TAR Lombardia, Milano Sez. III n. 2638 del 14 dicembre 2015
Rifiuti. Test di cessione
Il test di cessione è rappresentato da una prova simulata di rilascio di contaminanti, effettuata ponendo in contatto per un tempo definito un solido con un lisciviante (agente separatore) e separando quindi le due fasi per ottenere un eluato (liquido prodotto all’esito del test). Diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, secondo cui il test di cessione deve essere effettuato ai sensi del solo D.M. 5 febbraio del 1998, senza ulteriori implementazioni o rinvii normativi, il comma 2 dell’art. 3 del D.L. n. 2/2012 non opera un generico riferimento al DM 5 febbraio 1998. Dal dato letterale si ricava infatti che il rinvio al predetto decreto ministeriale è limitato all’art. 9 “ai fini delle metodiche [e non dei parametri] da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee”. La disposizione quindi, da un lato, circoscrive l’ambito oggettivo del rinvio al decreto ministeriale alle sole “metodiche da utilizzare” e, dall’altro, indica chiaramente la finalizzazione del test, ovvero escludere i rischi di contaminazione delle acque sotterranee. Sotto tale secondo profilo va osservato che gli specifici e puntuali limiti da rispettare in relazione alle acque sotterranee si rinvengono oggi esclusivamente nella Tabella 2 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte Quarta del D.lgs. n. 152/2006.
N. 02638/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00766/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 766 del 2015, proposto da:
Condominio di via Savona 123, Milano, in persona dell’Amministratore, rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Todarello e Delia Schiaroli, con domicilio eletto presso lo Studio del primo in Milano, p.zza Velasca, n. 4;
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Antonello Mandarano, Elisabetta D'Auria, Angela Bartolomeo, Salvatore Pezzulo, Anna Maria Moramarco dell’Avvocatura comunale, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura stessa in Milano, Via della Guastalla, 6;
Città Metropolitana di Milano, in persona del legale rappresentante, non costituita;
Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Lombardia, in persona del legale rappresentante, non costituita;
Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
per l'annullamento
del provvedimento del Direttore del Settore Bonifiche del Comune di Milano, PG 45445/2015 del 26 gennaio 2015, trasmesso a mezzo PEC in data 28 gennaio 2015, avente ad oggetto "autorizzazione al Piano della Caratterizzazione", presentato dal Condominio di via Savona 123 nell'ambito del procedimento di bonifica avviato nella stessa via, con il quale è stata autorizzata l'esecuzione del Piano della Caratterizzazione e delle relative integrazioni, imponendo tuttavia prescrizioni;
- ove avente valore provvedimentale, del verbale della Conferenza dei Servizi del 22 gennaio 2015, avente quale ordine del giorno la "Valutazione dei documenti Piano della Caratterizzazione, ricevuto via pec in data 29/5/2014 e integrazioni al Piano della Caratterizzazione a seguito della conferenza dei servizi del 2/7/2014, ricevuto via pec in data 3/11/2014";
- ove avente valore provvedimentale, del parere di ARPA Lombardia, Dipartimenti di Milano e Monza Brianza, Class. 11.2 Fascicolo 2014.9.73.441, prot. n. arpa mi.2015.0007350 del 21 gennaio 2015, allegato al verbale della conferenza dei servizi del 22 gennaio 2015 a formarne parte integrante;
- ove avente valore provvedimentale, del parere della Città Metropolitana di Milano del 20 gennaio 2015, prot. 11316/2015 fase. 9.5/2014/18, allegato al verbale della conferenza dei servizi del 22 gennaio 2014 a formarne parte integrante;
- ove avente valore provvedimentale, dell'avviso di convocazione della conferenza dei servizi del 22 gennaio 2015;
- nonché di ogni altro provvedimento preordinato, conseguente o comunque connesso, anche non noto, avente valore lesivo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2015 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’atto introduttivo del giudizio il Condominio di Via Savona 123, in Milano, espone che l’area su cui sorge era stata oggetto di un intervento di bonifica avviato nel 2002 dalla precedente proprietaria, e regolarmente concluso con Disposizione Dirigenziale della Provincia di Milano n. 82/2008 del 14 marzo 2008, che aveva attestato il raggiungimento degli obbiettivi di bonifica coincidenti con le concentrazioni previste per i siti ad uso commerciale/industriale dalla Tabella 1B del DM 471/99.
