TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 669 del 12 maggio 2016
Rifiuti.Curatela fallimentare e ordinanza di rimozione e di predisposizione del piano di caratterizzazione
Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi sono collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192 comma 3 del Dlgs. 152/2006. La curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi di tale norma, lasciando abbandonati i rifiuti.
N. 00669/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01270/2015 REG.RIC.
N. 01332/2015 REG.RIC.
N. 01339/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1270 del 2015, proposto da:
ETTORE LUIGI VACCHINA, rappresentato e difeso dagli avv. Giulia Perri e Alberto Salvadori, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, via XX Settembre 8;
contro
PROVINCIA DI BRESCIA, rappresentata e difesa per legge dagli avv. Magda Poli, Raffaella Rizzardi e Gisella Donati, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, piazza Paolo VI 29;
nei confronti di
CURATORE DEL FALLIMENTO DI SELCA SPA, non costituitosi in giudizio;
e con l'intervento di
(ad opponendum)
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Cederle, con domicilio eletto presso l’avv. Donatella Mento in Brescia, via Cipro 30;
COMUNE DI BERZO DEMO, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso l’avv. Domenico Bezzi in Brescia, via Diaz 13/C;
sul ricorso numero di registro generale 1332 del 2015, proposto da:
BETTONI FLAVIO, BOSIO PIERGIORGIO, rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Piromalli e Fiorenzo Bertuzzi, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, via Diaz 9;
contro
PROVINCIA DI BRESCIA, rappresentata e difesa per legge dagli avv. Magda Poli, Raffaella Rizzardi e Gisella Donati, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, piazza Paolo VI 29;
e con l'intervento di
(ad opponendum)
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Cederle, con domicilio eletto presso l’avv. Donatella Mento in Brescia, via Cipro 30;
COMUNE DI BERZO DEMO, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso l’avv. Domenico Bezzi in Brescia, via Diaz 13/C;
sul ricorso numero di registro generale 1339 del 2015, proposto da:
FALLIMENTO SELCA SPA, rappresentato e difeso dagli avv. Emilio Midolo e Tommaso Mariuzzo, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, via Diaz 28;
contro
PROVINCIA DI BRESCIA, rappresentata e difesa per legge dagli avv. Magda Poli, Raffaella Rizzardi e Gisella Donati, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, piazza Paolo VI 29;
e con l'intervento di
(ad opponendum)
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Cederle, con domicilio eletto presso l’avv. Donatella Mento in Brescia, via Cipro 30;
COMUNE DI BERZO DEMO, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso l’avv. Domenico Bezzi in Brescia, via Diaz 13/C;
per l'annullamento
(a) quanto al ricorso n. 1270 del 2015:
- del provvedimento del direttore del Settore Ambiente n. 1959/2015 del 19 marzo 2015, che ha diffidato Piergiorgio Bosio, Flavio Bettoni, Ettore Vacchina, e Giacomo Ducoli, in qualità di responsabili per il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui alla tabella 2 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152 per i parametri ferro e fluoruri accertati nelle acque di falda in corrispondenza dei piezometri di valle Pz-2 e Pz-10 nel sito ubicato in località Forno Allione nel Comune di Berzo Demo, a provvedere alla messa in sicurezza di emergenza e a presentare un piano di caratterizzazione;
(b) quanto al ricorso n. 1332 del 2015:
- del provvedimento del direttore del Settore Ambiente n. 1959/2015 del 19 marzo 2015, che ha diffidato Piergiorgio Bosio, Flavio Bettoni, Ettore Vacchina, e Giacomo Ducoli, in qualità di responsabili per il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui alla tabella 2 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152 per i parametri ferro e fluoruri accertati nelle acque di falda in corrispondenza dei piezometri di valle Pz-2 e Pz-10 nel sito ubicato in località Forno Allione nel Comune di Berzo Demo, a provvedere alla messa in sicurezza di emergenza e a presentare un piano di caratterizzazione;
(c) quanto al ricorso n. 1339 del 2015:
- del provvedimento del direttore del Settore Ambiente n. 1959/2015 del 19 marzo 2015, che ha diffidato Piergiorgio Bosio, Flavio Bettoni, Ettore Vacchina, e Giacomo Ducoli, in qualità di responsabili per il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui alla tabella 2 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152 per i parametri ferro e fluoruri accertati nelle acque di falda in corrispondenza dei piezometri di valle Pz-2 e Pz-10 nel sito ubicato in località Forno Allione nel Comune di Berzo Demo, a provvedere alla messa in sicurezza di emergenza e a presentare un piano di caratterizzazione;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Brescia;
Visti gli interventi ad opponendum della Regione e del Comune di Berzo Demo;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2016 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La Provincia di Brescia, con provvedimento del direttore del Settore Ambiente n. 1959/2015 del 19 marzo 2015, ha preso atto del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui alla tabella 2 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152 per i parametri ferro e fluoruri nelle acque di falda in corrispondenza dei piezometri di valle Pz-2 e Pz-10 nell’area ex Selca in località Forno Allione nel Comune di Berzo Demo, e ha diffidato i ricorrenti Piergiorgio Bosio, Flavio Bettoni, Ettore Vacchina, e Giacomo Ducoli, in qualità di responsabili dell’inquinamento, a provvedere alla messa in sicurezza di emergenza e a presentare un piano di caratterizzazione.
