Cass. Sez. III n. 15767 del 25 maggio 2020 (UP 14 feb 2020)
Pres. Sarno Est. Reynaud Ric. Denuccio ed altri
Urbanistica.Cessione di cubatura illegittima

Ai fini del giudizio circa la sussistenza dei reati urbanistico e paesaggistico, come del reato di falso ideologico in autorizzazioni amministrative, allorquando l’illegittimità dell’istituto della cessione di cubatura si fondi sulla sola ritenuta non prossimità dei terreni interessati (che abbiano per il resto la medesima destinazione urbanistica ed il medesimo indice di cubatura), quanto più sia oggettivamente ridotta la distanza tra gli stessi, nell’ordine di poche centinaia di metri lineari, tanto più dev’essere penetrante la valutazione sulla concreta strumentalità, e conseguente illegittimità, dell’operazione rispetto all'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’11 marzo 2019, la Corte d’appello di Lecce, accogliendo parzialmente il gravame proposto dal pubblico ministero contro la sentenza che aveva assolto gli imputati da tutti gli addebiti loro ascritti perché il fatto non costituisce reato, ha ritenuto costoro responsabili della contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, 380 contestata sub a) e - così riqualificando il delitto rubricato sub capo b) a seguito della sent. Corte cost. n. 56/2016 - della contravvenzione di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, dichiarando non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al reato di falso contestato al capo d) ai soli imputati Denuccio Michele, Denuccio Francesca, Mele Antonio e Ricciardi Lucio, previa derubricazione dello stesso nel delitto di cui all’art. 480 cod. pen.
L’affermazione di responsabilità concorsuale per i reati urbanistico e paesaggistico si fonda sul fatto che gli imputati Michele Denuccio e Francesca Denuccio, coniugi, quali proprietari del fondo e committenti della realizzazione di una casa di civile abitazione in zona agricola paesaggisticamente vincolata, e Antonio Mele quale tecnico progettista - autore delle relazioni allegate alle istanze, contenenti false attestazioni - e direttore dei lavori, avevano richiesto ed ottenuto dal comune di Castrignano del Capo, in persona del tecnico comunale Lucio Ricciardi, un permesso di costruire ed una autorizzazione paesaggistica (quest’ultima rilasciata a seguito di nulla-osta concesso dalla Soprintendenza, indotta in errore) ed in forza dei medesimi provvedimenti, illecitamente rilasciati perché affetti da falsità ideologica ed in contrasto con le previsioni normative e urbanistiche e da ritenersi dunque inesistenti, con il concorso dell’esecutore materiale delle opere Francesco Mele e di Massimo Denuccio (figlio dei proprietari, cui il permesso di costruire era stato successivamente volturato) avevano quindi realizzato l’immobile, peraltro in difformità dal progetto approvato. In particolare, la fattispecie di falsità ideologica delle relazioni allegate all’istanza e delle autorizzazioni conseguentemente rilasciate – pur dichiarata prescritta, ma con dichiarazione della falsità del permesso di costruire ex art. 537 cod. proc. pen. - era stata ritenuta in relazione all’attestazione di conformità dell’intervento alle norme di legge ed agli strumenti urbanistici ed alla sua conformità ambientale, laddove la volumetria edificata – non consentita dall’indice di fabbricabilità del fondo agricolo - era stata ottenuta in base ad un illecito asservimento urbanistico di terreni distanti.

2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, deducendo motivi in parte comuni, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Con ricorso cumulativo, Denuccio Massimo, Michele e Francesca hanno articolano le seguenti doglianze.
3.1. Si deducono in primo luogo la violazione delle norme incriminatrici contravvenzionali e dell’art. 5, comma 1, lett. c), d.l. n. 70 del 2011 ed il vizio di motivazione perché, pur correttamente ravvisando l’inefficacia dell’art. 51 l.reg. Puglia n. 56 del 1980, si era ritenuta – in contrasto con la normativa in materia quale sopra citata e con l’interpretazione giurisprudenziale -  l’illegittimità dell’accorpamento dei fondi ai fini del computo volumetrico delle opere realizzabili, nonostante l’omogeneità dei fondi accorpati (identici per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità) e la loro prossimità, quantificata in soli 667 metri in base ad un accertamento tecnico disposto, perché evidentemente ritenuto decisivo, ex art. 603 cod. proc. pen., dalla stessa Corte territoriale che ne aveva poi illogicamente disatteso le risultanze.