Nell'ottobre 2013, in considerazione dell'opportunità offerta dal nuovo PGT di Milano, in vista della modifica della destinazione d'uso dell'area da produttiva a residenziale, il Condominio svolgeva una campagna di indagine ambientale preliminare, dalla quale emergeva, per alcuni parametri (idrocarburi pesanti/C<12, e IPA), la presenza di superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) stabilite per i siti ad uso residenziale dalla Tabella 1, Colonna A dell'Allegato 5 al Titolo V, Parte Quarta del D.lgs. 152/2006.
Considerati gli esiti delle indagini svolte, il Comune di Milano, in data 10 marzo 2014, comunicava l'avvio del procedimento di bonifica ai sensi del Titolo V, Parte IV, del D.lgs. 152/2006 e degli artt. 7 e 8 1. 241/90, chiedendo al Condominio la presentazione di un Piano della Caratterizzazione dell'area entro il termine del 10 aprile 2014, successivamente prorogato al 1° giugno 2014, dietro richiesta del medesimo Condominio.
In ottemperanza alla richiesta del Comune, quindi, in data 29 maggio 2014 il ricorrente presentava agli enti competenti il Piano della Caratterizzazione, nel quale si prevedeva, fin da subito, l'acquisizione dei dati sito-specifici per la realizzazione dell'Analisi di Rischio.
Nel corso della Conferenza dei servizi del 2 luglio 2014 gli Enti chiedevano un’integrazione del Piano della Caratterizzazione.
In particolare, con riferimento ai materiali di riporto, Arpa, nel proprio parere Class. 11.2, Fascicolo 205/2012, prot. n. arpa_mi.2014.0086704 del 30 giugno 2014, espressamente ammetteva la sola applicazione dei limiti di cui al DM 5 febbraio 1998 ai test di cessione sui riporti, rilevando la necessità di "effettuare eventuali valutazioni integrative suo 'riporti storici, volte a discriminarne la qualità ai sensi dell'art. 41 del D.L. 69/2013, ed art. 41 Legge di conversione n. 98/2013, mediante test di cessione svolto ai sensi dell'art. 9 del DM 05/02/1998".
Il Comune, dal canto suo, in accoglimento di un'ulteriore richiesta di Arpa, richiedeva la presentazione della documentazione inerente il materiale di riempimento utilizzato nell'ambito dei lavori edili eseguiti successivamente alla conclusione della bonifica del 2008, al fine di verificarne la provenienza e le caratteristiche merceologiche.
Al riguardo, l'Amministrazione precisava altresì che "qualora la documentazione inerente il materiale utilizzato per i riempimenti non dimostri le necessarie caratteristiche qualitative (compatibili con l'uso residenziale), lo stesso dovrà essere verificato".
In data 22 gennaio 2015, il ricorrente presentava, dunque, il documento di Integrazioni al Piano della Caratterizzazione.
In particolare, con riferimento alle richieste avanzate dagli Enti in merito ai materiali utilizzati per il riempimento degli scavi di bonifica, il Condominio segnalava che, secondo quanto era emerso dall'esame dei dati e della documentazione reperita, a seguito del completamento dei lavori di bonifica gli scavi erano stati colmati con "materiali frantumati certificati a partire dalla base degli scavi fino alla quota di — 0,40 cm da p.c.. L'orizzonte superficiale (compreso tra — 0,40 cm e p.c.) è stato successivamente completato con materiale da coltivo". Pertanto si prevedeva la sottoposizione ai test di cessione di cui al DM 5 febbraio 1998 dei soli c.d. "riporti storici" presenti sul sito, mai interessati dai precedenti scavi di bonifica.
