Cass. Sez. III n. 30064 del 23 luglio 2024 (UP 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Gargano
Rifiuti.Carcasse scarti e sangue di animali

Le carcasse o gli scarti o il sangue di animali, non reimpiegati o destinati al reimpiego in altri processi produttivi devono essere conferiti alle strutture all'uopo autorizzate

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4/10/2023, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia emessa il 15/2/2022 dal Tribunale di Termini Imerese, con la quale Camillo Emilio Gargano era stato giudicato colpevole di numerosi reati in materia di rifiuti e condannato alla pena di 2 anni, 3 mesi di reclusione e 8.200,00 euro di multa.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
- nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge penale. La Corte di appello avrebbe confermato la sentenza di condanna senza considerare che tutti i testimoni avrebbero sostenuto che nessuna violazione delle norme sui rifiuti era stata posta in essere, dato che il trattamento delle pelli era stato compiuto con soluzione di acqua e sale, liquido non classificato rifiuto perché rientrante nei parametri previsti dalla legge. Le analisi eseguite, inoltre, avrebbero confermato il rispetto delle norme di cui alla direttiva ed al regolamento europeo n. 1069 del 2009, e che non si sarebbe potuta verificare alcuna contaminazione del suolo o del sottosuolo. L’istruttoria, dunque, avrebbe ribadito il pieno rispetto della disciplina, e l'imputato avrebbe adottato tutti gli accorgimenti richiesti. La normativa europea richiamata, peraltro, sarebbe sanzionata solo in via amministrativa; con la precisazione, in ogni caso, che i sottoprodotti di origine animale non sarebbero catalogati come rifiuti, e dunque non richiederebbero un formulario o un registro di carico e scarico. La responsabilità del ricorrente, pertanto, sarebbe stata affermata in violazione del canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio;
- nullità della sentenza per mancanza di motivazione. Si contesta che la decisione si fonderebbe esclusivamente sugli argomenti spesi dal primo Giudice, senza indicare le ragioni per le quali non sarebbero attendibili le prove contrarie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. Muovendo dal secondo motivo di censura, il Collegio evidenzia che la Corte di appello ha reso una sentenza del tutto adeguata e logica, con la quale ha legittimamente confermato gli argomenti spesi dal Tribunale, attesa la riproposizione delle medesime questioni già sollevate nel giudizio di primo grado (così come, peraltro, in questa sede). La sentenza di appello, pertanto, deve essere letta insieme alla precedente, in ragione di una doppia conforme che consente l'esame integrato delle due pronunce, che si fondono in un unico apparato argomentativo.
5. Con riguardo, poi, al merito del giudizio, e dunque alla prima censura, il Collegio rileva ancora l'inammissibilità del ricorso: dietro la parvenza di una violazione di legge, infatti, si chiede a questa Corte di esaminare nuovamente circostanze di merito già valutate dai Giudici della cognizione (le modalità attraverso cui avveniva il trattamento delle pelli; gli esiti delle analisi; il rispetto di “tutti gli accorgimenti così come previsti dalle norme comunitarie”), così da sollecitare una verifica non consentita in sede di legittimità.
6. A ciò si aggiunga, peraltro, che già il Tribunale aveva affermato la responsabilità del ricorrente con un solido ed incensurabile argomento, evidenziando che quanto rinvenuto presso la società del Gargano non poteva esser qualificato come sottoprodotto di origine animale, ma rifiuto.
6.1. In particolare, premesso che la società del ricorrente era autorizzata a svolgere attività di magazzinaggio e manipolazione di pelli animali (di cui all’art. 24, punto 1, lett. H del Regolamento CE n. 1069 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21/10/2009), l'istruttoria aveva accertato che lo stesso ente non era in possesso di alcuna autorizzazione allo stoccaggio di rifiuti liquidi, cosicché le riscontrate condizioni dei luoghi - ampiamente descritte alle pagg. 2-4 della sentenza e non contestate in fatto - impedivano di ravvisare alcun deposito temporaneo. Parimenti, l'azienda non era autorizzata neppure allo stoccaggio di rifiuti solidi, dovendosi dunque ritenere comprovato lo smaltimento illecito di questi, costituiti da scarti di origine animali (orecchie, zampe, code, frammenti ossei) - componenti organiche non commercializzabili - rinvenuti abbandonati “in quantità esorbitante” direttamente sul terreno od interrate; il tutto, peraltro, senza alcuna documentazione in punto di provenienza e trattamento. Questi pezzi, inoltre, erano risultati stoccati da lungo tempo, così emanando un odore nauseabondo, oltre ad essere impregnati di sostanza oleosa che percolava. In forza di tali elementi oggettivi, era stata dunque riconosciuta a questo materiale la natura di rifiuto, così ritenendo integrate tutte le fattispecie in contestazione, ricorrendone i presupposti (ad eccezione della violazione di sigilli di cui al capo E, per la quale il Gargano era stato assolto già in primo grado).
