TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 153 del 2 febbraio 2017
Rifiuti.Divieto di recuperare e smaltire rifiuti nelle Regioni diverse da quella di produzione e rifiuti urbani pericolosi
Il T.U. dell’Ambiente, nell’introdurre il divieto di recuperare e smaltire i rifiuti nelle Regioni diverse da quelle di produzione e nell’imporre l’utilizzo di impianti idonei in prossimità a quelli di produzione o raccolta, non contempla i rifiuti urbani pericolosi (cfr. art. 182 comma 3), vi è libertà di circolazione dei rifiuti sul territorio nazionale, “senza limitazioni geografiche o territoriali”, salvo appunto l’obbligo – sancito dall’art. 182 comma 3 del D. Lgs. 152/2006 – di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi nelle Regioni in cui gli stessi sono prodotti.
Pubblicato il 02/02/2017
N. 00153/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00505/2016 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 505 del 2016, proposto da:
Castella Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Diaz, 13/C;
contro
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Viviana Fidani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Luisella Savoldi in Brescia, via Solferino, 67;
Comune di Rezzato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Gorlani, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Romanino, 16;
Comune di Brescia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avvocati Francesca Moniga, Andrea Orlandi, con domicilio ex lege in Brescia, Corsetto S. Agata, 11/B;
Comune di Castenedolo non costituito in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Legambiente Onlus, Co.Di.Sa., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall'avvocato Pietro Garbarino, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Malta, 3;
per l'annullamento
- DEL DECRETO DELLA REGIONE LOMBARDIA IN DATA 8/2/2016, RECANTE LA PRONUNCIA NEGATIVA DI COMPATIBILITA’ AMBIENTALE AI SENSI DEL D. LGS. 152/2006 E DELLA L.R. 5/2010, SUL PROGETTO DI UN NUOVO IMPIANTO INTEGRATO DI RECUPERO E SMALTIMENTO DI RIFIUTI NON PERICOLOSI, CON ANNESSO IMPIANTO DI SMALTIMENTO E DI PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA DA FONTE RINNOVABILE, IN COMUNE DI REZZATO.
- DI OGNI ALTRO ATTO O PROVVEDIMENTO, PRESUPPOSTO, CONSEQUENZIALE O COMUNQUE CONNESSO.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia e di Comune di Rezzato e di Comune di Brescia;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2017 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A. Riferisce la ricorrente di essere una Società a partecipazione pubblico-privata (costituita dalla Società Garda Uno Spa – interamente pubblica – e dalla Società R.M.B. Spa) e di perseguire l’obiettivo di affrontare la situazione deficitaria degli impianti di smaltimento di rifiuti speciali, che residuano dal ciclo produttivo delle industrie in particolare nella Provincia di Brescia e nella Regione Lombardia. Sottolinea Castella S.r.l. (di seguito: Castella) come, alla data del 31/12/2013, il solo distretto industriale Bresciano producesse annualmente 3.225.553 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, con una capacità di smaltimento degli impianti esistenti del tutto insufficiente (cfr. pagine 3 e 4 del ricorso introduttivo).
B. L’impianto proposto è localizzato all’interno dell’ATE g25 nella porzione sud ovest del Comune di Rezzato (in prossimità dell’arteria autostradale A4), ove la Società Gaburri Spa è autorizzata a svolgere attività estrattiva. La soluzione progettuale coinvolge una superficie complessiva di circa 245.000 mq, di cui circa 167.000 mq destinati a discarica.
B.1 Nello specifico, si prevede di realizzare (cfr. paragrafo 2.3 dell’atto impugnato):
- un impianto di trattamento/valorizzazione di rifiuti speciali non pericolosi mediante operazioni di recupero [R3, R4, R5 e R13] e smaltimento [D14 e D15] all’interno di un capannone dedicato, per una potenzialità di trattamento pari a 170 tonnellate/giorno; in proposito, i rifiuti conferiti, dopo la fase di pre-stoccaggio, saranno sottoposti a selezione preliminare (triturazione, vagliatura e cernita manuale) e pressatura, mentre quelli non valorizzabili e le relative frazioni decadenti saranno raccolti e smaltiti nel bacino di discarica;
- un impianto di smaltimento per rifiuti speciali non pericolosi, per una volumetria complessiva di 1.890.000 mc; nel seguito, le modifiche progettuali in adeguamento alla D.G.R. 2461/2014 hanno comportato una riduzione di volumetria a 1.591.000 mc., con un conferimento giornaliero di 1.059 tonnellate e una gestione operativa di 7,5 anni;
- (terminati i conferimenti) un’attività di recupero da realizzarsi in 12 mesi, per rendere le aree compatibili con la destinazione finale (verde naturalistico e parco pubblico ricreativo).
C. In ossequio al principio di sinteticità degli atti processuali (al quale si devono uniformare anche i giudici), si ritiene di poter rinviare all’atto introduttivo del giudizio per l’esposizione delle fasi della vicenda procedimentale, avviata con l’istanza di AIA e di VIA (depositata il 20/7/2011) e culminata nel provvedimento impugnato. In particolare, non saranno riportati i contenuti del preavviso di rigetto e le controdeduzioni di parte ricorrente, illustrati in modo puntuale e analitico nel ricorso alle pagine da 7 a 68, salvi i richiami che si riveleranno necessari nel seguito dell’esposizione.
D. Il provvedimento impugnato mette in luce plurime criticità:
a) LA LOCALIZZAZIONE E LE EMISSIONI IN ATMOSFERA (punto 2.4 del provvedimento)
Il punto di partenza, già emerso nel complesso iter, è l’incidenza dell’impianto in un contesto territoriale che vede la presenza di numerose attività che generano impatto ambientale, con ricadute sui cd. recettori sensibili, e in particolare sugli ambiti residenziali posti entro i 1.000 metri dal perimetro dell’insediamento (scuola dell’infanzia, scuola primaria, Centro sportivo/natatorio). L’autorità osserva che i tre progetti messi a confronto dal proponente (attività estrattiva presso l’ATEg25 in essere, discarica in progetto ed escavazione in attuazione della variante allo sfruttamento dell’ATE già assentita con atto dirigenziale 1674/2015, per cui la seconda risulta assai meno impattante in termini di ricadute di PM10 e produzione di anidride carbonica e ossido di azoto derivanti dal traffico indotto – cfr. pagine 47-53 del gravame introduttivo) non possono essere considerati quali reali scenari alternativi tra loro, in quanto l'eventuale realizzazione dell'impianto integrato in progetto interessa “solo una porzione di una delle cave presenti nell'A.T.E.g25 che presumibilmente proseguiranno nella proprie attività e quindi gli impatti connessi alle diverse fasi di gestione dell'impianto insediamento Castella andrebbero a sommarsi a quelli determinati dalle altre attività presenti nel resto dell'ambito estrattivo”; inoltre “i valori emissivi associati alla discarica in progetto paiono non tenere conto dei fattori emissivi derivanti dai camini di espulsione del filtro a maniche e della sezione di cogenerazione, portando ad una sottostima del contributo emissivo complessivo dell'insediamento in progetto”. Permangono le perplessità derivanti dalla localizzazione del progetto in un contesto territoriale “ove la qualità dell'aria risulta essere già nella situazione ante-operam, in situazione di evidente criticità …”. La Regione ribadisce i dubbi sull'impatto odorigeno determinato dalla gestione dell'impianto, per il quale sono anche previsti rifiuti organici e biodegradabili, soprattutto con riguardo alla distanza, specificatamente inferiore a 1.000 m, dell'insediamento in progetto dall'abitato di Buffalora e da siti definiti come sensibili, alla luce della direttrice principale dei venti (est-ovest).
b) LA FALDA AFFIORANTE E IL RISCHIO DI CONTAMINAZIONE DURANTE LA RICOSTITUZIONE DEL FRANCO FALDA DI 2 METRI (punto 2.6 del provvedimento)
Sottolinea la Regione che le modalità operative previste da Castella non sono sufficienti <<a garantire la salvaguardia della acque di falda a fronte dei conclamati fenomeni di emersione della stessa e conseguente rischio di contaminazione derivante dalle attività previste per la ricostruzione del franco di 2 m nonché dalla produzione di percolato. Quanto sopra anche in relazione alle modalità di gestione del percolato nei singoli lotti approntati e l'eventuale produzione di biogas. …>>. Anche se durante l’istruttoria Castella ha rivisto il progetto, adeguando il sistema di impermeabilizzazione del fondo della discarica (lo strato insaturo necessario per assicurare il franco richiesto), secondo la Regione resta impossibile definire univocamente “le tempistiche delle diverse fasi di gestione della discarica [approntamento + gestione operativa + gestione post — operativa] e conseguentemente di stimare correttamente l'orizzonte temporale degli impatti del progetto sulle diverse componenti ambientali”. La Regione evidenzia altresì come l'escavazione pregressa è stata condotta oltre la massima risalita della falda in alcuni periodi dell'anno e ritiene “che la cavità individuata per la realizzazione del progetto di discarica non può costituire, in quanto priva della condizione di coltivabilità a secco, elemento fattuale a sostegno di una scelta ambientalmente preferenziale”. Conclude sul punto ribadendo il rischio per la falda idrica, che “per la vicinanza della stessa falda al fondo discarica e per la tipologia di rifiuti richiesti in autorizzazione, è maggiore rispetto a quello registrabile in aree caratterizzate dall'assenza di falda affiorante e dalla presenza "naturale" del franco falda previsto dal d.lgs. 36/2003, elementi questi costituenti una ulteriore difesa contro la contaminazione della stessa”. La Regione avverte altresì che il progetto si pone in contrasto con la pianificazione regionale delle attività estrattive.
c) LA VIABILITA’ (punto 2.7 del provvedimento impugnato)
Nel richiamare quanto già rilevato a proposito delle emissioni in atmosfera, l’autorità regionale ritiene di stimare una movimentazione di circa 3.500.000 mc. per l’attività di discarica in progetto (950.000 mc. per ricostituzione franco falda, 406.000 mc. per approntamento discarica, 1.550.000 mc. di rifiuti e 435.000 mc. di ripristino ambientale); alla luce di ciò “il traffico indotto costituirà elemento di criticità” in particolare “sotto il profilo delle emissioni in atmosfera derivanti ed in relazione allo stato di qualità dell’aria ante-operam”.
d) LE TIPOLOGIE DI RIFIUTO RICHIESTE IN AUTORIZZAZIONE (pagina 8 del provvedimento)
Ad avviso della Regione difettano le alternative progettuali già sollecitate, come per esempio sulla riduzione delle volumetrie di rifiuti conferiti, cui conseguirebbe una diminuzione della quota del colmo della discarica e la garanzia del deflusso delle acque meteoriche di ruscellamento e dell’eliminazione dei rifiuti putrescibili; inoltre, non è stato chiarito univocamente il flusso dei rifiuti/materiali internamente al complesso e non sono individuate le classi di rifiuto alle quali appartengono i rifiuti “stabili e non reattivi”.
