Cass. Sez. III n. 50143 del 7 novembre 2018 (Ud 9 ott. 2018)
Pres. Ramacci Est. Ramacci Ric. Busisi
Rifiuti.Nozione di gestione
La definizione di «gestione» di cui all’art. 183, comma 1, lett. n) d.lgs. 152/06 è una definizione ampia, che sostanzialmente comprende ogni fase del ciclo dei rifiuti, dal momento della loro produzione alla loro definitiva eliminazione, attraverso l’indicazione delle operazioni che la caratterizzano e che va letta considerando l’insieme delle disposizioni riguardanti la disciplina dei rifiuti e le modalità di svolgimento delle varie operazioni, senza possibilità di scindere e considerare separatamente le singole attività al fine di sottrarle all’applicazione della normativa di settore.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Grosseto, con sentenza del 18 dicembre 2017 ha affermato la responsabilità penale di Stefano Busisio BUSISI, legale rappresentante della “BUSISI ECOLOGIA s.r.l.”, che ha condannato alla pena dell'ammenda, in ordine al reato di cui all'articolo 29-quaterdecies, comma 3, lett. b) d.lgs. 152/2006, per l’inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciatagli dalla provincia di Grosseto: 1) per violazione del crono-programma definito dal punto 2A della determina AIA; 2) per violazione della prescrizione di cui al punto 6 del paragrafo 4.4.3 dell'allegato tecnico dell’AIA, non risultando l'impianto conforme allo stato autorizzato secondo la planimetria; 3) violazione della prescrizione di cui all'Allegato 1 dell'allegato tecnico della determina AIA, in quanto tutti i rifiuti presenti all'esterno dei capannoni o delle strutture fisse risultavano scoperti e stoccati senza adottare accorgimenti tecnici per evitare il contatto tra i rifiuti e le acque meteoriche; 4) violazione della prescrizione di cui Allegato 1 allegato tecnico della determina AIA, in quanto alcune aree non risultavano dotate di cartellonistica e quella presente presentava solo il riferimento al CER, ma non riportava le informazioni sulle norme di sicurezza e di comportamento in caso di emergenza; 5) violazione della prescrizione indicata nell'atto autorizzativo con riferimento specifico ai documenti riguardanti la procedura in caso di rilevazione radioattività e dall'allegato 18 del manuale AIA “Rivelatore di radioattività - caratteristiche tecniche e procedure gestionali”.
Inoltre, era chiamato a rispondere del reato di cui agli artt. 151 e 157 d.lgs. 230/95, perché violava l'obbligo di effettuare la sorveglianza radiometrica sui rottami e sui materiali derivanti dalla fusione dei rottami e, segnatamente, gestiva la sorveglianza radiometrica presso l'impianto senza aver dato incarico formale e continuativo ad un esperto qualificato, nonché del reato di cui agli artt. 107 e 140, comma 4 del medesimo decreto legislativo, perché violava la disposizione che prescrive la presenza di certificato di taratura per la strumentazione portatile in dotazione all'azienda, che risultava non presente (fatti accertati in Grosseto, il 19 dicembre 2014).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la rilevanza penale delle condotte contestategli, considerandole rientranti nella nozione di gestione di rifiuti, intesa, però, in senso ampio ed eccedente il contenuto dell'articolo 183 d.lgs. 152/06 che ne fornisce la definizione.
Osserva, a tale proposito, che le condotte descritte non sarebbero attinenti all'effettuazione di operazioni e manovre di gestione di rifiuti e consisterebbero in mere irregolarità o lacune concernenti la predisposizione e/o la manutenzione delle infrastrutture aziendali di custodia dei rifiuti in gestione.
Rileva anche che il Tribunale avrebbe errato nel ritenerlo penalmente responsabile delle violazioni del decreto legislativo 230/95, che riguarderebbero adempimenti rientranti comunque tra le prescrizioni dell'AIA.
