Chi compie più trasporti abusivi di rifiuti commette un reato «eventualmente abituale»?

di Vincenzo PAONE

Una recente sentenza della Suprema Corte (Cass sez. III, 1° marzo 2019, ud. 16 gennaio 2019, n. 8966, Bonato) ci induce a riflettere – ancora una volta ([1]) - sulla questione se il reato di cui all'art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, costituisca effettivamente un reato istantaneo.

Nella fattispecie, la Cassazione ha dichiarato l’intervenuta, parziale, prescrizione del reato contestato ad un soggetto che aveva eseguito o fatto eseguire tra il 10.02.2011 e 1'8.03.2013 svariati trasporti di rifiuti speciali non pericolosi in assenza della prescritta iscrizione all'Albo gestori ambientali.

Nel proposto ricorso per cassazione, l’imputato sosteneva che «Non potendosi parlare di reati permanenti, ma di reati a consumazione istantanea, ossia che si consumano al momento del prelievo dei rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione» i giudici di appello avrebbero dovuto proscioglierlo parzialmente dalle imputazioni contestate per decorso della prescrizione.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso – che peraltro era stato inizialmente assegnato alla Settima sezione della Cassazione ravvisandosi, evidentemente, una palese inammissibilità del medesimo - per le ragioni che ora sintetizziamo:

Ø la disciplina in tema di prescrizione consente espressamente uno spostamento in avanti, rispetto alla consumazione effettiva del reato, esclusivamente per i reati permanenti;

Ø la giurisprudenza ha esteso tale posticipazione anche ai reati necessariamente abituali, come ad esempio l'ipotesi di cui all'art. 572 c.p. e all'art. 612-bis c.p.: in tali casi, la prescrizione inizia il suo decorso dalla consumazione della condotta criminosa, da individuarsi con il compimento dell'ultimo atto della serie, non facendosi quindi riferimento a ciascuno degli stessi;

Ø in relazione ai reati per i quali l'abitualità rappresenta solo un connotato eventuale e per questo sono definiti anche come abituali impropri, non è consentito lo spostamento in avanti della decorrenza del termine di prescrizione, che perciò prende avvio dalla consumazione dei reati, singolarmente considerati ( [2]);

Ø la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la contravvenzione prevista all'art. 256, D.Lgs. n. 152/2006 sia un reato istantaneo, solo eventualmente abituale, per la cui integrazione è sufficiente un unico trasporto abusivo di rifiuti, conseguendone quindi la punibilità dell'agente anche per una singola condotta occasionale, non costituendo l'abitualità della condotta un elemento indefettibile;

Ø la prescrizione pertanto decorre dal momento in cui il reato è consumato, e cioè dal prelievo e trasporto dei rifiuti in difetto dell'autorizzazione prescritta.

Chiariamo subito che non mettiamo in discussione la conclusione cui è pervenuta la Suprema Corte in quanto conforme all’opinione di autorevole dottrina ([3]) che ha, per l’appunto, osservato che per il reato necessariamente abituale improprio e per quello eventualmente abituale, data l'autonoma rilevanza dei singoli episodi, la prescrizione deve ritenersi decorrere da ciascuno di essi.

Per noi ([4]) il problema è a monte, nel senso che contestiamo che la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 sia un reato istantaneo, eventualmente abituale.

Infatti, con particolare riguardo al caso di gran lunga prevalente, e cioè il trasporto dei rifiuti ([5] ), la Corte di cassazione, tranne sporadiche eccezioni ( [6]), ha sostenuto che il reato ha natura di reato istantaneo che si perfeziona nel momento in cui si realizza la condotta tipica sicchè è sufficiente un unico atto di trasporto per integrare la fattispecie incriminatrice. La tesi del reato eventualmente abituale è stata sostenuta, per la prima volta, da Cass. 30 novembre 2006, Gritti, Ced Cass., rv. 236326, secondo cui, nel caso in cui la condotta sia ripetuta, si configura un reato eventualmente abituale ([7]), in modo da evitare un aggravamento sanzionatorio obiettivamente eccedente rispetto alla portata offensiva della condotta ( [8]).