3.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 480 cod. pen. e della conseguente declaratoria di falsità del permesso di costruire per non essere stati attestati falsi presupposti, né nelle relazioni prodotte ai fini del rilascio dei titoli, né nelle autorizzazioni. Richiamandosi una decisione di questa Corte resa in caso analogo, si argomenta come i redigenti avessero effettuato mere valutazioni tecniche senza contraddire criteri predeterminati indiscussi o indiscutibili, sicché i provvedimenti potevano eventualmente considerarsi illegittimi, se  ritenuti rilasciati in contrasto con disposizioni di legge, ma non già falsi.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamentano la violazione dell’art. 5 cod. pen. ed il vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo delle contravvenzioni, allegandosi, per un verso, che le autorizzazioni rilasciate non erano macroscopicamente illegittime e, per altro verso, la buona fede per ignoranza inevitabile della legge penale conseguente all’obiettiva complessità della disciplina ed alla consolidata prassi comunale. I richiedenti, privi di competenze in materia e con un bassissimo grado di scolarizzazione, si erano affidati ad un tecnico di fiducia ed il figlio, cui il permesso di costruire era stato successivamente volturato, si era limitato ad eseguire i lavori in forza dei provvedimenti rilasciati e nella convinzione di agire lecitamente, sicché nulla poteva essere loro rimproverato.
3.4. Con l’ultimo motivo si segnala che, pur tenendo conto delle cause di sospensione del corso della prescrizione intervenute in corso di giudizio, anche le contravvenzioni si erano prescritte il 27 giugno 2019.
 
4. Con separati ricorsi di identico contenuto redatti dal medesimo difensore fiduciario, Antonio Mele e Francesco Mele lamentano in primo luogo l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità per non essere stato notificato agli imputati – presso il domicilio da costoro dichiarato – il decreto di citazione per il giudizio di appello, essendo la notificazione stata effettuata, per entrambi, soltanto al difensore di fiducia a mezzo p.e.c. Erroneamente la Corte territoriale, davanti alla quale la nullità era stata eccepita, aveva ritenuto valide le notificazioni richiamando l’art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., disposizione non applicabile nel caso di elezione o dichiarazione di domicilio.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione – con argomentazioni analoghe a quelle proposte dai coimputati e riferite supra, sub §. 3.1. – per essere stata ritenuta l’illegittimità dell’accorpamento dei fondi nonostante si fosse dimostrata con l’accertamento tecnico espletato in grado d’appello la loro prossimità, in termini addirittura più contenuti di quelli affermati dal consulente tecnico della difesa e ben inferiori a quanto invece riferito dal teste Dematteis nel giudizio di primo grado.
Si aggiunge che la sentenza impugnata non aveva affrontato la contestazione relativa all’ascritta violazione dell’art. 27 n.t.a. del piano di fabbricazione comunale (nella specie comunque non violato, essendosi realizzata una casa di campagna, categoria assimilabile a quella dei fabbricati rurali, senza che la disposizione citata richieda alcuna particolare qualifica soggettiva in capo ai richiedenti, né la presentazione di una relazione agronomica) e neppure quello della contestata difformità tra le opere in progetto e quelle realizzate, ipotesi per la quale il giudice di primo grado aveva peraltro disposto, ex art. 521 cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero, avendo ravvisato un fatto diverso da quello ascritto.
4.2. Con il terzo motivo di ricorso si lamentano la violazione dell’art. 480 cod. pen. ed il vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del delitto.
Si deduce, in primo luogo, che l’ing. Antonio Mele, progettista, non aveva mai asseverato o attestato la conformità del progetto ai piani urbanistici, la relazione era stata presentata nel 2010 – vale a dire prima della modifica intervenuta con l’art. 5 d.l. n. 70/2011 – e non erano state esposte situazioni di fatto contrarie al vero, con conseguente difetto dell’elemento materiale del reato di falso.
In ogni caso, richiamandosi anche l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale risoltosi soltanto successivamente alla condotta ascritta, si ribadisce quanto affermato dai ricorrenti Denuccio circa l’assenza di parametri normativamente predeterminati o indiscussi sicché la violazione della disciplina urbanistica non poteva essere qualificata come macroscopica con conseguente insussistenza anche del dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
4.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge sul rilievo che anche le contravvenzioni sarebbero state prescritte alla data del deposito della sentenza d’appello, posto che il relativo termine quinquennale, decorrente dal sequestro preventivo dell’immobile operato in data 11 marzo 2004, non poteva ritenersi sospeso per il rinvio dell’udienza disposto dal Tribunale dal 9 giugno 2017 al 15 settembre 2017, non essendo lo stesso stato richiesto dalle parti, ma disposto invece d’ufficio per ragioni organizzative.

5. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Lucio Ricciardi – responsabile dell’ufficio tecnico comunale che rilasciò il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica – si deducono, con riguardo al reato edilizio ed alla ritenuta incompatibilità urbanistica dell’intervento, i motivi di cui all’art. 606, comma 1, lett. a), b), e), cod. proc. pen. per l’esercizio di potestà riservate alla pubblica amministrazione, violazione della legge penale, vizio di motivazione. Si lamenta, in particolare, che l’illegittimità dell’intervento sia stata ritenuta in base ad un presupposto – quello della contiguità tra i fondi accorpati – non previsto da alcuna disposizione, normativa o di pianificazione (in particolare lo stesso non si ricava dall’art. 5, d.l. n. 70 del 2011), trattandosi di un principio di matrice esclusivamente giurisprudenziale (peraltro ritenuto superato anche da una parte della giurisprudenza amministrativa) contrastante con i principi di legalità, prevedibilità e determinatezza delle norme incriminatrici, operanti in materia penale in forza delle previsioni di cui all’art. 1 cod. pen., 25, secondo comma, e 101, secondo comma, Cost. Dare rilievo, come fa la sentenza impugnata, al principio secondo cui non sarebbe mai possibile l’accorpamento di fondi distanti tra loro, poiché in tale caso l’intervento edilizio potrebbe incidere sulla densità abitativa delle diverse zone, significa legittimare - lamenta il ricorrente - una “giustizia penale di scopo” che si pone in contrasto con il principio di legalità in materia penale giusta gli insegnamenti ricavabili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale citata in ricorso. Inoltre, in assenza di disposizioni di piano che depongano in tal senso, la valutazione di pregiudizio per l’assetto territoriale che l’accorpamento di fondi distanti avrebbe sulla densità delle diverse zone omogenee secondo il giudice penale sarebbe incongrua e arbitrariamente invasiva delle prerogative riservate alla pubblica amministrazione.
5.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stato ritenuto l’elemento soggettivo del reato edilizio nonostante si fosse seguita una prassi amministrativa consolidata e diffusa in ambito provinciale – quella dell’accorpamento tra fondi – con la convinzione della piena legittimità della stessa, sì da non rendere configurabile alcun profilo di colpa, senza peraltro che la sentenza impugnata chiarisca come il dirigente comunale potesse essere consapevole della vigenza di una regola ostativa costituita dalla contiguità tra i fondi accorpati.
5.2. Con il terzo motivo, riferito al delitto di falso ideologico del permesso di costruire, pur senza rinunciare – come gli altri imputati – alla prescrizione del reato, il ricorrente contesta la ritenuta sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del delitto con argomentazioni analoghe a quelle sopra esposte, rilevando, in particolare, come non essendo possibile ritenere che abbia fonte legale la regola di contiguità tra i fondi accorpati, il giudizio di compatibilità/legittimità urbanistica dell’opera non poteva dirsi formulato in violazione di un criterio normativamente prefissato. Diversamente da altri casi che hanno originato analoghi procedimenti penali in comuni del salentino – rileva il ricorrente – nel caso di specie i fondi accorpati avevano il medesimo indice di edificabilità fondiaria. Si aggiunge – quanto all’elemento soggettivo – che in altra analoga vicenda processuale riguardante anche l’odierno ricorrente questa Corte aveva escluso la sussistenza del dolo osservando come la questione di diritto concernente l’intervenuta inefficacia o meno dell’art. 51, lett. g), l. reg. n. 56/1980, fosse controversa anche in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità.
5.3. Con il quarto ed il quinto motivo di ricorso – in relazione alla contravvenzione paesaggistica ed al reato di falso ideologico della relativa autorizzazione – si deducono motivi analoghi a quelli proposti con il secondo ed il terzo motivo quanto al reato edilizio ed al relativo reato di falso.
Con riguardo al reato di cui all’art. 181 d.gls. 42/2004, si aggiunge che l’eventuale illegittimità dell’asservimento della cubatura sul piano urbanistico non potrebbe comunque rilevare a proposito della valutazione di compatibilità paesaggistica dell’opera, non venendo qui in rilievo le potenzialità edificatorie del lotto ma soltanto l’impatto ambientale della costruzione, che il PUTT/Paesaggio non ricollega in alcun modo al trasferimento ed alla sommatoria della volumetria di zone agricole distanti tra loro, sì che il giudice penale, sostituendo la propria valutazione a quella dell’amministrazione competente, era incorso in eccesso di potere giurisdizionale.
Quanto al reato di falso ideologico, si precisa inoltre come la sentenza impugnata avrebbe dovuto dimostrare – e non lo ha fatto - il carattere di giudizio a discrezionalità vincolata della valutazione che il ricorrente era chiamato a compiere in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, non essendo il delitto configurabile nel caso di attività valutative a giudizio libero con discrezionalità tecnica ancorata a parametri labili e generici, come era il caso di specie.
5.4. Con il sesto motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stata affermata la responsabilità del ricorrente in ordine a tutte le contestazioni mosse ai capi a) e b), vale a dire anche a quelle concernenti la difformità tra l’autorizzato e il realizzato, non avendo egli concorso nell’esecuzione dei lavori.
