TAR Toscana Sez.II n.83 del 16 gennaio 2012
Rifiuti.Smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale
In tema di divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale ed estensione del divieto all’attività di trattamento al fine di recupero
N. 00083/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01698/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso con motivi aggiunti numero di registro generale 1698 del 2009, proposto dalla
Costa Mauro S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, dr.ssa Maria Luisa Botto, rappresentata e difesa dagli avv.ti Daniela Anselmi, Piera Sommovigo e Fabio Colzi e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Firenze, via S. Gallo n. 76
contro
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze e domiciliato presso gli Uffici di questa, in Firenze, via degli Arazzieri n. 4
Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Ciari e con domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale, in Firenze, piazza dell’Unità Italiana n. 1
Provincia di Massa Carrara, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Guccinelli e con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Firenze, via Ricasoli n. 40
Comune di Aulla, non costituito in giudizio
Regione Liguria, non costituita in giudizio
A.T.O. Toscana Costa, non costituito in giudizio
A) con l’atto introduttivo del giudizio
per l’annullamento,
previa sospensione e previa emissione di misure cautelari provvisorie,
- della determinazione della Provincia di Massa Carrara n. DD/8653/2009 del 28 settembre 2009 pervenuta il 7 ottobre 2009, recante diffida alla Mauro Costa S.r.l. ad interrompere l’accettazione nell’impianto di trattamento rifiuti ubicato in Albiano Magra di rifiuti urbani non differenziati con codice CER 200301 di provenienza extra regionale;
- di ogni altro atto presupposto, preparatorio, conseguente e comunque connesso e, segnatamente, della nota della Provincia di Massa Carrara prot. n. 2155/amb del 20 luglio 2009 e del parere della Regione Toscana prot. n. A00-GRT/210020/P-070-030-030 del 16 settembre 2009, richiamato nelle premesse della diffida impugnata
B) con i motivi aggiunti depositati il 29 dicembre 2009:
per l’annullamento
- degli atti già impugnati con il ricorso originario, nonché
- dell’accordo stipulato il 26 ottobre 2009 tra i Presidenti della Regione Toscana e della Regione Liguria per permettere il conferimento (sino al 28 ottobre 2010) dei rifiuti urbani provenienti dai Comuni della Provincia di La Spezia nell’impianto di Albiano Magra e degli atti in esso richiamati, comprese le deliberazioni di Giunta Regionale di approvazione dell’accordo stesso;
- del parere della Regione Toscana di cui alla nota prot. n. A00-GRT/210020/P-070-030-030 del 16 settembre 2009;
- del parere del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. GAB-2009-0013254/UL dell’8 giugno 2009;
- della nota a firma dell’Assessore alla tutela ambientale e all’energia della Regione Toscana A00-GRT Prot. 0214067/P.070 del 6 agosto 2009;
- della nota dell’A.T.O. Toscana Costa prot. n. 0001210 del 22 settembre 2009;
- della nota del preesistente A.T.O. n. 1 di Massa Carrara prot. n. 644 del 3 novembre 2008.
Visti il ricorso originario ed i relativi allegati;
Visti l’istanza di misure cautelari provvisorie ed il decreto presidenziale n. 825/09 del 23 ottobre 2009, recante reiezione della stessa;
Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati con il ricorso originario, presentata in via incidentale dalla ricorrente e preso atto della rinuncia alla stessa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente, della Regione Toscana e della Provincia di Massa Carrara;
Visti le memorie ed i documenti depositati per la Camera di consiglio del 5 novembre 2009 dalla Regione Toscana e dalla Provincia di Massa Carrara;
Visti i motivi aggiunti depositati il 29 dicembre 2009;
Viste le ulteriori memorie e documenti depositate in atti, nonché le relative memorie di replica;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2011 il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
La ricorrente impresa Mauro Costa S.r.l. espone di svolgere da anni attività di recupero e riutilizzo dei rifiuti presso il proprio impianto di trattamento ubicato nella zona industriale di Albiano Magra, nel Comune di Aulla. In particolare, la società esercita l’attività di cernita e selezione dei rifiuti e di produzione di CDR.