e) L’IMPATTO PER LA SALUTE PUBBLICA (punto 2.5 provvedimento)
Pur riconoscendo il contributo del proponente (sulle neoplasie potenzialmente associate a impianti di smaltimento di rifiuti, ove gli studi riportano dati in linea con le medie regionali/locali; sulla mortalità per tumori, che nell'area target risulta inferiore del5 % rispetto all'intera ASL di Brescia nel periodo 2006/2013; sulla mortalità generale [così come quella per cause cardiovascolari] che nel periodo 2006/2013 risulta significativamente inferiore alla media ASL) la Regione richiama il parere espresso dall’ASL di Brescia, secondo la quale l'insediamento è localizzato “in un comparto territoriale già gravato dalla presenza di numerose attività antropiche impattanti sotto il profilo della salute pubblica”, con una complessiva situazione di degrado e la necessità di evitare effetti negativi aggiuntivi sulla salute della popolazione residente: il ragionamento dell’ASL è nel senso che “evidenze crescenti mostrano che all'esposizione di inquinanti presenti negli ambienti di vita si possono attribuire quote importanti della morbosità e mortalità per neoplasie, malattie cardiovascolari e respiratorie sia per effetti a lungo termine che a breve termine”. Si dà conto degli studi a livello europeo sull’aumento di 5 ug/mc di polveri sottili PM2.5 cui corrisponde un significativo aumento del rischio di mortalità anticipata del 7 %, indipendentemente dal fatto che l'esposizione si collochi sotto i limiti di legge o sotto quelli raccomandati dall'OMS; inoltre per ogni aumento di 10 ug/m3 di PM10 vi è un aumento del rischio di mortalità naturale dello 0,9%, di ictus del 1,1 %, di infarto del 1,3 %, di ricoveri per patologia respiratoria del 3,9 %. Infine, i dati di morbilità per malattie respiratorie non tumorali non consentono un ulteriore aggravio dell'inquinamento ambientale, che deriverebbe dall'aggiunta di un ulteriore impianto a quelli esistenti, con un peggioramento dell'impatto cumulativo e pregiudizio sulla salute.
f) L’INCIDENZA PAESAGGISTICA E LE AZIONI MITIGATIVE AGGIUNTIVE (punto 2.9 del provvedimento)
L’autorità avverte l’assenza delle alternative progettuali a quanto proposto, aventi la finalità di ridurre il mutamento paesistico generato dall’attività di smaltimento, e di migliorare l’inserimento della nuova emergenza all’interno dell’ambito. Difettano le azioni mitigative aggiuntive a presidio (ad esempio) delle zone residenziali più prossime all'insediamento, quali Buffalora. Inoltre, permangono dubbi circa l'effettiva fruibilità dell'ambito al termine dell’attività (è prevista la destinazione d'uso finale a parco ricreativo) dato che la realizzazione, gestione e post-gestione trentennale saranno contrassegnati da eventi quali l’assestamento della massa rifiuti e la produzione di biogas e di percolato.
E. Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione la ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe, deducendo in diritto l’eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento, travisamento dei fatti, incongruità, illogicità, sviamento funzionale della causa, inosservanza del principio di precauzione, violazione degli artt. 5 e seguenti, 182, 182-bis, 199 del D. Lgs. 152/2006, in quanto:
• le amministrazioni, nel condurre un procedimento durato 5 anni, si sono dimostrate pregiudizialmente ostili;
• il giudizio di compatibilità ambientale è formulato sulla base di parametri codificati, e sebbene la decisione sia connotata da una discrezionalità molto estesa, la sfera cognitiva del giudice amministrativo non si arresta ai vizi estrinseci della logicità, congruità e completezza dell'istruttoria, ma si estende agli errori di apprezzamento imputabili all’amministrazione;
• la VIA non contempla un astratto giudizio di compatibilità ambientale dell'intervento, ma si risolve nella ponderazione comparativa del sacrificio ambientale imposto con l’utilità socio-economica di interesse pubblico che si ritrae, tenuto conto delle alternative praticabili e delle conseguenze della stessa “opzione zero”;
• l’amministrazione deve dunque soppesare gli interessi antagonisti, ed esaminare i progetti secondo i principi di sviluppo sostenibile e di proporzionalità tra costi e benefici, per cui prima di pronunciarsi sfavorevolmente deve vagliare la percorribilità di una soluzione progettuale meno impattante, realizzabile condizionando il rilascio dell’autorizzazione al rispetto di puntuali prescrizioni tecniche;
• nel caso esaminato, in modo apodittico l’atto impugnato ha ritenuto che le criticità non potessero essere risolte con l’introduzione di prescrizioni, suggerite dallo stesso proponente nelle osservazioni finali (riduzione dei codici CER pericolosi stabili non reattivi, limitazione del fattore della deroga richiesta per l'eleuato a tre volte quelli specificati per la corrispondente categoria di discarica; osservanza delle modalità e delle tempistiche stabilite dalla Regione Lombardia per il materiale inerte di riporto necessario alla realizzazione del piano di fondo dell'impianto);
• il vizio principale del procedimento è l’omesso bilanciamento dei valori compresenti nella vicenda, bypassato da un acritico diniego ispirato al cd. nimby (not in my backyard);
• non è stato preso in considerazione il pregnante interesse pubblico (connesso a precise esigenze ambientali) sotteso alla realizzazione del progetto, che intende soddisfare l’enorme fabbisogno di trattamento e smaltimento dei rifiuti non urbani prodotti sul territorio provinciale;
• è violato il principio codificato agli artt. 182, 182-bis e 199 del T.U. dell'ambiente (valido anche per i rifiuti speciali), che vieta di recuperare e smaltire i rifiuti nelle Regioni diverse da quelle di produzione e impone di avvalersi di impianti idonei in prossimità a quelli di produzione o raccolta, evitando il più possibile la loro movimentazione;
• è stato applicato in modo illegittimo il principio di precauzione, che si esplica nella prevenzione rispetto a fonti di rischio non adeguatamente esplorate o documentate secondo le attuali conoscenze scientifiche, mentre nella fattispecie le amministrazioni preposte non si sono curate di vagliare la sorte dei rifiuti speciali in esubero rispetto alla capacità di smaltimento; è stata sottovalutata l’emergenza nella gestione dei rifiuti speciali e non è stata compiuta una seria identificazione degli effetti potenzialmente negativi (è mancata la valutazione scientifica del rischio).
Rispetto ai rilievi dell’amministrazione procedente, racchiusi nel provvedimento impugnato, Castella deduce quanto segue:
a) SULLA LOCALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO, si registra un evidente travisamento dei fatti, visto che l'attività di coltivazione della cava, sia quella in atto che quella in progetto (unica alternativa alla realizzazione dell'impianto), provoca maggiori interferenze sull'ambiente rispetto a quella proposta da Castella, mentre non coglie nel segno l’obiezione che, intorno al sedime, sono comunque in esercizio altre attività, dato che il contesto è di tipo produttivo e anche in futuro potranno insediarsi nuove aziende; l’alternativa al progetto denegato è un’attività di escavazione rivelatasi ben più impattante (per emissioni in atmosfera, odori, viabilità);
b) SULLA FALDA AFFIORANTE, è riscontrabile il travisamento dei fatti e la disparità di trattamento, già sottolineati nella replica al preavviso di diniego, poiché si è dimostrato che il piano di imposta della discarica sarebbe caricato ad una quota del piano di campagna in cui non è mai affiorata acqua, e la circostanza è stata acclarata dagli stessi Enti in sede di emissione del decreto autorizzativo riguardante l’attività di cava; nell’occasione si è accertato che a tale quota l'escavazione avverrebbe “in asciutta”; peraltro, in analogo procedimento per una discarica di inerti a Ghedi, la Provincia ha emesso (cfr. atto dirigenziale n. 2168 del 28/6/2012) un’autorizzazione per la ricostruzione artificiale del franco di falda, con posa di terre da scavo di apporto esterno in presenza di falda affiorante;
c) SULLE TIPOLOGIE DI RIFIUTO RICHIESTE IN AUTORIZZAZIONE, il motivo di diniego viola palesemente i principi normativi in materia (artt. da 7 a 10 del D.M. 27/9/2010 e D. Lgs. 36/03), tenuto conto che la ricorrente si è resa disponibile a limitare i rifiuti da conferire (nella forma della prescrizione da accompagnare all’autorizzazione);
d) SULL’INCIDENZA PAESAGGISTICA E SULLE AZIONI MITIGATIVE AGGIUNTIVE, i rilievi risultano deboli, per cui si rinvia tra l’altro al preminente interesse pubblico sotteso alla realizzazione dell'impianto, fermo restando che le questioni sono tutte risolvibili con il ricorso a prescrizioni specifiche.
e) PER L’IMPATTO SULLA SALUTE, gli studi dei quali la ricorrente ha dato conto hanno dimostrato che “per le specifiche neoplasie potenzialmente associate a impianti di smaltimento dei rifiuti, i risultati riportano dati in linea con le medie regionali/locali; la mortalità per tumori nell'area target risulta inferiore del 5 % rispetto all'intera ASL di Brescia nel periodo 2006 - 2013 e nel periodo 2006 - 2013 la mortalità generale [cosi come quella per cause cardiovascolari] risulta significativamente inferiore alla media ASL”; gli studi e gli approfondimenti compiuti dalle amministrazioni coinvolte nel procedimento non hanno dimostrato nulla che contesti le precedenti conclusioni: le criticità evidenziate dagli Enti preposti riguardano ogni attività produttiva che si insediasse in loco, ma si è sul punto dimostrata la maggiore invasività (con riflessi sulla salute) dell’alternativa coltivazione di cava, che provoca emissioni maggiori; sennonché, in occasione della VIA effettuata per quest’ultimo insediamento nessuna questione sanitaria è stata sollevata, con evidente violazione dei canoni di logicità e congruità nonché di parità di trattamento.
F. Si sono costituiti in giudizio la Regione Lombardia, il Comune di Rezzato, il Comune di Brescia, sollevando eccezioni in rito e chiedendo la reiezione del gravame nel merito. Sono intervenuti ad opponendum Legambiente Onlus e Co.Di.Sa.