2. I soggetti sopra indicati sono stati individuati per la loro attività professionale a favore della società Selca spa, che ha gestito dal 1998 un impianto di recupero di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi. Più precisamente:
(i) Piergiorgio Bosio è stato amministratore unico di Selca spa dal 1997 al 2007;
(ii) Flavio Bettoni è stato presidente del consiglio di amministrazione e consigliere delegato dal 2007 al 2010, con l’incarico di responsabile tecnico del trattamento dei rifiuti nel sito in questione;
(iii) Ettore Vacchina ha avuto i poteri di procuratore speciale per il sito in questione dal 2008 al 2009, con l’incarico di dirigere e coordinare l’attività all’interno dell’impianto, e specificamente di minimizzare l’impatto ambientale e di risolvere le problematiche relative allo smaltimento dei rifiuti;
(iv) Giacomo Ducoli è stato nominato curatore fallimentare il 14 giugno 2010, dopo la dichiarazione di fallimento di Selca spa da parte del Tribunale di Brescia (9 giugno 2010).
3. L’area ex Selca fa parte di un sito industriale dismesso, situato nella zona di fondo valle, in un contesto ambientale caratterizzato da intensa antropizzazione. I primi insediamenti produttivi, che risalgono agli inizi del 1800, si occupavano della produzione di materiale bellico. In seguito, tra il 1917 e il 1930, ha operato un’acciaieria con forno di fusione, e a partire dal 1928 è iniziata la produzione di elettrodi di grafite per i forni ad arco, le cui materie prime di base erano costituite principalmente da coke di petrolio e pece di catrame allo stato solido. Questa attività ha avuto il massimo sviluppo industriale verso il 1960 a opera della Union Carbide Italia spa (poi divenuta Ucar spa), ed è terminata nel 1994. Nell’ex stabilimento Ucar si sono successivamente insediate due società, ossia Graftech spa, che si è specializzata nella produzione di manufatti in grafite per applicazioni industriali e civili, e Selca spa.
4. Quest’ultima è stata autorizzata dalla Regione nel 1998 (e poi dalla Provincia nel 2003) a svolgere operazioni di stoccaggio e trattamento finalizzate al recupero di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi mediante operazioni di messa in riserva [R13] e riciclo/recupero di metalli e composti metallici [R4] e di altre sostanze inorganiche [R5]. I materiali decadenti dalle operazioni di trattamento di Selca spa erano commercializzati come materie prime secondarie in metallurgia e nei cementifici. L’attività è stata svolta dal 1998 al 2010, fino alla dichiarazione di fallimento (la Regione ha rilasciato l’AIA nel 2007, e ha rinnovato l’autorizzazione nel 2010).
5. Nei terreni di proprietà di Graftech spa è stata realizzata una discarica per sottoprodotti carboniosi, detriti da demolizioni e residui inerti di grafite. In adiacenza ai suddetti terreni si trova l’area dell’ex discarica comunale, attualmente di proprietà dello stesso Comune di Berzo Demo.