Dopo molteplici vicende che hanno caratterizzato i rapporti della società esponente con la Provincia di Massa Carrara (più volte portati all’attenzione di questo Tribunale), la predetta Provincia:
a) in esecuzione della sentenza di questo Tribunale n. 1026 dell’11 aprile 2008, con determinazione dirigenziale n. 8650 del 25 luglio 2008 autorizzava la società al trattamento anche del rifiuto urbano non differenziato (codice CER 200301), sopprimendo le limitazioni precedentemente imposte con i provvedimenti impugnati;
b) prendeva atto degli effetti determinati dalla citata sentenza sul Piano Provinciale di gestione dei rifiuti approvato con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 36/2004;
c) tuttavia, con nota prot. n. 2155/amb del 20 luglio 2009 diffidava la società dal ricevere e trattare presso l’impianto di Albiano Magra i rifiuti urbani non differenziati di provenienza extraregionale fino al momento in cui, in base agli artt. 182, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 e 17, comma 1, della l.r. n. 25/1998, non sarebbero stati sottoscritti appositi accordi regionali per lo smaltimento di detti rifiuti.
L’impresa ha replicato evidenziando che: a) il principio dell’autosufficienza territoriale ex art. 182, comma 5, cit., si applicherebbe unicamente ai rifiuti urbani non pericolosi, e non ai rifiuti speciali pericolosi, né a quelli speciali non pericolosi; b) nell’impianto da essa gestito in Albiano Magra non si svolgerebbe nessuna attività di smaltimento, ma solamente quella di trattamento dei rifiuti ai fini del recupero; c) la percentuale di rifiuto residuata all’esito del procedimento di trattamento al fine di recupero svolto nell’impianto de quo costituirebbe rifiuto speciale (e non rifiuto urbano) e, dunque, sarebbe sottratta alla disciplina ex art. 182, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006.
Ciononostante, con determinazione n. DD/8653/2009 del 28 settembre 2009 la Provincia di Massa Carrara ha diffidato in via ultimativa l’impresa Mauro Costa S.r.l., imponendole di interrompere in via immediata l’accettazione di rifiuti urbani non differenziati (codice CER 200301) di provenienza extraregionale presso l’impianto prima indicato, fino alla sottoscrizione e notificazione dei relativi accordi (interregionali).
Avverso la suddetta determinazione, nonché gli atti presupposti e connessi specificati in epigrafe, è insorta la Mauro Costa S.r.l., impugnandoli con il ricorso del pari indicato in epigrafe.
A sostegno del gravame, con cui ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione e previa adozione di misure cautelari provvisorie, degli atti impugnati, la società ha dedotto i seguenti motivi:
- violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, poiché nel caso de quo la P.A. avrebbe omesso di fornire riscontro alla memoria con cui la società aveva replicato al primo atto di diffida, datato 20 luglio 2009;
- violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 182, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 e 17, comma 1, della l.r. n. 25/1998, difetto dei presupposti legittimanti, violazione e falsa applicazione dell’art. 184, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 152/2006 e degli artt. 41, 117 e 120 Cost., in quanto il principio di autosufficienza territoriale (e cioè l’obbligo di smaltire i rifiuti urbani nella medesima Regione in cui sono prodotti, con divieto di conferimento ad impianti ubicati in Regioni diverse) non si applicherebbe alla ricorrente, che non svolgerebbe nell’impianto di Albiano Magra attività di smaltimento, ma solo di trattamento dei rifiuti ai fini del recupero, nonché di cernita e di selezione dei rifiuti e produzione del CDR. Inoltre, il residuo dell’attività di recupero costituirebbe non già rifiuto urbano, ma rifiuto speciale e, quindi, si porrebbe anch’esso al di fuori del principio di autosufficienza poc’anzi citato. Infine, la Provincia avrebbe trascurato le pronunce con cui la Corte costituzionale ha escluso che il divieto di smaltire i rifiuti di provenienza extraregionale valga per i rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, ed ha sancito l’illegittimità del divieto di conferimento in discariche regionali dei rifiuti speciali provenienti da altre Regioni;
- eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento, ingiustizia manifesta, illogicità, sviamento, perché la determinazione gravata non sarebbe stata preceduta da un’istruttoria approfondita, né sarebbe stata adottata sulla base di una motivazione approfondita, richiamando la determinazione stessa un parere della Regione Toscana (non allegato), che, però, si fonderebbe, del tutto erroneamente, sulla natura dei rifiuti conferiti all’impianto (rifiuti urbani non differenziati), e non sull’attività cui tali rifiuti sono sottoposti (recupero e non smaltimento).
