Tutela del paesaggio e parere del Soprintendente.
(Nota fortemente critica a Cons. Stato, Sez. VI, n. 2136/2015)
di Massimo GRISANTI
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza n. 2136 depositata il 27/4/2015 è intervenuto nuovamente sulla vexata quaestio del parere vincolante del Soprintendente ex art. 146 D. Lgs. 42/2004, sollecitato dal ricorso del Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo.
LA PRONUNCIA.
Si riporta il passo d’interesse:
“… Con il primo motivo il Ministero appellante chiede la riforma della sentenza in parola per la parte in cui i primi Giudici hanno affermato che il carattere vincolante del parere reso ai sensi dell’articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 sussisterebbe solo se tale parere sia reso entro il termine di quarantacinque giorni di cui al comma 8 del medesimo articolo.
In senso contrario il Ministero appellante richiama la giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui i termini legali previsti nell’ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica sono ordinatori, salvo che la legge non preveda un’espressa sanzione per il loro superamento (il che ne caso di specie non è avvenuto).
Al riguardo il Ministero appellante sottolinea che l’eventuale superamento del richiamato termine di quarantacinque giorni non determina né la perdita del relativo potere da parte dell’Organo statale periferico, né alcuna ipotesi di silenzio significativo.
L’appellante osserva inoltre:
- che il comma 8 dell’articolo 146 stabilisce che, prima dell’adozione del proprio parere negativo, la Soprintendenza debba comunicare all’interessato il c.d. ‘preavviso di rigetto’ ai sensi dell’articolo 10-bis della l. 241 del 1990. Ora, trattandosi di disposizione applicabile esclusivamente ai procedimenti ad istanza di parte (in cui l’esercizio del potere amministrativo non è sottoposto a termini di decadenza), tale richiamo confermerebbe in via implicita il carattere non consumabile del potere per la Soprintendenza di rendere un parere tardivo e nondimeno vincolante;
- che è del tutto rilevante il richiamo contenuto al comma 9 dell’articolo 146, cit. al procedimento per conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della l. 241 del 1990. In particolare viene in rilievo il comma 3-bis dell’articolo 14-ter della medesima l. 241 del 1990 secondo cui “in caso di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il soprintendente si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza di servizi ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. Secondo l’appellante, tale richiamo (e il rinvio ivi contenuto alle disposizioni i cui al ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’) confermerebbe che, anche a seguito dell’indizione della conferenza di servizi, resterebbe intatto il potere della Soprintendenza di rendere un parere di carattere comunque vincolante;
- che lo stesso Legislatore, nel disciplinare l’istituto della conferenza di servizi, ha previsto talune deroghe al pieno operare del principio maggioritario proprio per l’ipotesi in cui l’eventuale dissenso provenga – come nel caso in esame – da parte dei un’amministrazione preposta (inter alia) alla tutela del paesaggio. Il che confermerebbe ancora una volta il carattere ontologicamente prevalente degli interessi pubblici sottesi alle competenze della Soprintendenza le quali, pertanto, non potrebbero subire forme di compressione o di modulazione per effetto del decorso del tempo.
(…)
2.1. E’ evidente che assume rilievo del tutto centrale ai fini del decidere la questione se, nell’ambito dello speciale procedimento per il rilascio dell’autorizzazione ai fini paesaggistici di cui all’articolo 146 del decreto legislativo 146 del 2004 e una volta decorso l’ordinario termine di quarantacinque giorni previsto per il rilascio del parere da parte della Soprintendenza (ivi, comma 8), resti consumato il potere in capo all’Organo statale di rendere tale parere, ovvero se l’atto consultivo possa essere reso anche dopo la scadenza del termine, mantenendo nondimeno la propria valenza vincolante.
2.2. Ad avviso del Collegio, la corretta ricostruzione della questione nei suoi termini normativi e sistematici richiede in primo luogo l’esatta individuazione del pertinente quadro normativo.