6. Da diversi anni nell’area ex Selca sono registrati problemi relativi alla gestione dei rifiuti. Nel corso di un’indagine sulla presunta violazione di norme e atti amministrativi in materia di trattamento dei rifiuti, vi è stato un lungo sequestro penale dell’area (2004-2006). Il decreto di dissequestro e restituzione (10 novembre 2006) è stato integrato dalla Procura della Repubblica di Brescia (5 dicembre 2006) con la condizione che si procedesse allo smaltimento o al recupero dei rifiuti sulla base di un piano preventivamente autorizzato dalle autorità competenti. Dopo la restituzione, il Comune ha immediatamente ingiunto a Selca spa di presentare un piano di smaltimento e recupero dei rifiuti collocati sulle aree esterne (ordinanza n. 27 del 5 dicembre 2006). A questa prima ingiunzione hanno fatto seguito altre ordinanze, parimenti finalizzate a ottenere la rimozione dei rifiuti e l’analisi degli stessi (n. 2 del 19 febbraio 2009; n. 16 del 30 settembre 2009; n. 22 del 10 marzo 2010; n. 2 del 12 marzo 2014).
7. La Regione, a sua volta, nel rilasciare l’AIA (2007), ha chiesto la presentazione di una fideiussione per le attività di smaltimento e recupero (poi rilasciata da Aurora Assicurazioni spa, ora Unipol-Sai spa), e nel rinnovare l’AIA (2010) ha prescritto l’allontanamento dei rifiuti pericolosi.
8. Selca spa ha presentato uno schema di piano di smaltimento e recupero in data 3 aprile 2007, e lo ha riformulato in data 8 agosto 2008. Il Comune, con la citata ordinanza n. 2 del 19 febbraio 2009, ha però espresso un giudizio interlocutorio, invitando la società ad adeguarsi alle richieste della Provincia, inizialmente contenute nel parere acquisito alla conferenza di servizi del 21 luglio 2008, e poi confermate in un parere del 25 settembre 2008. In particolare, nella suddetta conferenza di servizi è stata presa la decisione di considerare conservativamente tutti i rifiuti presenti come pericolosi, e di dare la priorità a quelli situati nelle aree esterne (nell’impostazione originaria di Selca spa era invece prevista la riutilizzazione dei rifiuti, previa caratterizzazione merceologica). Le successive interlocuzioni sulla metodologia dei campionamenti non hanno prodotto risultati. Nel frattempo, lo stabilimento ha continuato a ricevere rifiuti contenenti fluoruro. In particolare, il 15 dicembre 2008 la Regione ha autorizzato l’importazione dall’Australia di 18.000 tonnellate di rifiuti, ripartiti tra rifiuti carboniosi per acciaierie, con una componente di fluoruri solubili fino al 3%, e rifiuti refrattari per cementifici, con una componente di fluoruri solubili fino al 5% (v. fax inviato da Selca spa alla Provincia in data 25 marzo 2009).
9. Contro l’ordinanza del Comune n. 2 del 12 marzo 2014 la curatela fallimentare ha proposto impugnazione davanti a questo TAR (ricorso n. 563/2014). La curatela fallimentare ha impugnato anche la contestuale ordinanza n. 3 del 12 marzo 2014, con la quale il Comune aveva ingiunto la rimozione delle coperture in cemento-amianto dei capannoni (ricorso n. 562/2014). Pronunciandosi in sede cautelare sui predetti ricorsi (v. ordinanze n. 418 e, rispettivamente, n. 417 del 21 giugno 2014), questo TAR ha negato la sospensione dei provvedimenti impugnati, ritenendo fondate le richieste del Comune nei confronti della curatela fallimentare.
10. La rimozione dei rifiuti non è mai stata eseguita. Nella diffida della Provincia del 19 marzo 2015 si sottolinea che sono ancora depositati all’aperto o sotto tettoie aperte, o in capannoni con coperture deteriorate, in modo incontrollato e senza presidi per le matrici ambientali, circa 37.503 mc di rifiuti, corrispondenti al materiale sottoposto a sequestro penale nel 2004 e ai successivi depositi effettuati prima del fallimento.