In via subordinata, la società ha poi dedotto, con ulteriore motivo, le doglianze di violazione e falsa applicazione dei principi di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost. e del principio di tutela dell’affidamento incolpevole del privato, nonché di illogicità, ingiustizia manifesta e sviamento, in quanto nel caso di specie la ricorrente si troverebbe a subire gli effetti del ritardo nel procedimento di stipula dell’accordo tra le Regioni Toscana e Liguria, cui sarebbe totalmente estranea e rispetto al quale non avrebbe nessun potere di intervento.
Con decreto presidenziale n. 825/09 del 23 ottobre 2009 è stata respinta l’istanza di misure cautelari provvisorie inaudita altera parte.
Si sono costituite giudizio la Provincia di Massa Carrara e la Regione Toscana, depositando tutte e due una memoria, con documentazione, in vista della Camera di consiglio fissata per la discussione dell’istanza cautelare ed opponendosi alle pretese attoree.
Nella Camera di consiglio del 15 dicembre 2009 la ricorrente ha rinunciato alla sospensiva.
Con motivi aggiunti depositati il 29 dicembre 2009 l’impresa Mauro Costa S.r.l. ha impugnato – in aggiunta agli atti già gravati con l’atto introduttivo del giudizio – l’accordo stipulato il 26 ottobre 2009 tra il Presidente della Regione Toscana e quello della Regione Liguria al fine di permettere il conferimento (sino al 28 ottobre 2010) dei rifiuti urbani provenienti dai Comuni della Provincia di La Spezia nell’impianto per cui è causa, chiedendone l’annullamento, unitamente a tutti gli atti in esso richiamati, comprese le deliberazioni di Giunta Regionale di approvazione dell’accordo stesso. Ha, inoltre impugnato le note della Regione Toscana, del Ministero dell’Ambiente e dell’A.T.O. Toscana Costa (nonché del preesistente A.T.O. n. 1 di Massa Carrara) specificate in epigrafe, nella parte in cui se ne desume l’obbligo di smaltimento dei rifiuti al di fuori del territorio della Regione Toscana.
A supporto dei motivi aggiunti, la ricorrente da un lato ha riproposto le stesse doglianze già dedotte con il secondo motivo dell’atto introduttivo. Dall’altro lato, ha formulato la doglianza di violazione e falsa applicazione degli artt. 182, comma 5, e 184 del d.lgs. n. 152/2006, in relazione alla clausola dell’accordo interregionale impugnato, secondo cui i rifiuti residui in uscita dall’impianto debbono tornare in impianti ubicati nella Regione Liguria: clausola, la cui illegittimità deriverebbe dal fatto che i residui in esame costituirebbero rifiuti speciali e, perciò, non sarebbero sottoposti al principio dell’autosufficienza territoriale. Da ultimo, la società ha formulato nei riguardi degli atti già oggetto del gravame originario la doglianza di illegittimità, in via propria e derivata, per gli stessi vizi da cui sarebbero afflitti gli atti gravati con i motivi aggiunti.
Si è costituito in giudizio, con atto di mera costituzione formale, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
In vista dell’udienza pubblica, la ricorrente, da un lato, la Regione Toscana e la Provincia di Massa Carrara, dall’altro, hanno depositato memorie difensive e di replica, insistendo, rispettivamente, per l’accoglimento del ricorso originario e dei motivi aggiunti, e per la loro reiezione.
All’udienza pubblica del 19 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con l’atto introduttivo viene impugnato il provvedimento della Provincia di Massa Carrara recante diffida alla Mauro Costa S.r.l. ad interrompere in via immediata l’accettazione di rifiuti urbani non differenziati (codice CER 200301) di provenienza extraregionale presso l’impianto che la predetta società gestisce in Albiano Magra, fino alla stipula dei relativi accordi interregionali. Con i motivi aggiunti sono, poi, impugnati l’accordo stipulato il 26 ottobre 2009 tra Regione Toscana e Regione Liguria ed una serie di note e pareri di Ministero dell’Ambiente, Regione Toscana, A.T.O. Toscana Costa (ed il precedente A.T.O. n. 1 di Massa Carrara), lì dove ne discende l’obbligo di far tornare i residui in uscita dall’impianto di Albiano Magra in impianti ubicati in Liguria.
