Cass. Sez. III n. 17394 del 27 aprile 2023 (UP 24 gen 2023)
Pres. Ramacci Rel. Di Nicola Ric. Bevilacqua
Rifiuti.Commercio ambulante
In tema di rifiuti, per l'applicabilità della deroga di cui all'art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, a tenore del quale “le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”, occorre non solo che l’agente sia in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, ma anche che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio ma non riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie, come nella specie, autonomamente disciplinate
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato il ricorrente alla pena di 1.800,00 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 256 decreto legislativo del 3 aprile 2006 n. 152 perché, a bordo dell'autocarro Fiat tg. AV853JJ, di sua proprietà, effettuava attività di trasporto di rifiuti non pericolosi, rappresentati nella specie da vario materiale ferroso, senza la prescritta autorizzazione. Accertato in Villa San Giovanni in data 24 maggio 2018.
2. Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, è affidato a due motivi, come di seguito riassunti ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova.
Sostiene che il Giudice avrebbe evidenziato, in sentenza, un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello acquisito in sede di istruttoria dibattimentale, atteso che, all’udienza del 17 gennaio 2022, veniva escusso il teste di polizia giudiziaria e, all’udienza del 1 febbraio 2022, la difesa produceva copia dell’autorizzazione ad esercitare, tra l’altro, attività di raccolta di materiale ferroso concessa all’imputato il 29 luglio 2013, nonché ricevuta della relativa domanda, regolarmente presentata agli uffici competenti.
Assume che l’operazione ermeneutica compiuta in sentenza dal Giudice è consistita dapprima nel richiamare, del tutto acriticamente, le dichiarazioni del teste, poi nell’effettuare un’incompleta ricognizione della normativa vigente in materia e, infine, nel pervenire a conclusioni che non troverebbero alcun riscontro negli atti processuali, costituendo, invece, il frutto di un manifesto travisamento della prova, posto che dagli atti del processo non risultava affatto che egli fosse solo apparentemente munito della prescritta autorizzazione ad esercitare l’attività sul presupposto, del tutto inesistente ex actis, secondo il quale l’autorizzazione, rilasciatagli, in data 24 luglio 2013, sarebbe stata de plano revocata in quanto non emergeva essere stata presentata annualmente al DURC, di cui al comma 2-bis dell’art. 28 d.lgs. n. 114 del 1998.
Inoltre, il Giudice aveva affermato che l’imputato sarebbe stato «colto ad esercitare la propria attività al di fuori (Villa San Giovanni) del Comune di Reggio Calabria per il quale l’autorizzazione predetta era stata rilasciata», circostanza, invece, assolutamente diversa da quella risultante dalle dichiarazioni rese dal teste Fioriglio, il quale aveva dichiarato che l’imputato era stato fermato, durante un’attività di routine di controllo del territorio, mentre era in transito con il proprio autocarro e che, nel corso del suddetto controllo stradale, si era proceduto anche ad una verifica del carico del mezzo, come emergerebbe dalla trascrizione del verbale dibattimentale.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio sul rilievo che il Giudice del dibattimento avesse confermato la sanzione inflitta con il decreto penale di condanna, senza alcuna rivisitazione critica necessitata dal complessivo svolgersi del processo e degli elementi acquisiti, che avrebbero certamente potuto consentire quantomeno la determinazione di una ammenda in misura inferiore.
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Quanto al primo motivo, il ricorrente mostra di non aver compreso la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, che fonda su un doppio ordine di considerazioni.
Il Tribunale ha, infatti, convalidato la tesi accusatoria sul rilievo che l’imputato trasportasse non occasionalmente rifiuti senza la prescritta autorizzazione ed ha tratto tale convincimento dalla circostanza del tutto pacifica, risultante dal testo della sentenza impugnata e neppure contestata con il ricorso, desunta dall’esame del teste di polizia giudiziaria, il quale aveva riferito che, in data 24 maggio 2018, in Villa San Giovanni, durante un servizio di perlustrazione del territorio si procedeva a controllare l’autocarro intestato e condotto dal ricorrente.
Nel corso del controllo si accertava che, nel vano di carico, vi erano dei rifiuti non pericolosi del tipo ferroso, un cumulo di rifiuti non pericolosi, nello specifico c’erano uno scaldabagno, delle forme circolari di cemento armato, componenti di varie biciclette, reti di materassi, oggetti in ferro arrugginiti di tutti i tipi.