11. La diffida della Provincia è stata adottata sulla base dell’art. 244 comma 2 del Dlgs. 152/2006, quindi non per la sola presenza di rifiuti incontrollati, ma in risposta a una situazione di inquinamento della falda.
12. I dati sull’inquinamento sono stati forniti dall’ARPA con nota del 18 aprile 2014 (i campionamenti erano stati effettuati nei giorni 23 e 29 gennaio 2014). I piezometri Pz-2 e Pz-10, che hanno rilevato il superamento delle CSC per i parametri ferro e fluoruri nelle acque di falda, si trovano nell’area ex Selca. I piezometri situati nell’area Graftech (a monte) hanno invece riportato valori al di sotto della soglia.
13. I ricorrenti si sono attivati contro la diffida della Provincia del 19 marzo 2015 attraverso tre ricorsi. Più precisamente:
(i) Ettore Vacchina ha presentato impugnazione con atto notificato il 28 maggio 2015 e depositato l’11 giugno 2015 (ricorso n. 1270/2015). La tesi del ricorrente è che nel periodo di competenza (2008-2009) l’attività ordinaria di smaltimento sarebbe proseguita regolarmente, senza episodi di contaminazione della falda (v. analisi sui campioni prelevati il 30 marzo 2007 e il 19 maggio 2009, peraltro all’epoca non era ancora stato collocato il secondo piezometro a valle). Per quanto riguarda i rifiuti dissequestrati, il ricorrente non ha potuto intervenire a causa della mancata approvazione di un piano di smaltimento o recupero da parte delle autorità competenti. Tali rifiuti sarebbero stati comunque custoditi adeguatamente, e coperti da teli impermeabili. Viene poi lamentata la violazione dell’art. 250 del Dlgs. 152/2006, in quanto sarebbe stato necessario un intervento d’ufficio da parte del Comune. In ogni caso, il ricorrente non ha la detenzione dei rifiuti, e quindi non potrebbe eseguire gli interventi prescritti, e per quanto riguarda i costi, sarebbe necessario escutere prima la fideiussione presentata da Selca spa;
(ii) Flavio Bettoni e Piergiorgio Bosio hanno presentato impugnazione con atto notificato il 4 giugno 2015 e depositato il 18 giugno 2015 (ricorso n. 1332/2015). I ricorrenti sostengono che le cause dell’inquinamento andrebbero ricercate negli insediamenti produttivi precedenti (non adeguatamente bonificati nel 1998 prima dell’insediamento di Selca spa) e nelle aree vicine, in particolare nelle due discariche. Vi sarebbe inoltre difetto di istruttoria circa la direzione della falda e la composizione geologica del terreno (anche sotto il profilo della corretta individuazione delle vie di percolazione). Viene poi evidenziato che, dopo la restituzione dei rifiuti, Selca spa ha presentato uno schema di piano di smaltimento e recupero, ma le amministrazioni competenti hanno rallentato il procedimento di approvazione, esprimendo valutazioni contrastanti. Oltre all’annullamento dell’atto impugnato, è chiesto il risarcimento del danno, da quantificare in via equitativa;
(iii) Giacomo Ducoli, in qualità di curatore del Fallimento Selca, ha presentato impugnazione con atto notificato il 29 maggio 2015 e depositato il 19 giugno 2015 (ricorso n. 1339/2015). La tesi del ricorso è che l’intera responsabilità per la produzione dell’inquinamento sarebbe imputabile a Selca spa, che ha lasciato i rifiuti dove si trovavano nel 2006, e all’inerzia della Regione e del Comune, che non hanno utilizzato i poteri sostitutivi. Viene poi eccepito il difetto di legittimazione passiva della curatela fallimentare, non essendovi alcuna successione nei confronti di Selca spa, e non potendo il costo della bonifica essere scaricato sui creditori, estranei all’inquinamento. Qualora non fosse possibile individuare con precisione i responsabili, l’unica rivalsa potrebbe avvenire nei confronti del proprietario del terreno ai sensi dell’art. 253 del Dlgs. 152/2006. Vi sarebbe poi un’indebita estensione della messa in sicurezza di emergenza a misure che corrispondono in sostanza alla bonifica, oltretutto senza un’adeguata analisi della situazione del terreno e della falda.