5.5. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta la mancanza della motivazione - generica e di stile – circa la gravità dei fatti accertati che impedirebbe il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza considerare le già descritte particolarità del caso di specie.
5.6. Con l’ultimo motivo di ricorso si deducono violazione della legge penale e vizio di motivazione per aver la sentenza affermato che i reati non erano prescritti perché non ultimati alla data dell’accertamento, senza considerare che la cessazione della permanenza era invece da ricondursi al sequestro preventivo delle opere, intervenuto in data 11 marzo 2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La pregiudiziale eccezione di nullità dedotta dai ricorrenti Antonio e Francesco Mele è generica.
Con ordinanza resa all’udienza del 18 febbraio 2019, nel rigettare l’eccezione di nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio in grado d’appello, la Corte territoriale ha osservato che agli atti non risultava alcuna elezione/dichiarazione di domicilio degli imputati Antonio Mele e Francesco Mele e che la stessa non era neppure contenuta nelle nomine del difensore fiduciario dai medesimi effettuate, rispettivamente, in data 12 ottobre 2015 e 3 ottobre 2016. I ricorrenti non si confrontano in alcun modo con la motivazione di detta ordinanza e con l’accertamento in fatto che la medesima attesta, né allegano al ricorso – che, pertanto, è irrimediabilmente generico e privo del requisito di autosufficienza – gli atti con cui i medesimi avrebbero eletto o dichiarato il domicilio.
Non risulta, pertanto, l’invalidità delle notificazioni effettuate ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen.
 
2. Venendo al merito delle questioni proposte, le doglianze concernenti l’affermazione di responsabilità in ordine alle residue contravvenzioni e la sussistenza degli elementi costitutivi del reato falso ideologico – che ha fondato la dichiarazione di falsità del permesso di costruire - sono fondate con particolare riguardo alla principale ratio decidendi che informa la sentenza impugnata, non potendo tout court affermarsi, senza una compiuta disamina della situazione di specie nei termini di cui infra si dirà, che una distanza di 667 metri tra i fondi accorpati non li renda prossimi ai fini della valutazione sulla legittimità dell’accorpamento e che, comunque, consenta con certezza di affermare la sussistenza dell’elemento soggettivo, con particolare riguardo al dolo richiesto per l’integrazione del reato di falso ideologico.
2.1. Va premesso che il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza circa la necessaria verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai fini di ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della c.d. cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in base all’indice di fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri fondi e che viene appunto fatta oggetto di cessione.
Occorre in primo luogo precisare che la sentenza impugnata, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, conclude per la non applicabilità della l. reg. 56/1980, pur fatta oggetto di contestata violazione in imputazione, e nessuno degli imputati di ciò si duole. Questa Corte, di fatti, ha da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale della Puglia n. 1748 del 15 dicembre 2000, il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta entrato in vigore quest'ultimo, la clausola risolutiva espressa dell’efficacia della predetta disposizione legislativa (così, Sez. 3, n. 8635 del 18/9/2014, dep. 2015, Manzo e aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770).
2.2. Ciò posto, al di là dell’inapplicabilità della citata legge regionale, la sentenza impugnata si è correttamente posta il problema di verificare, alla luce dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, quando la cessione di cubatura possa dirsi legittima. Occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte nelle recenti decisioni Sez. 3, n. 38838 del 09/07/2018, Baracetti e a., non massimata, Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, non massimata, Sez.  3, n. 46228 del 09/07/2018, Rv. 274673, nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica. Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise dal Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 39248 del 12/07/2018, Chiarillo e a.; Sez. 3, n. 51831 del 03/10/2018, Morciano e a.; Sez. 3, n. 51832 del 03/10/2018: Sez. 3,  n. 54706 del 13/11/2018, Bonerba e a.).
2.3. In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama C. St., Sezione V, 28 giugno 2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una delle quali - rilevante anche nella vicenda esaminata - è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio. A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubatura" fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all’ulteriore rilievo –ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura – dell’essere i terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 35166 del 28/3/2017, Nespoli e aa., non massimata; Sez. 3, n. 30040 del 30/1/2018, Strambone, non massimata; Sez. 3, n. 30025 del 4/12/2017, dep. 2018, Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Melcarne, non massimata; Sez. 3, n. 52605 del 4/10/2017, Renna, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/1/2015, Tedoldi, non massimata), si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità non può essere esclusa la illegalità dell’operazione effettuata (Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna; Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 51833 del 03/10/2018, Sangalli e aa.).
