Consiglio di Stato Sez. IV n. 9397 del 22 novembre 2024
Rifiuti.Obblighi di bonifica e messa in sicurezza
Pronuncia sulla sussistenza o meno di un obbligo di messa in sicurezza e di bonifica in capo a società non responsabili dell’inquinamento, con disamina della normativa e della giurisprudenza.
Pubblicato il 22/11/2024
N. 09397/2024REG.PROV.COLL.
N. 01585/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1585 del 2024, proposto da 3V Sigma s.p.a. e Colombina s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Teodora Marocco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Città Metropolitana di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Francario, Roberta Brusegan e Katia Maretto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Veneto, Comune di Venezia, Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (Arpav), Azienda Ulss 3 Serenissima, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda, n. 00955/2023, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (Ispra) e della Città Metropolitana di Venezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 luglio 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO
1. – Le società ricorrenti sono la nuda proprietaria (Colombina s.r.l.) e la titolare del diritto di superficie (3V Sigma s.p.a.) di un’area di circa 64.000 mq, sita nell’ambito del petrolchimico di Porto Marghera.
Su tale area, in proprietà di Colombina s.r.l., la società 3V Sigma s.p.a. svolge la propria attività consistente nella produzione di sostanze chimiche organiche.
Il sito di Porto Marghera è stato classificato come sito inquinato di interesse nazionale dall’art. 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, sulla base dei criteri determinati ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. n), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in ragione del carattere diffuso ed esteso dell’area inquinata e della pericolosità degli inquinanti presenti, ed è stato perimetrato con decreto del ministero dell’Ambiente del 23 febbraio 2000, estendendosi per 3595 ha di cui 479 ha rappresentati da canali e 3116 ha da suoli (in tali termini la descrizione che ne viene fatta nel decreto ministeriale 18 settembre 2001, n. 468).
2. – Nell’ambito della procedura avviata per la messa in sicurezza di emergenza e/o bonifica del sito, le società ricorrenti e/o le loro danti causa hanno già realizzato, a partire dal 2005, alcuni interventi o studi (es. caratterizzazione del terreno e delle acque sotterranee; interventi di messa in sicurezza di emergenza in corrispondenza degli hot spot rinvenuti nelle acque di falda; monitoraggio aria-ambiente; analisi di rischio sanitario, ecc.): tali attività sarebbero state svolte dalle ricorrenti e/o dalle loro danti causa “a titolo volontario”, al fine di proteggere i lavoratori e mettere in sicurezza lo stabilimento.
3. – Il Ministero dell’Ambiente, ritenendo non condivisibili le analisi di rischio sanitario presentate dagli interessati, ha impartito alcune prescrizioni alle società che vantavano diritti reali sull’area, richiedendo, altresì, la presentazione dei progetti di messa in sicurezza e bonifica di suoli e acque di falda.
Tali prescrizioni ministeriali sono state impugnate dinanzi al T.a.r.
4. – Con sentenza n. 197 del 2013, il T.a.r. Veneto, pur annullando per vizi formali e procedimentali gli atti impugnati, ha respinto le censure con le quali le società ricorrenti lamentavano la carenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per l’attivazione della procedura volta al disinquinamento delle aree, rilevando, da un lato, che le ricorrenti avevano già posto in essere numerosi adempimenti e, dall’altro, che non era stata raggiunta la prova circa la loro estraneità alla causazione dell'inquinamento.
5. – Con sentenza n. 195 del 2018, il Consiglio di Stato ha dichiarato improcedibile l’appello avverso la suddetta sentenza, per sopravvenuta carenza d’interesse, rilevando che, in ottemperanza alla decisione del T.a.r. Veneto n. 197 del 2013, l’amministrazione, nel dicembre del 2013, aveva provveduto a rinnovare completamente il procedimento relativo alle misure di bonifica del sito, rideterminandosi con nuovi atti, nuovi pareri e nuove valutazioni in merito alla documentazione tecnica ed ai dati analitici trasmessi dalle società.
6. – Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, le società hanno impugnato la nota del Ministero dell’Ambiente dell’8 marzo 2017, con la quale il Ministero ha imposto l’adozione delle seguenti misure: A) trasmissione di una relazione dettagliata sulle misure di prevenzione attuate, con i successivi aggiornamenti semestrali, al fine di verificare l’efficacia delle misure attuate; B) l’adozione di misure di messa in sicurezza/bonifica dei terreni; C) l’adozione di misure di messa in sicurezza/bonifica delle acque di falda, prescrivendo anche l’adozione di una misura di messa in sicurezza operativa.
7. – Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto il ricorso, ritenendo che le misure imposte rappresentino delle misure di messa in sicurezza d’emergenza (m.i.s.e.) legittimamente imponibili al proprietario incolpevole e che, in ogni caso, la società avrebbe agito su base volontaria, per cui sarebbe obbligata a proseguire le attività spontaneamente intraprese.
8. – Con atto di appello la società ha impugnato la sentenza di primo grado.
8.1. – Con il primo motivo di appello (pag. 12-17), le società ricorrenti hanno contestato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il proprietario incolpevole sia comunque tenuto a portare a compimento le opere volontariamente iniziate, in quanto, oltre a porsi in contrasto con il principio “chi inquina paga”, comporterebbe una chiaro disincentivo ad intraprendere volontariamente qualsiasi iniziativa, stante il rischio di non vedersi liberato dagli obblighi imposti dall’amministrazione anche per decenni, a fronte della lodevole iniziativa assunta, soprattutto nel caso in cui l’amministrazione non si adoperi per la individuazione del soggetto responsabile (cfr. pag. 16 dell’appello); in secondo luogo, hanno contestato la sussistenza del requisito della volontarietà, avendo sempre agito a tutela dei lavoratori presenti in loco, nonché in ottemperanza a specifici obblighi imposti dall’amministrazione, i cui provvedimenti, peraltro, sono sempre stati contestati ed impugnati in via giurisdizionale; inoltre, ha ribadito l’assenza di una fonte negoziale dei suddetti obblighi, non avendo mai aderito ad accordi di programma (pag. 16-17 dell’appello).
8.2. – Con il secondo motivo di appello (pag. 17-18), hanno impugnato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la violazione ultradecennale da parte delle amministrazioni dell’obbligo di individuare il soggetto responsabile dell’inquinamento, con conseguente illegittimità dei provvedimenti impugnati.
8.3. – Con il terzo motivo di appello (pag. 18-22), hanno censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima l’imposizione di misure di messa in sicurezza d’emergenza (m.i.s.e.) in capo al proprietario incolpevole anche nel caso di contaminazione storica, alla luce del recente orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2023, n. 3077), trattandosi peraltro nella specie non di proprietario del sito ma di un mero superficiario.
8.4. – Con il quarto motivo di appello (pag. 22-26), hanno impugnato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti fattuali per l’adozione delle m.i.s.e., non risultando esplicitate né in sentenza né nei provvedimenti impugnati le necessarie condizioni di emergenza quale presupposto per l’adozione di tali misure, oltre ad aver omesso di considerare la distinzione tra acque di prima falda ed acque di falda, quest’ultime oggetto di contaminazione storica, come riconosciuto dalla Città metropolitana.
8.5. – Con il quinto motivo di appello (pag. 26-30), hanno impugnato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la censura svolta dalle ricorrenti in primo grado sarebbe generica non avendo chiarito quali siano le ragioni che renderebbero non attendibile l’impostazione utilizzata da ultimo dall’Amministrazione e che quest’ultima avrebbe dimostrato la sovrapposizione tra falda primaria e falda di riporto. Sul punto, hanno dedotto che il primo giudice avrebbe travisato le censure di primo grado incentrate non già sulla non plausibilità del metodo seguito dall’amministrazione, bensì sul difetto di motivazione e sulla contraddittorietà dell’azione amministrativa per avere mutato la propria impostazione.
8.6. – Con il sesto motivo di appello (pag. 30-33), hanno censurato la sentenza nella parte in cui ha escluso un difetto di motivazione e di istruttoria, reiterando le censure di cui al primo motivo di ricorso.
