TAR Lazio (RM) Sez.IIIs n. 6732 del 18 aprile 2023
Ambiente in genere.Esercizi commerciali ed obbligo di utilizzo di bio-shopper a pagamento
Non sussiste alcun obbligo per il consumatore di comprare, e quindi pagare, i bio shopper messi a disposizione dalla distribuzione, ben potendoutilizzare contenitori autonomamente reperiti dal consumatore che siano idonei all’uso. Tale soluzione è sicuramente quella più corretta, posto che in questo modo viene fatta la giusta comparazione tra gli opposti interessi, da una parte quello del consumatore e dall’altra quello della sicurezza alimentare.
Pubblicato il 18/04/2023
N. 06732/2023 REG.PROV.COLL.
N. 02973/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2973 del 2018, proposto da
Articolo 32-97- Associazione Italiana per i Diritti del Malato e del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Carlo C/O Codacons Rienzi in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 73;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Federdistribuzione, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
delle seguenti circolari, tutte relative alla possibilità, da parte del consumatore che non intende pagare la borsa ultraleggera per l'asporto di prodotti alimentari sfusi, di utilizzare, al posto della stessa, imballaggi portati dall'esterno del negozio:
- circolare del Ministero della Salute, di data, contenuto ed estremi ignoti, con la quale viene consentito, per l'asporto di prodotti alimentari sfusi, l'utilizzo di sacchetti di plastica monouso, già in possesso della clientela, che però rispondano ai criteri previsti dalla normativa sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti, e viene prescritto che tali sacchetti dovranno risultare non utilizzati in precedenza e rispondenti a criteri igienici che gli esercizi commerciali potranno definire in apposita segnaletica e verificare, stante la responsabilità di garantire l'igiene e la sicurezza delle attrezzature presenti nell'esercizio e degli alimenti venduti alla clientela;
- circolare del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Prot. N. 130 del 4 gennaio 2018, con la quale si dispone che “ancorché qualunque pratica volta a ridurre l'utilizzo di nuove borse di plastica risulti indubbiamente virtuosa sotto il profilo degli impatti ambientali, si ritiene che sul punto la competenza a valutarne la legittimità e la conformità alle normative igienico-alimentari richiamate nel citato comma 3 dell'art. 226-ter spetti al Ministero della Salute”.
- circolare del Ministero dello Sviluppo Economico, u. 0537605 del 7 dicembre 2017, con la quale si afferma che “in conclusione, salvo diverso avviso del Ministero della Salute al quale la presente nota è inviata per conoscenza, si riterrebbe ammissibile la possibilità per la clientela, nei reparti di vendita di alimenti organizzati a libero servizio, di utilizzare gli shoppers in discorso già in loro possesso”.
- circolare del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Prot. 0014624 del 18 ottobre 2017, con la quale si afferma che “Un ulteriore chiarimento è richiesto al fine di escludere, anche per un coordinamento con le regole di sicurezza alimentare e igiene degli alimenti, la possibilità, da parte del consumatore che non intende pagare la borsa ultraleggera, di utilizzare, al posto della stessa, imballaggi portati dall'esterno del negozio. Per quanto riguarda l'utilizzo di borse portate dall'esterno degli esercizi commerciali in sostituzione delle borse ultraleggere fornite esclusivamente a pagamento ai consumatori a partire dal 1° gennaio 2018, si concorda con l'interpretazione suggerita in quanto, come è evidente alla lettura della nuova disciplina, non viene contemplata la possibilità di sostituire con borse riutilizzabili le borse fornite a fini di igiene come imballaggio primario per alimenti sfusi. Ciò al contrario dell'articolo 226-bis, relativo alle borse di plastica in materiale leggero, che consente espressamente la sostituzione con borse riutilizzabili essendo tale buona prassi incentivata sia a livello comunitario che nazionale per quanto riguarda esclusivamente le borse fornite per il trasporto”;
nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso, anche se ignoto e/o sconosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 marzo 2023 la dott.ssa Silvia Piemonte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Parte ricorrente ha impugnato gli atti di cui in epigrafe nella parte in cui è stato previsto l’obbligo dell’utilizzo delle bio shopper come imballaggio primario per i prodotti di gastronomia, macelleria, pescheria, frutta verdura e panetteria.
Parte ricorrente ha proposto i seguenti motivi di diritto: 1. Violazione e falsa applicazione dell'art. 226 ter del d.lgs. 152/2006, come introdotto dall’art. 9-bis del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito in legge dalla l. 3 agosto 2017 n.123. 2. Eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 226 ter del d.lgs. 152/2006, come introdotto dall’art. 9-bis del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito in legge dalla L. 3 agosto 2017 n.123, con riferimento all’ art. 117 della Costituzione.
All’udienza di smaltimento del 14 marzo 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato.
Parte ricorrente deduce, in sostanza, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto escludono la possibilità per il consumatore di utilizzare, in luogo dei bioshopper a pagamento, buste proprie riciclabili e riutilizzabili.