Va infatti richiamata l’attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, dell’assenza del necessario requisito della “contiguità” dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30 ottobre 2003; C. St., Sez. V, n. 400, 1 aprile 1998; più recentemente, TAR Campania –Salerno, Sez. II n. 1675 del 19/7/2016). Tali principi, come detto, sono stati richiamati anche da questa Corte nelle numerose decisioni più sopra citate.
2.4. Nel caso di specie, peraltro, erano certamente questi i principi di diritto che si dovevano applicare, poiché i titoli autorizzatori sono stati rilasciati il 6 dicembre 2010, vale a dire prima dell’approvazione del d.l. 13 maggio 2001, n. 70, conv., con modiff., in l. 12 luglio 2001, n. 106. Anche a prescindere dal fatto che tale provvedimento non ha in alcun modo disciplinato le condizioni di legittimità della cessione di cubatura tra fondi – limitandosi l’art. 5, comma 1, lett. c), della citata legge alla «tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura"» – le contestazioni mosse sul punto dal ricorrente Ricciardi e i problemi di rispetto del principio di legalità posti in quel ricorso non sono neppure astrattamente fondati, proprio perché posti con riguardo ad una legge sopravvenuta che è inapplicabile rispetto a provvedimenti amministrativi regolati dal principio tempus regit actum. In allora certamente mancava una disciplina che consentisse di edificare su un fondo una volumetria maggiore di quella dallo stesso esprimibile, sicché non può certo dirsi praeter legem l’interpretazione – che discende in modo piano dall’applicazione del consolidati principi generali – secondo cui provvedimenti autorizzatori rilasciati per l’edificazione di una volumetria non consentita non siano legittimi (donde la sussistenza delle contravvenzioni) e, nel caso in cui se ne affermi la compatibilità con la disciplina normativa, sussista anche il reato di falso ideologico. Per contro, è la mancata riconduzione delle condotte al fatto tipico che si fonda su un’interpretazione che dà rilievo all’istituto, conosciuto dalla prassi, della cessione di cubatura. Ma, se così è – e, a prescindere dal rilievo che possa riconoscersi all’art. 5, d.l. n. 70/2011, certamente così era prima della sua approvazione, allorquando furono adottati i provvedimenti qui esaminati – non ci si può certo dolere del fatto che l’area di irrilevanza penale sia segnata dall’individuazione dei requisiti che, secondo la suddetta prassi, legittimavano una condotta apparentemente contra legem.
2.5. Sotto altro profilo, debbono disattendersi le doglianze mosse da tutti i ricorrenti circa l’impossibilità di configurare comunque, nel caso di specie, il reato di falso ideologico.
Vanno, di fatti, senz’altro condivisi e richiamati i precedenti di questa Corte ed in particolare la sent. Sez. 3, n. 28713 del 19/4/2017, Colella e aa., non massimata - riguardante una vicenda analoga a quella di specie relativa al comune di Morciano di Leuca – nella quale, richiamate altre decisioni attinenti a procedimenti aventi ad oggetto fatti analoghi (Sez. 3, n. 42064 del 30/6/2016, Quaranta e aa., Rv. 268083; Sez. 5, n. 35556 del 26/4/2016, Renna, Rv. 267953), si è ricordato, con riferimento al più grave reato di cui all’art. 479 cod. pen., in quell’occasione contestato, come lo stesso si configuri con il rilascio di autorizzazione paesaggistica, da parte del responsabile dell'ufficio tecnico competente, nella consapevolezza della falsità di quanto attestato dal richiedente circa la sussistenza dei presupposti giuridico-fattuali per l'accoglimento della relativa domanda. Ancora, va ricordato il principio secondo il quale è configurabile il delitto di falso ideologico nella valutazione tecnica formulata in un contesto implicante l'accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi (ribadito in Sez. 3, n. 41373 del 17/7/2014, Pasteris e aa., Rv. 260968, non massimata sul punto, che a sua volta richiama Sez. 1, n. 45373 del 10/6/2013, Capogrosso e a., Rv. 257895).
Anche altre decisioni hanno specificato che, se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l'atto da compiere fa riferimento, anche implicito, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, Platamone e a., Rv. 254305; si vedano anche Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e a., Rv. 249858). Tali principi sono stati anche recentemente ribaditi (Sez. 3, n. 9881 del 8/2/2018, Costantini e aa., non massimata; Sez.3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa. V. anche Sez. 3, n. 30040 del 30/1/2018, Strambone, non massimata; Sez. 3, n. 30025 del 4/12/2017, dep. 2018, Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 57120 del 29/9/2017, Borrello e a., non massimata; Sez. 3, n. 57108 del 17/5/2017, Renna, non massimata. V. anche Sez. 3 n. 18890 del 8/11/2017, dep. 2018, Renna non massimata). In questi casi, si è conseguentemente ritenuto che i provvedimenti autorizzativi rilasciati fossero fondati su presupposti urbanistici e paesaggistici falsi contenuti anche nella relazione tecnica e, come tale, anch’essa falsa.