G. Con ordinanza n. 355, depositata il 12/5/2016 presso la Segreteria della Sezione, questo T.A.R. ha disposto una verificazione, affidando i seguenti quesiti:
<<a) se corrisponde alla realtà dei luoghi quanto affermato dalla Regione nel punto 2.6 del decreto 773 del 2016 oggetto di impugnazione e, in particolare:
a1) se è vero che “nell’ambito di cava la falda è caratterizzata da eventi di massima risalita che provocano l’affioramento della medesima nelle aree interessate dal progetto in questione” (pag. 12 primo capoverso del punto 2.6);
a2) se la realizzazione del progetto di discarica possa ritenersi effettivamente contrastante con la pianificazione regionale delle attività estrattive per l’ATEg25;
a3) se le modalità operative di cui al progetto presentato dalla ricorrente “non siano tuttavia sufficienti a garantire la salvaguardia delle acque di falda a fronte dei conclamati fenomeni di emersione della stessa e conseguente rischio di contaminazione derivante dalle attività previste per la ricostruzione del franco di 2 m nonché dalla produzione di percolato” (pag. 13, secondo capoverso);
a4) se l’area in questione possa essere qualificata come “assai critica sotto il profilo del rischio per la falda idrica”;
b) se, alla luce della più recente versione del progetto della discarica possano ritenersi superate le osservazioni di cui alla nota tecnica sottoscritta dai tecnici incaricati dal Comune di Rezzato nel settembre 2015 (le quali richiamano le conclusioni di cui alla relazione tecnica allegata alle suddette osservazioni, documento 15 allegato alla memoria del Comune di Rezzato depositata il 7 maggio 2016), specificando se esistono, tra quelle indicate, delle problematiche non affrontate e risolte dal progetto della discarica;
c) se il modello concettuale utilizzato per la redazione dell’analisi di rischio prodotta dalla società ricorrente sia conforme alla buona tecnica progettuale e basato su un’esatta rilevazione e rappresentazione della presenza e della profondità dei diversi pozzi presenti in zona;
d) qualsiasi altro chiarimento ritenuto opportuno, vista la documentazione in atti e le informazioni che il verificatore potrà assumere da terzi>>.
H. Con ordinanza n. 414 depositata il 10/6/2016, è stata disposta la sostituzione della dott.ssa Laura Longoni, già individuata come verificatore, con il prof. Francesco Ronchetti ricercatore dell’Università di Modena nel settore della Geologia applicata (presso il Dipartimento di Scienze chimiche e geologiche), autorizzando quest’ultimo ad avvalersi della collaborazione (come ausiliario) del Prof. Leonardo Piccinini ricercatore dell’Università di Padova (presso il Dipartimento di Geoscienze) e insegnante di Idrogeologia applicata. Venivano confermati i quesiti già stabiliti nell’ordinanza n. 355/2016 e veniva stabilita la scansione temporale dell’attività di verificazione.
I. In data 15/12/2016 i prof. Francesco Ronchetti e Leonardo Piccinini hanno depositato la relazione richiesta, completa del contraddittorio instaurato con le parti.
Alla pubblica udienza del 25/1/2017 il gravame introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
La Società ricorrente censura il provvedimento con il quale è stata respinta l’istanza di autorizzazione per realizzare, nel Comune di Rezzato, un nuovo impianto integrato di recupero e smaltimento di rifiuti non pericolosi, con annesso impianto di smaltimento e di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.
L. Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni in rito sollevate dalla difesa del Comune di Rezzato.
Per quanto riguarda l’omessa notifica alla Provincia di Brescia e la richiesta di estensione del contraddittorio, questo Collegio si riporta a quanto già statuito, in modo condivisibile, nell’ordinanza cautelare di questa Sezione 12/5/2016 n. 355. Deve essere inoltre respinta l’ulteriore eccezione sollevata dall’Ente locale, di inammissibilità del gravame per la tipologia di censure esposte e per la natura della valutazione espressa in sede di pronuncia VIA. E’ sufficiente al riguardo obiettare che la natura del controllo giurisdizionale si estende alla correttezza del potere amministrativo esercitato anche per provvedimenti connotati da ampia discrezionalità come quello di cui si controverte: Castella ha correttamente impugnato il solo provvedimento finale (conclusivo dell’articolato iter procedurale e, unico, autenticamente lesivo) e ha svolto le proprie censure di violazione di legge ed eccesso di potere illustrate nell’esposizione che precede al paragrafo E.
ESAME DELLE DOGLIANZE ALLA LUCE DELLE RISPOSTE DEI VERIFICATORI (SEGUITE DALLE OSSERVAZIONI DEL CONSULENTE TECNICO DI PARTE RICORRENTE E DALLE CONTRODEDUZIONI DEGLI ESPERTI INCARICATI DAL TAR). Per esigenze di economicità di esposizione, si focalizzerà dunque l’attenzione sul contraddittorio instaurato tra i predetti tecnici.
M. PROFILO GENERALE a) rispondenza al vero delle affermazioni della Regione al punto 2.6 del decreto impugnato “paragrafo a1”: se nell’ambito di cava la falda è caratterizzata da eventi di massima risalita che provocano l’affioramento della medesima nelle aree interessate dal progetto in questione (pag. 12 primo capoverso del punto 2.6).
I) I verificatori richiamano una pluralità di documenti e relazioni “prodotti da diversi enti pubblici o società private, che dimostrano come la falda affiori nella zona di progetto in particolari annate (vedi documento ARPA. Consulenza Tecnico-Scientifica-LR 16/99 in applicazione del punto C) 3 della nota Regionale nr.10312 del 4/3/14). La stessa società Castella S.r.l. riporta nei suoi documenti degli affioramenti della falda …”. Inoltre il Comune di Rezzato “in data 5/11/2013 ha spedito a diversi enti (Regione Lombardia, Provincia di Brescia, ARPA Lombardia, ASL di Brescia) e alla Società Castella S.r.l. un documento (doc. 28 depositato al TAR prot. 15732) con fotografie che mostrano l’affioramento della falda nel mese di luglio 2013. Si ricorda che nell’area in questione, come si evince dai dati piezometrici reperibili sulla zona, regolarmente ogni anno la falda raggiunge il suo massimo livello nei mesi estivi, elemento a favore delle foto scattate dal Comune di Rezzato. Anche nelle relazioni idrogeologiche o nei dati del monitoraggio piezometrico forniti dalla Provincia di Brescia … si evince come la falda al contorno della zona di cava abbia raggiunto quote maggiori rispetto al fondo cava misurato nei rilievi di GON servizi topografici di giugno 2012. … Infine, anche nelle relazioni di geAmbiente (rel. 045/15- Rapporto di prelievo acque del 24/03/2015) per Castella S.r.l. si rilevano misure della falda superiori al livello minimo di cava …”. Vengono in aggiunta prodotte foto aeree e satellitari presenti su portali web pubblici (come google earth) che dimostrano l’affioramento della falda in alcuni anni.
II) Osserva sul punto il CTP della ricorrente che, nell’attuale configurazione morfologica della cava, si può verificare l’affioramento della falda superficiale in occasione di eventi meteorologici intensi e, comunque, nel periodo agosto-settembre in cui si registrano i massimi livelli dell’area. Riferisce che Castella ha effettuato una propria ricostruzione storica dei massimi livelli (riscontrando i picchi massimi nel settembre 1985) e di uno studio geologico curato dalla Bossich Geoengineering Srl, nel quale si calcolano le massime escursioni della falda fra quote comprese fra 119,3 e 120,1 metri slm, (più alte di quelle individuate nella consulenza ARPA del giugno 2014), mentre dalle simulazioni sul futuro – ossia sulla massima altezza della falda attesa con tempo di ritorno pari a 100 anni – si prevede che la superficie piezometrica possa raggiungere quote ricomprese tra 119,6 e 120,6 metri slm. Dunque, le quote progettuali considerate per la massima escursione sono state innalzate cautelativamente rispetto allo studio ARPA, con previsione di impermeabilizzazione della discarica a quote comprese fra 122 e 127,32 metri slm, ben superiori al franco di 2 metri previsto dalla normativa vigente.
III) Nelle repliche, i verificatori prendono atto della concorde opinione del CTP Castella sul fatto che la falda affiora, e lamentano la mancata chiarezza sul metodo utilizzato per determinare la quota massima di falda. Affermano che “Rimane comunque vero che secondo il progetto della Castella S.r.l. la ricostruzione del franco di falda è comunque superiore di 2 metri rispetto alla quota di massima escursione della falda, calcolata secondo: “documento ARPA. Consulenza Tecnico-Scientifica-LR 16/99 in applicazione del punto C) 3 della nota Regionale nr.10312 del 4/3/14”.
N. PROFILO GENERALE a) rispondenza al vero delle affermazioni della Regione al punto 2.6 del decreto impugnato “paragrafo a2”: se la realizzazione del progetto di discarica possa ritenersi effettivamente contrastante con la pianificazione regionale dell’attività estrattive per l’ATEg25.
I) A parere dei verificatori “Secondo il Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, 1° supplemento straordinario al n4 - 25 Gennaio 2005, nell’ATEg25, … nella zona di progetto della discarica è prevista l’escavazione in falda, ovvero oltre i 10 metri di profondità dall’originario piano campagna e fino a 30 metri di profondità. La destinazione finale prevista per questa porzione dell'ATEg25 è: agricolo e/o naturalistico e/o ricreativo e a verde pubblico attrezzato. ……; la zona in questione al punto 6 non corrisponde con la zona di progetto della discarica, la quale invece si ricorda come sia destinata ad escavazione in falda. …. La mappa allegata all’ATE in questione … è chiara e prevede per la zona di progetto della discarica l’escavazione in falda (sino 30 m di profondità). Sempre nel documento alle caratteristiche del giacimento viene riportato: Volumi complessivi stimanti 11.000.000 m3; Tipo di coltivazione in atto (alla data del documento): a fossa a secco; ovvero che al momento della stesura del documento in tutto ATEg25 l’escavazione è realizzata a secco. …. E’ parere degli scriventi che, visto il Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, 1° supplemento straordinario al n4 - 25 Gennaio 2005, portando l’escavazione oltre i 10 m dal piano campagna, l’escavazione non possa più ritenersi escavazione a secco ma in falda. Questo è anche dimostrabile dal fatto che, più o meno regolarmente, ogni anno la falda emerge sul fondo di cava. A questo punto, visto e documentato l’affioramento della falda, secondo il progetto della discarica o secondo il piano cave per ritornare in una condizione a secco si rende necessario per proteggere la falda stessa la ricostruzione di un franco di 2 metri rispetto alla quota massima escursione della falda”. Entrando nello specifico del quesito, sottolineano <<… che le ingenti volumetrie di materiale (ghiaia e sabbia) stimate per la ricostruzione del franco e provenienti da cave limitrofe, in aggiunta al materiale che non verrebbe escavato nell’ATEg25 per il non proseguimento della cava sino a 30 m di profondità come previsto, possano essere in contrasto con la pianificazione originaria regionale delle attività estrattive e del piano della Provincia di Brescia (Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia: 1 suppl. straordinario al n.4 – 25/01/2005). … Leggendo le relazioni di Castella S.r.l. si evince come solo una minima parte degli inerti preventivati dal piano siano poi stati realmente escavati a causa della recente crisi economica. … Nello scavo, con l’autorizzazione 3954 del 24/10/2012, l’escavazione ha effettivamente superato i -10 m dal piano campagna, arrivando a -14 m e raggiungendo la falda. In accordo con la destinazione finale, il progetto di discarica nel momento di costruzione ed esercizio e nel momento successivo all’esercizio è in linea con quanto preventivato per l’escavazione a secco (nella fase di esercizio, sarà insediamento produttivo; nella fase post esercizio, sarà ricreativo). Nel caso di una escavazione in falda, nonostante risulti difficile pensare come ritombare quando lo scavo raggiungerà profondità elevate, la discarica sarebbe in linea con la destinazione finale solo per la fase post esercizio, ovvero a discarica ultimata (destinazione ricreativa a verde pubblico). Visto lo stato attuale dello scavo sotto falda (oltre i – 10 m secondo il Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, 1° supplemento straordinario al n4 - 25 Gennaio 2005), documentato anche dagli affioramenti periodici della falda stessa, la destinazione finale d’uso va intesa come agricolo e/o naturalistico e/o ricreativo a verde pubblico, non in linea con il momento di realizzazione/funzionamento della discarica, ma in linea con la fine, post-discarica>>.