La tesi della Cassazione però non convince per una serie di motivi che brevemente vanno ricordati.

In primo luogo, va debitamente sottolineata la differente formulazione letterale del 1° e 2° comma dell’art. 256. Nella fattispecie contemplata dal 2° comma, la condotta materiale è sicuramente imperniata sul compimento di un singolo atto ([9]) e pertanto non vi può essere alcun dubbio che il fatto sia per l’appunto istantaneo ([10]). Nel 1° comma, invece, il legislatore sanziona l’effettuazione di un’attività ( [11]) e non ci pare dunque sostenibile l’equiparazione tra la nozione di «atto» e di «attività» che sta alla base, almeno implicitamente, della tesi tradizionale. Insomma, se la condotta sanzionata nel 1° comma fa riferimento allo svolgimento di un’attività, riesce veramente difficile, già sul piano testuale, affermare che un singolo atto (inteso come operazione di gestione rifiuti) sia penalmente rilevante.

Tra breve vedremo che la Suprema Corte sul punto ha sviluppato interessanti riflessioni che non hanno comunque portato ad una rivisitazione dell’opinione dominante. Tuttavia, prima di trattare questo profilo, giova soffermarsi su una questione che non risulta essere mai stata affrontata dalle decisioni che affermano che il reato ha carattere istantaneo che «si perfeziona nel luogo e nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, essendo sufficiente un unico trasporto ad integrare la fattispecie incriminatrice».

Così opinando infatti si oblitera che il reato consiste nello svolgimento di un’attività di gestione di rifiuti effettuata in difetto di iscrizione (o comunque senza titolo abilitativo) ([12]). Perciò, se fosse fondata la tesi del reato istantaneo, per coerenza, si dovrebbe ritenere che l’autorizzazione debba essere richiesta prima del compimento di ogni singolo atto, mentre è evidente che la normativa preveda – tra l’altro, solo per determinati categorie di soggetti - che l’autorizzazione sia chiesta «una volta per tutte» prima dell’inizio dell’attività.

Vale la pena far presente, guardando all’intero sistema dei reati ambientali, che nessuno ha mai sostenuto che il titolare di uno scarico di reflui, il titolare di un impianto che emette fumi in atmosfera, il costruttore di un manufatto edilizio, e via dicendo, commettano un reato istantaneo nel momento in cui, nelle singole occasioni, compiono l’atto tipico descritto dalla norma senza aver richiesto il prescritto titolo abilitativo. E’ invece sempre stato sostenuto da dottrina e giurisprudenza che le varie ipotesi criminose in cui rileva l’esistenza del titolo a svolgere una determinata attività danno vita ad un reato permanente che ha un suo preciso momento di inizio e di cessazione per volontà del contravventore.

Ma veniamo ora alla posizione assunta dalla Suprema Corte negli ultimi anni. Cass. 7 gennaio 2016, P.M. in proc. Isoardi, Ced Cass., rv. 265836, ha infatti posto un paletto di enorme importanza: ha chiarito che, per la sussistenza del reato, è necessaria l’effettuazione in modo non occasionale di un’attività di gestione di rifiuti e dunque che la condotta, per essere penalmente sanzionata, deve costituire una "attività", tale non essendo, in ragione proprio della testuale espressione usata dal legislatore, la condotta caratterizzata da assoluta occasionalità.

Secondo questa decisione, la rilevanza della "assoluta occasionalità", ai fini dell'esclusione della tipicità, deriva non già da una arbitraria delimitazione interpretativa della norma, bensì dal tenore della fattispecie penale, che, punendo la "attività" di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione, concentra il disvalore d'azione su un complesso di azioni, che, dunque, non può coincidere con la condotta assolutamente occasionale.

Lo stesso concetto è ribadito nella parte della sentenza in cui si dice che «se un soggetto appresta una serie di condotte finalizzate alla gestione di rifiuti , mediante preliminare raccolta, raggruppamento, trasporto e vendita di rifiuti, pur non esercitando in forma imprenditoriale, pone in essere una "attività" di gestione di rifiuti per la quale occorre preliminarmente ottenere i necessari titoli abilitativi».

