TAR Campania (NA) Sez Vii n. 4041 del 18 giugno 2018
Sviluppo sostenibile.Impianti eolici e limiti all'installazione
Se è vero che gli impianti eolici possono essere realizzati solo in determinate zone, è altrettanto vero che il territorio è una risorsa limitata e non riproducibile: sicché, se in tali zone è già stato realizzato un considerevole numero di impianti, non può essere ritenuto irragionevole un divieto di ulteriori istallazioni.
Pubblicato il 18/06/2018
N. 04041/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03264/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3264 del 2017, proposto da
Orto Sole s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gian Luca Lemmo, con domicilio digitale come da pec in atti;
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Beatrice Dell'Isola, con domicilio digitale come da pec nei Registri di Giustizia;
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, con domicilio digitale come da pec nei Registri di Giustizia;
Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento, Comune di Colle Sannita non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
a) della nota prot. n. 381785 del 30.05.2017 della Regione Campania, Direzione
Generale 02 Sviluppo Economico e Attività Produttive, UOD 03 con cui
l'Amministrazione, per effetto delle DGR 533/2016 e 532/2016 (con le quali la
Regione Campania ha individuato rispettivamente, nella prima, le aree non idonee alla realizzazione degli impianti eolici con potenza superiore a 20 kW e, nella seconda, gli indirizzi per la valutazione degli impatti cumulativi degli impianti eolici con potenza superiore a 20 kW), riapriva la Conferenza già conclusasi con esito positivo in data 24.03.2016, convocando una nuova riunione al 20.06.2017 e richiedendo: ulteriori integrazioni progettuali, un nuovo parere di valutazione ambientale e ciò al fine di esprimere nuovo parere conclusivo;
b) della nota MIBACT Prot. 8733 del 20/06/2017 con la quale, la Soprintendenza
Archeologia, Belle Arti e Paesaggio Caserta (oggi unificata), nonostante i pareri favorevoli già espressi della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento, prot 4580 del 03.08.2015 e Prot. 1259 del 01.02.2016 e della Soprintendenza Archeologia della Campania Prot. 284 dell'11.01.2016, acquisite nell'ambito della conferenza dei servizi, chiedeva integrazioni di elaborati progettuali (tra l'altro, già in proprio possesso) e la valutazione degli impatti cumulativi redatta ai sensi della DGR 532/2016;
c) del verbale del 20.06.2017, trasmesso con nota Prot. 439335 del 26.06.2017 della Regione Campania, Direzione Generale 02 Sviluppo Economico e Attività Produttive, UOD 03, di esito della Conferenza di Servizi convocata nell'ambito del procedimento di autorizzazione ex art.12 D.Lgs.n.387/2003 per la realizzazione di un impianto eolico di 0,059 MW nel Comune di Colle Sannita (Bn), Fg.34, p.lla 328, (impianto denominato Col.6) con cui il Responsabile del procedimento chiudeva con esito negativo la Conferenza già conclusasi positivamente (come da verbale prot.n.216761 del 30.03.2016 );
d) delle Delibere Giunta Regione Campania n. 532/2016, 533/2016 e del successivo Decreto Dirigenziale della Direzione Generale Sviluppo Economico e le Attività Produttive - UOD Energia e carburanti n. 442 del 05.12.2016, nella parte in cui ledono gli interessi della ricorrente e aggravano l'iter autorizzativo relativo alla conferenza dei servizi già conclusa con esito positivo.
e) di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2018 la dott.ssa Cesira Casalanguida e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 28.7.2017 e depositato l’1.8.2017, la società Orto Sole ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, relativi al procedimento di autorizzazione ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 - avviato a seguito della presentazione di istanza del 22.7.2015 -, avente ad oggetto la realizzazione di un impianto eolico di 59,99 KW nel Comune di Colle Sannita (Bn), nell’area distinta al catasto al fg. 34, p.lla 328, impianto denominato Col. 6.