Richiesto l’imputato di riferire circa la ragione della presenza di detto materiale, il ricorrente affermava, senza alcun riferimento allo svolgimento di attività di trasporto ambulante di rifiuti, di svolgere “il trasporto di questi oggetti”, conseguentemente veniva richiesto di esibire le prescritte autorizzazioni inerenti alla sua iscrizione all’Albo dei gestori ambientali, ma “lo stesso riferiva di non averli al seguito e di averli presso la propria abitazione”.
Gli agenti tentavano di collegarsi telematicamente, dal posto ove si trovavano, al fine di reperire i predetti documenti, non riuscendovi e redigevano il verbale con il quale invitavano l’imputato a fornire, consegnandola presso un ufficio della polizia, la predetta documentazione entro un dato termine; accertato, alla scadenza dello stesso, che il prevenuto non si era mai presentato presso nessun ufficio di Polizia per consegnare il documento che lo autorizzava a svolgere quel tipo di attività (trasporto tout court di rifiuti e non anche il trasporto itinerante di rifiuti che facessero parte del suo commercio), veniva acquisita una visura effettuata presso la Camera di Commercio dalla quale risultava soltanto che l’imputato «era autorizzato a svolgere, in generale, commercio, vendita al dettaglio di oggetti non alimentari, ma non era autorizzato assolutamente a svolgere attività di trasporto e raccolta ferro ed altri rifiuti pericolosi o non pericolosi».
Sulla base di ciò, con motivazione del tutto autosufficiente per la decisione circa l’affermazione della responsabilità, il Tribunale ha ritenuto integrata la fattispecie contravvenzionale contestata al ricorrente.
Il quale, poi, ha depositato in dibattimento un’autorizzazione per lo svolgimento delle attività di trasporto di materiale ferroso in forma itinerante.
In ordine alla produzione di quest’ultima documentazione, se è vero che il Tribunale ha apoditticamente affermato che il ricorrente avesse omesso la presentazione del documento unico di regolarità contributiva (DURC), adempimento prescritto dal comma 2-bis dell’art. 28 d.lgs. n. 114 del 1998, è tuttavia pacifico che l’imputato trasportasse i rifiuti fuori dal territorio del comune all’interno del quale era, in ipotesi, autorizzato al commercio itinerante nonché rifiuti diversi da quelli riconducibili al materiale ferroso che, in ipotesi, formava oggetto del suo commercio: rifiuti, quindi, diversamente nonché autonomamente disciplinati rispetto al materiale ferroso (scaldabagno, ossia apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso non contenenti sostanze pericolose, forme circolari di cemento armato, ossia rifiuti generati dalle opere edili di costruzione o dalle demolizioni).
A questo proposito, è il caso di ricordare che, in tema di rifiuti, per l'applicabilità della deroga di cui all'art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, a tenore del quale “le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”, occorre non solo che l’agente sia in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, ma anche che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio ma non riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie, come nella specie, autonomamente disciplinate (Sez. 3, n. 34917 del 09/07/2015, Caccamo, Rv. 264822-01; Sez. 3, n. 269 del 10/12/2014, dep. 2015, Seferovic, Rv. 261959-01).
Il motivo è, pertanto, infondato.
3. Passando all’esame del secondo motivo - con il quale il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio stabilito dal Tribunale che, confermando la pena inflitta con il decreto penale di condanna, non avrebbe preso in considerazione la progressiva evoluzione processuale e gli ulteriori elementi acquisiti, che avrebbero certamente potuto consentire quantomeno la determinazione di una ammenda in misura inferiore - esso è manifestamente infondato.
Nel giudizio conseguente all’opposizione a decreto penale di condanna, il giudice può infliggere all’imputato, con la sentenza di affermazione della responsabilità, una pena più grave di quella fissata nel decreto (art. 464, comma 4, cod. proc. pen.) e, nel farlo, deve dimostrare di aver considerato i criteri direttivi indicati nell’art. 133 cod. pen. per la determinazione del trattamento sanzionatorio, evitando, in tal modo, che la reformatio in peius possa essere ritenuta come una sanzione atipica irrogata a fronte dell’esercizio di un legittimo diritto del condannato. Invece, non è tenuto - qualora, all’esito del giudizio a contradditorio integro, confermi, come nel caso di specie, la pena irrogata con il decreto penale di condanna - ad alcuna articolata motivazione in proposito, che non sia richiesta da specifiche istanze formulate dall’imputato, perché la pena inflitta con il decreto penale già contiene un trattamento premiale a favore del prevenuto, cosicché il giudice del processo massimamente garantito, che non si sia avvalso del legittimo potere di procedere, con adeguata motivazione, alla reformatio in peius del trattamento sanzionatorio, dimostra, implicitamente, di aver tenuto pienamente conto di tutta la progressione processuale.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/01/2023