In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità, formulata dalla Provincia di Massa Carrara sul rilievo della mancata impugnazione, ad opera della ricorrente, della deliberazione della Giunta Regionale della Toscana n. 162 del 14 marzo 2011: quest’ultima recherebbe l’approvazione degli accordi interregionali per lo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale in relazione al 2011 (permettendo ancora di smaltire i rifiuti urbani indifferenziati provenienti dalla Provincia di La Spezia nell’impianto della ricorrente): la sua mancata impugnazione, pertanto, equivarrebbe ad acquiescenza da parte della Mauro Costa S.r.l. alle nuove scelte operate dalla Regione Toscana, con conseguente inammissibilità del ricorso originario e dei motivi aggiunti.
L’eccezione deve essere respinta.
Ed invero, in disparte l’impugnazione degli atti recanti la nuova disciplina dei rifiuti di provenienza extraregionale per il 2011, rimane fermo che gli atti impugnati hanno dispiegato efficacia lesiva per gli interessi della ricorrente, in particolare dalla comunicazione alla società della diffida impugnata con l’atto introduttivo del giudizio (7 ottobre 2009) e, poi, per tutto il 2010. Donde la sussistenza di un evidente interesse della ricorrente ad ottenere una pronuncia a sé (eventualmente) favorevole con riguardo a tali effetti lesivi, per le utilità che ne potrebbe ricavare (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6549).
Nel merito, il gravame è parzialmente fondato, nei termini di seguito esposti.
Deve essere anzitutto respinto il primo motivo del ricorso originario, con cui la società lamenta la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, per non avere la P.A. riscontrato le osservazioni da essa presentate sull’originaria diffida del 20 luglio 2009. Come rilevato anche dalla giurisprudenza (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 12 gennaio 2011, n. 16), tuttavia, l’art. 10-bis cit. si riferisce ai procedimenti ad istanza di parte e non a quelli ad iniziativa d’ufficio: esso, perciò, non può trovare applicazione nel caso ora in esame, in cui l’iniziativa procedimentale è stata assunta dalla P.A., per effetto della verifica che nell’impianto di Albiano Magra confluivano rifiuti urbani non differenziati (codice CER 200301) provenienti dalla Regione Liguria (cfr. le premesse dell’atto di diffida del 20 luglio 2009). Donde l’infondatezza della doglianza.
Venendo al secondo motivo del ricorso originario, osserva il Collegio che lo stesso (da trattare – per la sostanziale identità di contenuto – unitamente al primo e secondo dei motivi aggiunti) deve essere parzialmente condiviso. In particolare, non può essere condiviso l’assunto della ricorrente, secondo cui il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi di provenienza extraregionale andrebbe applicato solamente allo smaltimento in senso stretto di tali rifiuti e, perciò, non sarebbe applicabile all’impianto da essa gestito, dove non è svolta alcuna attività di smaltimento in senso stretto, ma di trattamento dei rifiuti ai fini del recupero. Va, invece, accolta l’ulteriore doglianza della società, per cui i rifiuti che residuano dall’attività di trattamento da essa effettuata, costituiscono non già rifiuti urbani, ma rifiuti speciali e, dunque, fuoriescono dal divieto prima menzionato.
Quanto al primo profilo, il Collegio ritiene che sussistano ragioni sia logico-giuridiche, sia letterali, a supporto dell’opzione ermeneutica che estende il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale, ex art. 182, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente), all’attività eseguita nell’impianto di Albiano Magra. Sul punto, devono infatti essere interamente condivise le argomentazioni della difesa regionale, in base alle quali:
a) sul piano logico-sistematico, limitare il divieto de quo al solo “smaltimento” in senso stretto dei rifiuti urbani non pericolosi avrebbe l’effetto di depotenziare oltremisura la portata del principio di autosufficienza territoriale ex art. 182, comma 5, cit., perché consentirebbe di far circolare i rifiuti indifferenziati sul territorio nazionale, al fine del conferimento in un impianto di recupero ubicato in Regioni diverse da quelle di produzione dei rifiuti stessi, mettendo a rischio l’autosufficienza della Regione dove sono conferiti (ciò, pur quando tale Regione si sia adoperata per rispettare il principio di autosufficienza mediante una corretta pianificazione della gestione dei propri rifiuti attraverso la creazione od autorizzazione di impianti di smaltimento e recupero). Una simile scelta interpretativa, allora, finirebbe per disincentivare le Regioni dal realizzare impianti di recupero, in contrasto con la finalità dell’incentivazione dei processi di recupero dei rifiuti urbani e della riduzione al minimo dei processi di smaltimento;
b) sul piano letterale, come osservato anche dalla difesa della Provincia, l’estensione del divieto in discorso all’attività di trattamento svolta dalla ricorrente viene confermata dall’eccezione al divieto stesso sancita dal medesimo art. 182, comma 5, lì dove – al secondo periodo – esclude dal divieto le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinate al recupero (per le quali è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale). Se, infatti, l’attività di trattamento dei rifiuti al fine del loro recupero fosse già di per sé esclusa dal divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi di provenienza extraregionale, non sarebbe stato necessario prevedere l’eccezione appena riportata, la quale, pertanto, sarebbe superflua ed inutiliter data.