8.7. – Con il settimo motivo di appello (pag. 33-35), hanno impugnato la sentenza per omessa pronuncia sulle istanze istruttorie in ordine allo stato dei luoghi.
9. – Con apposite memorie, si sono costituite le amministrazioni resistenti, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
10. – All’udienza pubblica del 25 luglio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. – Preliminarmente, il Collegio ritiene di poter trattare congiuntamente i suddetti motivi di appello, stante la loro intima connessione, con i quali si contesta sostanzialmente la sussistenza di un obbligo di messa in sicurezza e di bonifica in capo alle società non responsabili dell’inquinamento, non essendovi alcuna urgenza, trattandosi di contaminazione risalente nel tempo e imputabile a sorgenti contaminative esterne al sito; inoltre, in 15 anni l’amministrazione non si sarebbe attivata per l’individuazione del soggetto responsabile, limitandosi ad imporre gravose misure alla società ricorrente.
2. – L’appello è fondato nei limiti di seguito indicati.
3. – Innanzitutto, dall’esame della motivazione della sentenza impugnata, emerge come il T.a.r. abbia fondato la propria decisione sostanzialmente su due assunti:
a) le misure imposte costituiscono delle misure di messa in sicurezza d’emergenza (m.i.s.e.) legittimamente imponibili al proprietario incolpevole (cfr. pag. 18-23 della sentenza impugnata);
b) in ogni caso, la società ha agito su base volontaria, per cui sarebbe obbligata a proseguire le attività spontaneamente intraprese (cfr. pag. 13-17 della sentenza impugnata).
4. – Il primo assunto è infondato.
Invero, sul punto occorre dare continuità al recente mutamento giurisprudenziale in materia, che ha escluso la legittimità della imposizione delle m.i.s.e. in capo al proprietario non responsabile dell’inquinamento, potendo quest’ultimo essere obbligato solo all’adozione di misure di prevenzione, a cui non possono essere assimilate le m.i.s.e. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2023, n. 6957; Cass. Civ., SS.UU., 1° febbraio 2023, n. 3077; ma già Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2013, n. 21).
Sul punto, è opportuno effettuare qualche breve puntualizzazione richiamando la normativa di riferimento e la relativa evoluzione giurisprudenziale.
4.1. – Come è noto, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente), prevede una serie di obblighi in capo al responsabile dell’inquinamento (art. 242), mentre con riferimento ai soggetti non responsabili della potenziale contaminazione (art. 245), la legge pone in capo al proprietario o al gestore dell’area che rilevi un superamento (o un pericolo, concreto e attuale, di superamento) della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), solamente l’obbligo di “darne comunicazione” agli enti territoriali competenti, oltre all’obbligo di “attuare le misure di prevenzione” (art. 245, comma 2) secondo una precisa procedura consistente nell’adozione di tali misure entro 24 ore dalla verificazione dell’evento, con onere di immediata comunicazione (art. 242, comma 1) agli enti territoriali competenti di tutti gli aspetti pertinenti della situazione (art. 304, comma 2).
Ai sensi della medesima normativa, inoltre, le “misure di prevenzione” adottabili dal soggetto non responsabile dell’inquinamento consistono in quelle iniziative per contrastare un evento che ha creato una “minaccia imminente per la salute o per l’ambiente”, intendendo tale minaccia come “rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo”, con la finalità di “impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia” (art. 240, comma 1, lett. i), cod. amb.).
Inoltre, si prevede che in caso di superamento dei valori di concentrazione della soglia di contaminazione, la Provincia diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione (art. 244, comma 2) all’adozione delle relative misure (cfr. art. 242), la cui ordinanza “è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253” (art. 244, comma 3).
Nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso – e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dall’Amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253).
Pertanto, il proprietario incolpevole non è tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area libera da pesi (art. 245).
