Cass. Sez. III n. 25633 del 5 luglio 2022 (UP 17 mag 2022)
Pres. Sarno Est. Aceto Ric. Ndiaye
Rifiuti.Commercio del rifiuto
La qualifica della cosa come rifiuto preesiste, sia per le sue caratteristiche oggettive che per le espresse classificazioni-catalogazioni operate dal legislatore nazionale ed unionale, alle sue possibili vicende negoziali vietandone o condizionandone il commercio; altrimenti ragionando, il commercio di rifiuti escluderebbe in radice la natura di “rifiuto” dei beni oggetto di traffico per sol perché l’acquirente vi trovi una qualche utilità, a prescindere dalla necessità delle operazioni di recupero necessarie alla cessazione della qualità di rifiuto stesso
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il sig. Mor Ndiaye ricorre per l’annullamento della sentenza del 17/09/2019 della Corte di appello di Genova che, decidendo la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di sette mesi di reclusione comminata con sentenza del 17/09/2019 del Tribunale di Genova per il reato di cui agli artt. 81, cpv., 483, cod. pen., 259, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, a lui ascritto: a) per aver effettuato una spedizione illecita di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (un motociclo già avviato alla demolizione/rottamazione, tre motosi usati non bonificati, dieci frigoriferi usati); b) per aver formato, inducendo in errore un funzionario dell’Agenzia delle Dogane, una bolletta doganale falsa attestando, contrariamente al vero, la presenza di merce (porte, preparazioni alimentari non deperibili, indumenti usati, materassi, pneumatici, mobilio, divani e poltrone, reti a doghe e piastrelle) qualitativamente diversa da quella oggetto di carico.
1.1. Con il primo motivo, allegando in fatto la destinazione alla rivendita dei beni appositamente acquistati allo scopo, deduce, in diritto, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 183 e 259, d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’errata qualificazione come rifiuti dei beni oggetto di spedizione.
1.2. Con il secondo motivo, allegando il dubbio della paternità della firma apposta in calce alla dichiarazione di libera esportazione sulla cui base è stata formata la bolletta doganale, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 483 cod. pen.
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Osserva il Collegio:
3.1. la deduzione difensiva dell’acquisto dei beni (considerati rifiuti) oggetto di successiva esportazione verso il Senegal sconta, in primo luogo, la propria genericità già esplicitamente rimarcata dalla Corte di appello nel disattendere l’analoga deduzione difensiva oggetto dell’odierno primo motivo di ricorso posto che il ricorrente non aveva mai documentato l’acquisto di tali beni;
3.2. né ha pregio la tesi difensiva per la quale il rifiuto non è tale sol perché destinato alla rivendita;
3.3. premesso che, come detto, il ricorrente non ha mai documentato l’acquisto dei beni oggetto di odierna regiudicanda, la condotta del “disfarsi” che, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, qualifica l’oggetto come rifiuto, è propria di chi “cede” il bene, non di chi l’acquista (per poi rivenderlo);
3.4. la qualifica della cosa come rifiuto, in buona sostanza, preesiste, sia per le sue caratteristiche oggettive che per le espresse classificazioni-catalogazioni operate dal legislatore nazionale ed unionale, alle sue possibili vicende negoziali vietandone o condizionandone il commercio; altrimenti ragionando (e seguendo la tesi difensiva), il commercio di rifiuti escluderebbe in radice la natura di “rifiuto” dei beni oggetto di traffico per sol perché l’acquirente vi trovi una qualche utilità, a prescindere dalla necessità delle operazioni di recupero necessarie alla cessazione della qualità di rifiuto stesso;
3.5. nel caso di specie, la natura di rifiuto dei beni oggetto di illecita esportazione è chiaramente dimostrata: a) dalla destinazione alla rottamazione/demolizione del motociclo tolto dalla circolazione dall’ACI di Treviso; b) dal fatto che i motori usati (e non bonificati), in quanto parti di «veicoli fuori uso», costituiscono rifiuti ai sensi degli artt. 184, comma 3, lett. i), 227, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006, e allegato D alla parte quarta del d.lgs. n. 152, cit. (voce 16.01.04), nonché ai sensi dell’art. 3, commi 1, lett. b), e 2, d.lgs. n. 209 del 2003; c) dal fatto che i frigoriferi usati costituiscono, ai sensi dell’Allegato II alla direttiva n. 2012/19/UE - DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, degli artt. 227, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, e 4, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 49 del 2014, «rifiuti elettrici ed elettronici» (cd. RAEE) la cui spedizione può essere effettuata nei limiti e alle condizioni stabilite dall’art. 21, d.lgs. n. 49, cit.;
3.6. quanto ai frigoriferi è necessario altresì evidenziare che: a) anche volendo escluderne la natura di rifiuto ed attestarne la qualifica di elettrodomestico usato, la spedizione all’estero è condizionata agli adempimenti “minimi” indicati dall’allegato VI al d.lgs. n. 49 del 2014, del tutto mancanti nel caso in esame; b) i «RAEE» possono essere spediti all’estero ai soli fini del trattamento (e non per la rivendita), secondo quanto prevede l’art. 21, d.lgs. n. 49 del 2014, ai sensi del quale la spedizione deve essere conforme al regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti, e al regolamento (CE) n. 1418/2007 della Commissione, del 29 novembre 2007, relativo all'esportazione di alcuni rifiuti destinati al recupero, elencati all'Allegato III o III A al regolamento (CE) n. 1013/2006 verso alcuni paesi ai quali non si applica la decisione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti; c) sono in ogni caso vietate le esportazioni di rifiuti destinati allo smaltimento verso paesi esterni all’Unione Europea o verso paesi EFTA non aderenti alla Convenzione di Basilea; d) poiché al Senegal non è applicabile la decisione C(2001) 107 def. del Consiglio OCSE relativa alla revisione della decisione C(92) 39 def. sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti destinati ad operazioni di recupero, la spedizione di RAEE finalizzata al recupero è comunque vietata ai sensi dell’art. 37, Reg. (CE) 14/06/2006, n. 1013/2006/CE - REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo alle spedizioni di rifiuti) e dell’allegato 5 al Reg. (CE) 29/11/2007, n. 1418/2007/CE (REGOLAMENTO DELLA COMMISSIONE relativo all'esportazione di alcuni rifiuti destinati al recupero, elencati nell'allegato III o III A del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, verso alcuni paesi ai quali non si applica la decisione dell'OCSE sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti) e successive modificazioni;
3.7. è del tutto infondato il secondo motivo posto che, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 483 cod. pen., non è necessario che l’attestazione del fatto venga effettuata dall’agente con atto scritto di suo pugno, essendo sufficiente che consegni deliberatamente al pubblico ufficiale il documento sulla cui base questi forma l’atto pubblico nella consapevolezza (da parte dell’agente stesso) della falsità dei dati riportati;
3.8. ne consegue che, ai fini dell’integrazione del reato, è sufficiente la presentazione della dichiarazione ai fini del rilascio della bolletta doganale di cui all’art. 8, d.lgs. n. 374 del 1990, nella consapevolezza della sua non corrispondenza a vero, non essendo altresì richiesto che la dichiarazione sia sottoscritta da chi la presenta;
3.9. nel caso di specie, la dichiarazione doganale e la pedissequa bolletta non riportavano, significativamente, i rifiuti oggetto di illecita spedizione che il ricorrente aveva provveduto a caricare ed alla cui spedizione era personalmente e direttamente interessato e destinatario.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17/05/2022.