II) Il CTP Castella obietta nel modo seguente:
- il progetto di escavazione nell’ATEg25 (area Gaburri Spa) veniva approvato “a secco” con atto 28/10/2011, con l’obiettivo del cavatore di coltivare in asciutta e poi ripristinare il franco di falda di 2 metri rialzando il piano di campagna nella misura necessaria;
- non trova giustificazione alcuna l’atto provinciale n. 3954/2012 (emesso dopo la presentazione del progetto di discarica in data 27/7/2011), che assente lo scavo fino a 14 metri dal piano di campagna per giustificare ex post una situazione di difformità dall’autorizzazione;
- i 950.000 mc. di inerti necessari per il franco falda costituiscono il 3,7% della volumetria prevista dal Piano cave (pari a 25.550.000 mc) e l’estrazione ha riguardato fino ad ora solo 9.500.000 mc (pari al 40% del valore complessivo potenzialmente scavabile): dunque il fabbisogno non è impattante sul Piano cave, poiché l’ATEg25 e quelli limitrofi sono in grado di soddisfare appieno i quantitativi di ghiaia richiesti per l’innalzamento del fondo;
- la Società Gaburri ha sempre coltivato “a fossa a secco” anche se in alcuni settori è scesa sotto il limite di 10 metri; l’allagamento di alcuni settori per eventi meteorici eccezionali non comporta che la coltivazione sia avvenuta sotto falda.
III) Nelle controdeduzioni, i verificatori ribadiscono che l’attuale profondità di escavazione raggiunge i -14 metri dal piano di campagna e non può essere considerata “a secco” secondo quanto previsto nel Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, 1° supplemento straordinario al n. 4 - 25 Gennaio 2005. Sull’atto provinciale 24/10/2012, gli esperti incaricati ritengono “che la differenza temporale tra l’escavazione reale (avvenuta prima dell’ottobre 2012) e la data del documento della Provincia di Brescia non porti ad un esito differente da quello già descritto nel quesito a2”. Con riguardo ai volumi per il ripristino del franco di falda (950.000 mc. di materiale inerte), “allo stato attuale nel sito di progetto visto e documentato l’affioramento della falda, secondo il progetto della discarica o secondo il piano cave per ritornare in una condizione a secco si renderebbe necessaria la ricostruzione di un franco di 2 metri rispetto alla quota di massima escursione della falda”. Nuovamente i verificatori asseriscono che “gli ingenti volumi di materiale stimati per la ricostruzione del franco di falda e provenienti da cave limitrofe, in aggiunta al materiale che non verrebbe escavato nell’ATEg25 per il non proseguimento della cava sino a 30 m di profondità come previsto, siano in contrasto con la pianificazione originaria regionale delle attività estrattive e del piano della Provincia di Brescia (Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia: 1 suppl. straordinario al n.4 – 25/01/2005)”. Infine non esprimono giudizi sul rilievo di Castella, ossia sul fatto che solo una minima parte degli inerti preventivati siano poi stati realmente escavati a causa della recente crisi economica.
O. PROFILO GENERALE a) rispondenza al vero delle affermazioni della Regione al punto 2.6 del decreto impugnato “paragrafo a3)”: se le modalità operative di cui al progetto presentato dalla ricorrente non siano tuttavia sufficienti a garantire la salvaguardia delle acque di falda a fronte dei conclamati fenomeni di emersione della stessa e conseguente rischio di contaminazione derivante dalle attività previste per la ricostruzione del franco di 2 m nonché dalla produzione di percolato (pag. 13, secondo capoverso).
I) Sottolineano i verificatori sul punto che “come indicato nelle tavole progettuali trasmesse a corredo del progetto, il piano di riferimento previsto per l’inizio delle attività di costruzione della discarica è coincidente con quello del ripristino ambientale autorizzato per l’area di cava inserita nell’Ambito Territoriale Estrattivo g25 Brescia-Rezzato”. Castella ha precisato che l’attività finalizzata al raggiungimento delle quote del piano di fondo della discarica avverrà attraverso il conferimento di materiale naturale di cava conforme alle prescrizioni vigenti. Proseguono i verificatori rilevando che “Dal documento stesso si evince che il franco falda non sarà costruito nello stesso momento su tutta la zona di discarica ma verrà costruito per fasi successive”. A tal fine viene riportato il contenuto del documento, che dà conto della necessità di 950.000 mc. di materiale in fase di approntamento del bacino (con reperimento in loco di 714.000 mc), per ipotizzare che il residuo quantitativo proveniente dall’esterno venga trasportato tutti i giorni per 8 anni, con transito dei mezzi ridotto a 5 al giorno. Il materiale di riporto intende garantire, in ogni punto del piano di imposta del sistema di impermeabilizzazione di fondo, un franco di sicurezza almeno pari a 2,0 m rispetto alle quote di massima risalita della falda freatica. Nel documento si precisa che “Preliminarmente all’allestimento dei lotti di discarica si prevede di riportare un quantitativo di materiale naturale di cava sufficiente a garantire, nell’intorno di ciascuno lotto in approntamento, almeno 1,0 m di franco rispetto alla quota di massima risalita della falda. Tale franco di sicurezza, poi, sarà ulteriormente elevato in fase di approntamento di ciascun lotto di discarica. Il quantitativo totale di inerte da conferire garantisce infatti che in ogni punto del piano di fondo di progetto sia rispettato il franco minimo previsto dalla normativa pari a 2,0 metri dalla quota di massima escursione falda”. I verificatori lamentano che <<le ultime modalità di progetto in fase di realizzazione della discarica non siano tali da garantire la salvaguardia della falda idrica visti congiuntamente: il grado di vulnerabilità dell’acquifero sottostante la zona di progetto (vedi punto a4); la natura dei terreni utilizzati per la costruzione del franco di falda (ghiaia e sabbia), terreni caratterizzati da una buona permeabilità seppur compattati; la possibilità che si verifichino risalite della superficie freatica, che molto probabilmente saranno contenute nei lotti a franco di falda ricostruito di 2 metri, ma che potrebbero essere prossime all’emersione o emergere nei lotti con franco di falda di 1 metro, e sicuramente emergere nei lotti dove il franco di falda non è stato ripristinato. Anche le mappe allegate al progetto confermano un avanzamento per fasi di coltivazione della discarica, con zone con e senza franco di falda e con zone con e senza impermeabilizzazione, …. In particolare dalle mappe si evince come, mentre vi sono lotti pronti ed impermeabilizzati e in cui vengono scaricati rifiuti, ne esistono altri adiacenti non ancora impermeabilizzati ma solo attrezzati con il materiale per il piano di posa o fondo (franco di falda di ghiaia e sabbia ricostruito) e su cui transitano i mezzi con i rifiuti e i mezzi per completare il franco di falda. Adiacenti a questi lotti vi sono poi altri lotti con solo 1 metro di franco di falda ricostruito e di cui però non si evince dai progetti/mappe l’estensione areale. E’ parere degli scriventi che visto il contesto idrogeologico dell’area, la situazione di procedere per lotti successivi per la costruzione del franco di falda e il contestuale inizio delle attività di discarica non garantisce la certezza sulla salvaguardia della risorsa idrica. Tale certezza sarebbe sicuramente raggiunta a fronte del franco di falda ricostruito su tutta l’area e a fronte del completamento dell’impermeabilizzazione>>.
II) Nelle repliche, il perito di parte ricorrente ribadisce che il ripristino del franco di falda avverrà riposizionando 950.000 mc. di inerti estratti nello stesso sito, circostanza che scongiura ogni fenomeno di contaminazione. L’operazione è conforme alle linee guida per la progettazione e gestione delle discariche del 2014, le quali prevedono che il ripristino del franco falda (ove non presente naturalmente) possa avvenire con materiale di cava. In ogni caso, nelle osservazioni finali del 24/10/2015 Castella aveva dato disponibilità a realizzare il piano di fondo dell’impianto secondo le modalità e tempistiche fissate dagli Enti. Conclude il CTP affermando che Castella aderisce alla conclusione dei verificatori e dichiara che la coltivazione della discarica inizierà “solo dopo che in tutta l’area sarà raggiunto il franco di falda richiesto e sarà completata l’impermeabilizzazione integrale dell’impianto di stoccaggio”, così da salvaguardare con certezza la risorsa idrica: non si realizza in tal modo una variante progettuale ma un semplice adeguamento temporale delle fasi realizzative.
III) I verificatori precisano che non è stato paventato un rischio di inquinamento della falda legato alla cessione di inquinanti da parte del materiale utilizzato come franco di falda. Ribadiscono invece “che la ricostruzione del franco falda possa portare a delle situazioni istantanee di pericolosità; ad esempio perdite accidentali di lubrificanti, carburanti e altre sostanze dai mezzi di escavazione utilizzati. È anche vero che tali situazioni si potrebbero essere verificate in passato o si potrebbero presentare in futuro durante le normali fasi di escavazione”. Inoltre, segnalano “che il CTP nella sua relazione propone una soluzione alternativa di progetto, o meglio una variante temporale delle fasi realizzative. Tale soluzione, che prevede la ricostruzione del franco di falda e dello strato impermeabilizzante in una fase unica preliminare al conferimento dei rifiuti, è sicuramente un avanzamento positivo rispetto ai progetti attualmente depositati agli atti, ma è anche parere degli scriventi che tale soluzione sia da considerarsi come una modifica del progetto attualmente depositato agli atti e che quindi necessiti di un nuovo parere da parte degli enti valutatori. Inoltre, si rileva nella replica del CTP l’assenza dell’auspicato programma di indagini da realizzarsi successivamente al completamento delle opere con lo scopo di verificare la tenuta della barriera di impermeabilizzazione sul fondo e lungo le scarpate”.
P. PROFILO GENERALE a) rispondenza al vero delle affermazioni della Regione al punto 2.6 del decreto impugnato “paragrafo a4)”: se l’area in questione possa essere qualificata come “assai critica sotto il profilo del rischio per la falda idrica”.
