “sarebbe stato possibile evitare con accorgimenti tecnici, il contatto tra il suolo inquinato e l’acqua di falda, in particolare dopo l’esecuzione del piano di caratterizzazione SIAL (1989) che aveva indicato il sottosuolo dell’area della vecchia cromatura anni 60-80 come inquinato”, con ciò evocando espressamente una forma di responsabilità da omissione da ascrivere, almeno in parte, in capo alla SIETTE s.p.a., succeduta (come visto) alla vecchia IAO sin dal 1981.
E’ pur vero che il collegamento causale tra la gestione industriale e l’inquinamento è descritto, nella perizia, in termini probabilistici (la relazione utilizza l’avverbio “presumibilmente”), ma è anche vero che nel diritto processuale amministrativo, quanto all’accertamento del nesso causale in materia di evento illecito, non si richiede una certezza che vada al di là di ogni ragionevole dubbio (come avviene, invece, nel campo dell’accertamento penalistico), ma vige il principio del “più probabile che non”. Più in particolare, secondo un filone giurisprudenziale che trova l’adesione del Collegio, per poter presumere l'esistenza di un siffatto nesso di causalità l'Autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore (così, ad es., TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 2117 del 2012), tutti elementi indiziari che ben ricorrono nella presente fattispecie e che sono rinvenibili nella citata perizia della prof.ssa Zanetti. Non ignora il Collegio che, secondo un diverso filone giurisprudenziale, di più recente matrice, sarebbe invece necessario un più rigoroso accertamento, al fine di individuare il responsabile dell'inquinamento, nonché il nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all'effetto consistente nella contaminazione, accertamento che dovrebbe quindi presupporre un’adeguata istruttoria procedimentale e che non potrebbe fondarsi solo su mere presunzioni (in tal senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 3756 del 2015). A giudizio di questo Collegio, tuttavia, appare preferibile l’altra opzione ermeneutica, in quanto più aderente alla ratio ed alla lettera della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, del 9 marzo 2010, in causa C-378/08 (cui ha sostanzialmente aderito la successiva decisione della stessa Corte, sez. III, del 4 marzo 2015, causa C-534/13), nella quale si è affermato (par. nn. 57 e 58) che, “conformemente al principio «chi inquina paga», l'obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento” e che “per poter presumere secondo tali modalità l'esistenza di un siffatto nesso di causalità l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. [...] Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato”.
Ne consegue che quanto osservato dalla Corte d’Appello di Torino, nella sentenza n. 2214 del 16 dicembre 2015 (con cui è stata parzialmente riformata la sentenza civile di primo grado del Tribunale di Asti, presa a fondamento dalla Provincia resistente per l’adozione dell’ordinanza di ripristino ambientale a carico di Alcatel-Lucent), in ordine alla mancanza di “emergenze probatorie certe” sulle infiltrazioni da cromo esavalente precedentemente all’episodio dell’incidente del 1999, non può condurre a mandare esente da responsabilità la società ricorrente nell’ambito di questo giudizio amministrativo. Come detto, quella responsabilità deriva dagli indizi, precisi e concordanti, raccolti e ragionevolmente valutati dal consulente tecnico d’ufficio del Giudice civile e (in seconda battuta) dall’amministrazione, indizi che consistono sia nella coincidenza del posto ove era ubicato il laboratorio “Vecchia Cromatura” (gestito dalle danti causa della ricorrente) con quello in cui si è verificato il duplice scenario c.d. storico di inquinamento, sia nella pacifica corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e le sostanze utilizzate dall’operatore nell’esercizio della propria attività industriale (si vd., al riguardo, con specifico riferimento ai solventi clorurati, quanto riporta la perizia Rabitti-Sommaruga a pag. 124: “... la metà degli anni ’50 è il periodo in cui si iniziano ad usare massicciamente i solventi clorurati e perché inizia la produzione di ammortizzatori. Siamo arrivati fino alla metà del 1966 perché il 3 giugno di quell’anno è la data dell’ultimo scarico di solventi ricavabile dal registro carico-scarico”).
