Cass. Sez. III n. 15238 del 12 aprile 2023 (UP 13 gen 2023)
Pres. Ramacci Est. Andronio Ric. Cesarulo
Rifiuti.Reato di inottemperanza alla ordinanza di rimozione dei rifiuti

Il reato di cui all’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 ha natura permanente e la scadenza del termine per l’adempimento non indica il momento di esaurimento della condotta, bensì l’inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell’ottemperanza all’ordine ricevuto. Tale principio muove dal presupposto che la natura di reato omissivo permanente della contravvenzione è individuata tenendo conto del fatto che il termine per l’adempimento di quanto indicato nell’ordinanza è fissato al solo fine di stabilire il regolare e tempestivo adempimento della prescrizione, che può essere adempiuta in modo utile, sia pure tardivo; sicché non viene meno l’obbligo di agire anche dopo la scadenza del termine.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 maggio 2022, la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, con la quale l’imputato è stato condannato alla pena di mesi sei di arresto per il reato di cui all’art. 255, comma 3, in relazione all’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
    
2. Avverso la sentenza l’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo di censura, l’erronea applicazione della legge penale, nonché il connesso vizio di motivazione, in riferimento alla mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La difesa lamenta che la Corte di appello erroneamente ha ritenuto che la prescrizione ha iniziato a decorrere dalla data della pronuncia della sentenza di primo grado, in quanto non ha operato alcuna distinzione tra reati necessariamente permanenti e reati eventualmente permanenti, senza argomentare circa l’incidenza assunta dal tempus commissi delicti per come delineato nel capo di imputazione ai fini della decorrenza dei termini prescrizionali. Nel caso di specie, si sarebbe dovuto applicare il principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 7564 del 04/02/2020, Rv. 278580), secondo cui, solo qualora risulti dagli atti processuali ovvero da prove logiche la protrazione della permanenza oltre la data della contestazione riferita al momento dell’accertamento, sarà possibile, senza necessità di contestazioni suppletive, ritenere il tempus commissi delicti fino al momento della pronuncia di primo grado o a quello minore rilevabile ex actis, mentre ove nulla risulti varrà la data della contestazione. Pertanto, non risultando nulla dagli atti circa la protrazione della permanenza oltre la data della contestazione riferita al momento dell’accertamento, si sarebbe dovuto concludere nel senso che il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale del reato coincida con l’epoca dell’accertamento, il 3 marzo 2010.

3. Con memoria pervenuta in data 5 gennaio 2023 presso la cancelleria di questa Suprema Corte, la difesa ha insistito nelle proprie conclusioni, chiedendo che, nel caso in cui si ravvisasse un contrasto tra i principi applicabili, si valuti la possibilità di rimettere la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 610, comma 2, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
L’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede un generale divieto di abbandono di rifiuti e tale condotta è sanzionata dagli articoli 255 e 256 del medesimo decreto, analogamente a quanto disposto, dal previgente d.lgs. n. 22 del 1997, agli artt. 14, 50 e 51.
L’abbandono dei rifiuti obbliga chiunque contravvenga al divieto a provvedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. Obbligati in solido sono anche il proprietario ed i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
Le operazioni finalizzate all’adempimento degli obblighi conseguenti alla violazione del divieto sono disposte dal sindaco con ordinanza, che contiene anche l’indicazione di un termine entro il quale provvedere. In ordine all’individuazione del momento consumativo del reato di cui all’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, si deve rilevare che la fattispecie ha natura permanente e la scadenza del termine per l’adempimento non indica il momento di esaurimento della condotta, bensì l’inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell’ottemperanza all’ordine ricevuto (Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Rv. 273841; Sez. 3, n. 33585 del 8/4/2015, Rv. 264439; Sez. 3, n. 23489 del 18/5/2006, Rv. 234484). Tale principio giurisprudenziale – che deve essere qui confermato – muove dal presupposto che la natura di reato omissivo permanente della contravvenzione in esame è individuata tenendo conto del fatto che il termine per l’adempimento di quanto indicato nell’ordinanza è fissato al solo fine di stabilire il regolare e tempestivo adempimento della prescrizione, che può essere adempiuta in modo utile, sia pure tardivo; sicché non viene meno l’obbligo di agire anche dopo la scadenza del termine.
1.2. In ordine al riparto dell’onere della prova, si deve rilevare che deve essere sempre provata la mancata ottemperanza all’ordinanza sindacale, ma che non vi è alcun onere di accertare, anche successivamente, che non vi sia stata alcun successivo adempimento del predetto ordine, in quanto tale onere incombe sull’imputato.
Nel caso di specie, l’accertamento della mancata ottemperanza è stato effettuato in data 3 marzo 2010, per cui da tale data si ritiene che non siano rimossi, avviati al recupero e/o allo smaltimento, i rifiuti abbandonati e non sia ripristinato lo stato dei luoghi, salvo prova contraria della difesa. Di conseguenza, e in conformità con il principio enunciato dalla sentenza richiamata dal ricorrente (Sez. 4, n. 7564 del 04/02/2020, Rv. 278580) – che stabilisce che, qualora risulti dalla sentenza o dagli atti processuali ovvero da prove logiche la protrazione della permanenza oltre la data della contestazione riferita al momento dell’accertamento, sarà possibile, senza necessità di contestazioni suppletive, ritenere il tempus commissi delicti fino al momento della pronuncia di primo grado o a quello minore rilevabile ex actis – la Corte di appello di Salerno correttamente ha ritenuto che il termine prescrizionale – di complessivi cinque anni – decorresse dalla data della sentenza di primo grado, ovvero dal 4 febbraio 2020, essendo il reato contestato come accertato, in permanenza, il 2 marzo 2010; permanenza la cui cessazione non è stata neanche compiutamente prospettata dalla difesa.
Da ultimo, si deve evidenziare che, nella materia di cui si tratta, non vi è alcun contrasto di giurisprudenza, in quanto sono pacifici sia l’orientamento in ordine alla natura del reato contestato all’imputato, sia quello riferito alla disciplina dell’onere probatorio.

2. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso il 13/01/2023.