Corte Costituzionale ord. 196 dell'11 maggio 2006
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della nota del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312
(recte: n. SDH/2/2312) recante : “Istruzioni in merito all’applicazione del
parere del Consiglio di Stato sul riparto delle competenze in materia di
concessione di beni del demanio marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree
marine protette”, promosso con ricorso della Regione Campania, notificato il 30
maggio 2003 e depositato in cancelleria il 6 giugno 2003, iscritto al numero 20
del registro conflitti del 2003.
ORDINANZA N. 196
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della nota del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312
(recte: n. SDH/2/2312) recante : “Istruzioni in merito all’applicazione del
parere del Consiglio di Stato sul riparto delle competenze in materia di
concessione di beni del demanio marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree
marine protette”, promosso con ricorso della Regione Campania, notificato il 30
maggio 2003 e depositato in cancelleria il 6 giugno 2003, iscritto al numero 20
del registro conflitti del 2003.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 aprile 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e l’avvocato dello
Stato Anna Lidia Caputi Jambrenghi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Regione Campania ha promosso conflitto di attribuzione nei
confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo a questa Corte di
dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio, di svolgere le attività amministrative e, in particolare,
di rilasciare le concessioni demaniali nelle aree marine protette;
che la Regione Campania chiede, conseguentemente, l’annullamento della nota del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio-Direzione per la difesa
del mare 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312 (recte: n. SDH/2/2312), recante
“Istruzioni in merito all’applicazione del parere del Consiglio di Stato sul
riparto delle competenze in materia di concessioni di beni del demanio marittimo
e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette”, che avrebbe affermato
l’esclusiva competenza dello Stato e, per esso, del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio, al rilascio delle concessioni sul demanio marittimo
ricadente nelle aree marine protette;
che la richiesta di annullamento della nota ministeriale è fondata su quattro
motivi:
- con il primo, si eccepisce la violazione degli articoli 117 e 118 della
Costituzione, nonché dell’art. 118 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). La
Regione osserva che la nota del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio investe, «per larga parte un ambito materiale, quello relativo ai
“porti”, che il legislatore ordinario (anticipando, per certi aspetti, i profili
della riforma costituzionale) ha, progressivamente, affidato alle autonomie
territoriali; e, più in generale la gestione del territorio nonché la
valorizzazione dei beni culturali e ambientali». La Regione osserva che già il
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della
legge 22 luglio 1975, n. 382) aveva delegato alle Regioni, nell’ambito della
materia “turismo e industria alberghiera”, tutte le funzioni amministrative sul
litorale marittimo e sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, quando
l’utilizzazione avesse finalità turistiche. Successivamente, «nell’ottica […]
del superamento sia del limite funzionale della finalità turistica, sia di una
visione solo centralista della gestione dei beni ambientali», la legge 28
gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) ha
attribuito alla competenza regionale le funzioni amministrative concernenti le
opere marittime relative ai porti di categoria II, classi II e III, riconoscendo
altresì alle Regioni la facoltà di intervenire con proprie risorse per la
realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione negli stessi porti.
Quindi, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle
Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materie di trasporto
pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.
59), in materia di servizi pubblici di trasporto d’interesse regionale e locale,
ha ampliato ulteriormente le funzioni amministrative regionali in materia
portuale e di servizi marittimi. Infine, l’art. 105 del d.lgs. n. 112 del 1998
ha conferito alle Regioni tutte le funzioni amministrative nel settore e,
segnatamente, quelle relative «al rilascio di concessioni di beni del demanio
marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di
approvvigionamento di fonti di energia» (con l’unica eccezione di cui all’art.