Le decisioni di questa Corte che, in alcune occasioni, sono giunte a conclusioni diverse, salvo casi isolati, non sembrano porre in discussione i principi dianzi ricordati.
Invero, le difformi decisioni prendono in considerazione il fatto specifico, riconoscendo come corrispondenti al vero i fatti rappresentati negli elaborati progettuali (Sez. 3, n. 4566 del 10/10/2017, dep. 2018, Morciano e a., non massimata) od il difetto dell’elemento soggettivo (v. Sez. 5 n.  37915 del 26/4/2017, Baglivo, non massimata), ovvero sostenendo che la valutazione oggetto di imputazione, essendo correlata alla mera interpretazione della normativa di settore, ma svincolata da qualsiasi riferimento ad elementi fattuali integranti il presupposto dell'atto, è priva di quella funzione informativa in forza della quale l'enunciato può essere predicato di falsità (Sez. 5, n. 19384 del 12/2/2018, De Micheli e aa., non massimata; Sez. 5, n. 7879 del 16/1/2018, Daversa e aa., Rv. 272457).
Si tratta, in tale ultimo caso, di una non convincente qualificazione dei contenuti dell’atto che si assume falso, perché, come si è condivisibilmente affermato in una recente pronuncia (Sez. 3, n. 8844 del 18/1/2018, Renna e a., non massimata, la quale a sua volta richiama Sez. 3, n. 57108 del 17/5/2017, Renna, cit.; negli stessi termini, Sez. 3, n. 8852 del 18/1/2018, Dilonardo e aa., non massimata) nell’autorizzazione paesaggistica – e ancor più nel permesso di costruire - vengono attestate, come detto magari anche solo implicitamente, la conformità urbanistica e la compatibilità ambientale delle opere da edificare, esprimendosi quindi un giudizio in base alla rispondenza dell’intervento edilizio ad oggettivi e preesistenti criteri normativi, in quanto tale non caratterizzato da mera discrezionalità tecnica quanto, piuttosto, da una verifica oggettiva.

3. Venendo al caso di specie, la Corte territoriale ha dato atto che dalle prove assunte risultava che i terreni accorpati – pur ricadendo tutti nella medesima zona E1 del comune di Castrignano del Capo (qualificata come verde agricolo produttivo) e pur avendo il medesimo indice di fabbricabilità – si trovavano al foglio 14, particella 102 (quello oggetto di intervento) e al foglio 12, particelle 311 e 312 (quelli accorpati per la cessione di cubatura). Gli stessi, in base all’accertamento tecnico eseguito in grado d’appello, erano risultati distanti tra loro circa 667 mt. e l’accorpamento aveva consentito di edificare un fabbricato di dimensioni quasi doppie rispetto all’indice di fabbricabilità del fondo edificato (vale a dire circa 160 mc. a fronte di circa 84 mc.).
Dopo aver riepilogato i principi giurisprudenziali applicabili in materia quali più sopra esposti, la sentenza impugnata (pag. 6) conclude per la sussistenza dei presupposti del reato di falso ideologico e per la conseguente illiceità delle autorizzazioni rilasciate sul rilievo che «non è mai possibile l’accorpamento di fondi distanti tra loro (come nel caso di specie in cui non potrebbe giammai parlare di reciproca prossimità, che presuppone se non la contiguità quantomeno una particolare vicinanza) anche se non con diverso indice di fabbricabilità quando l’istituto viene utilizzato per eludere elementari principi in materia urbanistica e, in particolare, per incrementare senza limite ed in spregio dei vincoli la volumetria assentibile in zone di pregio. La macroscopica violazione della normativa urbanistica sin qui chiarita consente di ritenere sussistente l’elemento soggettivo del dolo generico in capo agli imputati Antonio Mele e Lucio Ricciardi dotati di idonea competenza tecnica…quanto poi ai richiedenti il permesso di costruire, i coniugi Denuccio, ai fini della ricorrenza dell’elemento psicologico non può sfuggire la circostanza che essi abbiano fatto un uso di tale illegittima prassi accorpando due fondi appartenenti ciascuno ad uno di essi non propriamente contigui, sicché non possono essere stati in buona fede».
3.1. Reputa il Collegio che tale lapidaria conclusione, a ben vedere affermata in termini apodittici e senza congrua motivazione – anche in relazione alla stessa decisione di rinnovare l’istruttoria assunta dalla Corte territoriale - non si sottragga alle censure di manifesta illogicità sollevate da tutti i ricorrenti, sia quanto alla sussistenza dell’elemento oggettivo sia quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati (ed in particolare, sotto quest’ultimo angolo visuale, del delitto di falso ideologico).