Donde l’infondatezza, per questo profilo, del motivo di ricorso ora esaminato, che comporta, altresì, l’infondatezza del terzo motivo formulato con l’atto introduttivo del giudizio, il quale a sua volta si basa sulla premessa – erronea, per quanto ora detto – che l’attività svolta nell’impianto gestito dalla società ricorrente, non essendo di “smaltimento” in senso stretto, sia per ciò solo sottratta al divieto di cui all’art. 182, comma 5, del Codice dell’Ambiente.
Va, invece, condiviso il profilo relativo all’illegittimità dell’assoggettamento al divieto ex art. 182, comma 5, cit. anche del residuo dei rifiuti derivante dall’attività di recupero eseguita nell’impianto di Albiano Magra, dovendosi ritenere, per le ragioni già esposte da questa Sezione nella sentenza n. 917/2011 del 18 maggio 2011, che si tratti non di rifiuti urbani, ma di rifiuti speciali, sottratti, come tali, al divieto in questione. Sul punto, non possono, infatti, condividersi le obiezioni avanzate dalle Amministrazioni resistenti.
Invero, secondo quanto si legge nella sentenza di questa Sezione n. 1026/2008 dell’11 aprile 2008, la Mauro Costa S.r.l. è stata autorizzata nel 2003 a realizzare un impianto di nuova concezione, con due linee per la selezione rifiuti e due linee per la produzione di CDR attraverso l’impiego di rifiuti solidi urbani ed assimilati (eccetto le frazioni derivanti dalla raccolta differenziata) corrispondenti a vari codici CER (tra cui il codice 200301): dalla relazione tecnica predisposta per questi impianti si ricava che dapprima il rifiuto conferito entra nella linea di selezione-triturazione, deferrizzazione e vagliatura (con un sistema a tamburo rotante), in cui si separa la parte secca da quella umida, e poi la parte secca è avviata, dopo altre fasi preparatorie, alla linea di produzione di CDR. La difesa della Regione sostiene, sulla base di alcuni pareri, tra cui il parere del Ministero dell’Ambiente di cui alla nota prot. n. 13254 dell’8 luglio 2009, che l’attività svolta dalla società (prima del recupero) sarebbe una semplice selezione meccanica dei rifiuti urbani, la quale non può essere assimilata ad un vero e proprio trattamento, né tantomeno potrebbe essere assimilata all’attività di recupero e smaltimento dei rifiuti stessi, distinguendosene sotto il profilo sia logico, sia industriale: per l’effetto, i residui di tale attività dovrebbero essere esclusi dalla nozione di rifiuti speciali ex art. 184 del d.lgs. n. 152 cit. per confluire, invece, nella nozione di rifiuti urbani, venendo assoggettati, come tali, al principio di autosufficienza territoriale ed al conseguente divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi di provenienza extraregionale. Identica conclusione è sostenuta, altresì, dalla difesa della Provincia di Massa Carrara.
Ritiene il Collegio che la tesi delle Amministrazioni resistenti, pur suggestiva, non colga nel segno, ad essa ostando considerazioni di ordine sia logico, sia letterale.
