Sez. 3, Sentenza n. 37992 del 03/06/2004 Cc. (dep. 27/09/2004 ) Rv. 229601
Presidente: Dell'Anno P. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato:
Mando'. P.M. Ciampoli L. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Grosseto, 10 Febbraio 2004)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Manufatto con carattere precario - Requisiti - Individuazione.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
In materia edilizia, la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell'opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non risultando peraltro sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente - del 03/06/2004
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 734
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 10864/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MANDÒ Mara, n. a Bagno di Ripoli (FI), il 4.5.1948;
avverso l'ordinanza 10.2.2004 del Tribunale per il riesame di Grosseto;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. CIAMPOLI Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore, Avv.to Massimo CECIARINI, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 10.2.2004 il Tribunale di Grosseto rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Mandò Mara avverso il provvedimento 1.12.2003 con cui il G.I.P. di quello stesso Tribunale - in relazione agli ipotizzati reati di cui agli artt. 20, lett. c), della legge n. 47/1985 e 163 del D.Lgs. n. 490/1999 - aveva disposto il sequestro preventivo di una casa in legno (mq. 8,62 x 8,10), in corso di costruzione, su platea in cemento, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la Mandò, la quale ha eccepito:
- la tardività della notifica del provvedimento di sequestro e dell'informazione di garanzia, che aveva determinato l'impossibilità di presenziare con difensore di fiducia all'esecuzione della misura di cautela reale e di svolgere tempestiva attività difensiva;
- la sottrazione dell'intervento realizzato al regime del permesso di costruire, poiché si tratterebbe di manufatto destinato a soddisfare esigenze meramente temporanee, "da adibire ad uffici a servizio del futuro cantiere relativo alla ristrutturazione e parziale ricostruzione del podere Monte Cima".
Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato. 1. Vanno ribaditi, anzitutto, i principi secondo i quali:
- per l'adozione del sequestro preventivo non è necessario che sussistano indizi di colpevolezza nei confronti di una determinata persona, ma è sufficiente che esistano elementi tali da far configurare l'esistenza di un reato e ritenere la relazione necessaria fra la cosa oggetto del sequestro ed il reato stesso, relazione che non ha bisogno di dimostrazione allorché il sequestro cade sul "corpo di reato", vale a dire sulle cose con le quali o mediante le quali esso è stato commesso o che ne costituiscono il prodotto;
- la notifica del provvedimento che dispone il sequestro preventivo è destinata solo a consentirne l'impugnazione. Ne consegue che il ritardo della notifica stessa, e quindi della conoscenza del provvedimento, ha solo l'effetto di ritardare la decorrenza del termine di impugnazione per l'interessato, ma non da luogo a nullità, perché non ne pregiudica l'intervento, l'assistenza o la rappresentanza (vedi Cass., Sez. 5^, 11.11.1997, n. 5002, Paolillo). Nella fattispecie, al momento del sequestro legittimamente si procedeva contro ignoti, perché non era certa la individuazione del legale rappresentante della società proprietaria del manufatto, accertata solo successivamente all'esecuzione della misura. 2. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte Suprema, con le specificazioni indicate dalle Sezioni Unite con la sentenza 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzarle una "piena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale.
Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meritum causae", così da determinare una non-consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.
L'accertamento della sussistenza de fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità - di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale del riesame, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.
3. Nella fattispecie, il Tribunale di Grosseto risulta essersi correttamente attenuto a tali principi, dal momento che la natura "precaria" di un manufatto - secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema (vedi Cass., Sez. 3^: 12.7.1995, ric. Bottai; 2.7.1996, ric. De Marco; 4.10.1996, ric. Di Meo; 28.1.1997, ric. Arcucci;
20.6.1997, ric. Stile; 18.2.1999, ric. Bortolotti) - ai fini dell'esenzione dalla concessione edilizia (oggi permesso di costruire), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione subiettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo (nello stesso senso vedi C. Stato, Sez. 5^:
23.1.1995, n. 97 e 15.6.2000, n. 3321).
In base a tale principio, legittimamente non è stata riconosciuta evidente "precarietà" ad una costruzione stabilmente infissa al suolo e dotata di impianti, la cui destinazione alla gestione di un cantiere precario risulta meramente asserita.
L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi di segno positivo, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie affermazioni della ricorrente (che, comunque, non sono riferite alla necessità dell'autorizzazione paesaggistica ed alla contestata mancanza di essa) non valgono certo ad escludere la configurabilità del "fumus" dei reati ipotizzati. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente medesima al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 giugno 2004. Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2004