Cass. Sez. III n. 30405 del 18 luglio 2016 (Ud 8 apr. 2016)
Pres. Fiale Est. Di Nicola Ric. PM in proc. Murino ed altri
Urbanistica.Art. 221 TULLSS e sequestro

La perpetrazione dell'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità) certamente integra una situazione illecita che il pubblico ministero può ritenere valutabile ai fini dell'esercizio dei poteri inerenti l'esecuzione del provvedimento di sequestro.

RITENUTO IN FATTO

1. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sassari ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il giudice dell'esecuzione ha annullato il provvedimento di sgombero emesso dal pubblico ministero in esecuzione del decreto di sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Sassari in data 14 luglio 2014 per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) di falso ideologico e di abuso d'ufficio.

La vicenda riguarda un intervento di demolizione e ricostruzione di un fabbricato in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (seppur autorizzato con concessione edilizia ritenuta illecita perchè frutto di collusione). In particolare si contesta di avere demolito un preesistente edificio avente una volumetria pari a 3307 m3 (e quindi ampliabile sino a 4300 m3 in forza della L.R. 23 ottobre 2009, n. 4, art. 5) e successivamente edificato un fabbricato avente volumetria pari a 5190,17 m3, vale a dire caratterizzato da una volumetria superiore al limite indicato dalla legge.

2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza, il ricorrente articola due motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della legge processuale nella parte in cui il giudice dell'esecuzione non ha dichiarato inammissibile l'istanza di revoca, formulata in sede esecutiva, del decreto di sgombero, nonostante un precedente provvedimento emesso dal giudice delle indagini preliminari fosse stato annullato senza rinvio dalla Corte di cassazione perchè ritenuto abnorme.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione della legge penale e processuale nonchè il vizio di motivazione su punti decisivi per il giudizio.

Si afferma che il decreto di sequestro preventivo era stato disposto, tra l'altro, ai sensi dell'art. 335 bis c.p. in quanto l'immobile risultava provento del reato di abuso d'ufficio e tale aspetto sarebbe stato del tutto pretermesso dal giudice dell'esecuzione che avrebbe incentrato tutta la motivazione focalizzandola esclusivamente sul reato urbanistico.

Si osserva che l'ordine di sgombero era stato adottato dal P.M. anche in considerazione del fatto che l'immobile fosse privo del certificato di agibilità.

Secondo il ricorrente, tale rilievo sarebbe, per ciò solo, idoneo a giustificare la misura dello sgombero in sede esecutiva.

Per contro, l'ordinanza non avrebbe affrontato minimamente tale argomento, che sarebbe stato di per sè dirimente, per concentrarsi unicamente sull'aggravio del carico urbanistico.

A tale ultimo proposito, il ricorrente ricorda che il giudice dell'esecuzione può essere chiamato a valutare unicamente la legittimità del titolo e la non indispensabilità del provvedimento esecutivo del P.M., in relazione alle esigenze cautelari che il decreto di sequestro preventivo vuole fronteggiare.

Nondimeno il provvedimento impugnato si porrebbe in palese contrasto con gli approdi cui è giunta la giurisprudenza di legittimità che stima incompatibile la facoltà d'uso del privato con l'aggravamento del carico urbanistico che, nella fase cognitiva definita con gli incidenti cautelari, è stato ritenuto di notevole intensità, con la conseguenza che la libera disponibilità dell'edificio, ormai ultimato, pregiudicherebbe notevolmente gli interessi attinenti alla gestione del territorio.

Infine alcune indagini a campione svolte con riferimento agli acquirenti avrebbero escluso che tutti potessero qualificarsi come terzi di buona fede, posto che sarebbero emersi una serie di negozi giuridici simulati che escluderebbero i profili di buona fede per contro evidenziati dal giudice dell'esecuzione.

3. E' stata depositata memoria nell'interesse di alcuni controinteressati con la quale si prospetta l'infondatezza del primo motivo e l'inammissibilità del secondo per i profili di merito, preclusi in sede di legittimità, che lo caratterizzerebbero.

CONDIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato sulla base del secondo motivo.

2. Il primo motivo non ha invece giuridico fondamento perchè il giudice dell'esecuzione ha titolo per sindacare funditus l'ordine di sgombero controllando l'esercizio dei poteri attribuiti al pubblico ministero per emetterlo, per la semplice ragione che, in via generale, "competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato" (art. 665 c.p.p., comma 1).

E' pacifico che il pubblico ministero può, se ciò costituisce una indispensabile modalità di attuazione del sequestro, ordinare lo sgombero dell'immobile sequestrato, esercitando così il potere di determinare le modalità di esecuzione della misura cautelare ai sensi dell'art. 655 c.p.p. (per tutte, Sez. 3, n. 14187 del 13/12/2006, dep. 2007, Tortora, Rv. 236323) Infatti la giurisprudenza di legittimità ha ammesso che l'ordine di sgombero del pubblico ministero di immobili adibiti ad uso abitativo è sindacabile in sede esecutiva sotto il profilo dell'inesistenza del titolo e della sua indispensabilità al fine di dare esecuzione al provvedimento giurisdizionale (Sez. 3, n. 45938 del 09/10/2013, Speranza, Rv. 258312) ma occorre precisare che il controllo sull'indispensabilità non esclude il sindacato sulle modalità di attuazione del provvedimento che, tra quelle possibili, devono essere le meno gravose per i diritti di libertà reale, se ed in quanto idonee a salvaguardare gli effetti per i quali il provvedimento è stato disposto ed alla cui cura deve provvedere il pubblico ministero, quale organo dell'esecuzione penale.

