Pres. Altieri Est. De Maio Ric. Chiofalo
Urbanistica. Dichiarazione di compatibilità ambientale e demolizione
In materia edilizia, è inidonea a determinare la revoca e/o la sospensione dell\'ordine di demolizione in sede esecutiva la dichiarazione di compatibilità ambientale dell\'opera abusiva rilasciata dal Comune dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, in quanto non si tratta di atto amministrativo incompatibile con la demolizione.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di  consiglio
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente - del 20/02/2008
Dott. DE MAIO  Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N.  00230
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SENSINI  Maria Silvia - Consigliere - N. 036701/2007
ha pronunciato la seguente:  
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto  da:
1) CHIOFALO COSIMO, N. IL 28/02/1963;
avverso ORDINANZA del 17/09/2007  TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO;
sentita la relazione fatta dal  Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
lette le conclusioni del P.G. che ha  concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVAZIONE
Cosimo Chiofalo fu  condannato con sentenza 182/99 del Pretore di Barcellona P.G. in data 16.4.99,  divenuta irrevocabile il 9.2.2001, alla pena ritenuta di giustizia, oltre  demolizione delle opere abusive, per il reato di cui alla L. n. 47 del 1985,  art. 20, lett. b).
Avendo il PM presso quel Tribunale in data 18.8.2003  emesso provvedimento di ingiunzione a demolire il manufatto abusivo di mq. 35,  il Chiofalo chiese al Giudice dell\'Esecuzione la revoca e, in via gradata, la  sospensione dell\'anzidetto provvedimento con istanza che il predetto Giudice  rigettò con ordinanza in data 17.9.2007. Avverso tale ordinanza il Chiofalo ha  proposto ricorso denunciando:
1) violazione della L. n. 326 del 2003, art. 32  e L. n. 47 del 1985, art. 38 per avere il G.E. affermato erroneamente che il  condono non può essere concesso in presenza di una condanna passata in  giudicato;
2) vizio della motivazione perché la citata affermazione contrasta  con quella successiva secondo cui l\'ordine di demolizione non è suscettibile di  passaggio in giudicato;
3) violazione di legge e vizio della motivazione per  avere il G.E. erroneamente ritenuto non condonabile il manufatto in quanto  ricadente a m. 85 dall\'argine del torrente Longano.
In questa sede il  Chiofalo ha presentato memoria aggiuntiva con allegata dichiarazione in data  19.11.07 del predetto Assessorato di compatibilità ambientale e rilascio di  nulla-osta alla concessione in sanatoria. Il Proc. Gen. presso questa Corte ha  concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è infondato dovendo  ritenersi, al di là delle osservazioni non decisive del provvedimento impugnato  circa l\'inerzia del condannato, che è esatta la ragione sostanziale della  decisione, che consiste nella mancata adozione da parte della P.A. di atti  incompatibili con la demolizione. Non può, infatti, ritenersi tale nemmeno la  citata dichiarazione di compatibilità ambientale, la quale riserva  all\'amministrazione comunale ("alla quale compete la definizione della pratica  di sanatoria") l\'accertamento circa la compatibilità dell\'opera "con tutte le  altre prescrizioni in materia urbanistica e condono edilizio di cui alla L. n.  326 del 2003". E nel caso in esame non è dubbia la non condonabilità dell\'opera,  in quanto le opere edilizie realizzate in zone sottoposte a vincolo a tutela  degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici possono ottenere la  sanatoria ai sensi della L. n. 326 del 2003, art. 32 solo per gli interventi  edilizi di minore rilevanza e cioè di restauro, risanamento conservativo e  manutenzione straordinaria (sez. 3, 24.9.2004 n. 37865, rv. 230030; 7.9.200 n.  37865, rv. 230030;
7.9.2004 n. 35984, rv. 229013). Occorre ribadire che è del  tutto pacifico, fino a costituire ormai ius receptum, che il giudice può  provvedere alla invocata sospensione solo se, da un lato, abbia verificato con  esito positivo, tra l\'altro, la concreta condonabilità dell\'opera e, dall\'altro,  se sia concretamente prevedibile che il condono e la sanatoria possano essere  concessi in tempi brevi (non essendo possibile, sotto tale ultimo profilo, che  le esigenze di giustizia connesse all\'esecuzione della demolizione restino  sospese sine die).
Inoltre, la dichiarazione di compatibilità ambientale non  è idonea ex se a determinare la revoca o la sospensione dell\'esecuzione del  provvedimento di demolizione, così come la presentazione dell\'istanza di  accertamento di compatibilità paesaggistica per gli abusi commessi entro il  30.9.2004 non determina la sospensione del procedimento penale in difetto di  un\'espressa previsione legislativa, non potendosi nemmeno estendere alla  disciplina del condono paesaggistico l\'effetto sospensivo previsto dalla  disciplina del condono edilizio dalla L. n. 326 del 2003, attesa la mancanza di  qualsiasi collegamento tra le due discipline (giurisprudenza consolidata di  questa Corte: sez. 3, 3.7.2007 n. 37311, rv. 237384;
13459/2007, rv. 236333;  n. 19719/2007 rv. 236749). Neppure potrebbe sostenersi l\'opportunità della  sospensione, in considerazione appunto della conseguita dichiarazione di  compatibilità ambientale, nella prospettiva, questa volta, del cd. condono  ambientale, in quanto, per un verso, spetta al giudice anche in questa caso  verificare, al fine dell\'invocata sospensione, l\'astratta condonabilità  dell\'opera; e, per l\'altro, che l\'opera in questione non può conseguire nemmeno  il condono ambientale a norma del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 ter che  riguarda solo le opere "che non abbiano determinato creazione di superfici utili  o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati" (lett. a), ovvero i  soli interventi edilizi di manutenzione ordinaria o straordinaria (lett. c);  nella specie, invece, si è trattato di una nuova opera di mq. 35.
Per il  resto, le censure sopra citate del ricorso concernono, come rilevato anche dal  Proc. Gen. in requisitoria, "le considerazioni svolte nel provvedimento  impugnato ad abundantiam e non investono, invece, il profilo essenziale della  ratio decidendi, sicché sono incongrue e inammissibili".
Il ricorso va  pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al  pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e  condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in  Roma, il 20 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2008 
 
                    