Veniva, dunque, convocata la Conferenza dei servizi del 22 gennaio 2015, che esprimeva parere favorevole al Piano della Caratterizzazione e alle relative Integrazioni, subordinatamente, però, al recepimento delle osservazioni e prescrizioni dettate dagli Enti nei propri pareri, cui si rinviava facendoli propri, nonchè nel medesimo verbale della seduta.
In particolare l’Arpa, nel proprio parere di cui alla nota prot. n. arpa_mi.2015.0007350 del 21 gennaio 2015, affermava che: "in caso di materiale che presenti caratteristiche di riporto, esso dovrà essere anche adeguatamente indagato ai sensi dell'art. 41 del DL 69/2013, ed art. 41 Legge di conversione n. 98/2013, mediante test di cessione svolto ai sensi dell'art. 9 del DM 05/02/1998, come già indicato nella precedente valutazione di Arpa di cui al prot. n. 86701 del 30/06/2014, confrontati con le CSC di tab. 2 in allegato 5 al Titolo V della Parte Quarta del D.Igs. 152/06".
Indi con provvedimento PG 45445/2015 del 26 gennaio 2015, ricevuto via PEC dal ricorrente il 28 gennaio 2015, il Settore Bonifiche del Comune di Milano autorizzava il Condominio ad eseguire il Piano della Caratterizzazione, "come modificato e integrato durante la fase istruttoria a seguito delle prescrizioni e richieste formulate, riportate nei verbali della Conferenza dei Servizi e nei relativi pareri allegati", fissando il termine massimo di sei mesi per la presentazione degli esiti della caratterizzazione e dell'eventuale Analisi di Rischio.
Avverso la determinazione del Comune nonché il verbale della conferenza e i relativi atti istruttori il Condominio proponeva il ricorso indicato in epigrafe, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati, previa tutela cautelare.
Si costituiva in giudizio il Comune di Milano, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
A seguito della camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare, questo Tribunale, con ordinanza n. 606 del 4 maggio 2015 disponeva, ai sensi dell’art. 55 comma 10 c.p.a., la fissazione per la trattazione nel merito del ricorso, “ai fini di un’adeguata e piena tutela di entrambe le parti, attesa la complessità della controversia e la sua rilevanza per fattispecie analoghe”.
In vista della trattazione nel merito le parti scambiavano memorie e repliche insistendo nelle rispettive conclusioni.
Indi all’udienza pubblica del 24 settembre 2015 la causa veniva chiamata e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
I) Il ricorso proposto muove dal presupposto che la formale approvazione da parte del Comune di Milano del Piano di caratterizzazione si configuri in realtà come parziale rigetto laddove, subordinandone l’esecuzione alle prescrizioni di cui alla Conferenza di servizi, impone l’applicazione ai test di cessione dei materiali di riporto dei limiti dei valori delle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) previsti per le acque sotterranee dalla tabella 2 allegato 5 al Titolo V Parte quarta del D.lgs. 152/2006.