Sotto il profilo logico, c’è da dire che è lo stesso parere del Ministero dell’Ambiente dell’8 giugno 2009, richiamato dalla difesa della Regione (nonché dalla difesa della Provincia in sede di memoria di replica), a non confortare il ragionamento della P.A.. Infatti, in tale parere viene evidenziato che la fase di selezione meccanica dei rifiuti andrebbe distinta dalle fasi di smaltimento e recupero, in quanto prodromica e preliminare a queste ultime e “priva della continuità con le medesime attività necessaria per indurre ad una sua assimilazione piena con le stesse”. Detto discorso non può essere condiviso, in quanto esso sembra presupporre un’attività di selezione meccanica dei rifiuti isolata e fine a se stessa, non seguita da alcuna altra attività di recupero o smaltimento dei rifiuti, da eseguirsi nell’impianto in cui avviene la selezione stessa: il che è scarsamente verosimile in linea generale e, comunque, non è quanto si verifica nella vicenda per cui è causa, atteso che, come poc’anzi esposto, nell’impianto di Albiano Magra le fasi di selezione-triturazione, deferrizzazione e vagliatura (anche a configurarle come di mera selezione meccanica dei rifiuti) sono comunque strettamente finalizzate al successivo avvio della frazione secca alla produzione di CDR, cioè sono strumentali all’attività di recupero e strettamente connesse ad essa, cosicché è impossibile immaginare l’una senza ipotizzare nel contempo le altre. Donde la sussistenza di una necessaria continuità ontologica delle varie fasi in cui risulta suddiviso il processo industriale che si svolge nell’impianto gestito dalla ricorrente e l’artificiosità, almeno nel caso di specie, della pretesa delle Amministrazioni di distinguere tali fasi tra alcune, che sarebbero incluse in una sorta di “pretrattamento” dei rifiuti, ed altre che, esse sole, rientrerebbero nel vero e proprio trattamento: quasi che fosse possibile ipotizzare un trattamento dei rifiuti conferiti (ed in specie, della frazione secca) finalizzato alla produzione di CDR, prescindendo dalla prioritaria attività di separazione della medesima frazione secca da quella umida, e dando per assodato, comunque, che le fasi del cd. pretrattamento consistano in una mera attività di selezione meccanica, senza che, però, di tale circostanza sia stata fornita dalle P.A. interessate una compiuta dimostrazione.
Ma se così è – ed al Collegio non pare si possa pervenire a diversa conclusione sul punto – si deve, allora, concludere che i residui derivanti dall’attività di trattamento dei rifiuti finalizzato al recupero degli stessi, svolgentesi nell’impianto di Albiano Magra, abbiano natura di “rifiuti speciali” ex art. 184, comma 3, lett. g), del Codice dell’Ambiente, quali “rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti” e siano, perciò, esclusi dall’ambito applicativo del divieto di cui all’art. 182, comma 5, del Codice, che pacificamente non si estende ai rifiuti speciali.
Non convincono, sul punto, le obiezioni della Regione Toscana, secondo cui considerare i residui in questione quali rifiuti speciali avrebbe il nefasto effetto di aprire una breccia nel sistema di garanzie e tutele in tema di rifiuti urbani, imperniato sul principio dell’autosufficienza regionale in materia di smaltimento dei rifiuti stessi. Né è condivisibile l’asserzione che il suddetto principio patirebbe un vulnus tale da vanificare la pianificazione regionale del sistema di gestione dei rifiuti mediante degli appositi impianti di smaltimento e recupero, giacché l’autosufficienza non potrebbe essere garantita a fronte di un indiscriminato e non autorizzato transito di rifiuti provenienti da altre Regioni, e tutto il sistema si risolverebbe in una sorta di inganno, per il quale la mera selezione meccanica dei rifiuti urbani sarebbe sufficiente poi a trasportarli e smaltirli dovunque l’operatore reputi economicamente più vantaggioso. Ragionamenti simili, infatti, trascurano che le operazioni di selezione, triturazione, vagliatura dei rifiuti conferiti, effettuate nell’impianto della ricorrente, non sono fini a se stesse, ma (come già abbondantemente illustrato) strumentali e strettamente preordinate e connesse all’attività di produzione di CDR: esse, pertanto, sono ipotizzabili solo all’interno di un sistema – quale quello realizzato nell’impianto di Albiano Magra – già di per sé preordinato al recupero dei rifiuti urbani e per ciò stesso privo di qualunque finalità di elusione della normativa di settore. D’altronde, sarebbe assurdo ed antieconomico investire enormi capitali nella realizzazione di un sofisticato impianto di recupero dei rifiuti, al solo fine di poter beneficiare dei vantaggi connessi alla selezione meccanica degli stessi e non per attuare un ben più complesso processo produttivo, quale quello che si svolge nell’impianto per cui è causa.