Ora, ai fini che qui rilevano giova richiamare i commi da 8 a 10 dell’articolo 146, cit., nella formulazione rilevante al tempo delle vicende di causa (si tratta del testo vigente nel corso del 2012, ossia prima delle modifiche apportate dall’articolo 25, comma 3 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164).
Ebbene, nella formulazione ratione temporis rilevante i commi da 8 a 10 stabilivano quanto segue:
“8. Il soprintendente rende il parere di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di cui all'articolo 140, comma 2, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti. Il soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Entro venti giorni dalla ricezione del parere, l’amministrazione provvede in conformità.
9. Decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l'amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto. La conferenza si pronuncia entro il termine perentorio di quindici giorni. In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione. Con regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d'intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell'autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni.
10. Decorso inutilmente il termine indicato all'ultimo periodo del comma 8 senza che l'amministrazione si sia pronunciata, l'interessato può richiedere l'autorizzazione in via sostitutiva alla regione, che vi provvede, anche mediante un commissario ad acta, entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora la regione non abbia delegato gli enti indicati al comma 6 al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, e sia essa stessa inadempiente, la richiesta del rilascio in via sostitutiva è presentata al soprintendente”.
2.3. Ebbene, a fronte di tali previsioni, nel caso di adozione di un parere (negativo) da parte della Soprintendenza successivamente al decorso del richiamato termine di quarantacinque giorni (e successivamente all’indizione da parte dell’amministrazione procedente, della speciale conferenza di servizi di cui al comma 8), erano astrattamente ipotizzabili tre opzioni:
a) in base a una prima opzione (seguita dal T.A.R.) in siffatte ipotesi dovrebbe concludersi nel senso dell’intervenuta consumazione del potere per l’Organo statale di rendere un qualunque parere (di carattere vincolante o meno);
b) in base a una seconda opzione (proposta dal Ministero appellante) nelle medesime ipotesi dovrebbe concludersi nel senso della permanenza in capo alla Soprintendenza del potere di emanare un parere di carattere comunque vincolante (dovendosi in particolare riconoscere carattere meramente ordinatorio al richiamato termine);
c) in base a una terza opzione interpretativa, nelle ridette ipotesi non potrebbe escludersi in radice la possibilità per l’Organo statale di rendere comunque un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento; tuttavia il parere in parola perderebbe il carattere di vincolatività e dovrebbe essere autonomamente valutato dall’amministrazione deputata all’adozione dell’atto autorizzatorio finale.
2.4. Non sfugge al Collegio l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale (peraltro, puntualmente richiamato dall’appellante) di fatto tributario dell’orientamento dinanzi richiamato sub b).
E’ stato in particolare osservato che, in caso di superamento da parte della competente Soprintendenza del termine ordinariamente previsto per il rilascio del proprio parere (vincolante) ai sensi dei commi 5 e 8 dell’articolo 146, cit., il potere in capo all’Organo statale continua a sussistere (tanto che un suo parere tardivo resta comunque disciplinato dai richiamati commi 5 e 8 e mantiene la sua natura vincolante), ma l’interessato può proporre ricorso dinanzi al G.A. per contestare l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione statale (in tal senso: Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4914; in termini simili: Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013, n. 4656).
In base a tale orientamento, la perentorietà del termine riguarderebbe non la sussistenza del potere o la legittimità del parere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento (obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal Giudice con le relative conseguenze sulle spese del giudizio derivato dall’inerzia del funzionario – in tal senso: sentenza 4914/2013, cit. -).
2.5. Ebbene, pur tenendo nella massima considerazione l’orientamento appena richiamato, il Collegio ritiene che prevalenti ragioni di carattere sistematico depongano nel senso dell’adesione al diverso orientamento volto a riconoscere carattere perentorio al termine di quarantacinque giorni di cui al comma 5 dell’articolo 146, cit. (in tal senso: Cons. Stato, VI, sent. 15 marzo 2013, n. 1561).