Insiste pertanto per l'accoglimento del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Come è stata anche più volte ricordato (da ultimo, in Sez. 3, n. 38753 del 9/7/2018, Burato), con il d.lgs.18 febbraio 2005, n.59 venne data completa attuazione alla la direttiva 96\61\CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC), inizialmente recepita solo in parte con il d.lgs. 4 agosto 1999 n. 372, che riguardava esclusivamente gli impianti esistenti (secondo la definizione datane nel decreto medesimo), rinviando ad altro momento il completo recepimento della direttiva comunitaria e che, con l'entrata in vigore del d.lgs. 59\2005, veniva abrogato, fatto salvo quanto previsto all'articolo 4, comma 2.
Il d.lgs. 59/2005 veniva poi abrogato con il «terzo correttivo» al d.lgs. 152\06 (d.lgs. 29 giugno 2010 n.128), con il quale si provvedeva alla trasposizione, con sostanziali modifiche, della relativa disciplina nella Parte Seconda del d.lgs. 152\06, effettuando anche il coordinamento, prima mancante, delle procedure di VIA ed AIA.
Il d.lgs. 59\2005 prevedeva misure atte ad evitare o, qualora non fosse possibile, ridurre le emissioni di determinate attività (descritte nell’allegato 1) nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti ed a conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, nel suo complesso, adottando le migliori tecnologie disponibili.
Le finalità della menzionata direttiva comunitaria, fatte proprie dal legislatore nazionale, erano evidentemente orientate dalla necessità di prevedere una visione globale dei problemi connessi alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento, adottando procedure che, oltre ad essere semplificate, consentissero una verifica complessiva della situazione relativa ad un determinato impianto.
Veniva così previsto un unico procedimento autorizzatorio per il singolo impianto, eliminando la necessità per il gestore dello stesso di conseguire più autorizzazioni per lo svolgimento di una singola attività.
Le finalità dell'AIA sono ora indicate dall'articolo 4, comma 4, lett. c) del dlv. 152\2006 e riguardano la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività indicate all'allegato VIII. Si prevedono misure intese a evitare, ove possibile o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale, mentre le definizioni relative alla materia sono integrate nell'articolo 5.
La necessità dell’AIA per le installazioni che svolgono le attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 è stabilita dall’art. 6, comma 13 del medesimo decreto legislativo.
La specifica disciplina è invece contenuta nel Titolo III-bis appositamente inserito nel d.lgs. 152\06.
L’autorizzazione è rilasciata secondo le procedure stabilite dagli artt. 29-bis e ss. del d.lgs.
I requisiti della domanda di autorizzazione e la relativa procedura sono indicati negli artt. 29-ter e 29-quater.
Analogamente a quanto previsto dall’abrogato d.lgs. 59/2005, il comma 11 dell'art. 29-quater d.lgs. 152\06, afferma che le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono, ad ogni effetto, le autorizzazioni riportate nell'elenco dell'allegato IX e, a tal fine, il provvedimento di autorizzazione integrata ambientale richiama esplicitamente le eventuali condizioni, già definite nelle autorizzazioni sostituite, la cui necessità permane. Inoltre, le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono la comunicazione di cui all'articolo 216.
Per il resto, la previgente disciplina veniva riprodotta, con modifiche di carattere formale, negli articoli da 29-quinquies a 29-quattordecies ed ha subito modifiche nel tempo.
3. L’art.29-quaterdecies, in particolare, è stato integralmente sostituito in forza dell’art. 7, comma 13 del d.lgs. 46/2014 e sanziona, al primo comma, chiunque esercita una delle attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del d.lgs. 152/06 senza essere in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, o dopo che la stessa sia stata sospesa o revocata.
Il comma 3 della medesima disposizione, che qui rileva, sanziona, con la sola pena dell'ammenda, sempreché il fatto non costituisca più grave reato, colui che, pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, non ne osserva le prescrizioni o non osserva quelle imposte dall'autorità competente nel caso in cui l'inosservanza: a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell'autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all'articolo 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell'autorizzazione stessa; b) sia relativa alla gestione di rifiuti; c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all'articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa.
4. La condotta illecita attribuita all’odierno ricorrente rientra, secondo quanto ritenuto nella sentenza impugnata, nella fattispecie di cui alla lettera b) del comma citato, in quanto ricompresa, per il giudice del merito, tra le attività di “gestione dei rifiuti” richiamata dalla norma in esame.