14. La Provincia si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dei ricorsi. La Regione e il Comune hanno proposto interventi ad opponendum.
15. In sede cautelare, questo TAR, con ordinanza n. 1348 del 14 luglio 2015, ha considerato legittimo l’obiettivo della messa in sicurezza di emergenza e, in prospettiva, della bonifica, ma ha ritenuto non del tutto corretta la definizione degli obblighi dei soggetti indicati come responsabili dell’inquinamento.
16. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione di merito si possono svolgere le seguenti considerazioni.
Sulla riunione dei ricorsi
17. I ricorsi presentati dai destinatari dell’ingiunzione della Provincia propongono una serie molto ampia di questioni, a partire dalle origini dell’inquinamento fino alle responsabilità individuali. Le posizioni dei ricorrenti sono eterogenee, e anche conflittuali, tuttavia la vicenda è unitaria, e dal lato dell’amministrazione viene esaminata entro la medesima cornice dell’intervento di messa in sicurezza e bonifica. Questa impostazione deve essere mantenuta anche sul piano processuale, per individuare con maggiore precisione i rapporti tra le parti. È quindi necessario, come già in sede cautelare, disporre la riunione dei ricorsi ed effettuare una trattazione congiunta.
Sul nesso causale tra rifiuti e inquinamento
18. Come anticipato in sede cautelare, la base di discussione per quanto riguarda il nesso causale tra la presenza dei rifiuti nell’area ex Selca e l’inquinamento da fluoruri e ferro rilevato dai piezometri Pz-2 e Pz-10 deve essere identificata nella relazione dell’ARPA depositata il 27 giugno 2015, che prende in esame tutti gli studi precedenti.
19. In tale relazione sono messi in evidenza i seguenti punti:
(a) è vero che il sito di Ucar spa (di cui fa parte l’area ex Selca) ha ospitato diverse attività potenzialmente inquinanti prima di essere utilizzato da Selca spa come impianto di recupero di rifiuti speciali, ma lo studio redatto da Dames & Moore nel 1995 segnalava inquinamento da idrocarburi nella zona centrale e inquinamento da PCB nell’alloggiamento dei trasformatori, mentre l’inquinamento individuato nel 2014 riguarda la presenza di fluoruri nella falda a valle, ossia una criticità ambientale del tutto diversa;
(b) per quanto riguarda la discarica Graftech, anche questa compresa nel sito originario di Ucar spa, il piano di caratterizzazione del 2006 redatto da CH2MHILL non indica lavorazioni con impiego o formazione di sottoprodotti riferibili ai fluoruri (questo vale in effetti per tutto il sito originario di Ucar spa). I materiali depositati in discarica consistevano in sottoprodotti carboniosi, detriti da demolizione di strutture in mattoni, detriti da demolizione di strutture in cemento, inerti di grafite. Nel piano di caratterizzazione, che richiama anche lo studio di Dames & Moore del 1995, si evidenzia che la discarica è impostata su rocce metamorfiche, molto probabilmente impermeabili. Anche il piano di caratterizzazione evidenzia la presenza di inquinamento da idrocarburi;
(c) la vicina ex discarica comunale ospita materiali di riporto, principalmente inerti;
(d) la correlazione tra i rifiuti presenti nell’area ex Selca e l’inquinamento della falda a valle è motivata con la vicinanza tra i piezometri Pz-2 e Pz-10, dove è stato rilevato l’inquinamento da ferro e fluoruri, e i cumuli di rifiuti contenenti fluoruri (residui della lavorazione dell’alluminio). In particolare, il progetto preliminare di messa in sicurezza temporanea, basato sui campionamenti effettuati dal curatore fallimentare nel 2012 ed esaminato dalla conferenza di servizi del 5 marzo 2015, evidenzia che importanti cumuli contenenti fluoruri sono collocati in corrispondenza dell’ingresso e sul piazzale a sud-ovest;
(e) nell’analisi idrogeologica fornita dall’ARPA i piezometri Pz-2 e Pz-10 sono in una posizione di valle rispetto all’area ex Selca, con una direzione di deflusso delle acque sotterranee verso sud-est. Indicazioni coerenti con questa ricostruzione sono contenute nello studio di Dames & Moore del 1995 e nel piano di caratterizzazione del 2006 redatto da CH2MHILL.