Infine, è importante ricordare che, secondo la sentenza Isoardi, l'occasionalità è esclusa in presenza di un minimum di organizzazione della condotta : si legge, infatti, che «l'assoluta occasionalità non può essere desunta esclusivamente dalla natura giuridica del soggetto agente (privato, imprenditore, ecc.), dovendo invece ritenersi non integrata in presenza di una serie di indici dai quali poter desumere un minimum di organizzazione che escluda la natura esclusivamente solipsistica della condotta (ad es., dato ponderale dei rifiuti oggetto di gestione, necessità di un veicolo adeguato e funzionale al trasporto di rifiuti, fine di profitto perseguito)» ([13] ).

Orbene, la tesi che un trasporto eseguito una tantum è sempre punibile pare poco conciliabile con la tesi che il reato non sussiste se il fatto è assolutamente occasionale.

La contraddizione può (forse) essere superata ritenendo che la condotta, che deve essere caratterizzata dalla assoluta occasionalità ai fini dell’esclusione del reato, non è l’"attività" di gestione dei rifiuti che, in re ipsa, non può possedere quel connotato, essendo insito nel concetto il dispiegarsi della condotta umana lungo un apprezzabile arco di tempo, ma è, casomai, l’”atto” che compone, unitamente ad altri della stessa specie, l’azione che costituisce il fatto tipico descritto dalla fattispecie incriminatrice.

Pertanto, nell’ipotesi di plurimi, reiterati, atti di trasporto di rifiuti – posti in essere, è il caso di sottolinearlo, nell’ambito della medesima attività di gestione – va scartata la tesi che ciascun episodio configuri un autonomo reato, per cui manca il presupposto per poter parlare di reato eventualmente abituale, mentre va affermata la tesi che, nel loro insieme, i molteplici atti costituiscano l’ossatura dell’«attività» di gestione dei rifiuti penalmente rilevante che, in tal modo, configura un reato di tipo permanente.

A questo punto, però, va affrontato un diverso aspetto del problema e cioè va tenuto distinto il profilo attinente la perfezione e consumazione del reato rispetto a quello riguardante l’accertamento del medesimo e quindi il piano probatorio.

Ciò anche per evitare il possibile equivoco che sia ravvisabile il reato soltanto in presenza di fatti concreti che abbiano il carattere dell’effettiva permanenza.

Per comprendere meglio il nostro discorso occorre partire da questo esempio. Nell’ipotesi in cui il titolare di un’impresa effettui la gestione di rifiuti (propri o prodotti da terzi) mediante l’allestimento di strutture od opere fisse, ma senza richiedere l’autorizzazione, l’accertamento puntuale (e cioè «occasionale») della situazione ad opera degli organi di controllo è normalmente sufficiente per provare l’irregolarità dell’attività constatata in quel momento e compiuta anche prima dell’accertamento facendo ricorso alle deduzioni logiche ( [14]) conseguenti agli elementi di fatto raccolti in sede ispettiva.

E’ bene, tuttavia, evidenziare che il fatto che l’illecito sia stato accertato in una specifica, isolata, occasione non è certo un motivo per ritenere che il reato configurabile sia istantaneo: dal punto di vista della qualificazione giuridica, il reato resta permanente tanto che gli eventuali successivi accertamenti dello stesso illecito non danno luogo ad una pluralità di reati, ma sono utili per provare, in concreto, la perdurante consumazione del reato.

Meno agevole si presenta la situazione in caso di attività svolta in forma itinerante ([15]) o comunque senza opere fisse. In particolare, quando il controllo di un mezzo di trasporto avviene su strada, è raro ( [16]) che lo stesso si estenda anche al sito che il soggetto potrebbe avere allestito per effettuare operazioni come lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti o il ricovero del mezzo di trasporto.