In dettaglio con l’atto introduttivo del giudizio vengono articolati i motivi di gravame di seguito sintetizzati:
1) violazione dell’art. 185 comma 1 lett. b) e c) del D.lgs. n.152/2006 e dell’art. 3 comma 3 della legge n. 28/2012 come modificato dall’art. 41 della legge n.98/2013:
l’approvazione del piano di caratterizzazione con le prescrizioni ivi imposte richiederebbe la sottoposizione dei materiali di riporto ad una verifica ulteriore e diversa da quella espressamente richiesta dalla normativa vigente, ossia il rispetto dei valori delle concentrazioni soglia di contaminazione che il codice dell’ambiente fisserebbe solo per le acque sotterranee, dunque per una matrice ambientale totalmente differente dai materiali di riporto in questione. Invero l’art. 3 comma 3 della legge n. 28/2012 farebbe espresso riferimento ai limiti dei test di cessione individuati all’allegato 3 del D.M. 5 febbraio 1998, senza lasciare spazio all’applicazione di altre disposizioni normative. Il parere di ARPA del 22 gennaio 2015, recepito e fatto proprio dalla Conferenza di servizi e dal provvedimento del Comune, si porrebbe in contraddizione con il precedente parere reso dalla medesima Agenzia in vista della conferenza dei servizi del 2 luglio 2014, laddove si disponeva che i materiali di riporto dovessero essere verificati ai sensi degli artt. 41 del D.L. 69/2013 e 41 della L. 98/2013, mediante test di cessione svolto ai sensi dell’art. 9 del DM 5 febbraio 1998. Ciò in quanto i materiali di riporto sarebbero sempre stati qualificati dalla normativa come autonoma matrice ambientale equiparata a tutti gli effetti alla matrice suolo; tale equiparazione sarebbe stata ribadita dall’art. 3 comma 1 del D.L. n. 2/2012, come modificato dall’art. 41 comma 3 lett. a) del D.L. n. 69/2013 che stabilisce che “i riferimenti al suolo contenuti dall’articolo 185 comma 1 lettere b) e c) e 4 del decreto legislativo 152 del 2006 si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo”. Dunque, ferma l’equiparazione tra riporti e suolo, i soli materiali di riporto devono essere sottoposti ai test di cessione di cui al DM 5 febbraio 1998, imposti allo scopo specifico, previsto dall’art. 41 del D.L. 69/2013, di escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee. Poiché mediante l’applicazione ai test di cessione dei limiti di cui al DM 5 febbraio 1998 verrebbe soddisfatto l’obiettivo di escludere la sussistenza di un rischio di contaminazione della falda, non si comprenderebbe il motivo per cui i riporti dovrebbero essere sottoposti a test che facciano riferimento ai limiti dei valori delle CSC di cui alla tabella 2 allegato 5 al Titolo V Parte quarta del D.lgs. 152/2006.
2) violazione dell'art. 2 della Direttiva comunitaria 2008/98/CE - violazione e falsa applicazione dell'art. 185 comma 1 lett. b) e c) del D.lgs. 152/2006 e dell'art. 3, comma 3, D.L. 2/2012, come modificato dall'art. 41 L. n. 98/2013 - falsa applicazione del DM 5 febbraio 1998 - eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento - per manifesta irragionevolezza ed illogicità - violazione dei principi di buon andamento e celerità dell'azione amministrativa - sotto il profilo dell'illegittima conseguente imposizione dell'obbligo di ricorrere agli interventi previsti dall'art. 3, comma 3, D.L. n. 2/2012 in caso di materiali conformi ai test di cessione secondo i limiti del DM 5 febbraio 1998:
i provvedimenti impugnati stravolgerebbero la ratio delle norme ambientali vigenti in materia di riporti in quanto implicherebbero la sussistenza di un obbligo, non previsto dal legislatore, di ricorrere agli interventi previsti dall’art. 3 comma 3 del DL n. 2/2012 nel caso in cui, a seguito delle verifiche svolte, i riporti risultassero conformi ai limiti previsti dal DM 5 febbraio 1998 ma non conformi ai valori di cui alla citata tabella 2. Diversamente, secondo il ricorrente, la normativa applicabile porterebbe a ritenere che i materiali non conformi alle CSC per le acque sotterranee previste dal Codice dell’ambiente, ma risultati conformi ai limiti di cui al DM 5 febbraio 1998, non possano essere qualificati come fonte di contaminazione né tantomeno gli stessi devono essere sottoposti in via alternativa alla rimozione, al trattamento per rimuovere contaminanti o alla messa in sicurezza permanente.
3) violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. - eccesso di potere per violazione del principio di non aggravio del procedimento amministrativo - difetto di istruttoria - illogicità - contraddittorietà - sotto il profilo dell'illegittimo obbligo di sottoporre a test di cessione anche i materiali già certificati presenti sul sito:
i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi anche nella parte in cui impongono al ricorrente di sottoporre al test di cessione anche i materiali utilizzati, a seguito della conclusione del procedimento di bonifica risalente al 2008, per il riempimento degli scavi di bonifica già certificati all’origine, dunque materiale di riporto la cui provenienza da impianti autorizzati sarebbe nota e comprovata in atti.
II) Pare utile al Collegio, ai fini di una migliore comprensione della questione di diritto oggetto della presente controversia, premettere una sintetica ricostruzione della normativa di riferimento.
La definizione di "materiali di riporto" si rinviene nell’art. 3 del D.L. 25 gennaio 2012 n. 2, convertito dalla legge 24 marzo 2012 n. 28 (come modificato dal D.L. 21 giugno 2013 n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013 n. 98), che fa riferimento a "una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri".
Con il medesimo D.L. n. 2/2012 (art. 4) è stato modificato l’art. 240 comma 1 lett. a) del Codice dell'ambiente, inserendo dopo la parola "suolo" le parole "materiali di riporto "; in sostanza, con tale modifica anche i materiali di riporto sono stati inclusi tra le matrici ambientali.
Il citato art. 3 si compone di tre commi:
- il primo fornisce una interpretazione autentica dell’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 (che disciplina i casi di esclusione dall'ambito di applicazione della parte quarta del Codice dell'ambiente, recante "Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati") nel senso che "i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4… si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto…";
- il secondo stabilisce che “le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati”;
- il terzo disciplina invece il caso in cui tali matrici non risultino conformi ai limiti dei test di cessione; in tal caso dette matrici "sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute".
III) Ciò precisato quanto alla normativa applicabile, con il primo motivo di gravame la parte ricorrente deduce, in sintesi, che i test di cessione eseguiti sui materiali di riporto dovrebbero avere come riferimento i limiti di cui al DM 5 febbraio 21998, e non già quelli stabiliti dalla Tabella 2 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte Quarta del D. Lgs. n. 152 del 2006.
III.1) Il motivo è infondato.
Il test di cessione è rappresentato da una prova simulata di rilascio di contaminanti, effettuata ponendo in contatto per un tempo definito un solido con un lisciviante (agente separatore) e separando quindi le due fasi per ottenere un eluato (liquido prodotto all’esito del test).
Diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, secondo cui il test di cessione deve essere effettuato ai sensi del solo D.M. 5 febbraio del 1998, senza ulteriori implementazioni o rinvii normativi, il comma 2 dell’art. 3 del D.L. n. 2/2012 non opera un generico riferimento al DM 5 febbraio 1998.
Dal dato letterale si ricava infatti che il rinvio al predetto decreto ministeriale è limitato all’art. 9 “ai fini delle metodiche [e non dei parametri] da utilizzareper escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee”.
La disposizione quindi, da un lato, circoscrive l’ambito oggettivo del rinvio al decreto ministeriale alle sole “metodiche da utilizzare” e, dall’altro, indica chiaramente la finalizzazione del test, ovvero escludere i rischi di contaminazione delle acque sotterranee.
Sotto tale secondo profilo va osservato che gli specifici e puntuali limiti da rispettare in relazione alle acque sotterranee si rinvengono oggi esclusivamente nella Tabella 2 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte Quarta del D.lgs. n. 152/2006.
Ne consegue che le prescrizioni indicate nel provvedimento impugnato appaiono conformi alla normativa applicabile, così come sopra letta e interpretata.
III.2) Ugualmente infondato è il secondo mezzo di gravame, con cui la parte ricorrente deduce, in estrema sintesi, che l’applicazione dei limiti di cui alla tabella 2 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte Quarta del D.lgs. n. 152/2006 porterebbe a considerare come rifiuti i materiali di riporto, laddove i test di cessione risultassero negativi (ovvero non conformi ai predetti limiti).
L’assunto non è condivisibile.
Come sopra evidenziato, il comma 3 dell’art. 3 del D.L. n. 2/2012 stabilisce che “le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute”.