I) Rilevano i verificatori che l’area in oggetto si trova nell’alta pianura Bresciana, caratterizzata dal punto di vista geologico “dalla presenza di alluvioni fluvioglaciali aventi granulometria variabile con prevalenza della componente ghiaiosa, da grossolana a media”. I documenti consultati “concordano nell’individuare la base dei depositi fluvioglaciali a circa 60 metri di profondità a seguito della comparsa di una successione stratigrafica di natura prevalentemente argillosa. Dal punto di vista idrogeologico i depositi ghiaiosi di alta pianura presentano un comportamento acquifero e sono sede di una falda freatica dalle ottime potenzialità quantitative, come indicato dai risultati delle prove idrogeologiche eseguite nei pozzi idropotabili della zona …. e qualitative, come evidenziato dai risultati analitici dei prelievi effettuati in gennaio 2011 ed in aprile 2014 nei piezometri presenti nel sito in oggetto …”. Aggiungono che “L’acquifero freatico di alta pianura è alimentato dall’infiltrazione delle acque meteoriche, dall’irrigazione legata alle pratiche agricole e dall’alimentazione diretta da parte dei principali corsi d’acqua provenienti dalle Prealpi (fiumi Mella e Chiese, Torrente Garza)…”. Rappresentano gli esperti che <<In relazione a queste peculiarità l'area in oggetto e buona parte dell'acquifero freatico sono compresi tra le "aree di ricarica degli acquiferi profondi" individuate nel Programma di Tutela ed Uso delle Acque (PTUA) della Regione Lombardia ….. Per quanto riguarda la vulnerabilità intrinseca, cioè la facilità con cui una generica sostanza inquinante può entrare, propagarsi e persistere in un acquifero, il PTUA attribuisce all'area in oggetto un grado di vulnerabilità medio (Allegato 10 alla Relazione Generale)>>. In relazione agli altri strumenti di pianificazione territoriale, il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) inserisce l'area in oggetto tra quelle a vulnerabilità alta e molto alta della falda, il Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti (PPGR) inserisce l’area in oggetto tra le “aree di ricarica della falda e di riserva dell’acquifero”, mentre il Piano di Governo del Territorio (PGT) del Comune di Rezzato assegna all’area in oggetto un grado di vulnerabilità alto. Riferiscono i verificatori che “Il fatto che negli strumenti di pianificazione all’area in oggetto venga assegnato un grado di vulnerabilità compreso tra medio e molto alto a seconda dalla scala di indagine è dovuto oltre che a fattori idrogeologici quali: la buona permeabilità dei materiali che compongono l’acquifero; la scarsa capacità protettiva del suolo ed una soggiacenza (distanza tra la superficie freatica ed il piano campagna) che tende progressivamente a diminuire verso la fascia delle risorgive; anche alla presenza di numerose cave, attive o dismesse. L’attività estrattiva in alta pianura, infatti, comporta l’asportazione parziale o completa dello spessore insaturo e talvolta la conseguente messa a giorno della superficie freatica, che in questo modo viene privata dell’unico orizzonte in grado di ostacolare e/o attenuare la propagazione di un eventuale inquinante”. Osservano altresì che “L’area in cui è ipotizzato l’intervento è stata oggetto di un attività estrattiva che ha asportato quasi per intero lo spesso insaturo favorendo la periodica venuta a giorno delle superficie freatica durante la stagionale risalita della falda”. Dai documenti esaminati si evince infatti che, dal 2009, l’allagamento della cava si è verificato con una certa continuità in relazione alle fasi di piena della falda freatica. Concludono osservando che “In questo contesto le attività legate al ripristino del franco di falda, all’impermeabilizzazione del fondo cava ed allo stoccaggio dei rifiuti, soprattutto se non realizzate in fasi di lavoro successive su tutto il bacino, comportano secondo gli scriventi profili di rischio elevati”, concetto nuovamente ribadito nel prosieguo.
II) Il perito di Castella riconosce la vulnerabilità media o medio alta del sito, ma a questo riguardo la realizzazione del progetto permetterebbe di ottenere condizioni di salvaguardia superiori a quelle previste dalla vigente normativa (sul franco falda e sulla tipologia di impermeabilizzazione). I sistemi di sicurezza (con impermeabilizzazione delle pareti e del fondo, monitoraggio delle acque sotterranee e realizzazione di barriere idrauliche a valle del sito) permettono di individuare eventuali accidentali perdite di percolato. Dopo aver sottolineato la previsione progettuale di un numero molto alto di piezometri (ben 30), ribadisce l’adesione alle conclusioni dei verificatori già espressa al punto precedente (l’inizio della coltivazione sarà posticipato al raggiungimento del franco falda richiesto e al completamento integrale dell’impermeabilizzazione dell’impianto).
III) I verificatori dichiarano di dissentire dall’affermazione per cui il progetto Castella realizzerebbe condizioni di salvaguardia ampiamente superiori a quelle previste dalla normativa vigente, sia dal punto di vista del franco della falda che della tipologia di impermeabilizzazione scelta per isolare il corpo rifiuti dall’ambiente naturale circostante. Nel ricordare che la proposta “prevede lo stoccaggio di 1.591.000 m3 di rifiuti non pericolosi in circa 7.5 anni (Adeguamento alla D.G.R. X/2461 del 07/10/2014 “Linee guida per la progettazione e gestione sostenibile delle discariche”, Relazione Tecnica settembre 2015) a circa 5 m dalla massima escursione della superficie freatica in un contesto idrogeologico di permeabilità/vulnerabilità medio-alta”, e che “i proponenti stimano che la produzione di percolato (potenziale contaminante) coinvolgerà per intero la fase di gestione, protraendosi per un tempo compreso tra il 10° ed il 20° anno dalla chiusura dell’impianto”, rilevano che “Questo comporta che eventuali incidenti legati alla gestione del percolato (produzione, raccolta, stoccaggio ed invio allo smaltimento) potrebbero potenzialmente verificarsi su un arco temporale di 20-30 anni”. Osservano che la presenza di un numero elevato di piezometri di controllo e di pozzi di spurgo lungo il perimetro della discarica “non può essere usato come argomento a favore del progetto, bensì come elemento di controllo, in quanto la corretta gestione dell’impianto dovrebbe essere sufficiente a garantire la salvaguardia dell’acquifero freatico dalla contaminazione dovuta a sversamenti di percolato”. Rappresentano che, “nonostante il progetto non presenti fattori escludenti secondo la normativa vigente e nonostante la barriera di impermeabilizzazione del fondo e delle scarpate sia progettata secondo quanto previsto dalla normativa sulle discariche, si ritiene che l’area oggetto di intervento dovrebbe essere tutelata in ragione della presenza di una risorsa idrica sotterranea quantitativamente importante e qualitativamente pregiata. …”.
Q. PROFILO GENERALE b): se, alla luce della più recente versione del progetto della discarica possano ritenersi superate le osservazioni di cui alla nota tecnica sottoscritta dai tecnici incaricati dal Comune di Rezzato nel settembre 2015 (le quali richiamano le conclusioni di cui alla relazione tecnica allegata alle suddette osservazioni, documento 15 allegato alla memoria del comune di Rezzato depositata il 7 maggio 2016), specificando se esistono, tra quelle indicate, delle problematiche non affrontate e risolte dal progetto della discarica.
I verificatori riportano ciascuna delle otto osservazioni, per poi sottoporla ad esame.
I. <<Criticità legata al fatto che, secondo il progetto, il ripristino del franco falda non è previsto su tutta l'area preliminarmente alla fase di gestione della discarica, ma per lotti successivi e, di conseguenza, durante le operazioni di stesura del materiale ghiaioso saranno già presenti rifiuti entro l'area di discarica>>.
I.i I verificatori evidenziano di nuovo che, secondo la Tavola P15 resa in adeguamento alla D.G.R. X/2461 del 07/10/2014, il progetto continua a prevedere che il ripristino del franco di falda, l'impermeabilizzazione e lo stoccaggio dei rifiuti siano realizzati contemporaneamente in lotti contigui. Per tale ragione in alcuni periodi vi è la possibilità che la superficie freatica venga a giorno sul fondo della discarica in presenza di rifiuti stoccati o in fase di stoccaggio nei lotti completati. Come indicato nel punto precedente (a4), si tratta di una situazione di potenziale pericolo che aggrava il rischio di inquinamento della falda freatica.
I.ii Nelle osservazioni, Castella ribadisce di voler iniziare il conferimento solo dopo la conclusione dei lavori di ripristino del franco falda, anticipando così per intero l’operazione di impermeabilizzazione del catino.
I.iii I verificatori prendono atto dell’impegno, ma rilevano nelle conclusioni l’assenza dell’auspicato programma di indagini da realizzarsi successivamente al completamento delle opere e durante il conferimento dei rifiuti, con lo scopo di verificare la tenuta della barriera di impermeabilizzazione sul fondo e lungo le scarpate. Dissentono dalla ricorrente sulla qualificazione dell’anticipazione temporale della totale messa in sicurezza (ripristino del franco e impermeabilizzazione), ritenendola una variante vera e propria (concetto già espresso).
II. <<L’analisi di rischio prodotta dal Proponente prende in esame un modello concettuale con strato impermeabile di fondo interamente realizzato, e non considera che durante la fase di gestione sono presenti lotti privi di franco falda, non affrontando quindi l'effettiva situazione di rischio per la risorsa idrica sotterranea>>.
II.i Gli esperti incaricati si soffermano sull’Analisi di Rischio (AdR) di livello 2, quale quella realizzata per il progetto in questione, che “… è uno strumento con cui non è possibile simulare più di un modello concettuale per volta. D'altro canto la realizzazione di uno scenario in cui si prevede la possibilità che il rifiuto venga a contatto per un tempo indefinito con il fondo della discarica in assenza del franco di falda appare troppo severa, in quanto questa condizione ha possibilità di realizzarsi solamente in un arco di tempo pari alla durata dei conferimenti (circa 7.5 anni, vedi relazioni). Per valutare questa ipotesi è necessaria un’AdR di livello 3 che preveda l’utilizzo della modellazione numerica di flusso e trasporto nel mezzo poroso per valutare gli effetti di una sorgente di contaminazione temporanea”.
II.ii Il CTP Castella ritiene superati i rilievi sul modello adottato di AdR, grazie all’anticipazione del franco falda e dell’impermeabilizzazione. Segnala che l’analisi del rischio ha comunque preso in considerazione uno scenario più gravoso e cautelativo rispetto alla condizione normale di esercizio dell’impianto (coltivazione di tutti i lotti in contemporanea e senza copertura superficiale, con ipotetica produzione di percolato; volumetria massima di rifiuti nell’invaso; impermeabilizzazione meno efficace di quella prevista in progetto).
II.iii Nelle controdeduzioni, i verificatori si riportano ai quesiti dell’ordinanza n. 414/2016 del T.A.R. (punti a3 e b), i quali richiamano in maniera esplicita l’ultima versione del progetto presentata agli Enti per l’approvazione: per questa ragione ritengono che la variante progettuale ipotizzata dal CTP non possa essere analizzata e valutata nell’ambito della verificazione (e quindi che le osservazioni svolte non siano superate).
III. <<Riguardo ai pozzi idropotabili presenti a valle idrogeologico, si rileva che nell'analisi di rischio si afferma in più punti che i pozzi idropotabili emungono falde acquifere afferenti al sistema artesiano sviluppato a profondità maggiori di 60 m da p.c., nella sequenza prevalentemente argillosa. Ciò appare in contrasto con i dati stratigrafici di diversi pozzi, quali ad esempio il pozzo Boscone ed il pozzo Alpino che alimentano l'acquedotto di Castenedolo, nonché il pozzo Buffalora che alimenta l'acquedotto di Brescia>>.