In realtà, quanto ritenuto da parte ricorrente, risulta infondato alla luce del parere del Consiglio di Stato, comm. spec., 29 marzo 2018, n.859 e della successiva circolare del Ministero della Salute del 27 aprile 2018, con i quali è stato chiarito che l’esercizio commerciale può vietare l’uso di contenitori per alimenti reperiti dal consumatore solo se non conformi alla normativa vigente o inidonei al contatto con gli alimenti.
In particolare, il Consiglio di Stato – nell’esaminare i quesiti posti dal Ministero della salute, cioè “a) se sia possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti; b) in caso di risposta positiva, se gli operatori del settore alimentare siano obbligati e a quali condizioni a consentirne l’uso nei propri esercizi commerciali” – ha precisato che <<la risposta da dare ai due quesiti proposti non può prescindere dal fatto che il legislatore ha elevato le borse in plastica ultraleggere utilizzate per la frutta e verdura all’interno degli esercizi commerciali a prodotto che “deve” essere compravenduto. In questa ottica, la borsa, per legge, è un bene avente un valore autonomo ed indipendente da quello della merce che è destinata a contenere. Ciò è confermato dal fatto che la norma (cfr. comma 5, cit.), oltre a prevederne l’onerosità, ha stabilito che “il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino”, in modo da risultare separato da quello della merce, così da distinguere il valore dei due beni (contenitore e contenuto). Alla luce delle considerazioni che precedono, deve assumersi che l’utilizzo e la circolazione delle borse oggetto del presente parere – in quanto beni autonomamente commerciabili – non possono essere sottratte alla logica del mercato. Per tale ragione, non sembra consentito escludere la facoltà del loro acquisto all’esterno dell’esercizio commerciale nel quale saranno poi utilizzate, in quanto, per l’appunto, considerate di per sé un prodotto autonomamente acquistabile, avente un valore indipendente da quello delle merci che sono destinate a contenere. In questa prospettiva, è dunque coerente con lo strumento scelto dal legislatore la possibilità per i consumatori di utilizzare sacchetti dagli stessi reperiti al di fuori degli esercizi commerciali nei quali sono destinati ad essere utilizzati. Secondo la medesima prospettiva, di conseguenza, non pare possibile che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale facoltà (salve le precisazioni che seguiranno circa il necessario controllo dei sacchetti per verificarne l’idoneità e la conformità normativa). A tale conclusione si giunge anche ponendo l’attenzione sul fatto che la necessaria onerosità della busta in plastica, quanto meno indirettamente, vuole anche incentivare l’utilizzo di materiali alternativi alla plastica, meno inquinanti, quale in primo luogo la carta. Ne deriva, che deve certamente ammettersi la possibilità di N utilizzare – in luogo delle borse ultraleggere messe a disposizioni, a pagamento, nell’esercizio commerciale – contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore; non potendosi inoltre escludere, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario. Una diversa interpretazione tradirebbe lo spirito stesso della norma, che è quello di limitare l’uso di borse in plastica. In analogia con tale conclusione, di conseguenza, al fine di scongiurare differenziazioni che, allo stato, non trovano giustificazione in alcuna norma, deve concludersi che l’esercizio commerciale deve permettere anche l’uso di borse in plastica leggere autonomamente introdotte dal consumatore nel punto vendita. Come anticipato, la corretta risposta ai quesiti implica la necessità di coniugare le conclusioni appena esposte con l’esigenza di tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti, al cui presidio è in primo luogo chiamata l’impresa di distribuzione, la cui responsabilità permane, indipendente dalla risposta ai quesiti in esame. Al riguardo, deve infatti sottolinearsi che non ogni involucro risulta idoneo all’imballaggio degli alimenti. Invero, il legislatore detta regole relative ai materiali che possono venire a contatto diretto con alimenti o bevande, allo scopo di garantire che detti materiali siano adeguati e non rendano insicuri gli alimenti. Per quel che rileva in questa sede, attualmente, la disciplina essenziale è contenuta nel regolamento (CE) 1935/2004 che stabilisce i requisiti generali e specifici per materiali e oggetti destinati ad entrare in contatto con gli alimenti. Il criterio generale è che i materiali o gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari devono essere sufficientemente inerti da escludere il trasferimento di sostanze ai prodotti alimentari in quantità tali da mettere in pericolo la salute umana o da comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle loro caratteristiche. Più nello specifico, in riferimento ai materiali plastici, ai fini del presente parere, deve ribadirsi il necessario rispetto: del regolamento (UE) 1895/2005 sulla restrizione dell’uso di alcuni derivati epossidici in materiali e oggetti destinati a entrare in contatto con prodotti alimentari; del regolamento (CE) 282/2008 sugli oggetti in plastica riciclata destinati al contatto con gli alimenti; del regolamento (CE) 450/2009 sui materiali attivi destinati al contatto con gli alimenti. Alla luce delle considerazioni che precedono, il