105, comma 2, lett. e, secondo periodo): formulazione così chiara, secondo la
Regione, da non lasciare dubbi sulla competenza regionale in ambiti che, invece,
il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio pretende, con la nota
impugnata, di riservare in via esclusiva allo Stato. I «vizi di legittimità» e
l’«invasione di competenza» della menzionata nota sarebbero, poi, addirittura
«evidenti» dopo l’emanazione del nuovo Titolo V della parte seconda della
Costituzione, data, in particolare, «l’espressa attribuzione di una potestà
legislativa concorrente alla Regione in materia di porti e di governo del
territorio, nonché di valorizzazione dei beni culturali e ambientali»;
- con il secondo, si eccepiscono la violazione degli artt. 114, 117 e 118 della
Costituzione, la violazione della legge della Regione Campania 26 luglio 2002,
n. 16 (Bilancio di previsione per l’anno finanziario 2002 e bilancio pluriennale
per il triennio 2002-2004) e la «lesione della sfera di competenza
costituzionalmente garantita della Regione». La ricorrente, sul presupposto che
la materia portuale ed il governo del territorio, nonché la valorizzazione dei
beni culturali e ambientali, sono inseriti fra le materie di competenza
legislativa concorrente, reputa inammissibile «la riserva allo Stato delle
funzioni amministrative in materia ed, in particolare, per il rilascio di
concessioni demaniali»; né, aggiunge, «alcun rilievo può avere la circostanza
che, nel caso di specie, si tratti di aree marine protette»; infatti, la
competenza esclusiva in materia ambientale, che l’art. 117 della Costituzione
attribuisce allo Stato, «non consente di escludere qualsiasi intervento
regionale in settori che, pur intersecandosi con esigenze di tutela ambientale,
risultano attribuiti alla sfera di competenza regionale», in quanto è
«irragionevole ritenere che, attraverso sovrapposizioni di settore, sempre
possibili ed anzi frequenti, non essendo pensabile una definizione netta e
separata degli ambiti materiali, lo Stato possa riappropriarsi, peraltro in via
assoluta senza recuperare alcun ruolo dell’ente territoriale, di spazi di
intervento che il legislatore costituzionale ha definitivamente attribuito alle
Regioni». Ciò, a maggior ragione, quando si tratta di ambiti che rientrano in
“materie trasversali”, nelle quali ben possono esercitarsi competenze regionali
e competenze dello Stato, a questo spettando «le determinazioni che rispondono a
esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale».
Del resto, secondo la ricorrente, la Corte costituzionale (sentenza n. 407 del
2002) ha definitivamente chiarito che, riguardo alla protezione dell’ambiente,
non è venuta meno la preesistente legittimazione di interventi regionali diretti
a soddisfare «ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario
definite dallo Stato». Conclusivamente, sulla scorta del disegno costituzionale
complessivo e della giurisprudenza costituzionale, «nella vicenda in esame
spetta allo Stato individuare gli standards di tutela uniformi sull’intero
territorio nazionale», nonché di fissare i principi fondamentali disciplinando
esclusivamente «il modo di esercizio della potestà legislativa regionale»,
mentre «spetta alla Regione porre la normativa che disciplini l’organizzazione e
le funzioni relative, nonché l’esercizio delle funzioni amministrative
connesse». E tale impostazione «è coerente con l’impianto costituzionale che,
nella materia ambientale, distingue quanto riservato allo Stato, e cioè la
tutela, e quanto riservato alla Regione, e cioè la valorizzazione». Peraltro, la
riforma del Titolo V, ponendo sullo stesso livello la potestà legislativa dello
Stato e quella della Regione – in virtù delle nuove formulazioni degli artt. 114
e 117 – non consente allo Stato di incidere, anche indirettamente, sulla nuova
autonomia delle Regioni»;
- sempre nell’ambito del secondo motivo, osserva la Regione che, sul piano delle
competenze amministrative nelle materie di legislazione concorrente, il “modulo
distributivo” introdotto dall’art. 118 della Costituzione (attribuzione delle
funzioni, in principio, ai comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio
unitario, siano conferite a province, città metropolitane, Regioni e Stato,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza: primo
comma; titolarità, da parte dei comuni, delle province e delle città
metropolitane, di funzioni proprie e di quelle conferite con legge statale o
regionale, secondo le rispettive competenze: secondo comma) comporta precise
conseguenze. Anzitutto, le competenze non possono non essere attribuite dai
soggetti titolari della relativa potestà legislativa nel settore di riferimento.