Tale assunto è contestato in ricorso, sostenendosi che, per la nozione di gestione dei rifiuti rilevante ai fini della configurabilità del reato, deve farsi riferimento alla definizione offerta dall’art. 183 d.lgs. 152/06 e che in tale definizione non rientrerebbero le condotte oggetto di contestazione.
Tale affermazione, tuttavia, non è corretta.
5. L’art. 183, comma 1, lett. n) d.lgs. 152/06 definisce la gestione come “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario. Non costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati”.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una definizione ampia, che sostanzialmente comprende ogni fase del ciclo dei rifiuti, dal momento della loro produzione alla loro definitiva eliminazione, attraverso l’indicazione delle operazioni che la caratterizzano e che va letta considerando l’insieme delle disposizioni riguardanti la disciplina dei rifiuti e le modalità di svolgimento delle varie operazioni, senza possibilità di scindere e considerare separatamente le singole attività al fine di sottrarle all’applicazione della normativa di settore.
Quanto appena rilevato consente già si escludere la fondatezza della tesi prospettata in ricorso, ove le singole inadempienze contestate vengono qualificate come mere irregolarità, pur se si ritiene il riferimento dell’art. 29-quaterdecies alla “gestione dei rifiuti” come riferibile esclusivamente a quella definita dall’art. 183, lett. n) d.lgs. 152/06.
6. Altro dato non trascurabile, che evidenzia ulteriormente l’infondatezza dell’assunto difensivo anche accedendo alla soluzione interpretativa prospettata in ricorso, è dato dall’attività svolta dalla società del ricorrente la quale, come si legge nella sentenza impugnata, opera “nel settore dello stoccaggio, trattamento, selezione, smaltimento e/o riciclaggio di materiali ferrosi, autovetture bonificate/compattate e rifiuti in generale, sia pericolosi che non pericolosi”, effettuando, quindi, attività di gestione di rifiuti proprio nel senso indicato dal menzionato art. 183, lett. n) e le inadempienze alle prescrizioni dell’AIA riscontrate all’atto del controllo si erano verificate nell’ambito di tali attività.
Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha però escluso che il richiamo alla gestione dei rifiuti ai fini della configurabilità della violazione contestata debba intendersi riferito alla definizione contenuta nell’art. 183, lett. n) d.lgs. 152/06 giungendo, invero, a conclusioni corrette.
7. Infatti, per quanto la definizione di gestione di rifiuti offerta dall’art. 183 lett. n) sia da intendersi, come si è detto, in senso ampio, con la conseguenza che difficilmente potrebbe trovare concreta applicazione la diversa, restrittiva lettura della norma prospettata in ricorso, pare risolutivo, come osservato dal Tribunale, il fatto che tale definizione è data, come espressamente stabilito nel primo comma dell’art. 183 “ai fini della parte quarta del presente decreto” che riguarda, appunto, le norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, facendo peraltro salve le ulteriori definizioni contenute nelle disposizioni speciali.
Un’ulteriore conferma può peraltro rinvenirsi nell’Allegato VIII alla Parte Seconda, ove una tale distinzione viene effettuata, al punto D, dove è stabilito che “in mancanza di specifici indirizzi interpretativi emanati ai sensi dell'articolo 29-quinquies e di linee guida interpretative emanate dalla Commissione Europea, le autorità competenti valuteranno autonomamente: a) il rapporto tra le attività di gestione dei rifiuti descritte nel presente Allegato e quelle descritte agli Allegati B e C alla Parte Quarta...”.
Deve pertanto ritenersi che l’art. 29-quaterdecies, comma 3, lett. b) d.lgs. 152/06, riferendosi alla “gestione dei rifiuti”, non effettua un richiamo espresso alla definizione contenuta nell’art. 183, lett. n) del medesimo decreto.
8. Parimenti infondata è la censura, peraltro estremamente generica, concernente le ulteriori violazioni contestate e relative al d.lgs. 230/1995, le quali non si pongono in rapporto di specialità con la disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale.
9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 9/10/2018