Espone la ricorrente che:
- la Regione, in data 14.12.2015, dopo il decorso del termine massimo per la conclusione del procedimento unico che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 14 ter, comma 3, L. n. 241/1990 s.s.m.m.i.i. ed art 12, comma 4 del D.Lgs. 387/2003 e s.ss.mm.ii., non poteva essere superiore a novanta giorni, ha convocato la conferenza di servizi per la seduta del 14.1.2016;
- l’impianto in questione è escluso dalla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA;
- il sito interessato dal progetto non è assoggettato a vincoli paesaggistici e non è interessato da procedura di tutela ai sensi del D.Lgs. 42/2004 come confermato dalle Autorità competenti. Riferisce a riguardo di aver chiesto alla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio e a quella Archeologica, con nota del 17.7.2017, la verifica della sussistenza di procedimenti di tutela ovvero di procedure di accertamento della sussistenza di beni archeologici in itinere sulle aree oggetto di intervento, inviando con raccomandata del 16.9.2015 gli elaborati amministrativi – regionali. La Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio ha espresso l’assenso con nota del 15.1.2015 e la Soprintendenza Archeologica ha espresso parere favorevole con nota dell’11.1.2016, confermato con successiva nota del 22.3.2016;
- la conferenza di servizi si è conclusa, in ritardo sia per la convocazione dopo i termini massimi sia a causa dell’aggiornamento della prima seduta per la richiesta di acquisizione di ulteriori pareri (ritenuti non dovuti dall’esponente), con esito positivo come da verbale prot. n. 216761 del 30.3.2016;
- la Regione Campania, solo dopo la presentazione di ricorso ex art. 117 c.p.a. di cui al r.g. 1426/2017, invece di adottare il provvedimento conclusivo di rilascio dell’autorizzazione unica, con la nota prot. n. 381785 del 30.5.2017, per effetto delle D.G.R. 533/2016 e 532/2016, ha riaperto la conferenza di servizi, conclusa con esito positivo in data 24.3.2016, richiedendo ulteriori integrazioni progettuali e un ulteriore parere di valutazione ambientale, al fine di esprimere un nuovo parere conclusivo;
- all’esito della riunione del 20.6.2017, la conferenza di servizi si è chiusa con esito negativo.
2. - Avverso tale determinazione conclusiva la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della Costituzione, della legge e l’eccesso di potere sotto vari profili.
2.1. - Lamenta, in particolare, il difetto di motivazione e l’inesistenza dei presupposti, per avere la Regione disatteso le posizioni in precedenza espresse dalle amministrazioni coinvolte nel procedimento, limitandosi a chiudere con esito negativo la conferenza di servizi, in conformità a quanto previsto dalla D.G.R. n. 533/2016.
Sostiene l’inapplicabilità della delibera richiamata, oltre che della L. R. n. 6/2016, di cui la D.G.R. 533/2016 costituisce attuazione, per decorso dei termini di legge. Richiama l’ordinanza di questo T.A.R. n. 1773/2017 con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali. In ogni caso assume la inapplicabilità delle suddette al caso in esame, essendosi conclusa la conferenza di servizi positivamente in data antecedente.
2.2. - Contesta alla Regione di aver agito in spregio al principio di non aggravamento del procedimento, nonché in violazione dell’obbligo di provvedere, dei principi di semplificazione dell’azione amministrativa, di irretroattività, del tempus regit actum, di proporzionalità e di non discriminazione. Lamenta la lesione del legittimo affidamento ingenerato dall’esito positivo della conferenza del 24.3.2016.
3. - Ritiene che la nota di riconvocazione della conferenza di servizi sia affetta anche dai vizi di illegittimità derivata da quella delle Delibere G.R. n. 532 e 533 e del Decreto dirigenziale n. 442/2016, anche per la dubbia costituzionalità delle relative disposizioni, come già emersa nel ricorso di cui al rg. 341/2017.
Censura gli atti regionali per aver interferito con la normativa in materia di ambiente di competenza statale, ponendosi i primi in contrasto con le previsioni del D.lgs. 152/2006 e del D.M. 52/2015, D.M. 10.9.2010, D.L.gs. 42/2004 e DPCM 12.12.2015.