20. Se dunque il medesimo inquinante (fluoruri) si trova sia nell’area ex Selca sia nella falda, e tra la prima e la seconda esiste un vettore idoneo (la direzione di deflusso delle acque), si può ritenere che l’inquinamento della falda abbia origine nei rifiuti esposti al dilavamento presenti nell’area ex Selca. Le aree vicine non presentano quantità paragonabili di rifiuti in grado di rilasciare il suddetto inquinante.
Sulla situazione di inquinamento attuale
21. In una nuova relazione, depositata il 19 gennaio 2016, l’ARPA risponde alle osservazioni critiche presentate dai consulenti tecnici di parte, ossia il geologo Claudio Leoncini (per i ricorrenti Bettoni e Bosio) e il geologo Pier Luigi Vercesi (per la curatela fallimentare).
22. In particolare, viene precisato che le variazioni locali del flusso idrico, seppure in astratto ipotizzabili, non possono modificare l’interpretazione dei valori riscontrati nei piezometri Pz-2 e Pz-10, che sono idrogeologicamente a valle dell’area ex Selca e a pochi metri dai cumuli di rifiuti contenenti fluoruri. Inoltre, nell’ultima campagna di monitoraggio del 3 settembre 2015, il piezometro P3, a valle della discarica Graftech, non rileva una presenza significativa di fluoruri, mentre questo inquinante continua a essere presente in concentrazioni elevate (anche se sotto le CSC) nei piezometri Pz-2 e Pz-10.
23. Nella suddetta relazione l’ARPA chiarisce inoltre che la situazione di inquinamento non può ritenersi superata per il fatto che nelle misurazioni del 3 settembre 2015 i piezometri Pz-2 e Pz-10 non abbiano rilevato il superamento delle CSC. In realtà, questo fenomeno si spiega con le minori precipitazioni del 2015 rispetto al 2014. Si deve quindi ritenere che i presupposti per gli interventi chiesti dalla Provincia siano tuttora sussistenti, essendo evidente il rischio che il processo di lisciviazione in falda subisca un’accelerazione nel caso di eventi atmosferici intensi.
Sulla responsabilità degli ex amministratori e procuratori
24. La situazione di inquinamento attuale è riconducibile alle modalità con cui è stata effettuata la gestione dei rifiuti da parte di Selca spa prima e dopo il sequestro penale. Lo stesso sequestro ha verosimilmente inciso sul problema, sottraendo i rifiuti alla disponibilità di Selca spa per circa due anni, ma la responsabilità è di chi ha provocato l’indagine penale dando origine al sospetto di violazioni ambientali. La catena causale risale quindi a prima del sequestro penale, e prosegue nel periodo successivo. Qui si è inserita, quale concausa parimenti determinante, una gestione che ha affrontato una situazione rischiosa (presenza sulle aree esterne di cumuli di rifiuti in attesa di destinazione) con strumenti ordinari. Anche se le singole attività della gestione (descritte dall’ing. Claudio Ardesi, consulente tecnico dei ricorrenti Bettoni e Bosio, nella perizia del 14 dicembre 2015) corrispondono alla prassi normale per impianti di questo tipo, il punto è che è stato sottovalutato il rischio insito nel differimento della rimozione, la quale era stata indicata fin dall’inizio come condizione per il dissequestro e la restituzione. Il fatto che siano state prese alcune precauzioni, come la copertura dei rifiuti mediante teli impermeabili, non bilancia e non cancella la precarietà complessiva della custodia dei rifiuti, evidentemente insostenibile nel medio e lungo periodo. Vi è stata quindi una sostanziale accettazione del rischio che la situazione potesse progressivamente aggravarsi e finire fuori controllo.
