La
successione di leggi in materia di rifiuti ha posto per gli operatori del
settore non pochi problemi di coordinamento dei diversi testi normativi.
In
particolare, di fronte al fenomeno della depenalizzazione di alcune condotte
penalmente rilevanti ai sensi della legge 475/1988 stenta ancora a trovare una
sistemazione pacifica la questione, forse scarsamente approfondita in dottrina e
giurisprudenza, dell’applicazione retroattiva delle norme sanzionatorie del
d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 a fatti commessi prima della sua entrata in
vigore.
Il
problema pare oscillare tra due dati di opposto significato: da una parte, la
constatazione del fatto che le condotte considerate non hanno, comunque, mai
perso il loro connotato di illiceità – penale prima, amministrativa poi;
dall’altra, il rilievo che il principio di legalità ed irretroattività delle
sanzioni amministrative punitive, solennemente enunciato dall’art.1 della
legge 689 del 1981, è suscettibile di essere derogato, ma soltanto da una norma
transitoria, che disponga l’applicazione retroattiva della normativa
amministrativa punitiva alle violazioni commesse anteriormente all’entrata in
vigore della legge di depenalizzazione (in tal senso gli artt. 40 e 41 della
legge 689/1981).
Occorre,
dunque, chiedersi se nel testo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 sia contemplata
una norma transitoria che assoggetti a sanzione amministrativa fatti penalmente
rilevanti sotto il previgente regime.
La
formulazione letterale del d.lgs. 22/97 non fornisce un dato univoco: lungi dal
prevedere delle norme ad hoc nel Capo II dedicato alle disposizioni transitorie
e finali, il decreto Ronchi enuncia all’ultimo comma dell’art. 55 soltanto
l’obbligo per l’autorità giudiziaria di trasmettere all’autorità
amministrativa, ovvero la Provincia, gli atti che riguardano i procedimenti
penali pendenti alla data dell’entrata in vigore del d.lgs.22 medesimo.
Si
rinviene, dunque, una mera norma processuale transitoria, cui non si accompagna
alcuna parallela norma transitoria sostanziale di contenuto corrispondente
all’art. 40 della legge 689/1981.
Per
comprendere come la questione teorica sia pregna di conseguenze pratiche basta
pensare al fatto che la diversa interpretazione del significato dell’art. 55,
3° co. porterà l’autorità amministrativa a due soluzioni diametralmente
opposte: o l’irrogazione delle sanzioni amministrative in luogo delle sanzioni
penali, proprio in forza del disposto dell’art. 55 u.c., con applicazione
delle norme del decreto Ronchi a fatti commessi prima della sua entrata in
vigore; oppure l’archiviazione dei procedimenti sanzionatori, poiché ai fatti
integranti prima reato ed ora illecito amministrativo non si riterrà
applicabile né la sanzione penale per l’avvenuta abolitio criminis, né
retroattivamente la sanzione amministrativa per il principio di irretroattività
della norma amministrativa punitiva.
Quest’ultima
tesi è largamente sostenuta nei ricorsi amministrativi proposti ai sensi
dell’art. 18 della legge 689 del 1981, in cui sovente si censura la legittimità
degli atti amministrativi di irrogazione delle sanzioni per violazione
dell’art.1 della legge 689/81.
Secondo
questa impostazione, se il legislatore avesse voluto disciplinare il fenomeno
della depenalizzazione nel senso di una permanente illiceità delle condotte,
avrebbe dovuto dedicare una previsione apposita alla retroattività delle norme
sanzionatorie del decreto Ronchi, a nulla rilevando il disposto dell’art.55, 3°
co.
A
conferma di tale orientamento si cita il recente d.lgs. 507 del 1999, che
annovera tra le disposizioni transitorie una norma espressa emblematicamente
rubricata “applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni
commesse anteriormente”.
L’art.