In secondo luogo, con riguardo alle materie di potestà legislativa concorrente,
compete alla Regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla legge
statale, di adottare una «normativa legislativa che determini l’assetto
organizzativo più idoneo delle funzioni» ad essa spettanti. In quest’ottica,
«non è ammissibile una impostazione che veda lo Stato attribuire (magari a
propri organi, come nel caso di specie) competenze amministrative regolate da
leggi regionali (differenti, dunque, da Regione a Regione)», laddove «la logica
di sistema richiede una attribuzione di competenze fondata sulle specifiche
competenze legislative, con il rispetto dei criteri di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza». Con riguardo, poi, all’ambito portuale,
l’illegittimità dell’impugnata nota ministeriale emergerebbe anche dal suo
contrasto con la legge della Regione Campania n. 16 del 2002, secondo cui (art.
8) «[c]on regolamento regionale, con parere obbligatorio delle competenti
commissioni consiliari, è operata la catalogazione dei porti di interesse
regionale ed interregionale di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, art. 4,
comma 1, lettera d), e comma 3, lettera e), anche al fine delle connesse e
conseguenziali disposizioni delle compartecipazioni di gettito di tributi
erariali riferibili al territorio della Regione». Ad avviso della ricorrente,
tale disposizione esprime il legittimo intervento della Regione in un settore di
propria competenza, con conseguente illegittimità dell’atto statale che pretende
di disporre in contrasto con quanto ha stabilito il legislatore regionale;
- con il terzo motivo, si deduce ancora la violazione degli artt. 117 e 118
della Costituzione, sul presupposto che le aree di cui si discute abbiano
vocazione turistica. Posto, infatti, che l’ambito materiale “turismo e industria
alberghiera” (precedentemente oggetto di potestà legislativa concorrente) non
compare nell’art. 117 della Costituzione, né risulta rifluito, neppure
parzialmente, in alcuna delle formule contenute nel secondo e terzo comma dello
stesso art. 117, se ne deve dedurre che il settore è ormai attribuito alla
competenza legislativa residuale (esclusiva) delle Regioni e che tale
attribuzione comprende, in una interpretazione per così dire “funzionale”, tutto
ciò che è connesso all’interesse turistico;
- con il quarto motivo, infine, si eccepisce la violazione degli artt. 114 e 117
della Costituzione e del principio di leale collaborazione. La determinazione
ministeriale, infatti, escluderebbe del tutto, stando alla formula verbale
adoperata, l’intervento regionale, non recuperando per esso alcun margine,
neanche in sede meramente collaborativa;
che, per la Presidenza del Consiglio dei ministri, si è costituita l’Avvocatura
dello Stato, eccependo l’inammissibilità, l’improponibilità e l’infondatezza del
ricorso;
che, in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato ha depositato una
memoria, nella quale insiste, anzitutto, sull’inammissibilità del ricorso. Ciò,
sia per carenza di lesività dell’atto impugnato (trattandosi di una “mera
istruzione” indirizzata ai soggetti gestori e alle capitanerie di porto operanti
nelle aree marine protette, a seguito del parere del Consiglio di Stato, sez. II,
16 ottobre 2002, n. 2194), sia perché esso non riguarda in alcun modo né la
materia dei porti, né quella dei trasporti, sia – infine – perché il
conferimento a Regioni ed enti locali di funzioni relative al rilascio di
concessioni su beni demaniali per finalità diverse da quelle di
approvvigionamento di fonti di energia non equivale a conferimento di tutte le
funzioni amministrative riferentisi al demanio marittimo (sentenza n. 150 del
2003);
che, nel merito, l’Avvocatura ribadisce l’infondatezza del ricorso, dal momento
che, come ritenuto dal Consiglio di Stato nel menzionato parere, le concessioni
di cui all’art. 19, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro
sulle aree protette), in quanto espressamente previste «per le finalità di
gestione dell’area medesima», e cioè per fini pubblicistici di tutela
ambientale, «si diversificano nettamente, per presupposti e interessi
perseguiti, dalle altre concessioni demaniali marittime previste dall’art. 105
d.lgs. n. 112 del 1998 e dal codice della navigazione», con la conseguenza che,
anche ai sensi degli artt. 69 e 77 dello stesso decreto n. 112, esse permangono
di competenza dello Stato;
che, alla pubblica udienza, la difesa della Regione ha dato atto che, in sede di
Conferenza unificata, è stata raggiunta, il 14 luglio 2005, un’intesa, ai sensi
dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3), in materia di concessioni di beni del demanio marittimo e
di zone di mare ricadenti nelle aree marine protette (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale, serie generale, n. 174 del 28 luglio 2005), e che l’Avvocatura
generale dello Stato ha insistito per l’inammissibilità e, comunque, per
l’infondatezza del ricorso.