3.1.1. Ed invero, con ordinanza istruttoria resa nel corso del giudizio, la Corte territoriale, ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., ha ritenuto assolutamente necessario verificare quale distanza intercorresse tra i fondi oggetto di accorpamento. Posto che nel giudizio di primo grado la controversia sul punto atteneva alla difforme valutazione data dal teste del pubblico ministero, cap. Dematteis, che l’aveva quantificata in circa 1.000 metri, e dal consulente tecnico di una delle difese, che l’aveva invece stimata in 670 mt., deve ragionevolmente ritenersi che, quantomeno nel momento in cui l’ordinanza istruttoria fu adottata, il giudice d’appello ritenesse “assolutamente necessario” chiarire quale delle due prospettazioni in fatto fosse fondata, sull’evidente presupposto che la scelta dell’una, piuttosto che dell’altra, avrebbe potuto indurre ad una diversa conclusione circa la non prossimità dei fondi. Sorprende, e appare pertanto manifestamente illogico, che, una volta accertata la fondatezza della tesi più favorevole – e, anzi, una distanza ancora inferiore a quella che il consulente della difesa aveva affermato – la sentenza impugnata non spenda sul punto una parola, attestando anzi come “macroscopica” la violazione del presupposto circa la non prossimità dei fondi.
3.1.2. Ponendosi, poi, nella corretta ottica di valutare se la cessione di cubatura effettuata nel caso di specie avesse consentito di realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio, la sentenza afferma che sia stata incrementata “senza limite” la volumetria edificata “in zone di pregio”. Si tratta, tuttavia, di un’affermazione apodittica, che non poggia sulla considerazione di alcun elemento fattuale e non consente di comprendere quale sia l’iter logico che supporti la conclusione.
Posto che è pacifica la sussistenza del vincolo paesaggistico nella zona ove l’edificazione è avvenuta – ciò che certamente rileva ai fini del giudizio qui in esame – non si dice se analogo vincolo sussistesse o meno in relazione ai vicini fondi cedenti, circostanza, questa, che, se positivamente verificata, parimenti avrebbe rilievo, posto che la cessione di cubatura non avrebbe in questo caso incrementato l’impatto edilizio nella zona comunale paesaggisticamente vincolata. Nulla si dice, poi, in relazione alla prossimità tra il manufatto edificato ed altre eventuali costruzioni nella zona in concreto edificata e nella non estesa area che la separa dai fondi fatti oggetto di cessione per verificare se si sia determinata, oppure no – magari anche in relazione ad analoghe operazioni di cessioni di cubatura che abbiano di fatto incrementato l’indice di fabbricazione in una più ristretta area topografica - quella situazione di “affollamento edilizio” (pur nella specie, ovviamente, relativo, tenendo conto del modestissimo indice di fabbricazione consentito) che ha indotto la giurisprudenza ad individuare il requisito della prossimità tra i presupposti che legittimano la cessione di cubatura. Né, più in generale, si analizza l’area che – per metri lineari 667 – separa i fondi coinvolti nella cessione per verificare quale ne sia la destinazione urbanistica, l’eventuale tutela sul piano paesaggistico, il grado di concentrazione edilizia e consentire pertanto di comprendere se lo “spostamento”, per qualche centinaio di metri, di circa 76 mc. di volume (vale a dire, calcolando un’altezza media di 3 m., di una superficie di circa 25 mq.) abbia davvero determinato quella “macroscopica” lesione degli interessi urbanistici del territorio che in radice escluderebbe la legittimità della cessione di cubatura e renderebbe dolosa l’operazione tanto da sorreggere la falsità ideologica del permesso di costruire rilasciato sul presupposto della legittimità della cessione di cubatura, pur in assenza,  per quanto risulta dalla sentenza impugnata, dell’affermazione di dati tecnici non conformi al vero.
Va pertanto affermato il principio giusta il quale, ai fini del giudizio circa la sussistenza dei reati urbanistico e paesaggistico, come del reato di falso ideologico in autorizzazioni amministrative, allorquando l’illegittimità dell’istituto della cessione di cubatura si fondi sulla sola ritenuta non prossimità dei terreni interessati (che abbiano per il resto la medesima destinazione urbanistica ed il medesimo indice di cubatura), quanto più sia oggettivamente ridotta la distanza tra gli stessi, nell’ordine di poche centinaia di metri lineari, tanto più dev’essere penetrante la valutazione sulla concreta strumentalità, e conseguente illegittimità, dell’operazione rispetto all'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
 Questa rigorosa valutazione è nel caso di specie mancata, sicché s’impone l’annullamento sul punto della sentenza impugnata, con assorbimento di tutte le residue doglianze proposte dai ricorrenti.