55 u.c., ex adverso, non prevederebbe affatto una applicazione retroattiva della
sanzione amministrativa ai fatti prima costituenti reato, ma si limiterebbe ad
includere tra i casi in cui il giudice emette decreto di archiviazione o
sentenza di proscioglimento (e, quindi, non deve trasmettere gli atti
all’autorità amministrativa) anche l’ipotesi della depenalizzazione, che
altro non sarebbe se non un caso in cui il “fatto …non è previsto dalla
legge come reato” (in tal senso anche Pretura di Varese del 5 novembre 1997,
in Foro it., II, 633).
Non
mancano, tuttavia, anche altri elementi che consentono di esprimere una diversa
interpretazione dei dati normativi disponibili.
In
primo luogo, c’è il dato testuale che parla di trasmissione di atti
dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa ai fini “dell’applicazione
della sanzione amministrativa”.
Inoltre,
non sembra affatto decisiva per risolvere il dibattito la sentenza delle Sezioni
Unite della Cassazione n. 7394 del 27 giugno 1994, comunemente citata come
argomento contro l’applicazione retroattiva della normativa sanzionatoria del
d.lgs. Ronchi: in tale pronuncia, dettata in tema di illeciti stradali, la
Suprema Corte ha stabilito che, in caso di proscioglimento per avvenuta abolitio
criminis, l’autorità giudiziaria non può disporre la rimessione degli atti
all’autorità amministrativa competente per l’irrogazione delle sanzioni
amministrative nel frattempo introdotte.
La
decisione, però, appare inopinatamente richiamata: essa, infatti, non si
riferisce al caso della trasmissione di atti da parte del giudice penale
all’autorità amministrativa sulla base di una espressa norma processuale
transitoria, quanto piuttosto alla diversa ipotesi in cui nel testo normativo
non sussista alcuna disposizione processuale dettata per normare i processi
penali già pendenti. Non si vede, invece, come nel caso considerato il giudice
penale possa violare l’obbligo, normativamente imposto dall’art. 55 u.c., di
trasmissione degli atti alla autorità amministrativa competente
all’applicazione delle sanzioni amministrative.
Sul
quadro così delineato è intervenuta l’ordinanza della Corte Costituzionale
11 giugno 1999, n. 233 (Giur. Cost.
1999, 2111 Riv. Giur. Edilizia
1999, I, 921).
Merita
di essere segnalato che la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri nel
proprio atto di intervento ha illustrato come l’art.55 del d.lgs. 22 del 1997
fu introdotto per evitare gli effetti che altrimenti sarebbero derivati dalla
depenalizzazione di talune fattispecie se non accompagnata dalla previsione di
una disciplina transitoria; in altre parole, l’art. 55 del d.lgs. 22/97
sarebbe dettato al fine di garantire che le condotte depenalizzate, tenute nel
vigore della legge precedente, possano essere punite come illecite.
Il
giudice delle leggi, nel dichiarare la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art.55, 3° co. in riferimento
agli artt. 3 e 79 della Costituzione, ha illustrato il duplice significato di
tale disposizione: da una parte, essa mira ad evitare la rimessione
all’autorità amministrativa di contestazioni di illeciti depenalizzati non
aventi consistenza in linea di fatto, ossia nei casi di decreto di archiviazione
o sentenza di proscioglimento; negli altri casi la norma “assolve
alla funzione di regolare in via transitoria la successione tra la norma penale
e quella che configura l’illecito amministrativo, evitando che le condotte,
tenute nel vigore della norma incriminatrice e successivamente depenalizzate,
risultino prive di ogni sanzione”.
In
conclusione, non pare infondato sostenere che proprio la disposizione
processuale transitoria conduca all’applicazione retroattiva della normativa
amministrativa punitiva del d.lgs. 22/97 (in tal senso Pretura di Vicenza 17
giugno 1997, in Riv. Giur. Ambiente 1997, 965).
E’
certo innegabile che, sotto questo profilo, la formulazione del d.lgs. 22/97 sia
piuttosto infelice: e ciò sia che si ritenga il testo del decreto privo di una
norma di applicazione retroattiva delle sue disposizioni, sia che si ricavi tale
norma dall’art.55, 3° co., con un’operazione ermeneutica definita da alcuni
criticabile.