3.1. - Ritiene, in particolare, la D.G.R. 532/2016 affetta da vizi, per aver introdotto nuovi e diversi limiti, inerenti la valutazione degli impatti cumulativi, rispetto a quelli in precedenza necessari e per aver esteso indiscriminatamente il campo di applicazione della delibera regionale a tutti gli impianti eolici superiori a 20 kW. Lamenta il conseguente aggravio procedimentale e il contrasto con la normativa statale. Evidenzia la lacunosità di talune previsioni, come quelle che non chiariscono il soggetto preposto alla valutazione degli impatti, nell’ipotesi in cui non siano richieste le valutazioni ambientali (VIA, VAS).
3.2. - Contesta, inoltre, la D.G.R. 533/2016 per aver definito le aree non idonee sulla base di due parametri, tra cui il primo relativo alla concentrazione degli impianti eolici, delineando interi territori comunali come non idonei, definendoli “Comuni saturi” in considerazione della concentrazione degli impianti eolici basato su di un calcolo del carattere insediativo medio comunale (che superi di 5 volte quello insediativo medio regionale).
3.3. - Contesta, altresì, il Decreto dirigenziale n. 442/2016 che, in esecuzione della DGR 533/2016 ha determinato, all’allegato 1, il carico insediativo regionale comunale (come definito dalla suddetta DGR) e, all’allegato 2, i relativi Comuni saturi. Lamenta anche l’aggravamento del procedimento autorizzatorio derivante dalle previsioni relative alla fasce di rispetto e dalle ulteriori limitazioni nella realizzazione degli impianti riferite ad aree non ricomprese in quelle di tutela. Sostiene, altresì, la illegittimità dell’introduzione della previsione del termine di scadenza dell’autorizzazione e di misure compensative a favore degli enti locali, di natura meramente economica.
3.4. - Ritiene che la cd. moratoria regionale, oltre a presentare profili di incostituzionalità, sia illegittima, avendo introdotto una (illegittima) sospensione dei procedimenti amministrativi non conclusi alla data di entrata in vigore della disposizione di cui alla L.R. 6/2016.
4. - Formula istanza risarcitoria per il danno cagionato dall’ingiustificato ritardo e dall’illegittimo diniego, che si traduce nella impossibilità di realizzare l’impianto progettato e di accedere agli incentivi riconosciuti. Come lucro cessante chiede i mancati introiti della produzione totale dell’impianto, quantificati in circa € 61.000 annui, per un totale complessivo per il ventennio pari ad € 1.220.000 e a titolo di danno emergente, le spese sostenute per l’acquisizione dei suoli, per gli oneri istruttori e gli incarichi professionali conferiti, quantificate in circa € 130.000.
5. - Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali si è costituito in giudizio il 10.8.2017.
6. - La Regione Campania si è costituita il 31.10.2017 e in data 16.1.2018 ha depositato una relazione sui fatti oggetto di controversia e in replica ai motivi di ricorso.
7. - La ricorrente in data 4.5.2018 ha depositato memoria di replica, con cui ha ribadito le pretese poste a fondamento del ricorso e la domanda risarcitoria per la mancata conclusione del procedimento nei termini di legge.
8. - Alla pubblica udienza del 5.6.2018, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
9. - Sono infondate le censure con cui la ricorrente sostiene che la Regione non avrebbe il potere di riconvocare la conferenza di servizi.
La questione posta è l’applicabilità dei sopravvenuti criteri restrittivi elaborati dalla Regione per l'istallazione degli impianti eolici anche alle imprese che - prima dell'adozione dei predetti criteri - avevano già ottenuto l'esito favorevole della conferenza di servizi o, comunque, avevano già conseguito l’espletamento dell’istruttoria con esito favorevole, anche se non avevano ancora ottenuto l’autorizzazione unica di cui all’art. 12 d.lgs. 387/2003.
