*Pubblicato
sul n.1/2002 di Ambiente &Sicurezza
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Certo
non si può dire che sia una novità, almeno nel nostro Paese, l’introduzione
di modifiche anche di portata rilevante a normative in materia ambientale da
parte di atti aventi forza e valore di legge ma caratterizzati dal requisito
della assoluta estemporeneità ma soprattutto quello della non omogeneità con
la norma sulla quale vanno ad incidere, modificandola e/o integrandola.
I
menzionati atti sono tanto più estemporanei in quanto contenuti in
decreti-legge, anche se successivamente convertiti in legge dal Parlamento.
La
descrizione sopra riportata si attaglia benissimo alla norma che sarà oggetto
del nostro esame e cioè del comma 1-bis dell’ Art. 2.(Disposizioni in materia
di spesa nel settore sanitario) della legge
16 novembre 2001, n. 405 “Conversione, con modificazioni, del decreto legge 18
settembre 2001, n. 347, recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria
(pubblicato in G.U. n.268 del 17/11/2001).
Dicevo
oramai non sorprende più il giurista esperto del settore
la collocazione di norme di carattere ambientale, quali sono quelle
aventi ad oggetto lo smaltimento dei rifiuti, nel caso specifico rifiuti
sanitari, all’interno di leggi di spesa che dovrebbero avere, quindi,
tutt’altra finalità. Basti citare in proposito le due ultime leggi
finanziarie e la vicenda della TARSU.Ciò contribuisce non poco ad aumentare la
confusione degli operatori , i quali sono costretti, al fine di avere un quadro
completo della normativa vigente in uno specifico settore, come quello della
gestione dei rifiuti sanitari, a rintracciare e coordinare una pluralità di
fonti normative, peraltro sovente tra loro in contrasto.
Entrando
nel merito della norma sopra cit. osserviamo che essa dispone:
“1-bis.
Al fine del contenimento della spesa sanitaria, pur nel rispetto
dei parametri di sicurezza previsti dalla vigente normativa in
materia di smaltimento di rifiuti sanitari pericolosi, gli stessi possono
essere smaltiti
attraverso procedimenti
di disinfezione mediante
prodotti registrati
presso il Ministero della
salute che assicurino un
abbattimento della
carica batterica
non inferiore
al
99,999 per
cento e
nel pieno rispetto del
decreto legislativo 19 settembre 1994,
n. 626,
in materia di sicurezza e salute degli operatori.
I
rifiuti sanitari speciali
non tossico-nocivi, dopo un procedimento di
disinfezione di una durata non inferiore a 72 ore, o sottoposti a processo di
sterilizzazione mediante autoclave dotata di sistemi
di monitoraggio
e controllo delle fasi di sterilizzazione,possono essere assimilati ai
rifiuti urbani.”
Sul
primo periodo della norma in oggetto possiamo osservare, in primo luogo che
pecca di grande indeterminatezza, infatti quando dice che i rifiuti sanitari
pericolosi possono essere
smaltiti attraverso
procedimenti di
disinfezione, non si preoccupa minimamente di dirci dove tali
rifiuti possano essere smaltiti.
Ricordiamo che ai sensi dell’art. 45,
comma terzo, del dlgs 22/97, i rifiuti
sanitari pericolosi “devono essere smaltiti mediante termodistruzione
presso impianti autorizzati ai sensi del presente decreto”. In deroga a
tale principio il medesimo terzo comma dispone che
“qualora il numero degli impianti per lo smaltimento mediante
termodistruzione non risulti adeguato al fabbisogno, il Presidente della Regione
d’intesa con il Ministro della sanità ed il Ministro dell’ambiente può
autorizzare lo smaltimento dei rifiuti di cui al comma 1 anche in discarica
controllata previa sterilizzazione.”. Dunque la domanda che l’interprete
deve porsi è la seguente: i rifiuti sanitari pericolosi,dopo la
sottoposizione ai procedimenti di
disinfezione,dove possono essere
smaltiti?In un impianto di incenerimento, secondo la regola generale? Od
in discarica, secondo la deroga alla regola generale?
Secondo
i principi generali dell’interpretazione del diritto le deroghe devono essere
sempre interpretate in maniera restrittiva, quindi in assenza di specifiche e
chiare disposizioni della norma in esame si
dovrebbe concludere nel senso che i rifiuti
sanitari pericolosi,dopo la disinfezione, possono essere smaltiti tramite
termodistruzione.
Ma se così è allora che senso ha prevedere un procedimento di disinfezione (visto che la termodistruzione può essere effettuata comunque)?