Con
una certa preoccupazione, infatti, si segnala che quando nei giudizi di
opposizione alle ordinanze ingiunzione la tesi dell’applicabilità retroattiva
della normativa amministrativa in virtù dell’art. 55, 3° co. non ha trovato
il favore del giudice civile (Tribunale Ordinario di Venezia, Sezione distaccata
di Portogruaro, 13 aprile 2000), si è verificato un vano passaggio di
incartamenti dal giudice penale all’ente locale, in spregio ai principi di
semplificazione ed efficienza dell’attività amministrativa solennemente
proclamati all’art.1 della legge 241/90. appunto
Ci
troviamo, invero, di fronte ad un anomalo iter: a monte, il giudice penale
trasmette il procedimento penale pendente riferito ad un reato ormai
depenalizzato all’autorità amministrativa ai fini “dell’applicazione
della sanzione amministrativa” (testualmente l’art.55, u.c.); a valle, il
giudice civile accoglie l’opposizione alle ingiunzioni così emanate
dall’autorità amministrativa con conseguente annullamento delle ordinanze
ingiunzione medesime; nel mezzo un dispendio (spreco?) di tempi e mezzi della
p.a., impegnata in inutili attività istruttorie e decisorie, che avrebbero
potuto essere evitate semplicemente con una più limpida formulazione del testo
normativo.
Vale
la pena di sottolineare come le disposizioni sanzionatorie amministrative del
decreto Ronchi, spesso aspramente censurate come norme che prevedono vessatorie
sanzioni pecuniarie a carico dei cittadini per la commissione di mere
irregolarità formali, rispondono, in realtà, alla fondamentale esigenza di
garantire la ricostruibilità e, quindi, la verificabilità in sede di controllo
del flusso dei rifiuti. Basti pensare alle norme concernenti la compilazione dei
registri di carico e scarico e dei formulari di trasporto, che costituiscono
strumenti indispensabili per tracciare e monitorare in ogni momento il percorso
compiuto dai rifiuti, magari pericolosi.
Tanto
che alcuni commentatori all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs.22/97
hanno persino criticato la rilevanza non penale delle condotte tipizzate dagli
artt. 11 e 12 del decreto Ronchi (S. Maglia, M. Medugno Il codice dei rifiuti,
p. 173).
Non
si può ignorare, infatti, come un meccanismo sanzionatorio meramente
pecuniario, pur ispirato alla logica europea del “chi inquina paga”, finisca
inevitabilmente per favorire le grandi imprese che fanno della sistematica
violazione della normativa ambientale una strategia di impresa, computando il
pagamento di eventuali sanzioni tra i costi dell’attività produttiva
ammortizzati dai vantaggi economici della gestione illecita dei rifiuti.
Tuttavia,
ritenendo l’art.55, u.c. una norma inutiliter data, si finirà con lasciare
esenti da qualsiasi sanzione fatti che avevano rilevanza penale al tempo della
loro commissione e che, se commessi sotto la vigenza del nuovo testo normativo,
sarebbero gravemente sanzionati con il pagamento di somme che arrivano nel
massimo edittale fino ai 120 milioni di lire.
E
la questione si presenta oggi più che mai attuale, se si pensa al fatto che in
materia di acque il recente d.lgs. 152/1999, modificato dal d.lgs. 258/2000,
ripropone lo stesso tipo di tecnica di redazione della fattispecie e, dunque, lo
stesso genere di problemi applicativi, come se le insidie di questa formulazione
non fossero già emerse in tutti i loro pericolosi risvolti.
D’altronde,
se iure condito può essere condivisa
la preoccupazione di rispetto delle esigenze di garanzia e certezza del diritto
sottese al principio di legalità delle sanzioni amministrative, de
iure condendo risulta paradossale l’assenza di una chiara normativa
transitoria che eviti l’impunità di gravi condotte che - ripetiamolo - erano
e restano illecite. Come a dire che perseverare appare davvero diabolico.