E' infatti ampiamente consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza, il convincimento che il principio di proporzionalità, allo stesso modo che per le cautele personali, regge anche il sistema delle cautele reali sia nella fase genetica che in quella funzionale della misura, nella quale ultima fase è ricompresa anche quella esecutiva, che attiene alle modalità di esecuzione di provvedimenti che conservano una natura esclusivamente cautelare sicchè, salvaguardati gli effetti che la cautela assolve, non sono indifferenti le diverse modalità con le quali il provvedimento deve essere eseguito, soprattutto quando l'esecuzione di esso incide su diritti fondamentali, dei quali gli organi della giurisdizione penale sono garanti.

Deve tuttavia essere rispettato il riparto delle competenze, nel senso che al giudice che procede spetta il potere di emettere o meno la misura cautelare reale, potendo nella fase (e solo nella fase) genetica anche determinare le modalità di esecuzione della cautela, se ciò sia imposto dal rispetto dei principi di adeguatezza e di proporzionalità, e successivamente compete al giudice che procede di mantenerla o revocarla, mentre al pubblico ministero spetta, superata la fase genetica di applicazione della misura, di eseguirla, con la conseguenza che, dopo l'emissione del titolo, tutto ciò che attiene alla fase esecutiva rientra nelle prerogative del pubblico ministero cosicchè è abnorme il provvedimento del giudice procedente che paralizzi l'efficacia del provvedimento emesso dal P.M., potendo intervenire, se investito, esclusivamente il giudice dell'esecuzione ad esercitare il controllo di legittimità in relazione alle modalità di esecuzione della misura cautelare e, in tal senso, vanno letti gli interventi nomofilattici (per tutti, Sez. 3, n. 43615 del 18/02/2015, Manconi, Rv. 265152), indicati nel ricorso del pubblico ministero, e dei quali quindi il giudice dell'esecuzione ha dato corretta interpretazione, rigettando l'eccezione di inammissibilità dei ricorsi che lo avevano investito.

2. E' invece fondato il secondo motivo di impugnazione.

Sotto un primo profilo, va infatti osservato come il pubblico ministero, a ragione, reclama il difetto di motivazione su un punto decisivo costituito dal fatto che, mancando il certificato di agibilità dell'immobile, il giudice dell'esecuzione non ha spiegato la ragione per la quale l'edificio potesse ritenersi abitabile, sia pure in parte e sia pure solo dai terzi di buona fede, a fronte dell'unico modo, da parte del pubblico ministero, di salvaguardare l'interesse protetto dal sequestro preventivo sottraendo agli occupanti dell'immobile la disponibilità dello stesso, in linea con il valore sotteso al certificato di agibilità (o abitabilità), posto che la perpetrazione dell'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità) certamente integra una situazione illecita ulteriore che il pubblico ministero ha ritenuto valutabile ai fini dell'esercizio dei poteri inerenti l'esecuzione del provvedimento di sequestro.

Sotto un secondo profilo, il giudice dell'esecuzione ha affermato che l'aggravio del carico urbanistico, per via di un insediamento antropico eccedente rispetto a quello previsto dallo strumento di pianificazione, non può essere commisurato alla volumetria dell'intero fabbricato edificato, bensì alla quota di essa non autorizzabile sulla base dello strumento vigente, e dunque all'edificazione eccedente rispetto al limite considerato lecito dall'accusa, pari a 4.300 mc. ed è pervenuto alla conclusione che, in relazione alle modalità esecutive del sequestro preventivo nei confronti dei terzi in buona fede, rilevi esclusivamente la necessità di riportare l'impatto antropico nei limiti previsti dallo strumento urbanistico, e non quella di anticipare gli effetti dell'eventuale accertamento giudiziale della violazione edilizia, nè gli effetti ablatori ampiamente tutelati dalla trascrizione nei registri immobiliari.

Sicchè lo sgombero integrale dell'immobile disposto dal pubblico ministero, è apparso misura palesemente sproporzionata rispetto alla finalità cautelare così individuata in relazione ai terzi in buona fede, in presenza di un fabbricato assentibile per l'80% circa della volumetria realizzata.

In questo modo, il giudice dell'esecuzione, se ha dato esauriente risposta, nel solco delle proprie competenze, ai profili cautelari ablativi che, a torto, il pubblico ministero assume pretermessi, ha tuttavia considerato, senza adeguata e logica spiegazione, l'intervento edilizio in modo non unitario, disattendendo il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera deve riguardare la stessa nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (per tutte, Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, dep., Forte, Rv. 252125) e ciò vale anche con riferimento all'aggravio del carico urbanistico, introducendo peraltro una distinzione tra terzi di buona fede e terzi non in possesso di tale qualifica del tutto assertiva e priva di qualsiasi elemento che ne consenta una verifica di fondatezza.

A ciò dovrà porre riparo il giudice del rinvio, che si atterrà ai suesposti principi e al quale vanno trasmessi gli atti per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la ordinanza impugnata al tribunale di Sassari.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2016