9.1. - Secondo l’impresa ricorrente, ove la conferenza di servizi (ovvero l’istruttoria altrimenti espletata) abbia avuto esito favorevole, la Regione non può che prenderne atto e rilasciare l'autorizzazione, trattandosi, in sostanza, di un "atto dovuto". Da qui le doglianze con cui Orto Sole s.r.l. lamenta la violazione del principio di non aggravamento del procedimento, nonché dell’obbligo di provvedere, dei principi di semplificazione dell’azione amministrativa, di irretroattività, del tempus regit actum, di proporzionalità e di non discriminazione, oltre alla lesione del legittimo affidamento ingenerato dall’esito positivo della conferenza di servizi del 24.3.2016.
9.2. - La tesi non può essere condivisa.
Come già affermato da questa Sezione (sent. 3630/2018 e sent. 6075/2017), “Poiché l'autorità procedente deve sì tener conto degli esiti della conferenza di servizi, ma non deve limitarsi a prenderne atto ed a recepirli senza poter effettuare una propria autonoma valutazione degli interessi pubblici, il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 per la realizzazione di impianti eolici – anche in caso di esito favorevole della conferenza di servizi – non può essere considerato come un atto vincolato e, dunque, legittimamente la Regione, quando l'autorizzazione non è stata ancora rilasciata, pretende il rispetto dei nuovi criteri nelle more approvati”.
E’ stato anche osservato che il ritardo con cui la Regione Campania ha definito il provvedimento non può implicare l’applicazione ultrattiva di un regime regolamentare ormai novellato: “la legittimità del provvedimento amministrativo deve essere valutata sulla base delle norme di legge e regolamento vigenti al momento della sua emanazione - secondo il noto brocardo tempus regit actum - e non può invece essere ricavata da comportamenti anteriori dell'Amministrazione” (sent. 398/2018).
In altre parole, questa Sezione ha già ritenuto legittimo che la Regione, successivamente all’adozione delle delibere nn. 532 e 533 del 2016, pretenda di applicarne le disposizioni ai procedimenti non ancora conclusi col rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
10. - Né si può sostenere che la pretesa di riconvocare la conferenza di servizi sia illegittima perché le delibere G.R. nn. 532 e 533 del 2016 sarebbero, a loro volta, radicalmente illegittime e dunque da annullare nella loro interezza.
10.1. - Quanto alla presunta interferenza degli atti regionali con la normativa di ambiente di competenza statale, dedotta nel ricorso introduttivo da parte ricorrente ed ulteriormente ribadita nella memoria del 4.5.2018, giova richiamare le disposizioni vigenti in materia.
L' art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) disciplina il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. I commi 3 e 4 del suddetto art. 12 prevedono che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o dalle Province delegate dalla Regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tal fine è prevista la convocazione della conferenza di servizi da parte della Regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione. Quest’ultima è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
Il comma 10 del medesimo art. 12 dispone che le linee guida devono essere approvate in Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive (oggi Ministro per lo sviluppo economico), di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali. L'obiettivo delle linee guida, espressamente indicato, è quello di assicurare un corretto inserimento degli impianti, specie di quelli eolici, nel paesaggio.
La normativa statale (art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003) consente alle Regioni un limitato margine di intervento, al solo fine di individuare «aree e siti non idonei all'installazione di specifiche tipologie di impianti», in attuazione delle predette linee guida.
Queste ultime sono state adottate con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, emanato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). Nella Parte I, Disposizioni generali, le suddette linee guida stabiliscono che le Regioni possono porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili, esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17. Tale paragrafo indica i criteri e i principi che le Regioni devono rispettare al fine di individuare le zone nelle quali non è possibile realizzare gli impianti alimentati da fonti di energia alternativa. Le Regioni possono procedere alla individuazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al suddetto punto e sulla base dei criteri di cui all'allegato 3. L'allegato 3 prevede, poi, che l'individuazione delle aree e dei siti non idonei alla realizzazione degli impianti in questione «deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto» e che non può riguardare «porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né tradursi nell'identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela».
10.2. - Tutto ciò premesso, la sezione si è già pronunciata sulla legittimità del criterio elaborato dalla Regione – e contestato dalla parte ricorrente – secondo cui “Non sono idonee all’installazione di nuovi impianti eolici le aree situate in Comuni il cui «carico insediativo medio comunale» supera di 5 volte il «carico insediativo medio regionale». Per «carico insediativo medio regionale» s’intende il rapporto tra la potenza complessivamente installata e la superficie complessiva del territorio regionale; viene, invece, definito «carico insediativo medio comunale» il rapporto tra la potenza complessivamente installata e la superficie complessiva del territorio comunale”.