Quindi, solo dopo che gli interventi siano eseguiti d’ufficio dall’autorità competente, le conseguenze sono poste a carico del proprietario anche incolpevole, posto che vi è la specifica previsione di un onere reale sulle aree che trova giustificazione proprio nel vantaggio economico che il proprietario ricava dalla bonifica dell’area inquinata.
4.2. – Come è noto, però, il tema della esatta individuazione degli obblighi facenti capo al proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento è stato esaminato dall’Adunanza Plenaria con le ordinanze del 25 settembre 2013, n. 21 e del 13 novembre 2013, n. 25.
In particolare, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato aveva posto la seguente questione di diritto: se, in base al principio “chi inquina paga”, l’Amministrazione nazionale potesse imporre al proprietario non responsabile dell’inquinamento l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’art. 240, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 152 del 2006 (sia pure, in solido con il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile per gli oneri sostenuti), ovvero se – in alternativa - in siffatte ipotesi gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restassero limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali (ord. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2013, n. 2740).
4.3. – L’Adunanza Plenaria, dopo aver riscontrato l’esistenza di due contrapposti orientamenti in ordine alla legittimità o meno dell’imposizione in capo al proprietario non responsabile delle misure di messa in sicurezza d’emergenza (in particolare, Cons. Stato, sez. II, parere 23 novembre 2011, n. 2038 in senso favorevole e Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 56 e Cons. Stato, Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376, per l’opposto orientamento contrario, di gran lunga prevalente nella giurisprudenza amministrativa), ha risposto negativamente al suddetto quesito, ritenendo, cioè, “che l’Amministrazione non possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia ancora l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, lettere m) e p) del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restano limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di onere reali e privilegi speciale immobiliare” (Ad. Plen. n. 21 del 2013, punto 13).
Ciò in quanto le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) operano una “chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione”.
In particolare, è stato precisato che la scelta del legislatore di evocare la figura dell’onere reale “può spiegarsi solo ammettendo che il proprietario “incolpevole” non sia tenuto ad una prestazione di facere (di cui è gravato solo il responsabile), ma sia tenuto solo a garantire, nei limiti del valore del fondo, il pagamento delle spese sostenute dall’Amministrazione” che abbia eseguito direttamente gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica (art. 253, co. 4, d.lgs. n. 152 del 2006), concludendo, quindi, nel senso di ritenere che “il riferimento all’onere reale non valga a far diventare obbligatorio ciò che (l’intervento di bonifica) poco prima (art. 245) il legislatore ha qualificato in termini di una mera facoltà, quanto, piuttosto, a far gravare il fondo del rimborso delle spese sostenute dall’autorità che abbia provveduto d’ufficio all’intervento (e, quindi, semmai, a far diventare quella facoltà un onere)” (Ad. Plen. n. 21 del 2013, punto 17).
4.4. – Tuttavia, con il medesimo provvedimento l’Adunanza Plenaria ha contestualmente disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE in ordine alla corretta interpretazione del diritto ambientale europeo al fine di verificarne la compatibilità con il diritto nazionale, per come interpretato dalla stessa Adunanza Plenaria.
In particolare, è stato chiesto se sia compatibile o meno con il diritto dell’Unione (art. 191, par. 2, TFUE e direttiva 2004/35/CE) una normativa nazionale (artt. 244, 245, 253, d.lgs. n. 152 del 2006) che non consente di imporre delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica.
4.5. – Come è noto, su tale questione è poi intervenuta la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. III, 4 marzo 2015 (C 534-13), la quale ha confermato la suddetta compatibilità statuendo che, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito od ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, è consentito al diritto nazionale di non imporre l’esecuzione delle “misure di prevenzione e di riparazione” al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, ma di prevedere soltanto un obbligo di rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi.
4.6. – Tuttavia, nemmeno l’intervento del giudice europeo è stato risolutivo in ordine alla legittimità o meno dell’imposizione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza in capo al proprietario non responsabile.