6.2. A tale riguardo, peraltro, deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che gli scarti di origine animale sono sottratti all'applicazione della normativa in materia di rifiuti, e soggetti esclusivamente al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 152 del 2006 (attualmente ai sensi dell'art. 184 bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006); diversamente, in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento, restano soggetti alla disciplina generale sui rifiuti (così, tra le altre, Sez. 3, n. 2710 del 15/12/2011, Lombardo, Rv. 251900; Sez. 3, n. 12844 del 5/2/2009, De Angelis, Rv. 243114). 
6.3. Anche gli scarti di origine animale possono, dunque, essere considerati sottoprodotti solamente se, come ora stabilito dall'art. 183, comma 1, lett. qq), d.lgs. n. 152 del 2006, soddisfano le condizioni di cui all'articolo 184 bis, comma 1), e cioè se: a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana, o rispettano i criteri stabiliti in base all'articolo 184 bis, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006.
6.4. Tale conclusione è stata ribadita (cfr. Sez. 3, n. 33084 del 15/07/2021, Mingolla, Rv. 282476) anche alla luce del Regolamento 1069/2009/CE, già citato, recante "Norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale)". Invero, tra i sottoprodotti di origine animale, l'art. 8 di tale decreto classifica come materiali di categoria 1 i seguenti sottoprodotti di origine animale: "a) corpi interi e tutte le loro parti, incluse le pelli, degli animali seguenti: i) animali sospettati di essere affetti da una TSE conformemente al regolamento (CE) n. 999/2001 o nei quali la presenza di una TSE è stata ufficialmente confermata; ii) animali abbattuti nel quadro di misure di eradicazione delle TSE; iii) animali che non sono né animali d'allevamento né animali selvatici, come gli animali da compagnia, gli animali da giardino zoologico e gli animali da circo; iv) animali impiegati per esperimenti come definiti all'articolo 2, lettera d), della direttiva 86/609/CEE, fatto salvo l'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1831/2003; v) animali selvatici, se si sospetta che siano affetti da malattie trasmissibili all'uomo o agli animali; b) i seguenti materiali: i) materiali specifici a rischio; ii) corpi interi, o loro parti, di animali morti contenenti materiali specifici a rischio al momento dello smaltimento; c) sottoprodotti di origine animale ottenuti da animali che sono stati sottoposti a trattamenti illeciti come definiti all'articolo 1, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 96/22/CE o all'articolo 2, lettera b), della direttiva 96/23/CE; d) sottoprodotti di origine animale contenenti residui di altre sostanze e di agenti contaminanti per l'ambiente elencati nel l'allegato I, categoria B, punto 3, della direttiva 96/23/CE, se tali residui superano i livelli consentiti dalla normativa comunitaria o, in assenza di tale normativa, dalla normativa nazionale; e) sottoprodotti di origine animale raccolti nell'ambito del trattamento delle acque reflue a norma delle misure di attuazione adottate conformemente all'articolo 27, primo comma, lettera c): i) da stabilimenti o impianti che trasformano materiali di categoria 1; o ii) da altri stabilimenti o impianti in cui è rimosso materiale specifico a rischio; f) rifiuti alimentari provenienti da mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali; g) miscele di materiali di categoria 1 con materiali di categoria 2 e/o 3".
6.5. Il successivo art. 10 del medesimo regolamento, poi, classifica come materiali di categoria 3 i sottoprodotti di origine animale, includendovi, tra l'altro "a) carcasse e parti di animali macellati oppure, nel caso della selvaggina, di corpi o parti di animali uccisi, dichiarati idonei al consumo umano in virtù della normativa comunitaria, ma non destinati al consumo umano per motivi commerciali; b) le carcasse e le parti seguenti derivanti da animali macellati in un macello e ritenuti atti al macello per il consumo umano dopo un esame ante mortem o i corpi e le parti seguenti di animali da selvaggina uccisa per il consumo umano nel rispetto della legislazione comunitaria: i) carcasse o corpi e parti di animali respinti in quanto non idonei al consumo umano in virtù della legislazione comunitaria, ma che non mostrano segni di malattie trasmissibili all'uomo o agli animali; ii) teste di pollame; iii) pelli, inclusi ritagli e frammenti, corna e zampe, incluse le falangi e le ossa carpiche e metacarpiche e le ossa tarsiche e metatarsiche, di: — animali diversi dai ruminanti soggetti all'obbligo di test delle (Testo rilevante ai fini del SEE), e — ruminanti sottoposti con esito negativo al test di cui all'articolo 6, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 999/2001; iv) setole di suini; v) piume; c) sottoprodotti di origine animale di pollame e lagomorfi macellati in un'azienda agricola ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 3, lettera d), del regolamento (CE) n. 853/2004, che non presentavano alcun sintomo di malattie trasmissibili all'uomo o agli animali".