In questi casi, l’evento osservato è «unico»: secondo la tesi tradizionale, questo fatto è sufficiente per integrare il reato di trasporto abusivo, secondo invece l’orientamento che ha individuato nel fatto assolutamente occasionale il limite interno della condotta penalmente rilevante occorre stabilire se la condotta accertata sia caratterizzata dall’assoluta occasionalità ([17]) o sia invece l’espressione di un’organizzata attività di gestione. In questa seconda evenienza, perciò, resta valido il percorso logico illustrato poco più sopra.

Tra gli elementi da prendere in considerazione, il principale, spesso da solo dirimente, è dato dalla natura, tipologia ed eterogeneità dei rifiuti trasportati. Infatti, se i rifiuti sono incompatibili con una provenienza «domestica» (pensiamo, a titolo di esempio, al trasporto di batterie esauste o di rottami ferrosi di varia natura), è plausibilmente provato che il trasporto è effettuato per gestire rifiuti «prodotti da terzi».

Un secondo rilevante elemento da considerare è il dato ponderale: infatti, un carico ragguardevole di rifiuti, tanto più se risulta l’eterogeneità degli stessi, normalmente è collegato allo svolgimento di una raccolta organizzata e, in certi casi, ad una più o meno lunga fase di raggruppamento preliminare dei rifiuti, con la conseguente necessità di disporre di un sito dedicato per l’appunto a tale stoccaggio.

Altamente dimostrativo del livello organizzativo che connota l’attività è l’impiego di un veicolo adeguato e funzionale al trasporto di rifiuti.

Un altro significativo indice rivelatore è rappresentato dalle caratteristiche del rifiuto che potrebbe aver subito operazioni tecniche prodromiche al trasporto ed al successivo conferimento.

E’ da considerare infine la finalità del trasporto dei rifiuti perché, se è quella di ricavare un lucro dalla loro vendita, è provata l’esistenza di un’attività organizzata.

In conclusione, attraverso gli elementi obiettivi da individuarsi in concreto e da apprezzare anche in via alternativa tra loro, potrà valutarsi se il soggetto si sia limitato al compimento di un atto occasionale (e cioè dell’unico trasporto accertato), nel qual caso la condotta posta in essere non costituisce reato, o se è probabile che abbia svolto e continui a svolgere un’«attività» di raccolta e trasporto dei rifiuti.

In questa diversa ricostruzione del sistema, la rilevanza dell’unico atto constatato direttamente, non opera più a livello sostanziale, e cioè come elemento sufficiente a perfezionare e consumare un reato istantaneo, ma solo come elemento probatorio necessario per provare la realizzazione di una condotta, l’attività di gestione dei rifiuti, che integra un reato – normalmente ([18]) - permanente.

Alla luce di quanto fin qui argomentato, nella vicenda oggetto della sentenza menzionata in esordio, i documentati plurimi trasporti abusivi potevano essere ritenuti parte di un reato permanente con la conseguenza che il termine di prescrizione decorreva dal compimento dell'ultimo di essi.



[1] V. Un trasporto occasionale di rifiuti è sempre sufficiente per integrare la fattispecie incriminatrice? , in Riv. giur. ambiente, 2014, 346; Gestione abusiva di rifiuti e occasionalità della condotta: quando si configura il reato , in Ambiente e sviluppo, 2017, 103; Occasionalità della condotta di trasporto dei rifiuti e sussistenza del reato di gestione abusiva , nota a Cass. 28 marzo 2017, Rinella, in Foro it., 2017, II, 667; Ci risiamo: per la Cassazione anche un trasporto occasionale di rifiuti è punibile penalmente , in www.lexambiente.

[2] In tema di reati eventualmente abituali, come il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione, la Suprema Corte - Sez. 7, Sentenza n. 27582 del 16/11/2017 Cc. (dep. 15/06/2018 ) Rv. 273512 – ha ritenuto che il termine di prescrizione decorre da ciascuna singola condotta di per sé idonea ad integrare il reato e non dall'ultima di queste.

[3] Petrone, Reato abituale, in Digesto pen., Torino, 1996, vol. XI, pag. 207.

[4] E forse siamo rimasti i soli a sostenerlo!