Infatti, la sentenza della Corte di giustizia, dovendosi pronunciare sulla corretta interpretazione del diritto dell’Unione e non già del diritto nazionale, è giunta alle suddette conclusioni sulla base della direttiva 35/2004/CE, la quale è incentrata sulla summa divisio tra “misure di prevenzione” che si applicano “Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi” (art. 5) e “misure di riparazione” che, al contrario, si applicano “Quando si è verificato un danno ambientale” (art. 6).
4.7. – La successiva giurisprudenza nazionale, quindi, nel precisare la portata della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. III, 4 marzo 2015 (C 534-13), si è andata consolidando nel senso di qualificare le misure di messa in sicurezza d’emergenza previste dalla normativa interna (art. 240, lett. m), d.lgs. n. 152 del 2006) nell’ambito della categoria delle “misure di prevenzione”, con la conseguenza di ritenere legittima la loro imposizione anche al proprietario non responsabile dell’inquinamento.
In particolare, è stato ritenuto che, ai sensi dell’art. 245, comma 2 del d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. codice dell’ambiente), la messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria, ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità ripristinatoria, non presuppone l’accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2022, n. 5863; Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426; Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1658; Cons. Stato, IV 7 settembre 2020 n. 5372; Cons. Stato, sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 81; Cons. Stato, V, 10 ottobre 2018 n. 5604; Cons. Stato, VI, 25 gennaio 2018 n. 502; Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1509; Cons. Stato, Sez. VI, 15 luglio 2015, n. 3544; Cons. Stato, Sez. II, parere 23 novembre 2011, n. 2038).
4.8. – Tale orientamento, tuttavia, si è andato poi evolvendo, sia nella giurisprudenza civile che amministrativa, consolidandosi in senso contrario solo in tempi recenti.
4.8.1. – Con riguardo al primo versante, viene in rilievo Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2023, n. 3077, la quale ha chiarito che “il proprietario ‘non responsabile’ dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell’art. 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), ma non le misure di messa in sicurezza d’emergenza e bonifica di cui alle lett. m) e p)”.
In particolare, è stato precisato che “non è infatti possibile rinvenire nello stesso codice dell'ambiente alcun obbligo diretto ed esplicito del proprietario, ove non sia autore della condotta contaminante, ad adottare interventi di messa in sicurezza di emergenza, né essi possono transitare tra le misure di precauzione o special-preventive a prescindere dall'accertamento della responsabilità e finendo così con il mutarsi, in capo al descritto soggetto, in concorrente e sostanziale obbligo di provvedere alla bonifica dell'area interessata” (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2023, n. 3077, punto 10).
Ciò in quanto “la non assimilabilità delle m.i.s.e. alle misure di prevenzione, nonostante anche le prime possano materialmente assolvere ad una finalità di contenimento del danno ambientale, sembra allora e con evidenza correlarsi al fatto che solo le seconde - significativamente all'inizio dell'elenco delle iniziative perseguibili - implicano un danno ancora non presente, su tale senso convergendo le formule della minaccia imminente, il rischio sufficientemente probabile, lo scenario di un futuro prossimo, insieme alle nozioni di impedimento al realizzarsi della minaccia” (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2023, n. 3077, punto 28).
La conclusione cui giunge la Suprema Corte, quindi, è nel senso di ritenere che il “considerare le misure di messa in sicurezza di emergenza alla stregua di una sottoclasse delle misure di prevenzione espone ad un contrasto con la stessa sentenza CGUE del 4 marzo 2015 posto che tale assimilazione produrrebbe l’effetto di imporre, nella sostanza, un obbligo di riparazione di un danno già in essere a carico di un soggetto non responsabile della contaminazione che l’ha determinato” (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2023, n. 3077, punto 35).
4.8.2. – Sul versante amministrativo, invece, si pone la successiva sentenza Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2023, n. 6957, la quale, a sua volta, ha ritenuto di non condividere l’assunto secondo cui “essendo la MISE una misura connotata da esigenze di somma urgenza finalizzata a prevenire il danno ambientale anche in relazione al suo possibile aggravamento, sarebbe possibile imporla prescindendo dalla prova del contributo causale del soggetto obbligato, poiché tale impostazione si pone comunque in contrasto con i principi affermati dalla Corte di giustizia secondo cui, conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento” (richiamando in motivazione la Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, del 9 marzo 2010, in causa C-378/08 e la successiva decisione della stessa Corte, Sez. III, del 4 marzo 2015, causa C-534/13, nonché Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza, 25 settembre 2013, n. 21 e la citata Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2023, n. 3077).