Quanto alla perizia Rabitti-Sommaruga (sulla quale pure si appuntano le censure di parte ricorrente) va osservato che essa, pur concentrandosi nella sua analisi soprattutto sull’inquinamento da cromo esavalente cagionato dall’incidente del 1999, ha nondimeno dato per “assodato” che la contaminazione da cromo esavalente abbia interessato entrambi i laboratori di cromatura, quello vecchio e quello nuovo (pag. 121: “... sono presenti due zone in cui il terreno risulta fortemente contaminato da CR VI: la vecchia cromatura, sul lato ovest, e la nuova cromatura, posta al centro del lato sud”), affermando espressamente che, oltre all’episodio di contaminazione del 1999, è emerso “un inquinamento da CR VI, di minore portata, dovuto probabilmente ad attività preesistenti” (pag. 123). Quanto alla matrice dei solventi clorurati, come già visto la perizia Rabitti-Sommaruga è chiara nel ricollegarla alla produzione di ammortizzatori ed al conseguente massiccio uso, nelle industrie di produzione (come quella che si è svolta su sito Ex Way-Assauto), proprio dei solventi clorurati, così giungendo, nella tabella riepilogativa di pag. 124, ad attribuire notevoli percentuali di responsabilità per la contaminazione proprio alle società danti causa dell’odierna ricorrente. Si hanno elementi sufficienti, pertanto, per poter ritenere confermata, in base al principio “più probabile che non”, la responsabilità della società ricorrente (e delle sue danti causa), così come correttamente ritenuto dall’amministrazione procedente.
8. Non è fondato, poi, il quarto motivo, incentrato sulla dedotta violazione degli artt. 9 e 10 della legge n. 241 del 1990. A differenza di quanto ritenuto dalla ricorrente, infatti, nell’ordinanza impugnata l’amministrazione ha compiuto una (sia pur sintetica) valutazione delle controdeduzioni che erano state sollevate in corso di procedimento, proprio mediante il richiamo alle conclusioni cui erano giunte le perizie giudiziarie più sopra citate. Non si può, pertanto, convenire con la ricorrente allorché questa ha lamentato la frustrazione delle proprie garanzie partecipative.
Peraltro, le osservazioni che erano state recapitate all’amministrazione in corso di procedimento sono perfettamente sovrapponibili ai motivi di censura poi riproposti in questa sede giurisdizionale, motivi che – come visto – sono tuttavia non fondati. Ne deriva che, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, anche a voler ammettere che l’amministrazione abbia commesso la denunciata violazione procedimentale, nella specie risulta dimostrato che nessun utile apporto l’interessata avrebbe comunque potuto offrire alla valutazione dell’amministrazione (risultando non fondate tutte le sue argomentazioni di natura sostanziale), con la conseguenza che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
9. Infine, non è fondato il quinto motivo di impugnazione, riguardante una presunta violazione dell’art. 242, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006.
E’ pur vero che l’ordinanza di ripristino ambientale si è limitata a prescrivere alla società ricorrente di “presentare una proposta operativa per la bonifica delle aree contaminate” e non anche, come dice l’invocata disposizione, la preliminare presentazione di un piano di caratterizzazione e dell’analisi di rischio; ma è anche vero che, sul medesimo sito, erano già in corso le operazioni di bonifica avviate dalla ArvinMeritor sin dal 2000, operazioni per le quali era già stata presentata l’indagine di caratterizzazione, con possibilità dunque, per la ricorrente, di utilizzare i dati di quest’ultima al fine di avviare, nel più breve tempo possibile, anche le proprie attività di bonifica. Gli ulteriori profili di contestazione, approfonditi dalla ricorrente nella memoria depositata in giudizio il 15 gennaio 2016, fuoriescono all’evidenza dall’interesse processuale di quest’ultima: ritenere che non fosse sufficiente il piano di caratterizzazione già presentato, e che quindi fosse necessario ordinare alla Alcatel-Lucent di presentarne uno nuovo, insieme alla conseguente analisi di rischio, prima di poter iniziare le operazioni di vera e propria bonifica, equivarrebbe infatti ad aggravare le incombenze oggetto di diffida e, quindi, ad appesantire ulteriormente la posizione della medesima ricorrente, in evidente contrasto con il suo primario interesse che è quello di andare esente dai (minori) obblighi cui è stata sottoposta.
10. In definitiva, tutte le censure proposte devono essere dichiarate non fondate, con conseguente rigetto dell’intero ricorso.
Le spese delle controversia possono essere compensate tra le parti, attesa la complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione prima, definitivamente pronunciando,
Respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Ofelia Fratamico, Primo Referendario
Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)