La decisione in parola (richiamando il pregresso orientamento che riconosceva carattere perentorio al termine riconosciuto alla Soprintendenza per procedere all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica reso dall’amministrazione competente ai sensi dell’articolo 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n 616 – in seguito: articolo 162 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 -) ha quindi ritenuto che l’evoluzione normativa, la quale ha trasformato l’atto di controllo annullatorio in una forma di cogestione del vincolo, non ha inciso sulla perentorietà del termine entro il quale l’atto di esercizio del relativo potere può e deve essere adottato.
Si osserva al riguardo che, nell’ambito di entrambi i modelli normativi (quello pregresso basato su una relazione di controllo e quello attuale basato su un modello di sostanziale cogestione del vincolo), il Legislatore ha inteso individuare un adeguato punto di equilibrio fra:
- (da un lato) l’esigenza di assicurare una tutela pregnante a un valore di rilievo costituzionale quale la tutela del paesaggio attraverso il riconoscimento all’Organo statale di poteri (quale quello di annullamento e in seguito quello di rendere un parere conforme) di assoluto rilievo nell’ambito della fattispecie autorizzatoria e
- (dall’altro) l’esigenza – parimenti di rilievo costituzionale - di garantire in massimo grado la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, imponendo che i richiamati poteri debbano essere esercitati in tutta la loro ampiezza entro un termine certamente congruo ma allo stesso tempo certo e non superabile.
Sul punto occorre tuttavia operare una precisazione.
La sentenza n. 1561, cit. ha stabilito che il parere reso dalla Soprintendenza nell’ambito della procedura autorizzativa ex art. 146, cit. “è da considerarsi privo dell’efficacia attribuitagli dalla legge e cioè privo di valenza obbligatoria e vincolante”.
2.6. Ma una volta chiarito che il parere tardivamente espresso resti privo di alcun effetto vincolante, occorre domandarsi se il medesimo articolo 146 ne impedisca tout-court l’espressione, ovvero se - più semplicemente – un siffatto parere possa comunque essere reso in favore dell’amministrazione procedente la quale dovrà quindi valutarlo in modo adeguato.
Ad avviso del Collegio il quesito deve essere risolto nel secondo dei sensi indicati.
Depone in tal senso il primo periodo del comma 9 del richiamato articolo 146 secondo cui “decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l'amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto”.
Sussiste quindi un univoco indice normativo secondo cui, a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l’espressione del parere vincolante (rectius: conforme) da parte della Soprintendenza, l’Organo statale non resti in assoluto privato della possibilità di rendere un parere; tuttavia il parere in tal modo espresso perderà il proprio valore vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo.
Del resto, una lettura in senso sistematico del combinato disposto dei commi 8, 9 e 10 (dinanzi riportati de extenso) rende piuttosto evidente l’esistenza di un ordito normativo volto a configurare, in tema di rilascio dell’autorizzazione ai fini paesaggistici, una sorta di climax inverso per ciò che riguarda la possibilità per l’Organo statale di incidere attraverso l’espressione del proprio parere sugli esiti della vicenda autorizzatoria.
Ed infatti:
- nel corso di una prima fase – per così dire: fisiologica – che si esaurisce con il decorso del termine di quarantacinque giorni, l’Organo statale può, nella pienezza dei suoi poteri di cogestione del vincolo, emanare un parere vincolante dal quale l’amministrazione deputata all’adozione dell’autorizzazione finale non potrà discostarsi (comma 8);
- una volta decorso inutilmente il richiamato termine senza che la Soprintendenza abbia reso il prescritto parere (seconda fase), l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi nel cui ambito – per le ragioni dinanzi esposte – l’Organo statale, pur se non privato in assoluto del potere di esprimersi, potrà soltanto emanare un parere che l’amministrazione procedente avrà l’onere di valutare in modo autonomo;
- laddove poi l’inerzia della Soprintendenza di protragga ulteriormente oltre il termine di sessanta giorni da quello della ricezione della documentazione completa (terza fase), “l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione” (comma 9, terzo periodo). In tal modo il Legislatore rende chiaro che l’ulteriore, ingiustificabile decorso del tempo legittima l’amministrazione competente all’adozione dell’autorizzazione prescindendo in radice dal parere della Soprintendenza (il quale, evidentemente, viene così a perdere il proprio carattere di obbligatorietà e vincolatività).