In altre parole, diversamente da quanto affermato dalla difesa regionale, i residui dell’attività svolta nell’impianto della ricorrente in tanto costituiscono rifiuti speciali, in quanto, ai sensi del citato art. 184, comma 3, lett. g), del Codice dell’Ambiente, derivano dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, ossia, nel caso di specie, conseguono ad un processo che ha il suo necessario sbocco nella produzione di CDR. Nessun disincentivo alla realizzazione dei suddetti impianti di recupero potrà, dunque, derivare dalla configurazione di tali residui come rifiuti speciali: anzi, la sottrazione, che in tal modo ne consegue, al divieto ex art. 182, comma 5, cit., non potrà che valere come incentivo alla realizzazione degli impianti in discorso (anche per la minor spesa conseguente all’inesistenza di un obbligo di ricondurli nella Regione di originaria provenienza). Nessuna breccia od inganno è, allora, ipotizzabile, essendo poco verosimile l’approdo cui conducono le obiezioni delle Amministrazioni intimate (un impianto molto costoso realizzato, più che per produrre CDR, per eludere la normativa di settore).
Le conclusioni cui si è pervenuti sul piano logico trovano ulteriore conferma sul piano letterale, in quanto – come sottolineato dalla già citata sentenza di questo Tribunale n. 917 del 18 maggio 2011 – la natura di rifiuti speciali dei residui derivanti dall’attività di trattamento meccanico dei rifiuti si desume dallo stesso diritto positivo e precisamente dal medesimo d.lgs. n. 152/2006. In questa sede, mentre si rinvia per intero, anche per economia di giudizio ed in base all’art. 74, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 104/2010, alle argomentazioni contenute al riguardo nella sentenza n. 917 cit. (v. soprattutto il paragrafo 5.1, nonché i paragrafi 5.2 e 5.3 di tale decisione), preme sottolineare la non condivisibilità delle argomentazioni che la Regione e la Provincia pretendono di ricavare dalla sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I-ter, 31 maggio 2011, n. 4915.
È, innanzitutto, non condivisibile l’asserzione per cui nessuna norma classificherebbe come rifiuti speciali i rifiuti con il codice CER 19.12.12 (riguardante i rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19.12.11, che attiene agli stessi residui, ove contengano sostanze pericolose): in base all’allegato D alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, infatti, il codice 19 identifica in linea generale i rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, i quali – come si è già visto – ai sensi dell’art. 184, comma 3, lett. g), del predetto Codice dell’Ambiente, costituiscono rifiuti speciali: inutile è, dunque, l’insistenza sull’intervenuta abrogazione della lett. n) dello stesso art. 184, comma 3, e fuorviante è il corollario che la P.A. pretende di ricavare da detta abrogazione (l’inserimento in via residuale dei residui in esame tra i rifiuti urbani).
In secondo luogo, va evidenziato l’errore in cui incorrono le Amministrazioni, lì dove pretendono di togliere efficacia alle classificazioni dei rifiuti contenute nei codici CER, sostenendo che, al fine di qualificare in concreto i rifiuti, debba aversi esclusivo riguardo alla normativa contenuta nel Codice dell’Ambiente e, in specie, all’art. 184, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152/2006. Ma, a parte il fatto che anche i codici CER sono contenuti nel d.lgs. n. 152/2006 e, precisamente, nell’allegato D alla Parte IV del decreto legislativo (oltre che, ovviamente, nella normativa comunitaria), rimane il fatto che è proprio l’art. 184, comma 3, lett. g), del Codice – ove letto da solo e, a fortiori, se letto in combinato disposto con i surriferiti codici CER – a far includere i residui dell’attività svolta nell’impianto della società ricorrente tra i rifiuti speciali: tanto è vero che, per ovviare a tale ostacolo, la P.A. è costretta a quell’artificiosa scomposizione della suddetta attività, più sopra ampiamente criticata.
Da ultimo, occorre sottolineare come sia proprio l’argomentazione letterale utilizzata dalle difese di Regione e Provincia a supporto dell’inclusione dell’attività di recupero dei rifiuti svolta dalla Mauro Costa S.r.l. nel divieto di cui all’art. 182, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 – argomentazione che si è sopra visto essere condivisa dal Collegio – a condurre, per questo ulteriore e distinto profilo, ad una conclusione, stavolta, di segno opposto (e cioè favorevole alla ricorrente).
