Cass. Sez. III n. 31213 del 16 luglio 2019 (CC 14 mag 2019)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric. El Abassi
Rifiuti.Indagine volta all’accertamento dell’effettiva natura di rifiuto
Nell’indagine volta all’accertamento dell’effettiva natura di rifiuto si deve evitare di porsi nella sola ottica del cessionario del prodotto, e della valenza economica che allo stesso egli attribuisce (sì da esser disposto a pagare per ottenerlo), occorrendo, per contro, verificare “a monte” il rapporto tra il prodotto medesimo ed il suo produttore e, soprattutto, la volontà/necessità di questi di disfarsi del bene. Opinare in termini diversi comporterebbe la facile creazione di pericolose aree di impunità, nelle quali numerose condotte oggettivamente integranti una fattispecie di reato ben potrebbero esser dissimulate da accordi – dolosamente preordinati – volti a privare il bene di una particolare qualità, ex se rilevante sotto il profilo penale, invero già “a monte” acquisita ed insuscettibile di esser cancellata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 2/1/2019, il Tribunale del riesame di Trento annullava il decreto di sequestro preventivo emesso il 3/12/2018 dal locale Giudice per le indagini preliminari, così disponendo la restituzione di un veicolo ad El Abbassi Abdessamad, indagato per il delitto di cui all’art. 259, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 con riguardo ad una spedizione - in Marocco - di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, deducendo – con unica doglianza – la violazione dell’art. 259 contestato. Il Tribunale avrebbe revocato la misura cautelare ritenendo – “in prima approssimazione” – che le spiegazioni fornite quanto ai beni trasportati fossero idonee a giustificarne la provenienza; tale impostazione, tuttavia, risulterebbe errata, attesa la mancanza di ogni documentazione al riguardo (anche per i beni asseritamente acquistati presso mercatini), in uno con l’occasionalità della condotta, smentita dalla quantità di rifiuti raccolti, con il genere omogeneo degli stessi e con i costi da sostenere per il loro trasporto in Marocco. Elementi che, dunque, evidenzierebbero il fumus del traffico illecito di rifiuti, ulteriormente confermato dalle modalità – caotiche e senza protezione – con le quali i materiali erano stati accatastati nel mezzo. Ancora, il ricorrente rileva che il d. lgs. n. 49 del 14 marzo 2014 stabilirebbe che la gestione dei RAAE debba avvenire attraverso appositi impianti, e con l’impiego di documentazione a sostegno che, nel caso di specie, difetterebbe del tutto. Da ultimo, sottolinea il carattere di rifiuto pericoloso proprio di alcuni degli oggetti in esame, come le batterie ed i frigocongelatori fuori uso, tali da non poter essere esportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, gli "errores in iudicando" o "in procedendo", al pari dei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal Giudice (tra le molte, Sez. 3, n. 37451 dell’11/4/2017, Gazza, Rv. 270543; Sez. 1, n. 6821 del 31/1/2012, Chiesi, Rv. 252430); per contro, non può esser dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell'art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
Ciò premesso, il ricorso risulta fondato.
4. La motivazione stesa dal Tribunale del riesame, infatti, emerge proprio in quei termini di apparenza appena richiamati, se non di assenza, laddove, pur a fronte del pacifico rinvenimento di 132 apparecchi elettronici usati potenzialmente qualificabili come rifiuti RAEE, ne esclude il legame con l’art. 259 contestato sul presupposto che la documentazione prodotta dal ricorrente a sostegno della liceità dell’acquisto, “in prima approssimazione”, “sembra coprire buona parte del materiale sequestrato.” Difetta, pertanto, un’effettiva motivazione con riguardo a tutti gli apparecchi trovati in possesso dell’indagato, specie alla luce delle caratteristiche intrinseche degli stessi, assai numerosi, e delle modalità con le quali tali beni erano stati trovati sul veicolo “Fiorino” (accatastati alla rinfusa, privi di protezione); del pari, difetta ogni valutazione quanto alla astratta configurabilità della fattispecie contestata, anche alla luce della disciplina speciale di cui al d. lgs. n. 49 del 2014, non potendosi al riguardo considerare effettivo argomento il richiamo – meramente probabilistico e “in prima approssimazione” - a documentazione prodotta dall’indagato (peraltro relativa soltanto a parte dei beni) e della quale il provvedimento non fornisce alcuna sufficiente indicazione.
5. A ciò peraltro aggiungendo, come d’altronde già sostenuto da questa Corte (Sez. 3, n. 5442 del 15/12/2016, Zantonello, non massimata; Sez. 3, n. 15447 del 20/1/2015, Napolitano, non massimata), che nell’indagine in esame – volta all’accertamento dell’effettiva natura di rifiuto - si deve evitare di porsi nella sola ottica del cessionario del prodotto, e della valenza economica che allo stesso egli attribuisce (sì da esser disposto a pagare per ottenerlo), occorrendo, per contro, verificare “a monte” il rapporto tra il prodotto medesimo ed il suo produttore e, soprattutto, la volontà/necessità di questi di disfarsi del bene.
6. Opinare in termini diversi, al pari di quanto risulta dal provvedimento impugnato, comporterebbe dunque la facile creazione di pericolose aree di impunità, nelle quali numerose condotte oggettivamente integranti una fattispecie di reato ben potrebbero esser dissimulate da accordi – dolosamente preordinati – volti a privare il bene di una particolare qualità, ex se rilevante sotto il profilo penale, invero già “a monte” acquisita ed insuscettibile di esser cancellata.
Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Trento.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019