2.7. Tanto premesso dal punto di vista generale, si può ora passare all’esame puntuale dei singoli argomenti proposti con il primo motivo di appello.
2.7.1. Non può essere condivisa la tesi secondo cui il richiamo operato dal secondo periodo del comma 8, cit. all’istituto del c.d. ‘preavviso di rigetto’ ai sensi dell’articolo 10-bis della l. 241 del 1990 confermerebbe in via implicita il carattere non consumabile del potere della Soprintendenza di rendere un parere tardivo e nondimeno vincolante.
Si osserva in contrario che il richiamo al c.d. ‘preavviso di rigetto’ ben si coniuga con la ricostruzione sistematica dinanzi offerta sub 2.5. e 2.6., atteso che: i) il parere negativo del Soprintendente sortirà valenza di sostanziale diniego (e richiederà il previo rilascio del ‘preavviso di rigetto’) nelle sole ipotesi di svolgimento - per così dire – ‘fisiologico’ dell’iter autorizzatorio di cui al comma 8; ii) al contrario, nelle ipotesi residuali di cui al successivo comma 9 il parere del Soprintendente perderà il suo carattere vincolante e non assumerà alcun effetto di sostanziale arresto procedimentale di segno negativo, in tal modo non richiedendo alcun previo avviso (non a caso, del resto, il comma 9 non richiama la previsione di cui all’articolo 10-bis, cit.).
2.7.2. Non può essere condivisa la tesi dell’appellante volta ad enfatizzare il richiamo contenuto al comma 9 dell’articolo 146, cit. al procedimento per conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della l. 241 del 1990. Come anticipato in narrativa, l’appellante ritiene qui applicabile, in particolare, il comma 3-bis dell’articolo 14-ter della medesima l. 241 del 1990 secondo cui “in caso di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il soprintendente si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza di servizi ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
Ebbene, il richiamo al comma 3-bis, cit. non sembra presentare alcun profilo di incongruità con la ricostruzione sistematica dinanzi offerta sub 2.5. e 2.6.
Ciò, in quanto il carattere (vincolante o non vincolante) del parere della Soprintendenza non va desunto dalle previsioni di cui al Capo IV della l. 241 del 1990 (il quale è sul punto sostanzialmente ‘neutro’, rinviando alla pertinente disciplina di settore), bensì dall’ordito normativo di cui alla parte II, Titolo IV del decreto legislativo n. 42 del 2004, per come dinanzi sistematicamente ricostruito.
2.7.3. Da ultimo, non può essere condivisa la tesi fondata sulle disposizioni in tema di conferenza di servizi le quali contemplano talune deroghe al pieno operare del principio maggioritario nel caso in cui il dissenso sia espresso da un’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio.
Anche in questo caso, il Legislatore del 1990 (e delle successive novelle alla l. 241) si è interessato dei soli aspetti procedimentali relativi all’espressione dei pareri in seno alla conferenza di servizi e delle conseguenti modalità di composizione del dissenso, ma ha rimesso alla disciplina di settore la determinazione del corretto assetto di competenze amministrative (ivi compresa l’individuazione delle amministrazioni in concreto preposte alla tutela dei valori tutelati).