Ed invero, sia la Regione Toscana che la Provincia di Massa Carrara hanno rimarcato come l’unica deroga al divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi di provenienza extraregionale sia quella relativa alle frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinate al recupero, in quanto in questo caso vi è una previsione derogatoria espressa, rinvenibile nel medesimo comma 5 dell’art. 182 cit.: orbene, a fronte di un’indicazione quale quella ricavabile dal codice CER 19.12.12 e dall’art. 184, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 152/2006, non vi è nessuna previsione, nell’elenco dei rifiuti urbani ex art. 184, comma 2, cit., che consenta di inserire in detto elenco i residui derivati dal trattamento meccanico dei rifiuti. Più in generale – anche considerato che nell’allegato D alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006 i rifiuti urbani sono individuati con il codice CER 20 e non con il 19 – non sembra rinvenibile, nel d.lgs. n. 152 cit., una previsione normativa espressa, che qualifichi i residui in questione quali rifiuti urbani: previsione normativa espressa che, invece, sarebbe indispensabile, trattandosi di deroga all’art. 184, comma 3, lett. g), cit. (cfr., ex plurimis, T.A.R. Liguria, Sez. I, 27 gennaio 2005, n. 113).
Come sopra accennato, vi è sostanziale identità di contenuto tra il motivo ora analizzato (il secondo del ricorso originario) ed il primo ed il secondo dei motivi aggiunti. Ne deriva che la fondatezza in parte qua, nei termini poc’anzi illustrati, di detto motivo comporta la parziale fondatezza, altresì, del primo motivo aggiunto (il quale, perciò, va anch’esso parzialmente accolto) e l’integrale fondatezza del secondo motivo aggiunto, con conseguente annullamento in parte qua degli atti impugnati con i suddetti motivi aggiunti (come meglio si illustrerà infra).
Quanto all’ultimo motivo del ricorso originario, peraltro formulato in via subordinata dalla società, esso è palesemente inammissibile, perché rivolto, in buona sostanza, a censurare l’atteggiamento di inerzia che caratterizzerebbe le Amministrazioni coinvolte nel procedimento di stipula degli accordi interregionali previsti dal citato art. 182, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006: si tratta, pertanto, di una censura che certamente non può essere introdotta attraverso un giudizio di tipo impugnatorio, quale quello instaurato con il gravame in epigrafe.
Inammissibile è, infine, il terzo ed ultimo dei motivi aggiunti, in quanto volto a riproporre, a carico degli atti già gravati con il ricorso originario, le censure contenute nei precedenti motivi aggiunti (i primi due): ma, come si è poc’anzi visto, si tratta di censure che già erano state avanzate avverso gli atti impugnati con il ricorso originario, essendo contenute nel secondo motivo di questo.
In definitiva, sia il ricorso originario, sia quello per motivi aggiunti sono parzialmente fondati, nei termini più sopra esposti, attesa la parziale fondatezza del secondo motivo del ricorso originario e del primo motivo aggiunto, nonché l’integrale fondatezza del secondo motivo aggiunto, e debbono, perciò, essere parzialmente accolti. Per conseguenza, debbono essere annullati:
a) la diffida gravata con l’atto introduttivo del giudizio, nella misura in cui il divieto (ivi contenuto) di trattare rifiuti di provenienza extraregionale si intenda come relativo anche ai residui dell’attività di selezione meccanica dei rifiuti (svolta nell’impianto di Albiano Magra) e questi vengano, perciò, intesi come rifiuti urbani;
b) gli atti impugnati con i motivi aggiunti ed in particolare l’art. 3 dell’accordo stipulato in data 26 ottobre 2009 tra la Regione Toscana e la Regione Liguria, lì dove si impone che i residui derivanti dall’attività di trattamento dei rifiuti urbani provenienti dalla Provincia di La Spezia ritornino nella Regione Liguria (in specie, nell’impianto di Scarpino), trattandosi di prescrizione la quale sottende la qualificazione dei suddetti residui come rifiuti urbani e, perciò, il loro assoggettamento al divieto di cui al precedente punto a).
Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese, in ragione della complessità delle questioni trattate e, comunque, della reciproca soccombenza delle parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così definitivamente pronunciando sul ricorso originario e su quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione, annullando parzialmente gli atti con essi gravati, nei termini parimenti specificati in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2011, con l’intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Ivo Correale, Primo Referendario
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/01/2012