4. Con riguardo alle contravvenzioni di cui ai capi a) e b), va tuttavia rilevato che le stesse si sono medio tempore prescritte, posto che – come risulta dalla sentenza impugnata - la loro consumazione si è protratta sino all’11 marzo 2004, sicché è decorso il termine massimo quinquennale di prescrizione pur tenendo conto della sospensione della stessa per il rinvio del processo di primo grado, disposto su richiesta delle parti (contrariamente a quanto in modo del tutto generico affermato i ricorrenti Antonio e Francesco Mele), dal 9 giugno al 15 settembre 2017 e, ai sensi dell’art. 603, ultimo comma, cod. proc. pen., dell’ulteriore periodo di sospensione di dieci giorni in grado d’appello a fronte della rinnovazione istruttoria di cui si è detto.
Non essendovi evidenza della sussistenza di una causa di proscioglimento più favorevole, l’annullamento della sentenza in parte qua dev’essere pronunciato senza rinvio. Va conseguentemente disposta la revoca dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva e rimessione in pristino dello stato dei luoghi impartito con la sentenza impugnata, posto che dette statuizioni presuppongono comunque la pronuncia di una sentenza di condanna (Sez. 3, n. 37836 del 29/03/2017, Catanzaro, Rv. 270907; Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Franchi, Rv. 265616).

5. Quanto al delitto di falso ideologico, benché lo stesso sia già stato dichiarato prescritto in grado d’appello – non sussistendo neppure con riguardo ad esso l’evidenza di una più favorevole causa di proscioglimento - l’annullamento della sentenza impugnata deve invece essere pronunciato con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce limitatamente alla statuizione relativa alla falsità dichiarata ai sensi dell’art. 537 cod. proc. pen.
Di fatti, secondo la più recente giurisprudenza, in tema di delitti contro la fede pubblica, in caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, è comunque necessario procedere all'accertamento della eventuale falsità del documento al fine di pronunciare la dichiarazione prevista dall'art. 537, comma quarto, cod. proc. pen. (Sez.  2, n. 13911 del 17/03/2016, Lo Schiavo, Rv. 266389; Sez.  3, n. 7908 del 15/01/2015, Onori, Rv. 262516; Sez.  3, n. 5789 del 18/12/2007, dep. 2008, Nappi, Rv. 238797). In ogni caso, così nella specie è stato fatto dal giudice di merito, ma, per quanto detto, il giudizio sulla falsità postula un più approfondito accertamento e non è adeguatamente sorretto dalla motivazione della sentenza qui impugnata. In tema di sentenza dichiarativa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, invero, la falsità di un documento può essere dichiarata, ai sensi dell'art. 537 cod. proc. pen., solo se le risultanze processuali siano tali da consentire di affermare che essa sia stata positivamente accertata, sulla base delle norme che regolano l'acquisizione e la valutazione della prova nel processo penale (Sez.  3, n. 7908 del 15/01/2015, Onori, Rv. 262516; Sez.  6, n. 10039 del 11/12/2008, dep. 2009, Bernardini e aa., Rv. 243052) e richiede che l'accertamento del fatto e la colpevolezza dell'imputato siano adeguatamente motivati (Sez.  3, n. 5789 del 18/12/2007, dep. 2008, Nappi, Rv. 238797).
Quantomeno con riguardo ai ricorrenti Michele Denuccio, Francesca Denuccio e Massimo Denuccio – rispettivamente, titolari del fondo edificato e originari richiedenti del permesso di costruire i primi, e cessionario del permesso il secondo, i quali hanno svolto sul punto un espresso motivo di ricorso – va peraltro riconosciuto un interesse concreto ed attuale ad ottenere l’annullamento della dichiarazione di falsità. E’ ben vero che il permesso di costruire, rilasciato nel dicembre 2010, è divenuto inefficace ai sensi dell’art. 15 d.P.R. 380/2001 (per la declaratoria di insussistenza di interesse ad impugnare la pronuncia di falsità di documenti che non spiegano più efficacia, v. Sez.  4, n. 24375 del 16/05/2019, Di Lella, Rv. 276367; Sez.  4, n. 25577 del 11/05/2017, Cicchini, Rv. 270106), ma in costanza di declaratoria di falsità s’imporrebbe l’adozione delle misure amministrative ripristinatorie e demolitorie previste dall’art. 27, comma 2, d.P.R. 380 del 2001, sicché non può negarsi sul punto l’interesse dei suddetti ricorrenti a contestare la statuizione in parola.

P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine ai residui reati contestati ai capi a) e b) perché estinti per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce limitatamente alla statuizione relativa alla falsità dichiarata ai sensi dell’art. 537 cod. proc. pen.
Revoca l’ordine di demolizione e di rimessione in pristino.
 Così deciso il 14 febbraio 2020.