4.9. – Orbene, nel caso di specie, a parte la relazione sulle misure adottate (punto A), le altre misure imposte (punti B e C) non rientrano nelle misure di prevenzione, che presuppongono una minaccia di danno ambientale (ancora non verificato) mentre nella specie si tratta di una contaminazione storica risalente nel tempo.
Inoltre, che la società non sia responsabile dell’inquinamento, risulta comunque già accertato in sede civile e ribadito nella sentenza impugnata (pag. 19 ove si richiama la “sentenza della Corte d’Appello di Venezia n.2575/2017 del 10.11.2017 che ha escluso la responsabilità delle ricorrenti per la contaminazione storica da cui è afflitto il sito”).
5. – Il secondo assunto su cui si fonda la sentenza impugnata è costituito dalla circostanza per cui la società avrebbe agito in ogni caso su base volontaria, per cui sarebbe obbligata a proseguire le attività spontaneamente intraprese (cfr. pag. 13-17 della sentenza impugnata).
Anche tale assunto è infondato dovendo, invece, escludersi la spontaneità dell’intervento.
5.1. – A tal proposito, occorre innanzitutto premettere che l’onere della prova in ordine alla sussistenza di un titolo legale o negoziale quale fonte dell’obbligazione di proseguire le attività di bonifica o messa in sicurezza ricade in capo all’amministrazione, in applicazione degli ordinari criteri di riparto dell’onere probatorio (art. 2697, co. 1, c.c.), mentre spetta alla società l’onere di dimostrare la presenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi della suddetta obbligazione (art. 2697, co. 2, c.c.).
5.2. – Ciò posto, il Ministero resistente ha allegato sul punto la sussistenza di obbligo di proseguire le attività di bonifica e messa in sicurezza sulla base della asserita spontaneità dell’intervento, iniziato proprio su impulso della stessa società ricorrente.
Con la sentenza impugnata, il primo giudice ha ritenuto sussistente tale obbligazione sulla base di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui i principi sopra richiamati (esclusione delle m.i.s.e. in capo al proprietario incolpevole) non possono trovare applicazione nell’ipotesi in cui le misure di messa in sicurezza di emergenza o di bonifica siano state spontaneamente assunte da parte del proprietario non responsabile.
A tal riguardo, occorre svolgere un’ulteriore puntualizzazione.
5.3. – Come è noto, in materia di interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, il codice dell’ambiente prevede espressamente che tali procedure “possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili” (art. 245, comma 1, cod. amb.), sancendo inoltre il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile dell’inquinamento da parte del proprietario non responsabile che abbia “spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato” (art. 253, comma 4, cod. amb.).
Inoltre, si ribadisce che “E’ comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o in disponibilità” (art. 245, comma 2, cod. amb.).
5.4. – Ciò posto, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che nell’ipotesi in cui le misure di messa in sicurezza di emergenza o di bonifica siano state spontaneamente attivate da parte del proprietario non responsabile, quest’ultimo deve ritenersi obbligato alla loro prosecuzione, non potendo trovare applicazione i principi sopra ricordati che escludono la legittimità di una imposizione delle m.i.s.e. in capo al proprietario incolpevole (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 agosto 2021, n. 5742).
La successiva giurisprudenza, poi, ha avuto modo di chiarire anche il fondamento normativo della regola sopra enunciata, stabilendo che la fonte legale dell’obbligazione avente ad oggetto la prosecuzione delle attività spontaneamente intraprese deve rinvenirsi nell’istituto civilistico della gestione di affari altrui di cui all’art. 2028 c.c. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1110).