Inoltre il procedimento di disinfezione
menzionato è rivolto, nella norma in esame, ai rifiuti sanitari pericolosi,
senza quindi circoscrivere l’applicazione di tale procedimento ai soli rifiuti
sanitari pericolosi a solo rischio infettivo, di cui all’art. 2, comma 1,
lett.d) del D.M. 219/2000 (Regolamento recante la
disciplina per la gestione dei rifiuti sanitari, ai sensi dell'articolo 45 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) (pubblicato in G.U. n. 181, 4
agosto 2000, Serie Generale)(cioè i rifiuti
sanitari individuati dalle voci 18.01.03 e 18.02.02 dell'allegato D al decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che presentano la caratteristica di pericolo
di cui alla voce "H9" dell'allegato I al predetto decreto). Non è
dato sapere quale effetto positivo possa avere, secondo il legislatore, una
disenfezione effettuata su di un rifiuti sanitario pericoloso non a rischio
infettivo (cioè su tutti quelli elencati
a titolo esemplificativo nell'allegato II, compresi tra i rifiuti pericolosi
dell'allegato D al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive
modificazioni, che presentano almeno una delle caratteristiche di pericolo
individuate dall'allegato I al decreto medesimo, con esclusione di quella
individuata dalla voce "H9" dello stesso allegato I).
Un’altra questione da porre in rilievo
è che “ i procedimenti di
disinfezione” non sono, di per sè, delle forme di smaltimento di un
rifiuto, ma possono semmai costituire una forma di pretrattamento finalizzato
allo smaltimento finale (non sappiamo dove).
Ancora
“ i procedimenti di
disinfezione devono avvenire:
a)
mediante prodotti
registrati presso
il Ministero della salute e
b)
che assicurino un abbattimento
della carica
batterica non
inferiore
al 99,999
per cento
e
c) nel
pieno rispetto del decreto legislativo 19 settembre
1994, n.
626, in materia di sicurezza
e salute degli operatori.
Sotto il profilo sub a) possiamo
osservare che attualmente non esiste alcun prodotto del genere registrato
presso il Ministero della
salute e dunque la norma prefigura l’istituzione di un registro di tali
prodotti a tutt’oggi non individuati nè individuabili, e dunque l’avvio di
una procedura che è di là da venire. Quindi la norma in esame, sotto tale
profilo, è sicuramente oggi inapplicabile.
Sotto
il profilo sub b) possiamo osservare che i prodotti citati sub a) devono
assicurare un abbattimento
della carica
batterica non
inferiore
al 99,999
per cento, cosa che, a detta
dei tecnici più esperti del settore, allo stato attuale non è possibile. E
ancora, qualora fosse possibile chi dovrebbe certificare il raggiungimento di
tale risultato? E dunque la norma in esame, anche sotto tale profilo, è
sicuramente oggi inapplicabile.
Sul
secondo periodo della norma in oggetto possiamo osservare, in primo luogo,
sotto
un profilo formale, che il legislatore fa riferimento esplicito alla categoria
dei rifiuti speciali non tossico-nocivi, la quale non esiste più nel nostro
ordinamento giuridico dal marzo del 1997, cioè dalla entrata in vigore del Dlgs
n. 22 (meglio noto come decreto “Ronchi”) in materia di gestione dei
rifiuti. La terminologia adottata dalla legge 405/2001 appartiene al D.P.R. 915
del 1982, che è stato abrogato dal dlgs cit. . Com’è noto, ai sensi
dell’art. 7 , comma primo,di tale dlgs “
Ai fini dell’attuazione
del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in
rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità,
in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.”.
L’utilizzo
della categoria dei rifiuti speciali non tossico-nocivi appare dunque come una
svista, tanto più grave però in quanto non può nemmeno essere interpretata
alla luce della norma transitoria di cui al decreto “Ronchi” in base alla
quale:
“1. Le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto. A tal fine ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi (art. 57, comma 1).”, in quanto tale disposizione ci aiuta ad interpretare le normative preesistenti (e non quindi quelle nuove) ed a renderle compatibili con la nuova classificazione dei rifiuti. Si deve comunque concludere che il legislatore voleva verosimilmente far riferimento ai “ rifiuti sanitari speciali non pericolosi”
Ma
le singolarità della norma in esame non finiscono qui, essa dispone infatti che
i
rifiuti sanitari speciali
non tossico-nocivi (da leggersi, come detto , “non pericolosi”), a
due determinate condizioni:
1)
dopo un procedimento di
disinfezione di una durata non inferiore a 72 ore, o
2)
sottoposti a processo di sterilizzazione mediante autoclave dotata di
sistemi di
monitoraggio e controllo
delle fasi di sterilizzazione,
possono
essere assimilati ai rifiuti urbani.