Considerato che la Regione Campania ha promosso conflitto di attribuzione nei
confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo a questa Corte di
dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio, di svolgere le attività amministrative e, in particolare,
di rilasciare le concessioni demaniali nelle aree marine protette;
che la Regione Campania ha chiesto, nel suo ricorso, l’annullamento della nota
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio-Direzione per la
difesa del mare 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312 (recte: n. SDH/2/2312), recante
“Istruzioni in merito all’applicazione del parere del Consiglio di Stato sul
riparto delle competenze in materia di concessioni di beni del demanio marittimo
e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette”, che avrebbe affermato
l’esclusiva competenza dello Stato e, per esso, del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio, al rilascio delle concessioni sul demanio marittimo
ricadente nelle aree marine protette;
che la deliberazione della Giunta regionale della Campania del 9 maggio 2003 n.
1761, in base alla quale – ai sensi dell’art. 39, comma 3, della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale) – è stato proposto il ricorso in esame, indica nella parte
dispositiva, quale oggetto dell’impugnativa, “il provvedimento del Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti 12 marzo 2003 prot. n. DEM2A-1064/2002” e,
cioè, un atto del tutto diverso da quello che forma oggetto del ricorso;
che, pertanto, non vi è corrispondenza fra l’oggetto del ricorso e il contenuto
della delibera di impugnazione adottata dalla Giunta regionale;
che, a norma dell’art. 39, comma 3, della legge n. 87 del 1953, il ricorso per
conflitto di attribuzione fra Stato e Regione «è proposto […] per la Regione dal
Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta
stessa»;
che tale espressione – non dissimile da quella adoperata negli artt. 31, comma
3, e 32, comma 2, della stessa legge n. 87 del 1953 relativamente alla
proposizione dei ricorsi con i quali si faccia questione della legittimità
costituzionale di una legge di una Regione o dello Stato – implica la piena
corrispondenza fra il contenuto della determinazione di impugnare l’atto e
l’oggetto del ricorso per conflitto;
che tale corrispondenza soddisfa un’esigenza non soltanto di natura formale, ma
sostanziale, poiché la legittimazione attiva (del Presidente del Consiglio dei
ministri e) del Presidente della giunta regionale a proporre un conflitto dev’essere
sostenuta da una determinazione impegnativa e inequivoca (del Governo o) della
Giunta regionale, «e ciò per l’importanza dell’atto e per gli effetti
costituzionali ed amministrativi che l’atto stesso può produrre» (sentenza n. 33
del 1962 e, con riguardo alle questioni promosse ai sensi dei menzionati artt.
31 e 32 della legge n. 87 del 1953, fra le molte, sentenze n. 300 del 2005, n.
286 del 2004, n. 238 del 2004, n. 43 del 2004 e n. 315 del 2003).
per questi motivi
la Corte costituzionale
dichiara manifestamente inammissibile il conflitto di attribuzione per
l’annullamento della nota del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio-Direzione per la difesa del mare 20 marzo 2003, n. SDH/2/2312,
recante “Istruzioni in merito all’applicazione del parere del Consiglio di Stato
sul riparto delle competenze in materia di concessioni di beni del demanio
marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette”, promosso dalla
Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 3 maggio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2006.