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Cass. Sez. III sent. 21963 del 10 giugno 2005 (p.u. 4 mar. 2005)
Pres. Zumbo Est. Fiale Ric. D'Agostino
Rifiuti - Veicoli fuori uso
Il D.Lv. 2093 non contiene norme più favorevoli rispetto al D.Lv. 2297 e, all'art. 3, considera rifiuto il veicolo "fuori uso": sia quello di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della consegna ad un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono ancorché giacente in area privata
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Svolgimento del processo
Con sentenza del 19.4.2004 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza 22.2.2002 del Tribunale monocratico di Palmi, che aveva affermato la penale responsabilità di D'Agostino Angelo in ordine al reato di cui:
- all'art. 51, 3° comma, D.Lgs. n. 22/1997, per avere realizzato - su due aree interne ad un impianto per la lavorazione e trasformazione di pietre di cava, da lui gestito - una discarica non autorizzata ove risultavano depositati rifiuti pericolosi e non, tra i quali n. 6 batterie esauste, circa 1.000 kg. di eternit; n. 4 motori per autoveicoli, n. 19 pneumatici ed una vespa priva di targa - acc. In Rosarno, il 7.11.2000
e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro 2.500,00 di ammenda, disponendo la confisca delle aree, se di proprietà dell'imputato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D'Agostino, il quale, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, ha eccepito:
- la inconfigurabilità del reato, in quanto, nella specie, non potrebbe configurarsi l'esistenza di "rifiuti" destinati all'abbandono, perché le lamiere di eternit costituivano il tetto crollato di un capannone, mentre le batterie, i motori ed i pneumatici erano destinati a riutilizzazione sui mezzi meccanici dell'impresa, senza necessità di modifiche;
- la necessità di ricondurre la fattispecie alla previsione dell'art. 50 del D.Lgs. n. 22/1997 (abbandono di rifiuti), sanzionata solo in via amministrativa, "in assenza di un accertamento in ordine alla sussistenza di una organizzazione di mezzi e di persone finalizzata allo stoccaggio e alla distruzione dei rifiuti";
- l'incongruità del diniego di circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato, perché le doglianze anzidetto sono infondate.
1. L'art. 51, comma 3, del D.Lgs. n. 22/1997 sanziona penalmente "chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata" e la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha evidenziato che:
a) la realizzazione di una discarica può effettuarsi attraverso diverse attività:
- anzitutto, il vero e proprio allestimento a discarica di un'area, con il compimento delle opere occorrenti a tal fine: spianamento del terreno, apertura dei relativi accessi, recinzione, etc. (vedi Cass. : Sez. Unite 28.12.2004, Zaccarelli e, più di recente, Sez. III, 30.4.2002, Francese);
- ma anche il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all'abbandono con trasformazione, sia pure tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti (vedi Cass., Sez. III: 10.1.2002, Garzia, 24.9.2001, Bistolfi; 11.10.2000, Cimini).
Secondo un'interpretazione giurisprudenziale, potrebbe integrare il reato di discarica abusiva anche un unico conferimento di ingenti quantità di rifiuti che faccia però assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti, con conseguente trasformazione del territorio (Cass., Sez. III, 4.11.1994, Zagni);
b) la gestione di una discarica si identifica in una attività autonoma, successiva alla realizzazione, che può essere compiuta dallo stesso autore di quest'ultima o da altri soggetti, e che consiste nell'attivazione di un'organizzazione, articolata o rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della discarica medesima (vedi Cass.: Sez. III, 11.4.1997, Vasco; Sez. Unite 28.12.2004, Zaccarelli).
Nella fattispecie in esame i giudici del merito hanno appunto accertato, in fatto - e ne hanno dato conto con motivazione razionale ed esauriente - la realizzazione di una discarica attraverso il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di materiali oggettivamente destinati all'abbandono, con trasformazione del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti, e tale accertamento è, altresì, assolutamente compatibile con la definizione di "discarica" introdotta dall'art 2, lett. g), del D.Lgs. 13.1.2003, n. 31.
Gli stessi giudici del merito, poi, hanno motivatamente escluso la riutilizzazione certa ed oggettiva dei materiali in questione e, quindi, non si pone la "vexata quaestio" dell'applicabilità dell'art. 14 della legge n. 178/2002 e della compatibilità di tale disposizione con la normativa comunitaria.
2. La non occasionalità dell'accumulo, che risulta avere assunto, invece, evidenti caratteristiche di continuità, hanno portato correttamente ad escludere ogni possibilità di riconduzione della vicenda concreta alle previsioni dell'art. 50 del D.Lgs. n. 22/1997.
3. A norma dell'art. 46 del D.Lgs. n. 22/1997, il proprietario di un veicolo a motore che intendeva procedere alla demolizione dello stesso doveva consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione. Tali centri di raccolta potevano "ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore" e dovevano comunque essere autorizzati ai sensi degli artt. 27 e 28 dello stesso D.Lgs. n, 22/1997.
I veicoli "fuori uso" assumevano il carattere di rifiuti fin dal momento in cui venivano dimessi dal proprietario, che se ne disfaceva proprio attraverso la consegna al demolitore.
Il 22 agosto 2003, poi, è entrato in vigore il D.Lgs. 24.6.2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) con cui è stata introdotta in Italia una nuova normativa concernente il recupero e il riciclaggio di materiali provenienti da veicoli a fine vita. Detto D.Lgs. non contiene norme più favorevoli e, all'art. 3, considera il veicolo "fuori uso" un rifiuto sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della consegna ad un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono ancorché giacente in area privata.
4. La concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (vedi Cass,, Sez. I, 16.6.1992, n. 6992).
Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità di delinquere dell'imputato. Il riconoscimento di esse richiede, dunque, elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente il Tribunale e la Corte territoriale hanno fatto derivare il diniego della loro concessione.
Anche il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (vedi Cass., Sez. 1, 22.5.1992, n. 6200);
Nella fattispecie in esame, la Corte dì merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge ha logicamente dedotto prevalenti significazioni negative della personalità dell'imputato proprio da quei precedenti penali che egli non può non ammettere.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.