La
prima osservazione da fare riguarda ancora la classificazione dei rifiuti in
oggetto, che non pare comunque idonea a consentire un’interpretazione ed
un’applicazione agevole della norma. Infatti la classificazione dei rifiuti
sanitari segue le regole generali dell’art. 7 cit., come specificate
dall’art. 2 del D. M. 26 giugno 2000, n. 219. Tale
ultima norma prende in specifica considerazione le seguenti tipologie di rifiuti
sanitari:
a) i rifiuti
sanitari non pericolosi;
b) i rifiuti
sanitari assimilati ai rifiuti urbani;
c) i rifiuti
sanitari pericolosi non a rischio infettivo;
d) i rifiuti
sanitari pericolosi a rischio infettivo;
e) i rifiuti
sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento;
f) i rifiuti da
esumazioni e da estumulazioni, nonché i rifiuti derivanti da altre attività
cimiteriali esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali.
Il
tenore della norma sembra inequivoco nel delineare un peculiare procedimento di
assimilazione dei rifiuti sanitari speciali non pericolosi agli urbani
attraverso due passaggi tra loro alternativi: il procedimento
di disinfezione o il processo di sterilizzazione.
In
merito al processo di sterilizzazione possiamo osservare che quella dell’art.
2 della l. 405/2001, non è quella di cui alla lettera l) dell’art. 2 del
Regolamento cit. e cioè “quella di cui
all'articolo 45 del decreto legislativo n. 22/1997: abbattimento della carica
microbica tale da garantire un S.A.L. (Sterility Assurance Level) non inferiore
a 10-6. La sterilizzazione è effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte
prima, mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e
l'essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del
trattamento nonché la diminuzione di volume dei rifiuti stessi. L'efficacia
viene verificata secondo quanto indicato nell'allegato III del presente
regolamento”, in quanto le
caratteristiche della sterilizzazione di cui al Regolamento cit. non vengono in
alcun modo richiamate dalla nuova legge.
Si
deve inoltre osservare che il processo di sterilizzazione di cui alla lettera l)
dell’art. 2 del Regolamento cit. ha, nell’ambito di tale regolamento,
l’effetto di riportare nell’ambito del rifiuto urbano i rifiuti sanitari
(pericolosi) a solo rischio infettivo , peraltro a condizione che
a)
sia in esercizio nell'ambito territoriale ottimale di cui all'articolo 23
del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, almeno un impianto di
incenerimento per rifiuti urbani, oppure
b)
sia intervenuta autorizzazione regionale allo smaltimento in discarica,
secondo quanto previsto all'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22.
Nella
nuova legge un processo di
sterilizzazione, a condizione che sia svolto mediante autoclave dotata di
sistemi di
monitoraggio e controllo
delle fasi di sterilizzazione ha l’effetto di assimilare un rifiuto
speciale all’urbano.
Ci
si deve dunque chiedere, posto che i rifiuti sanitari speciali non pericolosi
non sono a rischio infettivo, a cosa serve il processo di sterilizzazione od il
procedimento di disinfezione?
Sul procedimento
di disinfezione possiamo osservare che dalla l. 405 non viene richiamata
la definizione che ne dà il Regolamento 219: “drastica
riduzione della carica microbica effettuata con l'impiego di sostanze
disinfettanti”, ma si limita a specificare che esso, in relazione ai
rifiuti sanitari speciali (non pericolosi) non può avere una durata
inferiore a 72 ore.
Abbiamo
detto che il tenore della norma di cui al secondo periodo del secondo comma
dell’art. 2 della l. 405/2001 sembra inequivoco nel delineare un peculiare
procedimento di assimilazione dei rifiuti sanitari speciali non pericolosi agli
urbani attraverso due passaggi tra loro alternativi: il procedimento
di disinfezione o il processo di sterilizzazione. E tuttavia non possiamo
qui non ribadire che i due passaggi indicati sono necessari ma non
sufficienti a riportare nell’ambito degli urbani i rifiuti sanitari
speciali non pericolosi, come si
evince dal testo della stessa norma in esame ( “I
rifiuti sanitari speciali
non tossico-nocivi, dopo un procedimento di
disinfezione .....o sottoposti a processo di sterilizzazione
possono
essere assimilati ai rifiuti urbani”), in quanto sarà comunque
necessario che le indicate tipologie di rifiuti siano inserite nei Regolamenti
comunali, ai sensi dell’art. 21, comma lett g), in base al quale:
I
Comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che,
nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, stabiliscono
in particolare: l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali
non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento
sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera d).