Come osservato in precedenti pronunce (sent. 4878/2017) “la giurisprudenza della Corte costituzionale ha precisato che “in materia di localizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, alle Regioni è consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti” (C. Cost. n. 13/2014). In tale sentenza, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il criterio della distanza minima di 800 metri dall'aerogeneratore più vicino preesistente o già autorizzato, previsto dalla legge della Regione Campania n. 11/2011 (art. 1 comma 2) perché “il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare «le aree e i siti non idonei» alla installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile ai sensi dell' art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e del paragrafo 17 delle linee guida, non permette in alcun modo che le Regioni prescrivano limiti generali, valevoli sull'intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell'Unione europea.” (così, ancora, Corte Cost. n. 13/2014).
Nel caso di specie, tuttavia, la Regione non ha adottato il criterio della distanza; e neppure ha prescritto “limiti generali, valevoli sull'intero territorio regionale”: il criterio elaborato dalla Regione appare piuttosto finalizzato ad evitare un’eccessiva concentrazione di impianti in talune aree, ed il criterio in questione serve per l’appunto ad individuare le aree da ritenersi tali.
A ciò si aggiunga che, in base alle linee guida, le Regioni possono – nell’individuazione di aree e siti non idonei all’istallazione degli impianti in questione – “tenere conto sia di elevate concentrazioni di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili nella medesima area vasta prescelta per la localizzazione, sia delle interazioni con altri progetti, piani e programmi posti in essere o in progetto nell'ambito della medesima area” (così la lett. e) dell’Allegato 3 sopra ricordato)”.
Dunque, il criterio contestato non appare illegittimo: contrariamente a quanto affermato dalla parte ricorrente, non risulta in contrasto né con la giurisprudenza della Consulta, né con le linee guida ministeriali. Il criterio, infatti, non comporta un divieto indiscriminato di installazione che riguarda l’intero territorio regionale o porzioni significative dello stesso; non riguarda zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né si traduce nell'identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela (lett. d) dell’Allegato 3). Il criterio riguarda inoltre, specificamente, l’installazione di impianti eolici con potenza superiore a 20 kW; sicché non può sostenersi che non vi sia stata una differenziazione “con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto” (così la lett. b) dell’Allegato 3). Infine, risponde ad un’esigenza ritenuta meritevole di tutela dalle stesse linee guida, atteso che la Regione ha inteso evitare «eccessive concentrazioni in alcuni ambiti territoriali e relativo effetto “selva”»: ciò che appare conforme alla già ricordata lett. d) dell’Allegato 3.
Ne consegue che se è vero che gli impianti eolici possono essere realizzati solo in determinate zone, è altrettanto vero che il territorio è una risorsa limitata e non riproducibile: sicché, se in tali zone è già stato realizzato un considerevole numero di impianti, non può essere ritenuto irragionevole un divieto di ulteriori istallazioni.
Dunque, il criterio non può dirsi, in astratto, illegittimo. Questione diversa è se esso risulti in concreto eccessivo, irragionevole o sproporzionato. Ricorrendo tale ultima ipotesi, la Regione non potrebbe vietare l’istallazione dell’impianto appellandosi all’esistenza del criterio in parola. Ma, per l’appunto, la società ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la sproporzionalità o irragionevolezza del criterio in concreto: in particolare, si sarebbe dovuto dimostrare che il criterio in questione comporta l’impossibilità di istallare tali impianti in porzioni troppo ampie del territorio regionale, ovvero che nell’area in questione non c’è una eccessiva concentrazione di impianti, ben potendo essere istallato un impianto ulteriore senza che si determini il cd. “effetto selva”.