A prescindere dal rilievo che con il provvedimento impugnato non è stato imposto di trattare come rifiuto il materiale da riporto che risultasse non conforme ai limiti predetti, va osservato che con il D.L. n. 2/2012 (poi modificato dal D.L. n. 69/2013) il legislatore ha stabilito che i materiali di riporto restano sottratti alla disciplina della Parte Quarta se conformi ai limiti dei test di cessione e che in caso contrario tali matrici vanno qualificate come "fonti di contaminazione" e su di esse si deve intervenire per rimuoverle o per eliminare i contaminanti o per mettere in sicurezza i materiali in questione. Ciò significa che per le matrici materiali di riporto vige un regime particolare: quando presentano caratteristiche non conformi ai limiti dei test di cessione esse vengono qualificate "fonti di contaminazione" e come tali devono essere trattate, secondo le modalità specificate nell’art. 3 comma 3 del D.L. n. 2/2012.
In altre parole: la qualificazione dei materiali di riporto come "fonti di contaminazione" prevale sulla qualificazione di "matrici ambientali" e impone di intervenire su tali materiali con le specifiche modalità previste dal citato art. 3 comma 3 (norma speciale), anziché con le procedure ex artt. 242 ss. del Codice dell'ambiente (cfr. T.A.R. Toscana, II, 7 aprile 2015, n. 558).
Ne consegue il rigetto del motivo di ricorso esaminato.
III.3) Con il terzo mezzo di gravame la parte ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui impone al ricorrente di sottoporre al test di cessione anche i materiali utilizzati, a seguito della conclusione del procedimento di bonifica, risalente al periodo 2002- 2008.
Anche tale motivo non è meritevole di accoglimento.
Come dichiarato dalla parte ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, all’epoca del procedimento di bonifica suddetto l’area in questione era classificata dallo strumento urbanistico allora vigente come a destinazione produttiva. Lo stesso ricorrente afferma che l’intervento di bonifica avviato nel 2002 dalla precedente proprietaria, si è concluso con Disposizione Dirigenziale della Provincia di Milano n. 82/2008 del 14 marzo 2008, che ha attestato “il raggiungimento degli obbiettivi di bonifica coincidenti con le concentrazioni previste per i siti ad uso commerciale/industriale dalla Tabella 1B del DM 471/99” (si veda pag. 8 del ricorso).
Tale destinazione urbanistica dell’area è mutata in residenziale con l’entrata in vigore del nuovo PGT del Comune di Milano.
Ciò rilevato in fatto, va osservato che le caratteristiche qualitative del materiale utilizzato per i riempimenti devono essere verificate in relazione alla destinazione impressa all’area in questione dallo strumento urbanistico vigente. Invero la normativa (si vedano gli allegati 5 al Titolo V della Parte Quarta del D.lgs. n. 152/2006, peraltro in analogia a quanto già disposto dal D.M. n. 471/99) indica quale concetto di base (si veda allegato 1) che “L'individuazione e l'analisi dei potenziali percorsi di esposizione e dei bersagli e la definizione degli obiettivi di bonifica, in coerenza con gli orientamenti strategici più recenti, devono tenere presente la destinazione d'uso del sito prevista dagli strumenti di programmazione territoriale” e distingue i limiti di CSC nel suolo e nel sottosuolo a seconda della specifica destinazione d'uso del sito (si veda allegato 5).
Ne discende che non può escludersi a priori la necessità di sottoporre a test di cessione i materiali collocati nell’area, a seguito del cambio di destinazione d’uso della stessa (circostanza questa che, peraltro, ha determinato il Condominio a svolgere la campagna di indagine ambientale preliminare, da cui ha tratto origine il procedimento oggetto del presente giudizio).
IV) In conclusione il ricorso proposto va rigettato.
In ragione della complessità della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2015 e 2 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Antonio De Vita, Primo Referendario
Valentina Santina Mameli, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/12/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)