25. È vero che Selca spa ha presentato nel 2007-2008 un piano di smaltimento e recupero, e ha quindi cercato di eseguire la condizione posta dalla Procura della Repubblica al momento della restituzione dei rifiuti. Tuttavia, questa forma di ottemperanza appare comunque insufficiente, in quanto impostata in modo non corretto (ossia da una prospettiva commerciale più che ambientale) e comunque troppo lenta. Pertanto, non vale come esimente. È necessario però tenere conto di questa attività nella quantificazione del danno risarcibile, in modo da bilanciare, almeno in parte, il tempo che è servito alle amministrazioni coinvolte per coordinarsi e per elaborare le direttive poi formalizzate nelle conferenze di servizi.
26. La diffida della Provincia nei confronti di ex amministratori e procuratori di Selca spa può quindi essere considerata legittima, in base agli art. 244 e 250 del Dlgs. 152/2006, come prenotazione e salvaguardia del rimborso per gli interventi sostitutivi e del risarcimento per il danno ambientale.
27. Non è necessario distinguere in modo preciso il grado di responsabilità nei rapporti interni tra ex amministratori e procuratori, valendo la regola della solidarietà ex art. 2055 del codice civile. Tuttavia, la responsabilità di questi soggetti, unitariamente intesi, deve essere tenuta separata da quella della curatela fallimentare, che ha proseguito la sequenza causale in base a un diverso titolo (detentore dei rifiuti), senza succedere nella posizione della precedente amministrazione.
28. Questa separazione è utile sotto due profili: (a) in una prospettiva storica, per riconoscere agli ex amministratori e procuratori una riduzione equitativa dell’onere economico, in considerazione del fatto che vi è stato quantomeno un principio di esecuzione dell’ordine di presentare un piano di smaltimento e recupero, anche se poi l’operazione non è andata buon fine; (b) con riferimento agli sviluppi futuri, per tenere conto dell’impossibilità per gli ex amministratori e procuratori di attivarsi per limitare il danno ambientale con la messa in sicurezza di emergenza, facoltà che attualmente è solo nella disponibilità della curatela fallimentare.
29. Nella predisposizione delle richieste di rimborso (con riguardo a tutti i soggetti ritenuti responsabili) si dovrà poi scomputare la fideiussione, qualora sia già stata escussa (ovvero se il relativo contenzioso sia stato definito). In caso contrario, poiché la questione delle garanzie non ha valore pregiudiziale rispetto alla messa in sicurezza di emergenza e alla bonifica, e neppure rispetto al recupero dei costi, queste procedure possono proseguire in modo autonomo.
Sulla responsabilità della curatela fallimentare
30. La contaminazione della falda è stata rilevata quando la curatela fallimentare era ormai insediata da tempo, ed era stata avvertita del rischio ambientale. La mancata rimozione dei rifiuti nel tempo intercorso dopo il fallimento ha certamente aggravato la situazione, ed è quindi una concausa dell’inquinamento.
31. Circa la legittimità del coinvolgimento della curatela fallimentare nelle operazioni di messa in sicurezza di emergenza ed eventuale bonifica, sono necessarie alcune precisazioni.
32. Occorre dare atto della presenza di un orientamento giurisprudenziale secondo cui la curatela fallimentare non può essere costretta a eseguire i suddetti interventi, in quanto da un lato è estranea alla causazione dell’inquinamento, e dall’altro non è titolare di un potere sui beni fallimentari tale da costituire una posizione di garanzia per la salute dei terzi (v. CS Sez. V 30 giugno 2014 n. 3274; TAR Firenze Sez. II 7 maggio 2014 n. 774; TAR Firenze Sez. II 20 gennaio 2014 n. 118; TAR Milano Sez. IV 5 agosto 2013 n. 2062).
33. Questa soluzione interpretativa non appare condivisibile. In realtà, la curatela fallimentare è attualmente il detentore dei rifiuti secondo il diritto comunitario, e dunque ha l’obbligo di rimuovere gli stessi e di avviarli a smaltimento o recupero. 34. L’art. 3 par. 1 punto 6 della Dir. 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE (sostitutiva di direttive anteriori) definisce il detentore, in contrapposizione al produttore, come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti. Nel diritto comunitario la categoria del possesso comprende anche la detenzione secondo il diritto interno (compresa la categoria che qualifica il tipo di detenzione esercitato sui beni del fallimento). Per le finalità perseguite dal diritto comunitario, infatti, è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione, senza necessità di indagare il titolo giuridico sottostante. L’elemento decisivo è il carattere materiale della detenzione dei rifiuti. Anche i commercianti e gli intermediari hanno quindi il possesso dei rifiuti, ma nel loro caso la norma comunitaria prevede eccezionalmente che il possesso possa anche non essere materiale (v. 3 par. 1 punti 7-8 della Dir. 2008/98/CE).