III.i Osservano i verificatori che “Sulla base delle stratigrafie e degli schemi di completamento reperiti presso A2A Ciclo Idrico S.p.A. i pozzi Boscone (profondo 160 m da p.c. e con filtri tra 34-45.5 e 62.9-67.2 m da p.c.), Alpino 1 (profondo 42 m e con filtra tra 33.85 e 40 m da p.c.) e Buffalora (profondo 65 m da p.c. e con filtri tra 45 e 60 m da p.c.) risultano filtrati, completamente o in parte (pozzo Boscone), nell’acquifero freatico, la cui base si trova a 60 m di profondità. Va anche segnalato che la scelta di utilizzare il Pozzo privato di C.na Goz, distante circa 70 m dal punto più depresso della discarica lungo la direzione di flusso prevalente delle acque sotterranee …. come punto di esposizione off-site (POE) è da considerarsi sufficientemente conservativa e non necessita di essere integrata”.
III.ii Il CTP Castella aderisce ai rilievi dei verificatori, per cui non è necessario integrare l’analisi del rischio.
III.iii I prof. Ronchetti e Piccinini valutano la scelta di posizionare il punto di esposizione off-site (POE) in corrispondenza del pozzo privato di C.na Goz a circa 70 m dalla discarica sufficientemente conservativa: essa non necessita di essere integrata considerando i pozzi per l’approvvigionamento idropotabile filtrati nell’acquifero freatico (le obiezioni sono dunque superate).
1. <<Nel progetto ed in particolare nello Studio geologico, idrogeologico e geotecnico e nell'Analisi di rischio non è stata considerata la direzione di flusso delle acque sotterranee E-W verificatasi nell'Agosto 2009. Negli stessi documenti si parla di "direzione di flusso modale" o di "direzione preferenziale" della falda: nell'affrontare le problematiche idrogeologiche di una discarica si ritiene che debbano essere considerate tutte le possibili direzioni di flusso delle acque sotterranee che si possono verificare nel tempo in relazione a differenti condizioni di alimentazione e di prelievo della falda e non solamente la direzione di flusso modale e/o preferenziale. … Secondo le scriventi è necessario ubicare un piezometro di monitoraggio anche lungo il bordo occidentale della discarica, considerate le possibili variazioni di direzione di deflusso delle acque sotterranee>>.
1.i Ribadiscono i verificatori che “l’AdR di livello 2 è uno strumento non adatto a verificare condizioni temporanee, anche qualora queste abbiamo buona probabilità di ripetersi con una certa frequenza. Anche in questo caso l’estensione di una condizione transitoria ad un tempo indefinito è da considerarsi scelta troppo severa e poco realistica. Per questa ragione è necessaria un’AdR di livello 3 che preveda l’utilizzo della modellazione numerica del flusso e quantomeno della componente advettiva del trasporto nel mezzo poroso saturo. In questo caso la valutazione deve verificare gli effetti della modifica temporanea, ma ripetuta nel tempo, della direzione del flusso di falda sul POE e sui pozzi idropotabili della zona. Per quanto concerne l’ubicazione dei piezometri attorno alla cava, gli scriventi concordano con la necessità di realizzare un piezometro di controllo lungo li bordo occidentale della discarica”.
1.ii Il CTP osserva, tra l’altro, che nel progetto è prevista la realizzazione di ben 30 nuovi pieziometri di monitoraggio, che interessano anche il bordo occidentale della discarica. Inoltre ribadisce la validità e l’efficacia dell’analisi del rischio effettuata.
1.iii Nelle controdeduzioni, i verificatori confermano le perplessità già sollevate: “un AdR di livello 2, quale quella presentata per il progetto in questione, non è uno strumento adatto alla verifica di condizioni transitorie, seppur ripetute nel tempo, quali la possibilità di sversamenti di percolato durante la fase di gestione della discarica oppure la temporanea rotazione della direzione del flusso di falda in occasione di eventi di piena particolarmente intensi. Per soddisfare i quesiti richiesti i proponenti avrebbero potuto realizzare un AdR di livello 3 mediante l’ausilio della modellazione numerica di flusso e quantomeno della componente advettiva del trasporto nel mezzo poroso saturo”. Gli esperti raccomandano nuovamente di istallare un piezometro di controllo lungo il bordo occidentale della discarica.
2. Per la questione corrispondente i verificatori rinviano alle riflessioni sviluppate ai precedenti punti II e IIII.
3. <<Nello Studio geologico, idrogeologico e geotecnico vengono stimate, in condizioni di falda affiorante, condizioni di forte instabilità in assenza di ripristino del franco di falda. Non si rileva nel progetto nessun accorgimento atto a mitigare tale problematica>>.
3.i I verificatori sostengono che “I risultati dell’analisi di stabilità riportata nello Studio Geologico, Idrogeologico e Geotecnico … indicano che i Fattori di Sicurezza (FS) di alcuni piani di scorrimento, superficiali o al piede delle scarpate, in condizioni di falda affiorante non sono verificati rispetto alle Norme tecniche costruzioni (NTC) del 2008. Le stesse verifiche di stabilità realizzate sulle scarpate completate con gli interventi previsti per la realizzazione del piano di posa dei rifiuti risultano sempre verificate alle NTC 2008. Questo implica un potenziale rischio per la stabilità delle scarpate nei periodi di risalita ed emersione della superficie freatica, tra l’inizio delle attività ed il completamento del piano di posa dei rifiuti”.
3.ii Il CTP della ricorrente ritiene che le condizioni di instabilità siano superate grazie al ripristino del franco falda e all’impermeabilizzazione realizzati prima dell’attivazione dell’impianto. Con tale operazione, si riducono le altezze delle scarpate esistenti e si esclude il fenomeno della falda affiorante.
3.iii I verificatori concludono affermando che “l’osservazione relativa alla stabilità delle scarpate non può dirsi superata in quanto la nuova variante progettuale ipotizzata non può ritenersi oggetto delle presente verificazione”.
4. <<Non sono stati rilevati nel sito i dati piezometrici mensili per l'anno 2013, come espressamente richiesto dalla Regione Lombardia, bensì è stata effettuata una ricostruzione della piezometria mensile sulla base di una "specifica analisi di correlazione e modellazione statistico/matematica" che peraltro non viene riportata nello Studio geologico, idrogeologico e geotecnico. Sono stati rilevati nel sito i dati piezometrici solamente nei mesi di marzo e giugno 2013>>.
4.i Rilevano i verificatori che, “Per quanto riguarda i rilievi freatimetrici, nell’anno 2013 sono stati realizzati solamente due rilievi nei mesi di marzo e giugno, mentre per i restanti mesi dell’anno l’andamento della superficie freatica è stato ricostruito attraverso una serie di simulazioni numeriche del flusso di falda … Purtroppo la descrizione delle simulazioni è carente in entrambi i documenti per cui non è possibile valutare se tali ricostruzioni siano realistiche o meno … Successivamente al 2013, sono disponibili i risultati delle campagne freatimetriche mensili, realizzate sui piezometri concordati con ARPA Lombardia”.
4.ii Il CTP non ravvisa influenza di tale lacuna sulla ricostruzione storica dei livelli di falda, data l’ampiezza di dati disponibili e l’assenza di eventi eccezionali in quell’anno (mentre i livelli considerati nella consulenza ARPA 2014 sono stati inferiori ai massimi 2011).
4.iii I Verificatori concordano con il giudizio del CTP.
5. <<Si prende atto che alle pagine 29 e 30 dello Studio geologico, idrogeologico e geotecnico vengono rielaborati i dati relativi alla previsione della massima altezza della falda analizzando anche i dati piezometrici del pozzo Buffalora. Tuttavia non viene esplicitata nessuna metodica concordata con ARPA, come richiesto dalla Regione. Si sottolinea che i valori assunti in progetto sono sensibilmente più cautelativi rispetto al precedente lavoro del 2011 e maggiormente in linea con le piezometrie vigenti per il PGT di Rezzato>>.
5.i Ad avviso dei verificatori “Per quanto riguarda la procedura utilizzata da ARPA Lombardia - Dipartimento di Brescia per la stima della massima altezza di falda (… del giugno 2014), si rileva che questa andrebbe verificata alla luce dei nuovi dati di monitoraggio in continuo disponibili sull'area di indagine... …. in merito alla metodologia utilizzata per la stima della medesima variabile da parte di Castella S.r.l. …. si ritiene che l'uso del metodo di Gumbel applicato a serie storiche proveniente da pozzi o piezometri limitrofi all'area in oggetto possa dare risultati utili. Purtroppo non è chiaro come sia stata realizzata la fase successiva di modellazione/spazializzazione dei dati così ottenuti ("... si è ricreato un modello sintetico della massima escursione della falda ..." pag.22 della relazione di dicembre 2013 e pag. 30 della Relazione di maggio 2014), per cui non è possibile valutare se il risultato finale proposto sia da considerarsi realistico o meno”.
5.ii Il CTP di Castella ribadisce che l’impermeabilizzazione è posata a quote superiori di almeno 2,40 metri rispetto alla superficie di massima escursione della falda, misurata nell’ultimo trentennio, quindi bel al di sopra del franco di 2 metri imposto dalla normativa sulle discariche. Inoltre, sulla base dei dati disponibili per il 2016, i dati di massima escursione piezometrica utilizzati in progetto sono ampiamente superiori a quelli rilevati nel corso dell’ultimo anno.
5.iii Per i verificatori, la disponibilità di nuovi di dati di monitoraggio in continuo suggerisce una verifica delle previsioni realizzate da ARPA Lombardia nel 2014. Allo stesso modo, nonostante dal punto di vista metodologico non vi siano riserve da parte dei soggetti incaricati sull’uso del metodo di Gumbel per la stima delle massime altezze di falda, essi ritengono che la descrizione della fase successiva della metodica adottata sia assolutamente carente e non permetta di valutare se il risultato finale possa considerarsi realistico o meno.
6. <<Si ritiene … che la scelta progettuale di non ricostruire tutto il franco di falda preliminarmente alla fase di gestione della discarica renda difficile garantire in maniera soddisfacente la tutela delle acque sotterranee in caso di falda subaffiorante>>.
6.i I verificatori ribadiscono quanto espresso ai punti a4 e I, e a questi ultimi rinviano il CTP nelle proprie osservazioni e gli esperti nelle repliche.
7. <<…. si ritiene che la direzione di flusso modale o preferenziale della falda assunta in progetto abbia una ricaduta anche sui piezometri di monitoraggio. … Secondo gli scriventi è necessario ubicare un piezometro di monitoraggio anche lungo il bordo occidentale della discarica, considerate le possibili variazioni di direzione di deflusso delle acque sotterranee. Si riscontra inoltre che la rete di monitoraggio del 2014 risulta priva del piezometro Pz3, posto in posizione mediana tra il Pz2 ed il Pz4 (si segnala che in Fig. 2.5 della Relazione lntegrazioni sono riportati in posizione invertita), senza alcuna spiegazione. Si ritiene opportuno valutare la possibilità di ripristinare un punto di monitoraggio in corrispondenza del Pz3 in caso quest'ultimo fosse stato danneggiato. Riguardo ai pozzi barriera si prende atto che essi sono stati dimensionati ad una profondità di 55 m da p.c., senza tuttavia argomentare tale scelta sulla base dei dati stratigrafici ed idrogeologici disponibili. Si ritiene pertanto necessario che si valuti tale scelta progettuale con particolare attenzione alla presenza di eventuali livelli a minore permeabilità che sarebbe opportuno non oltrepassare con i pozzi barriera>>.