Tale prova, tuttavia, non solo non è stata fornita, ma depone in senso dirimente al superamento della censura, oltre ai pur plausibili profili di inammissibilità per carenza di interesse, la considerazione per cui, nel caso in esame, il Comune di Colle Sannita non è inserito tra i comuni saturi, come evidenziato dalla Regione nella relazione del 14.11.2017, depositata in atti il 16.01.2018.
Le censure che concernono le delibere impugnate sono, pertanto, infondate per le ragioni sopra evidenziate, mentre le restanti sono inammissibili per carenza d’interesse, laddove parte ricorrente si sia limitata a sostenere la loro illegittimità, senza dimostrare in concreto quale delle previsioni - e in che modo - abbia inciso negativamente sulla pretesa di parte ricorrente.
11 - Debbono essere superate anche le censure rivolte alla cd. moratoria regionale, che secondo la tesi parte ricorrente avrebbe introdotto una illegittima sospensione dei procedimenti amministrativi non conclusi alla data di entrata in vigore della disposizione, di cui alla L.R. 6/2016, con profili di dubbia costituzionalità.
Come già chiarito dalla Sezione nelle pronunce citate (da ultimo sent. 3630/2018 cit.) “Quanto alla violazione del termine di 180 giorni entro il quale le delibere avrebbero dovuto essere adottate, anche tale censura è infondata. La norma infatti non qualifica in alcun modo il termine in questione come perentorio, né prevede decadenze per il caso in cui non fosse stato rispettato. Come stabilito in giurisprudenza, “Il mancato esercizio delle attribuzioni da parte dell'amministrazione entro il termine previsto per la fine del procedimento non comporta ex se, in difetto di espressa previsione, la decadenza del potere. Pertanto, in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando cioè la perdita della possibilità di azione da parte dell'amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio od ordinatorio ed il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto, ma una semplice irregolarità non viziante, poiché non esaurisce il potere dell'amministrazione di provvedere” (così T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 04-01-2018, n. 22). Né la perentorietà del termine può farsi discendere dal fatto che, altrimenti, la norma sarebbe incostituzionale perché consentirebbe alla Regione Campania di prolungare la moratoria sine die: una conseguenza grave come la consunzione del potere in capo all’Amministrazione non può, in presenza di un principio generale di segno contrario, essere ricavata in via meramente interpretativa. Del resto, il pericolo paventato dalla parte ricorrente (il prolungamento sine die della moratoria) è scongiurato dall’adozione delle delibere nn. 532 e 533 del 2016, che hanno fatto venir meno la causa della sospensione: sicché una eventuale questione di legittimità costituzionale, sotto tale profilo, dell’art. 15 l. reg. n. 6/2016 sarebbe irrilevante”.
12. – Le censure relative alla violazione del principio di proporzionalità e di non discriminazione come specificate dalla società ricorrente nella memoria del 4.5.2018, nella quale (pag. 4) si duole del diniego che sarebbe genericamente fondato sul mancato rispetto della D.G.R. n. 533/2016 e relativo allegato e su quanto dichiarato dalla medesima istante nella scheda “A” depositata nella 3° c.d.s. si rivelano inconferenti, attesa l’assenza di qualunque elemento di riscontro nel verbale di chiusura della conferenza di servizi del 20.6.2017, nel quale il responsabile del procedimento si limita a prendere atto di quanto dichiarato dal proponente nella Scheda A , senza alcun rilievo specifico circa i profili evidenziati dalla ricorrente.
Come riferito nella memoria, infatti, nella scheda “A” la società ha dichiarato che “l’impianto ricade:
1) aree caratterizzate da rischio e/o pericolosità idrogeologico e/o idraulico;
2) aree sottoposte a limitazioni dalla D.G.R. 533/2016 in relazione alla minima distanza di ciascun aerogeneratore da unità abitative”.
Con riferimento ad entrambi i punti la ricorrente contesta alla Regione presunte argomentazioni fondanti l’esito negativo della conferenza.
12.1. - Tuttavia, con riferimento al rischio e/o pericolosità idrogeologico e/o idraulico nulla si desume dal verbale conclusivo della conferenza di servizi sulla natura del divieto e sulle valutazioni circa il mancato parere espresso da parte dell’autorità di Bacino.