I successivi artt. 12 e 14 del citato Regolamento stabiliscono poi che i materiali delle categorie 1 e 3 sono smaltiti come rifiuti, dettandone le modalità.
6.6. Anche alla luce di tale nuova disciplina è evidente che le carcasse o gli scarti o il sangue di animali, non reimpiegati o destinati al reimpiego in altri processi produttivi - e non è questo certamente il caso, come da risultanze istruttorie - devono essere conferiti alle strutture all'uopo autorizzate, il che, nella specie, pacificamente non è avvenuto (cfr., in fattispecie analoga, Sez. 3, n. 33084 del 15/07/2021, Mingolla, Rv. 282476, cit.), con la conseguenza che del tutto correttamente è stata esclusa la qualificabilità degli scarti di origine animale trattati dalla “Gargano Pelli s.r.l.”, che li gestiva come sottoprodotti, affermandone la natura di rifiuti, con la conseguente necessità di applicazione a dette attività della disciplina sui rifiuti, che, pacificamente, non è avvenuta.
6.7. Va, inoltre, ricordato che poiché la disciplina dei sottoprodotti è derogatoria rispetto a quella generale in tema di rifiuti, la qualificazione di un residuo come sottoprodotto, anziché come rifiuto, in caso dubbio, deve essere provata da colui che detto sottoprodotto ha lavorato o smaltito. In altre parole, ogniqualvolta non sia stato rispettato il processo normativo che può individuare la categoria del sottoprodotto, esso deve essere considerato quale rifiuto.
6.8. Aiuta ad operare detta distinzione quanto previsto nel D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 del Ministero dell'Ambiente denominato "Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti" che all'art. 1 chiarisce che i requisiti richiesti per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti devono essere soddisfatti in tutte le fasi della gestione dei residui, dalla produzione all'impiego nello stesso processo, o in uno successivo, e all'art. 5 prevede che il produttore e il detentore del bene assicurano, ciascuno per quanto di propria competenza, l'organizzazione e la continuità di un sistema di gestione, ivi incluse le fasi di deposito e trasporto, che, per tempi e per modalità, consente l'identificazione e l'utilizzazione effettiva del sottoprodotto.
6.9. La qualificazione o meno di rifiuto (peraltro presunta) discende, dunque, anzitutto dal comportamento del detentore. Al riguardo, la Corte di giustizia ha precisato che "di regola, quanto alla dimostrazione di un'intenzione, solo il detentore dei prodotti può provare che la propria intenzione non è quella di disfarsi di essi, bensì di permetterne il riutilizzo in condizioni idonee a conferire loro la qualifica di sottoprodotto" (cfr. Sentenza 3 ottobre 2013, causa C-113/12, sentenza Brady, punti 61-64). A conferma di detta ricostruzione è l'articolo 184 bis, con-ima 1, lett. b), del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui perché un residuo possa essere considerato un sottoprodotto deve essere certo che esso "sarà utilizzato" nel corso dello stesso o di un successivo processo produttivo o di utilizzazione. In conformità alla direttiva 2008/98/CE tale disposizione, nel richiedere che non vi siano possibilità che il residuo non venga utilizzato, vuole evitare la sottrazione di un materiale alla disciplina dei rifiuti in presenza di una mera possibilità di utilizzo dello stesso. Il sottoprodotto nasce, cioè, con la certezza di essere riutilizzato (sul punto, diffusamente, Sez. 3, n. 47690 del 15/11/2023, Cocconi, non massimata).
  7. Ebbene, tale disciplina, applicabile ai sottoprodotti, compresi quelli di origine animale, è stata esclusa dai Giudici di merito, in forza delle considerazioni già espresse, tali da riscontrare la corretta qualificazione di rifiuti e la consumazione delle fattispecie contestate in materia.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024