35. In base al diritto comunitario (v. art. 14 par. 1 della Dir. 2008/98/CE), i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale, o dai detentori del momento, o dai detentori precedenti dei rifiuti. Questo costituisce un applicazione del principio “chi inquina paga” (v. anche il considerando n. 1 della della Dir. 2008/98/CE). In altri termini, la detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione comunitaria avente un duplice contenuto: (a) il divieto di abbandonare i rifiuti; (b) l’obbligo di smaltire gli stessi. Se per effetto di categorie giuridiche interne questa obbligazione non fosse eseguibile, l’effetto utile delle norme comunitarie sarebbe vanificato (v. C.Giust. Sez. IV 3 ottobre 2013 C-113/12, Brady, punti 74-75). Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi sono collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192 comma 3 del Dlgs. 152/2006. La curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi di tale norma, lasciando abbandonati i rifiuti.
36. Nella situazione descritta dalla Provincia nella diffida del 19 marzo 2015 l’obbligo di smaltimento o recupero coincide con la messa in sicurezza di emergenza ai sensi dell’art. 240 comma 1-m del Dlgs. 152/2006, in quanto i rifiuti costituiscono sorgente primaria di contaminazione. Ne consegue che alla curatela fallimentare può essere chiesta sia la rimozione dei rifiuti sia la predisposizione del piano di caratterizzazione ex art. 242 comma 3 del Dlgs. 152/2006. Resta poi ferma per la curatela la facoltà di dimostrare che il peso economico non deve essere sopportato, in tutto o in parte, dall’attivo fallimentare, e di agire in regresso nei confronti dei produttori dei rifiuti o dei detentori precedenti, a tutela delle ragioni dei creditori.
Sulla graduazione della diffida
37. Sulla base del piano di caratterizzazione che dovrà essere presentato dalla curatela fallimentare, adempimento per il quale può essere fissato un termine ragionevole di tre mesi dal deposito della presente sentenza, la Provincia, in conferenza di servizi con ARPA e Comune, deciderà gli interventi di monitoraggio, messa in sicurezza di emergenza, ed eventuale bonifica. Questa fase ulteriore richiede un’integrale regia pubblica, e pertanto l’amministrazione dovrà adottare determinazioni precise quanto alle azioni necessarie e alla tempistica.
38. La messa in sicurezza di emergenza comprende quantomeno l’asportazione dei rifiuti e del terreno che è stato a contatto con gli stessi, per una profondità che dovrà essere stabilita in sede di conferenza di servizi. In seguito, potranno essere programmati ulteriori interventi di sistemazione, e, se necessario, un progetto di messa in sicurezza permanente o di bonifica.
Conclusioni
39. Il ricorso deve quindi essere parzialmente accolto, per i profili esposti ai punti precedenti. Ferma la correttezza sostanziale della diffida nei confronti dei soggetti individuati come responsabili dell’inquinamento, l’effetto conformativo dell’annullamento parziale vincola la Provincia a rimodulare gli obblighi dei ricorrenti, e in particolare della curatela fallimentare, nell’ambito della conferenza di servizi sopra descritta.
40. Il carattere parziale dell’accoglimento e la complessità della vicenda giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio in tutti i ricorsi.
41. Il contributo unificato, in tutti i ricorsi, è a carico dell’amministrazione ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando:
(a) dispone la riunione dei ricorsi;
(b) accoglie parzialmente i ricorsi riuniti, come precisato in motivazione;
(c) respinge le domande risarcitorie dei ricorrenti;
(d) compensa integralmente le spese di giudizio in tutti i ricorsi;
(e) pone il contributo unificato, in tutti i ricorsi, a carico della Provincia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Mara Bertagnolli, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)