7.i Gli esperti concordano con la necessità di realizzare un piezometro di controllo lungo il bordo occidentale della discarica. In merito alla profondità dei pozzi barriera ritengono che l’indicazione di una profondità di realizzazione pari a 55 m da p.c. per ciascun pozzo, sia una scelta cautelativa.
7.ii Ad avviso del CTP Castella l’osservazione è superata da quanto illustrato in relazione al punto I, mentre i verificatori giudicano la profondità dei pozzi di spurgo adeguata al modello idrogeologico concettuale dell’area di intervento.
8. <<Nello Studio geologico, idrogeologico e geotecnico, a pag. 47, sulla base delle indagini eseguite, si desume un'assenza di riscontro di vasche di accumulo e di fanghi di decantazione della pregressa attività di cava interessanti il fondo; nella Relazione lntegrazioni a pag. 37, sulla base dell'esame di foto storiche si evidenzia l'utilizzo di vasche di decantazione limi autorizzate. Riguardo alle indagini di verifica diretta condotte si ritiene che il numero di punti di campionamento a fondo cava sia eccessivamente limitato ed in particolare che non sia stato effettuato alcun sondaggio né scavo ambientale per verificare la natura e la granulometria dei terreni presenti in corrispondenza di un'evidente anomalia individuata nel corso dell'indagine elettromagnetica, sulla quale peraltro non sono forniti particolari dettagli esplicativi>>.
8.i Sostengono i verificatori che “il D. Lgs. 152/06, a differenza del D.M. 471/99, non fornisce indicazioni sul numero di campioni e/o sondaggi da realizzare durante la caratterizzazione. D’altro canto, 6 campioni su una superficie effettiva della zona di scarico pari a 164470 mq …. corrispondono ad una densità di campionamento di 1 campione ogni 27412 mq circa. L’aspetto più critico è comunque legato al fatto che l’ubicazione dei punti di campionamento non ha tenuto conto dei risultati delle indagini elettromagnetiche, come si può vedere confrontando la Tavola 02 – Planimetria di dettaglio ed ubicazione delle indagini e la Tavola 03 – Indagine elettromagnetica su fondo cava, allegate al documento Chiarimenti ed Integrazioni richiesti dalla Regione Lombardia con nota Prot. T1.2014.0010312 del 04.03.2014, Studio Geologico, Idrogeologico e Geotecnico, Relazione maggio 2014. L’assenza di punti di campionamento in corrispondenza dell’area in cui è presente un’importante anomalia elettromagnetica positiva è l’aspetto che necessita di maggiori approfondimenti, alla luce delle potenziale presenza di vasche di decantazione limi legate all’attività estrattiva”.
8.ii Ad avviso del consulente tecnico di parte ricorrente, il set di valori riscontrati con l’indagine elettromagnetica e l’estesa superficie interessata da tali valori portano con ragionevole certezza ad escludere la presenza di vasche di decantazione fanghi. I valori di conducibilità riscontrati possono essere associati alla presenza nel sottosuolo di terreni limoso-sabbiosi saturi, con una falda da affiorante a sub-affiorante.
8.iii Pur prendendo atto delle considerazioni espresse dal CTP sulle cause della presenza dell’anomalia magnetica, i verificatori insistono nell’osservare che “il campionamento avrebbe dovuto tenere conto di tali informazioni prevedendo il prelievo di almeno un campione in corrispondenza dei sedimenti fini depositati, secondo il CTP, a causa delle acque di scorrimento superficiale. Questo avrebbe permesso di escludere a priori qualsiasi tipo di contaminazione, indipendentemente dalla granulometria dei materiali analizzati. Potenzialmente, infatti, le zone di recapito e ristagno delle acque superficiali possono anche essere aree di accumulo di eventuali sostanze inquinanti”.
9. <<Riguardo alle indagini condotte si ritiene che il numero di punti di campionamento (6) a fondo cava sia estremamente esiguo>>.
9.i Entrambe le parti (CTP e verificatori) rinviano ai rilievi illustrati al precedente punto 8.
R. PROFILO GENERALE Punto c): se il modello concettuale utilizzato per la redazione dell’analisi di rischio prodotta dalla società ricorrente sia conforme alla buona tecnica progettuale e basato su un’esatta rilevazione e rappresentazione della presenza e della profondità dei diversi pozzi presenti in zona.
I. Per quanto riguarda l’AdR descritta dalla ricorrente, i verificatori rilevano le seguenti criticità:
<<• Il calcolo del fattore di attenuazione laterale (DAF) in falda (pag. 155), utilizzato per la stima della concentrazione al POE, viene fatto attraverso una relazione semplificata del New Jersey Department of Environmental Protection (Guidance for the Determination of the Dilution-Attenuation Factor for the Impact to Ground Water Pathway, 2008) e non dalle equazioni derivate dal modello di Domenico come prescritto dalle linee guida APAT (Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio alle discariche, giugno 2005). Peraltro in più punti della relazione si sostiene che l’AdR è condotta seguendo tali linee guida.
• La permeabilità utilizzata nell’AdR per l’acquifero freatico (Tabella 2.4 a pag. 32 e Tabella 6.5 a pag. 99) è di oltre un ordine di grandezza maggiore rispetto a quella utilizzata per le simulazioni numeriche riportate nei documenti Integrazioni spontanee allo Studio Geologico, Idrogeologico e Geotecnico, Relazione dicembre 2013 e Chiarimenti ed Integrazioni richiesti dalla Regione Lombardia con nota Prot. T1.2014.0010312 del 04.03.2014, Studio Geologico, Idrogeologico e Geotecnico, Relazione maggio 2014. Sarebbe stato auspicabile individuare ed utilizzare un unico valore di permeabilità della falda freatica per tutte le elaborazioni.
• Infine, come anticipato al punto III, la scelta di individuare come POE il pozzo privato preso C.na Goz a circa 70 metri dalla discarica appare un scelta sufficientemente conservativa. La verifica che in tale punto siano rispettati i limiti di legge implica automaticamente che i pozzi posti ad una distanza maggiore non subiscano alcuna interferenza. L'effetto della rotazione temporanea della direzione di flusso (da NE-SO ad E-O) dovrebbe essere valutata attraverso un’AdR di livello 3, cioè con una modellazione numerica di flusso e trasporto advettivo.
È opinione dei verificatori che l’analisi di rischio non presenti particolari criticità ad eccezione dei punti sopra citati. Va però segnalato che l’AdR, per com’è strutturata, non è in grado di valutare condizioni temporanee che potranno verificarsi durante la fase di gestione dell’impianto. Nel dettaglio si fa riferimento alla possibilità che la superficie freatica affiori in lotti contigui a quelli in cui è in corso lo stoccaggio dei rifiuti, oppure che la direzione di flusso della falda freatica possa subire delle variazioni temporanee>>.
II. Il CTP di parte ricorrente osserva che le Linee Guida APAT propongono l’uso di determinate equazioni per il calcolo dei fattori di trasporto, ma non ne prescrivono l’utilizzo. E’ stata adottata la scelta di utilizzare quale fattore di attenuazione laterale (DAF) l’equazione presa direttamente dal documento New Jersey Department of Environmental Protection (NJDEP) delle linee guida US EPA – SSL. Inoltre nelle analisi di rischio è stato utilizzato un fattore di permeabilità superiore a quello medio.
III. Nelle controdeduzioni, gli esperti incaricati osservano che “le linee guida APAT per l’AdR alle discariche (Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio alle discariche, giugno 2005) non prescrivono l’utilizzo delle equazioni derivate dal modello di Domenico per il calcolo del fattore di attenuazione laterale 37 (DAF) in falda, ma ne consigliano vivamente l’uso in quanto si tratta di una delle soluzioni analitiche dell’equazione di trasporto dei soluti nei mezzi porosi saturi più utilizzata ed affidabile”. Gli stessi proponenti affermano in più punti sui risultati dell’AdR che la stessa è stata realizzata seguendo le linee guida APAT. Quindi “non risulta chiaro il motivo per il quale alle equazioni indicate nelle linee guida APAT venga preferita una formula estremamente semplificata proposta dal New Jersey Department of Environmental Protection (NJDEP) …”. Per quanto riguarda i valori di permeabilità utilizzati nell’AdR e nelle simulazioni numeriche, essi ribadiscono le perplessità espresse nei chiarimenti ai quesiti dell’ordinanza, per cui “Un progetto di tale portata non può prescindere dall’individuazione di un unico valore di permeabilità da utilizzare in tutte le elaborazioni”.
S. PROFILO GENERALE Punto d) qualsiasi altro chiarimento ritenuto opportuno, vista la documentazione in atti e le informazioni che il verificatore potrà assumere da terzi.
I. Rilevano i verificatori che le stime del tempo di attraversamento dello strato di impermeabilizzazione di fondo riportate nei documenti di parte ricorrente siano errate: il valore è al di sopra del limite previsto dalla normativa, ma è più piccolo di circa due ordini di grandezza rispetto a quello riportato nei suddetti documenti.
II. Il CTP Castella osserva che ciò non incide in alcun modo sui risultati finali dell’analisi del rischio.
III. Nelle conclusioni, i verificatori concordano con il CTP nell’affermare che l’erronea determinazione del tempo di attraversamento dello strato di impermeabilizzazione non altera i risultati dell’AdR, ma evidenziano che il richiamo fatto “nei confronti di tale inesattezza ha lo scopo di mettere in luce che le caratteristiche prestazionali della barriera di impermeabilizzazione non sono da considerarsi dell’ordine di qualche decina di migliaia di anni ma sono di poco superiori ai limiti imposti dalla normativa”.
LE CONCLUSIONI DI QUESTO TAR
T. L’ampia ed esaustiva relazione dei verificatori, arricchita dal contraddittorio con la Società proponente, ha permesso di stabilire alcuni punti fermi, che saranno nel prosieguo elencati.
T.1 Un primo elemento acquisito (cfr. paragrafo P) è l’elevata vulnerabilità intrinseca della falda (intesa come facilità con cui una generica sostanza inquinante può entrare, propagarsi e persistere in un acquifero). Gli strumenti pianificatori attribuiscono un grado di vulnerabilità compreso tra il medio (Piano di Tutela delle Acque) e elevato o molto elevato (PTCP, PGT di Rezzato), mentre il Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti (PPGR) qualifica l’area come “di ricarica della falda e di riserva dell’acquifero” (dando conto di una risorsa idrica sotterranea quantitativamente importante). Si registra una situazione di buona permeabilità dei materiali che compongono l’acquifero e una scarsa capacità protettiva del suolo con una progressiva diminuzione della distanza tra la superficie freatica ed il piano campagna: l’attività di cava provoca l’asportazione parziale o completa dello spessore insaturo e talvolta la messa a giorno della superficie freatica.