In definitiva, le disposizioni in tema di conferenza di servizi invocate dall’appellante non rappresentano un sistema chiuso e autonomo in tema di determinazione della latitudine dei poteri spettanti alla Soprintendenza, ma si limitano - piuttosto – ad operare una sorta di rinvio esterno alla pertinente disciplina di settore (in questo caso, la parte II, Titolo IV del decreto legislativo n. 42 del 2004, la cui esegesi sistematica è stata dinanzi chiarita retro, sub 2.5. e 2.6.).
2.8. In base a quanto esposto retro (sub 2.5, 2.6. e 2.7) si deve quindi concludere nel senso che, nel sistema normativo ratione temporis rilevante, in caso di infruttuoso decorso del termine per l’espressione del parere da parte della Soprintendenza ai sensi del comma 8 dell’articolo 146, l’Organo statale non restasse privato del potere di esprimere comunque un parere (in particolare, nell’ambito della conferenza di servizi di cui al successivo comma 9). Tuttavia, il parere in tal modo espresso perdeva il proprio carattere di vincolatività e avrebbe dovuto essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione procedente in relazione a tutte le circostanze rilevanti del caso.
Ebbene, siccome l’amministrazione competente (i.e.: l’Unione “Talassa”) ha omesso di valutare in modo autonomo e specifico l’incidenza del parere tardivamente reso dall’Organo statale e ne ha erroneamente ritenuto la valenza comunque vincolante (uniformandosi pedissequamente ad esso), la stessa ha posto in essere un’illegittimità attizia che deve essere censurata attraverso l’annullamento dell’atto di diniego dell’autorizzazione paesaggistica del 12 giugno 2013. (…)”.
Si è dell’avviso che la sentenza sia un coacervo di errori di interpretazione sistemica per i seguenti motivi.
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Prima di procedere, si evidenzia che la VI Sezione del Consiglio di Stato è stata in grado di arrivare a quattro sentenze sul tema con due orientamenti del tutto diversi (nn. 1561/2013; 4656/2013; 4914/2013; 2136/2015). Verrà sentita la necessità, la prossima volta, di investire della questione l’Adunanza plenaria, stante la delicatezza della materia, nel caso in cui non venga abbandonato l’orientamento qui criticato?
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ANALISI DELLA PRONUNCIA.
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Al punto 2.2 il Collegio afferma che per derimere la questione, anche in termini sistematici, è necessaria “… l’esatta individuazione del pertinente quadro normativo.”.
Poiché le disposizioni degli articoli 143, co. 3-4-5, 145 e 146, co. 5, secondo periodo, del Codice del Paesaggio non sono stati ritenuti rilevanti – avendo selezionato, rectius optato, per i soli commi 8, 9 e 10 dell’art. 146 – se ne inferisce che le prime sono state valutate estranee alla questione.
Nel caso in cui, però, siano effettivamente pertinenti, ne deriva che il Collegio non ha operato quell’esatta individuazione del quadro normativo che ha dichiaratamente effettuato e sulla base del quale si è determinato.
Orbene, considerato:
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che l’art. 145 del Codice detta una speciale disciplina transitoria per l’adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico;
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che l’art. 146, co. 5, secondo periodo, recita “Il parere del soprintendente, all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero, su richiesta della regione interessata, dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante e, ove non sia reso entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti, si considera favorevole”;
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che l’art. 143, co. 3-4-5, stabilisce il permanere (e sottolineo permanere) del carattere vincolante del parere soprintendentizio all’indomani dell’approvazione del piano paesaggistico;
come è stato possibile, da parte del Collegio giudicante, il non conferire nel paniere normativo, strumentale alla decisione, proprio quella parte della legge che determina i presupposti del mutamento della natura del parere soprintendentizio e del significato da attribuire all’inerzia, specie in considerazione che è notorio che gli applicati strumenti urbanistici comunali sono stati, nella quasi totalità dei casi, approvati in assenza della prescritta intesa interistituzionale ex art. 28 R.D. n. 1357/1940??