[5] Le decisioni che hanno affrontato ex professo il problema hanno per oggetto la raccolta e il trasporto di rifiuti. Nulla esclude che lo stesso principio, e cioè la sufficienza di un solo atto per la consumazione del reato, sia adattabile a qualsiasi altra operazione o fase di gestione dei rifiuti.

[6] V. Cass. 23 marzo 2016, Bottazzi, Foro it., 2016, II, 668, e 28 marzo 2017, Rinella, Foro it., 2017, II, 664.

[7] Come è noto, il reato eventualmente abituale ricorre quando la norma penale ammette la reiterazione di più fatti omogenei attribuendo però rilevanza, allo stesso titolo, sia al fatto singolo che alla ripetizione intervallata nel tempo della stessa condotta.

[8] In senso analogo, v. Cass. 11 ottobre 2016, Halilovic Malina, Ced Cass., rv. 268566; 16 marzo 2017, Giachino, n. 18398, Foro it., 2017, II, 510; 22 marzo 2017, Pm c/o Roagna, n. 20241, inedita; 16 marzo 2017, Bulgarini, n. 34522, inedita; 5 aprile 2017, Dentice, Ced Cass., rv. 270255.

[9] «Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano odepositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'art. 192, commi 1 e 2».

[10] E’ pacifico tuttavia che la reiterazione di più atti di abbandono di rifiuti integra il diverso (e più grave) reato di realizzazione di discarica abusiva.

[11] Si noti anche la rubrica della disposizione, “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata”, che milita a favore della nostra opinione.

[12] A differenza dell’ipotesi del 2° comma dell’art. 256 che incrimina l’abbandono di rifiuti senza preoccuparsi del carattere «abusivo» dell’atto.

[13] Ci pare evidente che gli indici da cui desumere il minimum di organizzazione siano stati indicati in via meramente esemplificativa e quindi è ragionevole fare appello a qualsiasi altro elemento sintomatico e idoneo a dimostrare un minimo livello organizzativo dell’attività.

[14] Secondo la regola dell’id quod plerumque accidit.

[15] Oltre alla classica raccolta e trasporto di rifiuti, pensiamo anche alla gestione con impianto mobile o all'attività di intermediazione e commercio senza detenzione di rifiuti.

[16] Basti pensare che il controllo potrebbe avvenire in un luogo molto distante da quello in cui dimora il trasportatore.

[17] Il concetto di occasionalità rimanda all’idea di un comportamento necessariamente unico. In tema, v. Cass. 23 marzo 2016, Bottazzi, cit., secondo cui per la configurabilità del reato di cui all’art. 256 d.leg. 152/06, il tratto della «non occasionalità» rappresenta l’autentica cifra di riconoscimento della fattispecie di reato, sicché il trasporto occasionale, inteso nel senso rigoroso di operazione oggettivamente isolata e del tutto priva di collegamento rispetto ad una stabile o anche solo, continuativa attività di gestione di rifiuti o comunque scollegata da una fonte stabile di produzione del rifiuto stesso, fuoriesce dall’ambito di operatività della norma incriminatrice.

[18] La regola ha infatti delle eccezioni: in primo luogo, l’atto osservato potrebbe costituire la prima effettiva e concreta manifestazione esteriore della decisione di intraprendere l’attività abusiva e perciò sarebbe errato non ravvisare, anche in questa ipotesi, la fattispecie criminosa. In secondo luogo, anche una sola operazione illecita di gestione dei rifiuti, a certe condizioni e tanto più quando è diversa dal mero trasporto, potrebbe bastare per integrare il reato: infatti, se la condotta si sia protratta per un apprezzabile lasso di tempo e sia idonea ad offendere l’interesse protetto, potrebbe valere lo stesso principio dettato dalla Cassazione in tema di abbandono e discarica, nel senso che, pur essendo pacifico che l’occasionalità dell’atto è il criterio per distinguere queste due ipotesi di reato, anche un'unica azione di scarico di rifiuti, idonea a ledere irreparabilmente il territorio a causa del definitivo abbandono di una rilevante massa di rifiuti, integra la più grave ipotesi di reato di discarica abusiva.