T.2 E’ incontroverso, in secondo luogo, l’affioramento della falda nell’ambito della cava, seppure in alcune particolari annate e in periodi individuati (durante l’estate). Si può rinviare in proposito al precedente paragrafo M.
T.3 Un’altra conclusione raggiunta con sufficiente grado di certezza (cfr. paragrafo N) riguarda il fatto che l’escavazione, in virtù dei provvedimenti autorizzatori adottati, ha superato i -10 metri dal piano di campagna, arrivando fino a -14 metri e raggiungendo la falda: pertanto l’estrazione non può più essere ritenuta “a secco” ma “in falda”. Ovviamente il dato sostanziale (situazione di fatto) prevale sul dato formale del progetto dell’ATEg25 e anche sulla coltivazione della cava “a secco” negli anni passati e sulle condizioni sussistenti al momento di presentazione del progetto di discarica nel 2011; è altrettanto indifferente stabilire se il cavatore abbia estratto più di quanto poteva ovvero se sia o meno legittimo l’atto di assenso provinciale asseritamente adottato ex post. Si può altresì prescindere, in questa contro-analisi, dall’ulteriore questione del conflitto con la pianificazione estrattiva regionale per le volumetrie di materiale necessarie per la ricostruzione del franco.
T.4 Un elemento di criticità consistente è rappresentato, nel contesto idrogeologico dell’area – dotata di terreni permeabili per i quali sussiste il rischio di una possibilità di risalita della superficie freatica – dall’intenzione di procedere per lotti successivi alla costruzione del franco di falda, con contestuale inizio delle attività di discarica che non garantisce la certezza sulla salvaguardia della risorsa idrica. L’avanzamento del progetto per fasi, con zone “con” e “senza” franco di falda e con zone “con” e “senza” impermeabilizzazione, può provocare dei rischi di inquinamento (cfr. paragrafi O, Q punto 1, Q punto 6).
Castella ha in più occasioni assunto (e ribadito) l’impegno ad iniziare il conferimento dei rifiuti solo dopo la conclusione dei lavori di ripristino del franco falda, anticipando così per intero l’operazione di impermeabilizzazione del catino. In proposito, l’apprezzabile condotta della proponente (anticipata, nello stadio conclusivo del procedimento, con la dichiarata disponibilità ad adeguarsi alle direttive regionali) non appare tuttavia ascrivibile a una mera modifica del cronoprogramma realizzativo, ma a una modifica sostanziale della fase di approntamento del sito, che (a prescindere da una sua qualificazione come “variante”) esige la riapertura del procedimento e l’acquisizione dei pareri degli Enti preposti (come suggerito dai verificatori). Tale conclusione è avvalorata dai rilievi, ben illustrati dagli esperti incaricati, sul documentato affioramento della falda, per cui il progetto della discarica, per ritornare in una condizione “a secco”, esige la protezione di un franco di 2 metri rispetto alla quota di massima escursione della falda (paragrafo N), e sull’assenza dell’auspicato programma di indagini da realizzarsi successivamente al completamento delle opere e durante il conferimento dei rifiuti, con lo scopo di verificare la tenuta della barriera di impermeabilizzazione sul fondo e lungo le scarpate (cfr. paragrafo O e Q.1). Il profilo non rientra dunque tra le lievi lacune o imperfezioni colmabili con semplici prescrizioni da inserire nell’atto autorizzativo (soluzione sulla quale la ricorrente insiste nella memoria conclusionale), anche perché la situazione di conclamata criticità della falda acquifera esige un attento monitoraggio della fase preliminare di approntamento, mentre l’anticipazione totale della “messa in sicurezza” del sito non è in alcun modo prevista negli elaborati progettuali di parte ricorrente. La nuova soluzione deve essere accompagnata dagli studi e dalle analisi aggiuntive, suggerite dai verificatori e delle quali si è appena dato conto.
T.5 Ulteriori criticità si aggiungono al quadro già descritto, ossia:
• l’Analisi del Rischio (AdR) di livello 2 non si rivela uno strumento adatto alla verifica di condizioni transitorie, seppur ripetute nel tempo, quali la possibilità di sversamenti di percolato durante la fase di gestione della discarica, di affioramento della superficie freatica in lotti contigui a quelli in cui è in corso lo stoccaggio dei rifiuti oppure la temporanea rotazione della direzione del flusso di falda in occasione di eventi di piena particolarmente intensi: per soddisfare i quesiti richiesti, Castella deve realizzare un AdR di livello 3 (paragrafo Q punto 1);
• l’assenza di punti di campionamento in corrispondenza dell’area in cui è presente un’importante anomalia elettromagnetica positiva, alla luce della potenziale presenza di vasche di decantazione limi legate all’attività estrattiva (paragrafo Q punto 8): occorre prevedere il prelievo di almeno un campione in corrispondenza dei sedimenti fini, che permetta di escludere a priori qualsiasi tipo di contaminazione;
• l’inosservanza delle linee guida APAT (con le relative equazioni), sostituite da una formula estremamente (ed eccessivamente) semplificata e il mancato uso di valori di permeabilità omogenei (Paragrafo R);
• l’erronea stima del tempo di attraversamento dello strato di impermeabilizzazione, per cui le caratteristiche prestazionali della barriera non sono da considerarsi dell’ordine di qualche decina di migliaia di anni ma di poco superiori ai limiti imposti dalla normativa (Paragrafo S): ad avviso del Collegio detto ridimensionamento temporale, inidoneo a incidere sui risultati dell’AdR redatta, introduce comunque un elemento di inattendibilità del progetto.
U. Il Collegio è chiamato altresì a dare conto dell’infondatezza di alcuni argomenti di fatto e di diritto, addotti dalla Società proponente per rafforzare le proprie prospettazioni difensive.
U.1 Anzitutto, il T.U. dell’Ambiente, nell’introdurre il divieto di recuperare e smaltire i rifiuti nelle Regioni diverse da quelle di produzione e nell’imporre l’utilizzo di impianti idonei in prossimità a quelli di produzione o raccolta, non contempla i rifiuti urbani pericolosi (cfr. art. 182 comma 3), per cui l’invocato principio non risulta agli stessi applicabile. In proposito, la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II-bis – 26/4/2016 n. 4734) ha enucleato l’opposta regola generale della libertà di circolazione dei rifiuti sul territorio nazionale, “senza limitazioni geografiche o territoriali”, salvo appunto l’obbligo – sancito dall’art. 182 comma 3 del D. Lgs. 152/2006 – di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi nelle Regioni in cui gli stessi sono prodotti.
U.2 Decisivo, in punto di fatto, è il depotenziamento della denunciata situazione di enorme fabbisogno di trattamento e smaltimento dei rifiuti non urbani prodotti sul territorio provinciale. Sul tema, la difesa della Regione ha depositato (in data 6/5/2016 – allegato n. 2) il programma regionale di gestione dei rifiuti, pubblicato nel luglio 2014 sul BURL, che dà conto di un sistema sostanzialmente autosufficiente, con cifre (cfr. pagina 718) che evidenziano margini di sicurezza rassicuranti (nel rapporto tra potenzialità autorizzata degli impianti e quantitativi prodotti).
U.3 Non è neppure trascurabile la questione sollevata dalla difesa del Comune di Rezzato con riguardo ai criteri localizzativi e ai fattori di pressione per le discariche di cui alla D.G.R. 20/6/2014 n. X/1990, di approvazione del Programma regionale di gestione dei rifiuti (cfr. Norme Tecniche di Attuazione, Titolo IV). Infatti, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V – 26/1/2015 n. 313 ha confermato che la legittimità del provvedimento ad istanza di parte va valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale e non a quello della presentazione della domanda. Peraltro, la regola è espressamente recepita all’art. 22 comma 2-bis della richiamate NTA. Ne deriva che il progetto rassegnato da Castella deve essere sottoposto a una verifica di adeguatezza sul rispetto delle nuove prescrizioni.
U.4 Un ulteriore argomento, correlato a un interesse pubblico inderogabile, è la tutela della salute. La ricerca svolta dalla parte ricorrente ha certamente fornito dati utili, e tuttavia affiora la considerazione di un impianto ulteriore in un contesto che ospita numerose attività impattanti con i relativi impianti, con un indubbio effetto “cumulativo” e rischi di peggioramento delle condizioni di salute della popolazione che vive nei territori contermini. Sulla dedotta maggiore invasività dell’alternativa coltivazione di cava (che provocherebbe un più elevato livello di emissioni) si può richiamare il paragrafo 2.4 del provvedimento regionale, per cui l'eventuale realizzazione dell'impianto integrato in progetto interessa “solo una porzione di una delle cave presenti nell'A.T.E.g25 che presumibilmente proseguiranno nella proprie attività e quindi gli impatti connessi alle diverse fasi di gestione dell'impianto insediamento Castella andrebbero a sommarsi a quelli determinati dalle altre attività presenti nel resto dell'ambito estrattivo”.
V. Il Collegio è dell’avviso che gli elementi evidenziati rendano la decisione conclusiva della Regione immune dai vizi denunciati. Il principio di precauzione, invocato da tutti le parti del presente giudizio, permea di per se il diritto europeo e nazionale in materia di protezione ambientale e fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione (Consiglio di Stato, sez. IV – 28/6/2016 n. 2921 che richiama sez. V – 18/5/2015 n. 2495). Esso è pacificamente applicabile alla materia del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti, eppure deve essere armonizzato, nella sua concreta attuazione, con quello di proporzionalità, nella ricerca di un equilibrato bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 12/1/2017 n. 60). Il Collegio è dell’avviso che i plurimi rilievi e dubbi insorti nel corso del procedimento siano avvalorati con l’esperimento della verificazione, per cui la delicatissima e fragilissima situazione del territorio coinvolto e le lacune progettuali (talune anche consistenti) rendano la scelta compiuta sufficientemente ponderata alla luce dei pregnanti valori in gioco (produzione e smaltimento rifiuti, da un lato, e ambiente salubre e conservazione delle risorse naturali, dall’altro). Sul punto, si può riportare un passaggio reso dai verificatori (che hanno agito quali soggetti imparziali) sulla qualità dell’acqua: “Secondo l’opinione degli scriventi, in contesti naturali quali quelli in oggetto dovrebbero essere autorizzati progetti ineccepibili da un punto di vista tecnico e per i quali non sia possibile individuare un’ubicazione in grado di garantire una maggiore tutela della risorsa idrica sotterranea”. Ebbene, nella fattispecie tali garanzie non sono state raggiunte.
In conclusione, la pretesa avanzata si rivela priva di fondamento.
Z. La complessità della vicenda induce il Collegio a compensare integralmente tra le parti gli oneri di lite. Le spese della verificazione – da liquidare con futura separata ordinanza, previa presentazione della parcella da parte degli interessati – saranno poste a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando respinge il ricorso in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Pone a carico della ricorrente le spese della verificazione.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione, che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Stefano Tenca Giorgio Calderoni