Il legislatore è stato oltremodo chiaro nello stabilire che il parere del soprintendente assume natura non vincolante solo, ed esclusivamente, all’esito:
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dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale;
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dell’avvenuta approvazione delle prescrizioni d’uso per i beni vincolati per decreto, i quali – ex art. 140, co. 2 – integrano automaticamente i piani paesaggistici.
Pertanto, sono dell’avviso che sia macroscopico l’errore in cui è incorso il Collegio nel non ribadire la validità dell’orientamento della sezione inaugurato con la sentenza n. 4656/2013 e proseguito con la n. 4914/2013.
Una sentenza che implicitamente costituisce un’interpretatio abrogans delle norme riportate dallo scrivente.
In nome di uno “sbloccamento dell’Italia” e nell’abbattimento dei burocrati in anticipazione della riforma Madia?
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Ciò posto, non si comprende, a questo punto, a quale Sistema ha fatto riferimento al punto 2.5 della sentenza, e quali siano queste ragioni sistematiche, atteso che del Codice del Paesaggio e del regolamento applicativo (R.D. n. 1357/1940) i Giudici hanno selezionato le norme che ritenevano più confacenti al caso.
Si consideri, per completezza, che l’art. 16, co. 3, L. 241/1990 impedisce ai Comuni di procedere nell’esame dell’istanza in caso di inadempimento soprintendentizio, con conseguente obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 2, co. 1, stessa legge (“… Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”).
Al fine di evitare il pur minimo profilo di discrezionalità nell’azione, il legislatore – vertendosi in tema di tutela del paesaggio, valore assoluto – ha prescritto all’art. 146, co. 9, che la Regione (o l’Ente delegato) provvede trascorsi sessanta giorni dalla ricezioni degli atti da parte del Soprintendente. Ma nell’unico senso possibile conseguente all’insieme delle disposizioni di legge ovverosia con la conclusione del procedimento mediante il provvedimento di improcedibilità a causa dell’assenza del parere vincolante del Soprintendente (v. Cons. Stato, n. 4914/2013).
E seguendo tale ricostruzione normativa è evidente che non sussiste – e non sussisteva – alcun motivo affinché il legislatore prevedesse al nono comma dell’art. 146 (come riconoscono, ma per diversi ed errati motivi, i Giudici al punto 2.7.1 della sentenza) il preavviso di rigetto da parte del Soprintendente, atteso che alcun rigetto deve formulare la Regione, bensì un provvedimento di improcedibilità (che stante il carattere lesivo deve essere impugnato nei termini decadenziali dall’interessato). Invero, l’arresto procedimentale non significa che la domanda non possa essere accolta, bensì pone l’iter in uno stato di quiescenza lesivo per l’interessato (non ricorrendo così i presupposti di applicabilità dell’art. 10-bis L. 241/1990).
Infine, le ragioni sistematiche invocate dal Collegio sono tanto più oscure ove si consideri che essendo la tutela del paesaggio un valore costituzionale assoluto (e quindi sottratto ad operazioni di bilanciamento con diritti costituzionalmente protetti) non ha alcun pregio la motivazione addotta dai Giudici ovverosia “l’esigenza – parimenti di rilievo costituzionale – di garantire in massimo grado la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, imponendo che i richiamati poteri debbano essere esercitati in tutta la loro ampiezza entro un termine certamente congruo ma allo stesso tempo certo e non superabile”.
A tal proposito si consideri che a siffatta esigenza richiamata dal Collegio è stata data tutela dal legislatore (come riconosciuto nella sentenza n. 4914/2013) attraverso l’esperibilità del ricorso amministrativo accelerato avverso il silenzio-inadempimento. Ed è questa tutela accordata all’interessato che costituisce, ex lege (e non attraverso interpretazioni pretorie), il giusto punto di equilibrio tra il preminente interesse pubblico alla tutela del paesaggio e l’esigenza di portare a compimento l’iniziativa economica.
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Scritto il 01/05/2015