Peraltro, con specifico riferimento alla spontaneità dell’intervento, la stessa giurisprudenza amministrativa ha escluso l’applicabilità dell’istituto della gestione di affari altrui nei casi in cui sia ravvisabile una fonte negoziale degli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426, punto 29.3), con particolare riguardo allo strumento dell’accordo di programma espressamente previsto dall’art. 246 d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto ciò comporta la mancanza del requisito della spontaneità dell’intervento, essendo necessario a tal fine che il soggetto abbia agito “senza esservi obbligato” (art. 2028 c.c.).
5.5. – Orbene, nel caso di specie, deve ritenersi non provata la spontaneità dell’intervento.
A tal riguardo, infatti, deve ritenersi non sufficiente la mera circostanza per cui l’iniziativa sia stata adottata formalmente dalla società ricorrente, dovendo comunque verificarsi se si tratti di iniziativa libera o di iniziativa dovuta in base ad un obbligo di legge, avuto riguardo alle allegazioni in giudizio ad opera delle parti.
Invero, la società ricorrente ha sempre ribadito, senza incontrare alcuna specifica contestazione sul punto, che le misure attuate sono state effettuate al fine di tutelare i propri lavoratori (cfr. pag. 5, 6, 8 e 25 dell’appello).
Tale circostanza vale ad escludere la spontaneità dell’intervento, in quanto le misure adottate devono essere qualificate alla stregua dell’adempimento di un preciso obbligo di legge avente ad oggetto la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (a cui sono connesse le relative responsabilità) il che vale dunque ad escludere la configurabilità di una gestione di affari altrui e la conseguente insorgenza di un obbligo di proseguire la gestione intrapresa.
5.6. – Inoltre, deve ritenersi irrilevante anche la mancata specifica indicazione nell’atto di appello della normativa di riferimento (d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), stante la generale operatività del principio iura novit curia.
Pertanto, possono senz’altro essere richiamati gli obblighi di fonte legale che gravano in capo al datore di lavoro aventi ad oggetto, per quanto qui interessa:
a) la “valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza” (art. 15, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008) da effettuarsi mediante uno specifico documento (art. 28, d.lgs. n. 81/2008) la cui elaborazione rappresenta un obbligo non delegabile da parte del datore di lavoro (art. 16, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008);
b) la “eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” (art. 15, co. 1, lett. c), d.lgs. n. 81/2008);
c) la “riduzione dei rischi alla fonte” (art. 15, co. 1, lett. e), d.lgs. n. 81/2008);
d) la “priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale” (art. 15, co. 1, lett. i), d.lgs. n. 81/2008);
e) la “informazione e formazione adeguate per i lavoratori” (art. 15, co. 1, lett. n), d.lgs. n. 81/2008).
5.7. – Ne consegue, quindi, che le misure poste in essere dalla società, volte alla verifica della sussistenza di un inquinamento pregiudizievole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché all’adozione delle conseguenti misure di tutela e protezione dell’ambiente di lavoro, non possono essere qualificate come interventi spontanei, ma vanno piuttosto inquadrate nell’ambito della suddetta cornice normativa, caratterizzata anche da uno specifico apparato sanzionatorio nel caso di omessa adozione di tutte le “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica” dei lavoratori (art. 2087 c.c.) secondo l’ordinaria diligenza professionale (art. 1176, co. 2, c.c.).
6. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado con conseguente l’annullamento parziale dell’impugnata nota del Ministero dell’Ambiente (prot. 0005267/STA dell’8 marzo 2017), limitatamente alla imposizione di misure di messa in sicurezza/bonifica dei terreni (punto B) e delle acque di falda (punto C), mentre rimane ferma la sola previsione di trasmissione di una relazione dettagliata sulle misure di prevenzione attuate, con i successivi aggiornamenti semestrali, al fine di verificare l’efficacia delle misure attuate (punto A).
7. – Le spese di lite, per il doppio grado di giudizio, devono essere integralmente compensate in ragione del recente mutamento giurisprudenziale sulle questioni dirimenti ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento impugnato nei limiti di cui in motivazione.
Compensa le spese di lite per il doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere, Estensore