Dal resoconto della riunione del 20.06.2017 si evince solo che l’Autorità di Bacino Fiume, Trigno, Biferni e minori, Saccione e Fortore, seppure elencata tra le amministrazioni convocate, non ha partecipato alle sedute, né ha inviato parere espresso.
12.2. – Analogamente per quanto concerne la questione del rispetto delle distanze dalla unità abitative, nulla si desume dal verbale circa i parametri di cui alla Tabella 4 dell’allegato alla D.G.R. 533/2016, volti alla determinazione della istanza minima, tanto che anche in questo caso non si comprende come possano aver inciso sull’esito della conferenza di servizi contestato.
12.3. - Ciò che emerge dal verbale avversato, nel capoverso precedente alla chiusura con esito negativo della conferenza di servizi, è piuttosto riferito ad una diversa questione, ossia che “l’altezza max dell’aerogeneratore risulta essere pari a 65 mt e che l’ubicazione dello stesso risulta ad una distanza di circa Km 6,2, in linea d’rea dal Comune di Riccia (CB) – Regione Molise”, che non è stato invitato alla conferenza di servizi.
Su tale profilo nessuna censura è stata articolata dalla ricorrente.
13. - Da ultimo, contribuisce a rendere ulteriormente prive di fondamento le doglianze della ricorrente, il rilievo per cui nel caso in esame, non risulta ancora adottato il provvedimento finale che definisca l’istanza, accogliendola o rigettandola (specificando, in quest’ultimo caso, i motivi per cui la stessa viene respinta).
L’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – norma speciale rispetto alla disciplina generale di cui all’art. 14 quater l. n. 241/1990 – esige infatti, dopo la conclusione della conferenza di servizi, l’atto di autorizzazione unica; sicché – come precisato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato – per quanto riguarda lo specifico procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica, l'istituto della conferenza di servizi resta “caratterizzato da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della Conferenza (anche se di tipo decisorio), di valenza endoprocedimentale, e in una successiva fase che si conclude con l'adozione del provvedimento finale, di valenza esoprocedimentale effettivamente determinativa della fattispecie” (così Cons. Stato, Sez. VI, n. 712/2011).
Esula, tuttavia, dall’oggetto del ricorso ogni questione relativa alla mancata adozione del provvedimento finale e all’inerzia dell’amministrazione, anche con riferimento alla necessità di ulteriore istruttoria sulla questione delle aree contermini, non avendo in proposito la ricorrente articolato alcuna censura.
14. – Deve, infine, essere respinta la domanda risarcitoria in quanto infondata.
Parte ricorrente chiede, infatti, il risarcimento del danno da ritardo, sostenendo che la mancata conclusione del procedimento “si traduce in un danno per la società ricorrente che si vede preclusa la possibilità di realizzare i relativi impianti e di accedere agli incentivi riconosciuti alle fonti rinnovabili dal DM 23.06.2016” (pag. 44 del ricorso introduttivo).
Infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, condiviso dalla Sezione: "Il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse " (così Cons. Stato, Sez. IV, n. 3068/2017; nello stesso senso anche T.A.R. Sicilia Catania Sez. IV, 01-06-2017, n. 1281; T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 12-06-2017, n. 1054). Dunque, il mero ritardo nell’adozione del provvedimento non giustifica, di per sé, il riconoscimento di un danno risarcibile.
Né, nel caso di specie, la parte ricorrente ha dimostrato di aver subito danni diversi ed ulteriori rispetto al mero ritardo nella definizione delle sue istanze.
Occorre rilevare in proposito come parte ricorrente non abbia fornito neanche un principio di prova sull’entità dei danni asseritamente subiti (ad es., non è stata prodotta una perizia di parte, né altra documentazione che possa, si ribadisce, costituire almeno un principio di prova del danno che si pretende di aver subito).
15. – Per tutto quanto esposto il ricorso deve essere respinto.
16. - Sussistono giusti motivi, attese la complessità e la novità della questione, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Rosalia Maria Rita Messina, Presidente
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Consigliere
Cesira Casalanguida, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Cesira Casalanguida Rosalia Maria Rita Messina