corretto contemperamento dei due interessi sottesi alle questioni all’attenzione della Commissione, porta a ritenere che, laddove il consumatore non intenda acquistare il sacchetto ultraleggero commercializzato dall’esercizio commerciale per l’acquisto di frutta e verdura sfusa, possa utilizzare sacchetti in plastica autonomamente reperiti solo se comunque idonei a preservare l’integrità della merce e rispondenti alle caratteristiche di legge. In tal caso, richiamando le considerazioni già svolte, non sembra possibile per l’esercizio commerciale vietare tale facoltà. Quest’ultimo assunto non si pone in contrasto con il quadro normativo ricordato in premessa, dal quale si evince la pacifica sussistenza della responsabilità dell’impresa rispetto all’integrità e sicurezza dei prodotti che sono venduti all’interno dell’esercizio commerciale. Al riguardo, in questa sede ci si limita a ricordare che l’operatore del settore alimentare deve sempre e comunque garantire che gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione, nonché verificare che tali disposizioni siano soddisfatte, dovendosi riconoscere la responsabilità del distributore di alimenti a prescindere dalla sua partecipazione o meno al confezionamento (art. 17 del regolamento 178/2002). Pertanto, a scanso di equivoci, deve precisarsi che, quanto meno in astratto, la responsabilità dell’impresa di distribuzione non possa venire automaticamente meno nel caso in cui un danno o un pregiudizio sia stato cagionato dalla condotta del consumatore o, per quanto rileva in questa sede, per il tramite dell’inidoneità di un involucro dallo stesso introdotto nell’esercizio commerciale. Infatti, deve ribadirsi che, proprio in ragione dell’irrinunciabile esigenza di preservare l’integrità degli alimenti posti in vendita, sull’esercizio commerciale, in base alle norme già citate, grava comunque un obbligo di controllo su tutti i fattori potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza dei prodotti compravenduti all’interno del punto vendita, tra cui, evidentemente, anche sugli eventuali sacchetti che il consumatore intende utilizzare. Al riguardo, giova ricordare che il più importante obbligo del titolare dell’impresa alimentare, la cui inosservanza può essere fonte anche di responsabilità penale, consiste nell’analisi di pericoli e punti critici di controllo, così come previsto dall’art. 5 regolamento 852/2004 il cui 1° comma stabilisce, per l’appunto, che “Gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti, basate sui principi del sistema HACCP”. L’omessa osservanza durante tutta la catena alimentare delle regole cautelari, a cominciare dall’adozione del “piano di autocontrollo”, passando poi per l’integrale rispetto delle indicazioni ivi contenute, costituisce dunque un profilo di colpa degli operatori del settore alimentare. Ne consegue che ciascun esercizio commerciale sarà dunque tenuto, secondo le modalità dallo stesso ritenute più appropriate, alla verifica dell’idoneità e della conformità a legge dei sacchetti utilizzati dal consumatore, siano essi messi a disposizione dell’esercizio commerciale stesso, siano essi introdotti nei locali autonomamente dal consumatore. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che il necessario ed imprescindibile rispetto della normativa in tema di igiene e sicurezza alimentare comporta che l’esercizio commerciale, in quanto soggetto che deve garantire l’integrità dei prodotti ceduti dallo stesso, possa vietare l’utilizzo di contenitori autonomamente reperiti dal consumatore solo se non conformi alla normativa di volta in volta applicabile per ciascuna tipologia di merce, o comunque in concreto non idonei a venire in contatto con gli alimenti>>.
Proprio sulla base di questo parere il Ministero della Salute ha emanato la circolare del 27 aprile 2018 rilevando che “ciascun esercizio commerciale sarà dunque tenuto, secondo le modalità dallo stesso ritenute più appropriate, alla verifica dell'idoneità e della conformità a legge dei predetti sacchetti utilizzati dal consumatore, siano essi messi a disposizione dell'esercizio commerciale stesso, siano essi introdotti nei locali autonomamente dal consumatore. A tal fine, si suggerisce di predisporre un vademecum informativo per i consumatori, anche a cura delle associazioni di categoria, al fine di garantire uniformità di comportamenti sull'intero territorio nazionale, da rendere visibile all'interno dell'esercizio commerciale con apposito avviso alla clientela”.
Da quanto sopra discende come non sussista alcun obbligo per il consumatore di comprare, e quindi pagare, i bio shopper messi a disposizione dalla distribuzione, ben potendo, al contrario di quanto dedotto da parte ricorrente, utilizzare contenitori autonomamente reperiti dal consumatore che siano idonei all’uso.
Tale soluzione è sicuramente quella più corretta, posto che, come rilevato dal Consiglio di Stato nel parere citato, in questo modo viene fatta la giusta comparazione tra gli opposti interessi, da una parte quello del consumatore e dall’altra quello della sicurezza alimentare.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
Nulla sulle spese stante la mancata costituzione delle parti resistenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:
Claudia Lattanzi, Presidente FF
Silvia Piemonte, Referendario, Estensore
Agatino Giuseppe Lanzafame, Referendario